La vita è possesso o dono?

Una riflessione sul vangelo secondo Marco (Mc 12,1-12)

In quel tempo, Gesù si mise a parlare con parabole [ai capi dei sacerdoti, agli scribi e agli anziani]:
«Un uomo piantò una vigna, la circondò con una siepe, scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano.
Al momento opportuno mandò un servo dai contadini a ritirare da loro la sua parte del raccolto della vigna. Ma essi lo presero, lo bastonarono e lo mandarono via a mani vuote. Mandò loro di nuovo un altro servo: anche quello lo picchiarono sulla testa e lo insultarono. Ne mandò un altro, e questo lo uccisero; poi molti altri: alcuni li bastonarono, altri li uccisero.
Ne aveva ancora uno, un figlio amato; lo inviò loro per ultimo, dicendo: “Avranno rispetto per mio figlio!”. Ma quei contadini dissero tra loro: “Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e l’eredità sarà nostra”. Lo presero, lo uccisero e lo gettarono fuori della vigna.
Che cosa farà dunque il padrone della vigna? Verrà e farà morire i contadini e darà la vigna ad altri. Non avete letto questa Scrittura: “La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata la pietra d’angolo; questo è stato fatto dal Signore ed è una meraviglia ai nostri occhi”?».
E cercavano di catturarlo, ma ebbero paura della folla; avevano capito infatti che aveva detto quella parabola contro di loro. Lo lasciarono e se ne andarono.

Audio della riflessione.

Nella vita siamo chiamati sempre a scegliere tra due traiettorie: tra la traiettoria del dono e quella del possesso, tra la traiettoria dell’amore e quella dell’odio, della gratitudine o del sopruso, e siamo chiamati a calcolare soprattutto come queste due traiettorie si incrociano nel cuore di Dio e lasciano segni nella carne di Gesù. 

Ti capita questo quando guardi la natura o la apprezzi e ti esalta o la sfrutti e ti abbruttisce; quando hai relazione con le persone: o le ami e le fai felici oppure le usi e ti rendi infelice; quando ti elevi a Dio; o lo canti e benedici e ti si aprono nuovi orizzonti oppure credi di fartene oggetto di inganno e distruggi la tua stessa dignità umana. Il teatro di queste scelte è la vita, è la vigna del Signore. 

La vita è sua, non nostra: ce l’ha affidata, l’ha curata, ne ha fatto capolavoro, l’ha architettata entro questo grande e meraviglioso universo; l’ha incastonata come un gioiello, in un cielo che ci pare infinito. 

In questo grande ordine ha messo noi e ci ha dato capacità di sognare, di stupore, di iniziativa, soprattutto di libertà. 

Abbiamo cominciato a sognare, ma invece di sognare un dono, una gratitudine un regalo, abbiamo concepito una morte. Si sono incrociati due grandi sogni su questa stessa vigna:  

– Il sogno di Dio: manderò mio figlio, è tutta la mia vita, io vivo per lui; è lui l’amato sopra ogni cosa, è la pienezza della vita, lui è la bellezza, la bontà, la santità, il sapore di ogni cosa. Mio figlio mi ha detto subito senza esitazione quando alla mensa della trinità è risuonata la mia domanda: chi manderò? Chi andrà per me? Eccomi manda me. Mi ha scelto lui di entrare in questa vigna, ho capito quanto ci tenesse a questo uomo, alla perla del creato, a questa storia di libertà.  

Gesù viene da questo oceano di amore, da questa sconfinata vastità di bellezza e di bontà.  Invece dai filari della vita, già resi tortuosi e imbrattai di sangue si formula un altro sogno 

Il sogno dei vignaioli, (che Dio non voglia che sia pure il nostro) Ecco il sognatore uccidiamolo. Questa vita è nostra e la vogliamo distillare e torchiare fino a spremerne l’ultima goccia. Dio aveva creato nei vignaioli l’abilità del torchio, una capacità innata di chiedere alla vita tutto e, illusi di poter possedere la vita come una cosa hanno mescolato il mosto con il sangue del figlio; hanno scatenato sul corpo del figlio il livore degli sforzi adirati, ma frustrati, di poter possedere la vita. E la vigna si è inaridita, ha incominciato a produrre veleno e non più vino.  

È la nostra storia, è il punto di arrivo della nostra mancanza di dono, della nostra miopia. È il mistero della nostra libertà, è il rischio in cui Dio ogni giorno gioca il suo amore. È una storia personale, che sta nel diario della nostra anima e diventa la storia di una comunità, di una società, di un mondo. Quando Dio dice le mie vie non sono le tue vie anche a questi due sogni contrastanti si rifà. 

