Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 20,2-8)
I giovani corrono, i giovani sono scattanti, i giovani si entusiasmano subito, bruciano le tappe, i giovani vogliono spremere il massimo dalla vita, i giovani sono impazienti di sapere e di vedere, di provare e di scoprire.
Gli adulti invece sono calmi, sono riflessivi, le hanno già provate tutte e procedono con cautela, non abboccano al primo che parla; Gli adulti sono lenti, spesso smorzano tutto, soppesano tutto, ma sanno dare ancora consigli saggi.
Erano un giovane e un adulto quei due che la mattina di quel famoso primo giorno dopo il sabato si sono incamminati correndo verso un posto già visto per Giovanni, un luogo nuovo per Pietro; il posto era il Golgota nei pressi del quale c’era il sepolcro nuovo in cui era stato ricomposto in fretta il cadavere di Gesù.
Hanno udito notizie sorprendenti, vociare di donne, correre di informazioni, meraviglie, domande, esclamazioni, dubbi.
Nella tomba non c’è più.
Siamo andate di buon mattino perché volevamo imbalsamarlo, ma là il corpo non c’è più.
Erano Giovanni il giovane, quello