Gesù si è messo di mezzo per svelare la contraddizione di questi sogni, la traiettoria sbagliata della nostra vita. È lui che svela le nostre intenzioni che ci spinge a prendere posizione.  

05 Giugno
+Domenico

Trinità, una comunità d’amore

Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 3,16-18)

In quel tempo, disse Gesù a Nicodèmo:
«Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio, unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui.
Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio».

Audio della riflessione.

Che cos’è quella insopprimibile spinta che sentiamo a incontrare gli altri? Perché con tutta la confusione e il frastuono che ci circonda non riusciamo a star chiusi nei nostri comodi loculi, dove ci monta una nostalgia di dialogo, di serenità di solidarietà? Stereo, parabolica, internet, e-mail, fax, Facebook, Twitter che già sono tutti strumenti di comunicazione con l’altro, non ci bastano.  

Sentiamo un bisogno viscerale di contatto, di relazione di stare con qualcuno. Abbiamo bisogno degli altri per vivere, per crescere, per essere. Gli altri sono per noi necessari come l’aria che respiriamo. Il nostro cuore non può essere riempito da un bel quadro, da un gatto o da un cane o da un coniglietto che ci portiamo appassionatamente anche in aereo in apposite gabbiette, con tutte le tutele della legge. Sono tutti dei placebo.  

Il cuore vuole in maniera insopprimibile un’altra persona come noi, da guardare, da toccare, da incontrare, da amare. E la gioia comincia a dischiudersi solo quando stiamo con lui, con lei, con loro. Le immagini, le fiction, le televisioni sono solo simulazioni, strumenti, rimandi. Sembra che ci riempiano di vita, ma ci distorcono solo se non sono accompagnati da relazioni nuove e buone.  

È una constatazione molto semplice pure banale, anche se dà ragione della causa di tanta infelicità di bambini che non vedono mai i genitori, di giovani, che sono senza amici, di anziani che possono solo ascoltare una radio, di uomini e donne mature che si incrociano senza incontrarsi. Se alziamo lo sguardo a Dio questa nostra sete di relazione assume una sorprendente profondità. Noi siamo fatti a immagine di Dio, e Dio è una comunità di amore. Siamo fatti per dialogare, incontrarci amare perché Dio è Trinità. Il Dio dei cristiani non è un single, non teme politeismi idolatrici, è un Dio che è Padre, che è Figlio, che è Spirito Santo.  

È una comunità di amore, è relazione assoluta, è un dialogo di conoscenza e amore fra tre persone: così Gesù ci ha aiutato sorprendentemente a conoscere il volto di Dio. La creazione di Dio Padre, il dono fino alla morte di Gesù, la comunione d’amore che tutto avvolge dello Spirito sono il nostro futuro di uomini e donne, il nostro habitat, la nostra felicità. Il mistero di Dio non è un mistero di solitudine, ma di convivenza, di creatività, di conoscenza, di amore, di dare e ricevere; è per questo che noi siamo come siamo. 

Nella diocesi di Palestrina da pellegrini si va quasi tutti, non una volta sola nella vita, alla Santissima Trinità, un bellissimo santuario a 1400 mt. Durante il percorso si canta un inno che avrà almeno una trentina di strofe tentando di spiegare le tre persone divine;  quando cerchiamo attraverso la solidarietà di un cammino faticoso di portare alla Santissima le nostre pene, le nostre famiglie, i nostri pianti e le nostre gioie, stiamo facendo comunione tra noi come vuole la santissima Trinità, stiamo uscendo dai nostri gusci ben protetti e rinforzati per diventare per gli altri il sorriso e la forza di Dio, la sua carezza e il suo conforto.

04 Giugno
+Domenico

La vita è una domanda da affrontare seriamente

Una riflessione sul Vangelo secondo Marco (Mc 11,27-33)

In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli andarono di nuovo a Gerusalemme. E, mentre egli camminava nel tempio, vennero da lui i capi dei sacerdoti, gli scribi e gli anziani e gli dissero: «Con quale autorità fai queste cose? O chi ti ha dato l’autorità di farle?».
Ma Gesù disse loro: «Vi farò una sola domanda. Se mi rispondete, vi dirò con quale autorità faccio questo. Il battesimo di Giovanni veniva dal cielo o dagli uomini? Rispondetemi».
Essi discutevano fra loro dicendo: «Se diciamo: “Dal cielo”, risponderà: “Perché allora non gli avete creduto?”. Diciamo dunque: “Dagli uomini”?». Ma temevano la folla, perché tutti ritenevano che Giovanni fosse veramente un profeta. Rispondendo a Gesù dissero: «Non lo sappiamo».
E Gesù disse loro: «Neanche io vi dico con quale autorità faccio queste cose».

Audio della riflessione

Capita spesso di trovarci sotto inchiesta. La gente vuol sapere di te, vuole informarsi; magari ha capito che le puoi essere utile o l’hai incuriosita oppure anche senza saperlo l’hai importunata e vuole quindi difendersi. Siamo sempre sotto inchiesta? O deve essere più limpida la nostra esistenza, più attenta alle persone, più coinvolta nella vita di tutti? 

A Gesù capitava spesso di trovarsi a dover rispondere a domande, spesso provocazioni, anche perché la sua vita voleva essere un messaggio di salvezza per tutti. Il mondo religioso di allora era sempre molto preoccupato delle sue affermazioni e a ragione, perché la sua missione era di dare una svolta radicale al modo di pensare Dio che vivevano gli ebrei colti. Questo Dio se lo erano imprigionato nei loro modi di pensare. Gesù spesso subisce un interrogatorio in piena regola. Il processo che gli intenteranno per ucciderlo era già cominciato prima del tempo. Gli argomenti erano vari, il tributo da pagare a Cesare, la risurrezione dei morti, il ruolo centrale e definitivo del Tempio, l’autorizzazione a lapidare una prostituta… e molte altre. Quella che oggi ci propone il vangelo è l’autorità di Gesù. Con quale autorità fai queste cose? La domanda gliela pongono i membri del Sinedrio, l’alta corte di giustizia, quindi la cupola della religione ebraica. Gesù infatti si era permesso, perché era anche il cuore della sua missione, di metterli sotto accusa perché si ritenevano gli unici a proporsi come maestri in questo campo specifico e si ritenevano depositari di un potere che proviene da Dio. Come sempre Gesù ritiene le domande dell’umanità, non come cosette che hanno bisogno di una rispostina, come dei tombini da coprire con delle botole, ma come esigenze di vita che vanno approfondite e su cui fare delle scelte. Chiama subito in causa, con un’altra domanda, la figura di Giovanni il Battista e la sua missione. Era tutta farina del suo sacco o proveniva dall’alto? Era stato mandato da Dio o era una sua iniziativa, mandato dagli uomini? Riporta cioè i sadducei a prendere posizione su una eventuale missione divina di Giovanni e quindi aprire la loro mente a pensare di origine divina la sua stessa missione di Figlio di Dio. Chiaro che non rispondono perché non vogliono mettersi in quella profonda conversione che lo stesso Giovanni non era ancora riuscito a provocare in loro, ma soprattutto li vuole aiutare ad andare al fondo delle loro stesse domande.  

“Quindi neanch’io vi dico con che autorità vi parlo!” Come a dire: scavate a fondo nelle vostre domande, che sono domande che Dio stesso vi fa nascere dentro per la vostra salvezza che voi continuate a rifiutare perché vi sentite padroni non solo della gente, ma anche di Dio.  

Questa sicumera l’abbiamo anche noi quando non ci decidiamo a fare una scelta vera di fede in Gesù, quando mettiamo Dio alla sbarra, lo riteniamo responsabile di tutti i nostri mali, ci crediamo di essere meglio di Lui a reggere l’universo sia della nostra vita che del mondo e non vogliamo convertirci alla sua Parola, al suo Figlio Gesù. 

03 Giugno
+Domenico

La fede per Gesù è ricercata dall’umanità, ma non è nell’ordine delle nostre evidenze o delle risposte ai nostri bisogni

Una riflessione sul Vangelo secondo Marco (Mc 11,11-25)

[Dopo essere stato acclamato dalla folla, Gesù] entrò a Gerusalemme, nel tempio. E dopo aver guardato ogni cosa attorno, essendo ormai l’ora tarda, uscì con i Dodici verso Betània.
La mattina seguente, mentre uscivano da Betània, ebbe fame. Avendo visto da lontano un albero di fichi che aveva delle foglie, si avvicinò per vedere se per caso vi trovasse qualcosa ma, quando vi giunse vicino, non trovò altro che foglie. Non era infatti la stagione dei fichi. Rivolto all’albero, disse: «Nessuno mai più in eterno mangi i tuoi frutti!». E i suoi discepoli l’udirono.
Giunsero a Gerusalemme. Entrato nel tempio, si mise a scacciare quelli che vendevano e quelli che compravano nel tempio; rovesciò i tavoli dei cambiamonete e le sedie dei venditori di colombe e non permetteva che si trasportassero cose attraverso il tempio. E insegnava loro dicendo: «Non sta forse scritto:
“La mia casa sarà chiamata
casa di preghiera per tutte le nazioni”?
Voi invece ne avete fatto un covo di ladri».
Lo udirono i capi dei sacerdoti e gli scribi e cercavano il modo di farlo morire. Avevano infatti paura di lui, perché tutta la folla era stupita del suo insegnamento. Quando venne la sera, uscirono fuori dalla città.
La mattina seguente, passando, videro l’albero di fichi seccato fin dalle radici. Pietro si ricordò e gli disse: «Maestro, guarda: l’albero di fichi che hai maledetto è seccato». Rispose loro Gesù: «Abbiate fede in Dio! In verità io vi dico: se uno dicesse a questo monte: “Lèvati e gèttati nel mare”, senza dubitare in cuor suo, ma credendo che quanto dice avviene, ciò gli avverrà. Per questo vi dico: tutto quello che chiederete nella preghiera, abbiate fede di averlo ottenuto e vi accadrà. Quando vi mettete a pregare, se avete qualcosa contro qualcuno, per- donate, perché anche il Padre vostro che è nei cieli perdoni a voi le vostre colpe»
.

Audio della riflessone

Abbiamo tutti dei sentimenti religiosi. Quasi tutte le ricerche sociologiche dicono che la domanda di Dio è dentro la vita di ogni uomo, fa quasi parte del suo statuto antropologico, del suo DNA. Dicono infatti molti scrittori e pensatori, molti uomini di scienza che nell’uomo c’è una inquietudine innata dovuta alla ricerca di un punto di riferimento solido, di un trascendente, che è necessario per capire la vita. Ci occorre salire su un albero per allargare gli orizzonti se vogliamo capire chi siamo e questo albero non è il tifo per la squadra del cuore o l’infatuazione per una star, ma la ricerca di un essere trascendente, di cui riuscire a scoprire le carte, il volto, meglio.  

La dimensione religiosa insomma non è una forzatura o un partito preso, ma spontaneo e normale. Tanto più che là dove non si cura la dimensione religiosa, questa irrompe nella vita dell’uomo in molteplici forme anche violente. L’uomo è tendenzialmente religioso. Ha bisogno di rapportarsi un qualcosa di superiore.  

La storia dei popoli della terra è tutta una dimostrazione di questo. Il secolo 21esimo che stiamo vivendo sta caratterizzando di religiosità, talora impazzita, le nostre storie quotidiane. Non avremmo pensato dall’alto del nostro positivismo e materialismo viscerale del secolo scorso che ci sarebbe stata una impennata di religiosità, di spiritualità, di domande che vanno oltre le nostre esperienze o constatazioni. I giovani oggi, dopo la stagione del Covid hanno bisogno di spiritualità, di fare i conti con il senso dell’esistenza. Sono già passi importanti e spesso inquietanti 

Ma la fede in Gesù esige un ulteriore salto di qualità, non è in continuità con i nostri ragionamenti umani, è un fatto del tutto nuovo. Il Dio che la fede in Cristo invoca è un Dio sorprendente, che non sta negli schemi della storia delle religioni. È un Dio Crocifisso, è un amore che si inscrive nella debolezza, è un perdono gratuito, non è una riscossione di meriti, ma una agenda di gratuità, di sovrabbondanza di doni. 

Per questo quando Gesù parla di Giovanni, che è un campione di religiosità, di esperienza di Dio, lo dice grande, ma non tanto come colui che accetterà il dono di un Dio Crocifisso, la grazia della definitiva offerta di Gesù come senso completo della vita. Il più piccolo del regno dei cieli è più grande di Lui. Da quando Gesù è entrato nella nostra vita la religione ha fatto un salto di qualità.  Questo è un altro segno di un Dio che accompagna l’umanità nella sua esistenza. 

02 Giugno
+Domenico

A lezione di vita da un cieco

Una riflessione sul Vangelo secondo Marco (Mc 10,46-52)

In quel tempo, mentre Gesù partiva da Gèrico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timèo, Bartimèo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!».
Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!».
Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». Chiamarono il cieco, dicendogli: «Coraggio! Àlzati, ti chiama!». Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù.
Allora Gesù gli disse: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». E il cieco gli rispose: «Rabbunì, che io veda di nuovo!». E Gesù gli disse: «Va’, la tua fede ti ha salvato». E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada.

Audio della riflessione

Questo cieco è talmente concentrato su ogni piccolo brusio, su ogni tipo di passo che a distanza ti sa dire chi passa. È una vita che sta seduto sulla strada e mendicare.  

Alcuni si fermano a parlare con lui e soprattutto gli dicono che in altri paesi c’è un uomo di nome Gesù, che sa restituire ad ogni uomo la sua dignità; non fa il medico, non è un mago, non fa il prete del tempio, continua a parlare di Dio come nessuno mai ha fatto: non chiede soldi, ma fede; non gli interessano quelli che contano, ma quelli che stanno male e che soffrono.  

E per questo povero cieco, figlio di Timeo i giorni passano lunghi e tristi come tanti nostri giorni che passano su orizzonti chiusi senza mai capire dove siamo, verso che cosa andiamo, adattati al ribasso, ripiegati su noi stessi, in un vicolo chiuso, ciechi noi stessi perché non vogliamo o non possiamo vedere al di là del nostro interesse, della nostra passione, del nostro calcolo. Non è neanche una vita in bianco e nero, è solo tutto grigio. 

Ma all’improvviso sente un movimento strano, un vociare nuovo: è la gente che si lascia scappare sempre più forte il nome di Gesù. Gli scatta una molla dentro, non ce la fa più e si mette a gridare, non lo riesce a calmare nessuno. Lì c’è la luce, lì c’è la vita, lì sta passando lui. Non voglio monete, non ne posso più di questo orizzonte chiuso.  

Gesù s’accorge e lo chiama. Un balzo contro ogni prudenza, non gli interessa di sbattere contro un muro o un palo; butta là il mantello: Signore che io torni a vedere. E Gesù: la tua fede ti ha salvato e quello comincia a vedere. Ha voluto con tutto sé stesso quel dono e Gesù non glielo può negare. È balzato prepotentemente in una vita piena. 

 Noi invece crediamo di vederci, di avere una vista pure furba! Ma siamo proprio sicuri di vedere bene tutto? Siamo sicuri che abbiamo un orizzonte largo abbastanza da vedere le cose vere della vita? Riusciamo a vedere la strada da fare per diventare persone affidabili? Vediamo tutto il bene che c’è nelle persone o vediamo solo il male? Sappiamo vedere se c’è amore in chi mi sta accanto?  

 Il Signore ci ha dato la luce vera e necessaria per vedere bene: Gesù è questa luce, che mi permette di guardare a fondo nella vita, di non stare alla superficie. Siamo ciechi sulle cose belle, importanti e vere perché ci accecano tutte le stupidate che andiamo a cercare in Internet o nei social. Ci è mai capitato di entrare in una stanza dopo essere stati al sole. Non ci si vede niente per un po’. Ecco di fronte alla vita siamo così. Abbagliati dal niente e non riusciamo a vedere il vero, il bello, quello che conta. 

 Gesù è questa luce nuova e noi gli chiediamo di farci vedere sempre il bello della vita. Come si fa a ingaggiare questa luce, dove è l’attacco a questo contatore? Noi siamo da sempre amati da Lui, basta che lo cerchiamo e lo invochiamo con fede come ha fatto questo cieco.  

1 Giugno
+Domenico

Un aiuto vicendevole tra Maria ed Elisabetta al servizio del Messia

Una riflessione sul vangelo secondo Luca (Lc 1,39-56)

In quei giorni, Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda.
Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo.
Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».
Allora Maria disse:
«L’anima mia magnifica il Signore
e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore,
perché ha guardato l’umiltà della sua serva.
D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata.
Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente
e Santo è il suo nome;
di generazione in generazione la sua misericordia
per quelli che lo temono.
Ha spiegato la potenza del suo braccio,
ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore;
ha rovesciato i potenti dai troni,
ha innalzato gli umili;
ha ricolmato di beni gli affamati,
ha rimandato i ricchi a mani vuote.
Ha soccorso Israele, suo servo,
ricordandosi della sua misericordia,
come aveva detto ai nostri padri,
per Abramo e la sua discendenza, per sempre».
Maria rimase con lei circa tre mesi, poi tornò a casa sua.

Audio della riflessione

C’è una forte intesa fra le donne quando si confidano le loro difficoltà, i loro segreti, le esperienze intime della loro vita, le apprensioni per quello che sta accadendo nella loro corporeità, quando sentono di avere in seno una vita che nasce. Non è solo connivenza, diventa subito solidarietà, desiderio di aiuto, condivisione dei pensieri e dei timori, delle cure e delle speranze.  

Chi si trova in questa situazione è una donna avanzata in età, Elisabetta, di origini nobili, della casta sacerdotale, sposa a un ministro dell’Altissimo, a un fedele servitore del tempio. Aveva aspettato tutta la vita un bambino, l’aveva desiderato tanto come ogni donna che vuol vivere in pienezza la sua vita, ma non le era stata data questa grazia e proprio quando aveva riposto nel cassetto ogni suo sogno si trova a registrare questo fatto sconvolgente, questa gioia incontenibile, questa sorpresa e stupore. Nasce però anche il timore: alla mia età? Che sarà di questo bambino, come nascerà? Il marito, il vecchio Zaccaria, era rimasto muto e la confortava con segni e i segni andavano sempre decifrati, capiti, inscritti in un disegno più grande di loro, nella grande bontà di Dio.  

Maria, la madre di Gesù viene a conoscere questa situazione bella e delicata, e decide di mettersi a fianco di Elisabetta per aiutarla a vivere serenamente l’attesa, perché anche lei è in attesa, anche lei è stata tirata nel vortice incontenibile della vita divina. E l’incontro tra le due madri è tra le scene più belle della storia umana di tutti i tempi: la giovanissima e l’anziana, il nuovo e il vecchio testamento, il compimento delle promesse e gli ultimi sospiri dell’attesa, la vita di Dio e la vita dell’uomo, il Magnificat e l’Ave Maria.  

Sono i due bambini, ancora all’inizio della vita, che si parlano, che cominciano a sconvolgere il mondo, che esprimono la gioia della terra per quello che Dio sta finalmente compiendo. Una benedizione nasce nella bocca di Elisabetta, un canto di lode in quella di Maria. Rallegrati Maria, dice Elisabetta; l’anima mia esulta nel Signore dice Maria. Benedetto il frutto del tuo grembo, benedetto il figlio di Dio, benedetto il futuro che nasce, dice Elisabetta; grandi cose ha fatto l’Altissimo e noi ne diamo a tutti testimonianza. Dio è grande, Dio è forte, Dio è la pienezza della nostra vita, dice Maria. La preghiera più nota che noi cristiani recitiamo, l’Ave Maria è stata iniziata dall’angelo Gabriele e continuata da Elisabetta e per noi è dolce completarla con la nostra consapevolezza di peccatori (prega per noi peccatori) per avere Maria a custodirci fino all’ultima ora della nostra esistenza. 

31 Maggio
+Domenico

Abbiamo lasciato tutto, ci rimani solo Tu, Gesù  

Una riflessione sul Vangelo secondo Marco (Mc 10,28-31)

In quel tempo, Pietro prese a dire a Gesù: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito».
Gesù gli rispose: «In verità io vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi per causa e per causa del Vangelo, che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà. Molti dei primi saranno ultimi e gli ultimi saranno primi»
.

Audio della riflessione

Ci nasce spesso la domanda: tutto quello che sto facendo, i sacrifici che affronto nella vita quotidiana, l’alzarsi presto al mattino, andare a lavorare, affrontare ogni giorno qualche nuovo dolore, impegno, districare vite che si ingarbugliano, mettere al mondo figli, faticare per farli crescere, non avere un minuto di tempo per me che vantaggio mi porta? ne avrò un qualche bene? Sarò prima o poi felice? C’è davvero di là un paradiso, o è un tipico inganno per non farmi riflettere e tenermi soggiogato da doveri, morale, comportamenti che farei saltare molto volentieri?  

Gesù, noi abbiamo lasciato tutto per venirti dietro. Avevamo un buon lavoro, avevamo una vita decente, anche se un po’ insoddisfacente, avevamo un mestiere, degli affetti. Sei passato tu, ci hai incantati e ti abbiamo seguito; abbiamo fatto tanta strada con te, ci hai scaldato il cuore, abbiamo capito tante cose, ma che ne sarà di noi? C’è qualcosa di più bello e di più grande che raggiungeremo? Questa gioia, che promana dal tuo volto, sarà anche la nostra? 

Che cosa ci si guadagna a essere cristiani? È una domanda giusta? Certo tutti vogliamo sapere che se quello che facciamo ha un valore, porta a dei risultati per i quali vale la pena di sacrificarsi, vogliamo avere certezza di non aver speso la vita invano. 

E Gesù non si tira indietro. Non c’è nessuno che abbia lasciato padre, madre… abbia impostato la sua vita sulla mia parola, abbia fatto della fede l’investimento più grande della vita che non abbia ricevuto in dono la felicità. Incontrerà anche persecuzioni, come le ho dovute affrontare io, ma non vi rendete conto di quanto grande sia la pienezza di vita che vi spetta.  

E, se siamo sinceri, vediamo che i nostri stessi sacrifici, già ora diventano gioie e soddisfazioni. L’aver la coscienza pulita, proprio perché l’onestà ci è costata, è già in sé una felicità. Poter alzarsi tutte le mattine, anche presto per andare a lavorare, ma con la coscienza che non ti rimprovera niente, con la sensazione vera che stai nella bontà di Dio e che non hai mai fatto male a nessuno, è una forza di vita incalcolabile. E Dio, che non ci abbandona mai, non mancherà di essere tutta la nostra felicità 

30 Maggio
+Domenico

Grazie Signore dello Spirito Santo, e non farci mancare mai tua madre

Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 19,25-34)

In quel tempo, stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Clèopa e Maria di Màgdala.
Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco tuo figlio!». Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre!». E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé.
Dopo questo, Gesù, sapendo che ormai tutto era compiuto, affinché si compisse la Scrittura, disse: «Ho sete». Vi era lì un vaso pieno di aceto; posero perciò una spugna, imbevuta di aceto, in cima a una canna e gliela accostarono alla bocca. Dopo aver preso l’aceto, Gesù disse: «È compiuto!». E, chinato il capo, consegnò lo spirito.
Era il giorno della Parasceve e i Giudei, perché i corpi non rimanessero sulla croce durante il sabato – era infatti un giorno solenne quel sabato –, chiesero a Pilato che fossero spezzate loro le gambe e fossero portati via. Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe all’uno e all’altro che erano stati crocifissi insieme con lui. Venuti però da Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue e acqua.

Audio della riflessione

Muore Gesù, è una morte efferata, è un supplizio assurdo. È l’immagine di tutte le morti atroci, ingiuste, violente; è il bisogno di purificazione delle nostre tragiche condotte, la ricerca di una innocenza che abbiamo perduta.  

Lui arranca con quella croce sulle spalle per quelle strade distratte e piene di commerci della vecchia Gerusalemme, tra il fastidio della gente che viene disturbata nelle sue spese per la festa imminente. Tra poco chiudono i negozi, si entra nel grande sabato, occorre far presto, occorre far presto anche a uccidere un uomo innocente, perché sia finalmente chiusa la sua vicenda che ha già avuto troppa sopportazione da parte del potere. E Lui, solo, martoriato, fa il suo cammino, entra nella vita di un contadino ignaro che lo aiuta a portare il supplizio, nella compassione di una donna che gli deterge il viso, nel pianto delle mamme che rivivono le tragedie dei figli.  

Lo accompagna sua madre e un ragazzino che si era entusiasmato di Lui, della sua forza d’amore, del suo messaggio, Giovanni. Sognava ancora, ma gli stavano spegnendo i sogni nel pianto. Epperò resisteva. Lo vedrà morire, si sentirà donare l’ultimo affetto che il condannato a morte si teneva per affrontare il dolore: sua madre. Ecco tua madre. 

Signore abbiamo sempre bisogno di guardarti morire, ma dacci tua madre per avere una spalla su cui piangere e attendere la tua risurrezione, è il pegno che mentre muori, tu stai sempre con noi. Non solo, ma questa tua madre ci è necessaria perché nel tuo spirare, nelle ultime gocce di sangue e acqua tu fai nascere un altro grande regalo: la tua Chiesa e tua madre ci è necessaria perché ne è immediatamente la madre che sta lì sotto la croce e genera oltre che noi tuoi figli, anche la nostra madre chiesa.  

Lo Spirito ieri a Pentecoste ha riempito le nostre vite; purtroppo, di coraggio ne abbiamo troppo poco e non siamo capaci ancora di seguirti, abbiamo paura di noi stessi, dei nostri tradimenti, abbiamo paura dei tuoi nemici e ti ringraziamo che oggi ci doni ancora Maria che diventa per noi la madre di una chiesa colma di Spirito Santo e dei suoi doni.

29 Maggio
+Domenico

Non solo liberati, ma pienamente liberi

Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 20,19-23)

La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.
Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».

Audio della riflessione

Ubriachi sembravano, ma erano solo le nove del mattino, ci tenne a precisare Pietro, nel suo primo discorso urbi et orbi dalla loggia del cenacolo. Quel gruppetto di impauriti e rintanati a leccarsi le ferite della morte di Cristo non sembrava più quello: coraggiosi, decisi, entusiasti, sciolti di lingua, comprensibili, audaci. Non c’era più niente che li assimilasse a quattro poveri pescatori. Gesù non c’era più, l’avevano sperimentato risorto, ora toccava a loro, ma erano abitati da una nuova presenza: lo Spirito. 

Dio non solo aveva creato e amato da Padre amorevole ciascuno di loro, non solo aveva generato il Figlio Gesù, che aveva coltivato ciascuno di loro in una tenera amicizia e aveva per loro offerto la sua vita; ora entrava a forza in ciascuno come vento che scuote, come energia che rinnova, come Spirito che ridà la vita. La liberazione dal peccato era avvenuta, ma la mentalità da galeotto non li aveva ancora abbandonati; un conto è essere schiavi liberati, un altro è avere la mentalità da figli. Si può stare in casa ad aspettare solo l’eredità o fuggire a sperperarla, a lasciarsi fasciare dalle cose o a deglutire amaramente infelicità. È il cuore che deve essere cambiato. 

Questo è compito dello Spirito. Dio manda lo Spirito che permette di rivolgerti al Padre non con la rivalsa di ottenere “ciò che mi spetta” o ciò che non mi hai mai dato, ma con la tenerezza di un dialogo di amore: Papà, Abbà. È lo Spirito che delinea in ogni persona i tratti della figliolanza i lineamenti dell’umanità di Gesù. È questa l’unica forza che farà di ogni pescatore di Galilea un vero apostolo, un altro Gesù Cristo.  

Il Cristo ora siete voi; a voi tocca mettere la vita a disposizione del Regno. A voi il delicatissimo e prezioso compito di rimettere i peccati. Non lo potreste fare se lo Spirito non avesse dimora in voi. Non siete più soli, ma abitati, accompagnati, ricostruiti nel profondo. 

Lo Spirito rinnova a tutti i doni che ci ha fatto alla Cresima: Saggezza (Sapienza), vista lunga (Intelletto), dritte per vivere bene (Consiglio), energia e forza nel combattere ogni paura (fortezza), Intuizione e capacità di non farsi imbrogliare (scienza), capacità di pregare per voi e per gli altri (Pietà) senso di rispetto (Timor di Dio). Sono il regalo dello Spirito Santo. 

28 Maggio
+Domenico

Pietro, tu seguimi!

Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 21,20-25)

In quel tempo, Pietro si voltò e vide che li seguiva quel discepolo che Gesù amava, colui che nella cena si era chinato sul suo petto e gli aveva domandato: «Signore, chi è che ti tradisce?». Pietro dunque, come lo vide, disse a Gesù: «Signore, che cosa sarà di lui?». Gesù gli rispose: «Se voglio che egli rimanga finché io venga, a te che importa? Tu seguimi». Si diffuse perciò tra i fratelli la voce che quel discepolo non sarebbe morto. Gesù però non gli aveva detto che non sarebbe morto, ma: «Se voglio che egli rimanga finché io venga, a te che importa?».
Questi è il discepolo che testimonia queste cose e le ha scritte, e noi sappiamo che la sua testimonianza è vera. Vi sono ancora molte altre cose compiute da Gesù che, se fossero scritte una per una, penso che il mondo stesso non basterebbe a contenere i libri che si dovrebbero scrivere.

Audio della riflessione

C’è sempre nella vita un qualche commiato che dobbiamo prenderci o dagli amici, o dalla famiglia, comunque sempre da una consuetudine cui ci eravamo abituati e da cui spesso ci siamo sentiti fasciati: è una partenza per scelte definitive di vita come il matrimonio o una vocazione di consacrazione, oppure è una scelta che credi momentanea come quella degli studi e che poi si cambierà in definitiva, è una decisione che ci porta a cambiare luoghi e spazi di condivisione. Tutti abbiamo alle spalle un passato, un arrivederci che si cambia in addio senza ritorno.  

Gesù conclude la sua vita terrena e chiama a sé Pietro per caricarlo della responsabilità della chiesa. Gli affida agnelli e pecore, gli domanda di pascerle e governarle, come ha fatto lui, il buon pastore. E dopo domande scottanti (ricordiamo tutti quelle tre domande sempre più intense che noi pensiamo essere un immergere fino in fondo il coltello nella piaga del tradimento e invece una appassionata fiducia nonostante tutto) mi ami? Mi ami davvero? Sei proprio sicuro di amarmi? gli dice un perentorio seguimi, stai dietro a me, vienimi appresso, non ti staccare da me, non perderti ancora nelle tue debolezze.  

A distanza c’è Giovanni, il discepolo più giovane. Ormai tra lui e Pietro si è stabilita una forte condivisione di tutto. Dalla morte di Gesù in poi sono sempre assieme. Assieme corrono al sepolcro, assieme vedono la tomba vuota e credono, assieme sono sulla barca e scorgono Gesù, assieme ora si accomiatano da Gesù.  Giovanni a distanza è presente all’investitura del futuro papa e Pietro si preoccupa di lui. Signore, e lui? 

Anche lui seguirà Gesù, ma ora le strade si dividono, come sempre nella vita. Ciascuno ha una sua vocazione, un suo compito. Ciascuno nel piano di Dio è scelto a vivere in pienezza la sua vita, ha un suo personale tracciato, ha la sua responsabilità di risposta. Ciascuno di noi deve essere consapevole che è lui in prima persona che deve decidere e dire il suo sì. Molti ti possono aiutare, ti mettono a disposizione la loro amicizia, ma tocca a te deciderti, e rispondere personalmente alla chiamata. Pietro arriverà a Roma e qui morirà martire, Giovanni vivrà più a lungo, avrà una sua missione, racconterà a tutti del suo amatissimo Gesù col suo quarto vangelo e ci permetterà di scandagliare nel suo cuore, di avere la certezza che il cielo sopra di noi non è vuoto, ma pieno della sua presenza, che si allargherà in un abbraccio della Trinità per questa nostra umanità per sempre. 

27 Maggio
+Domenico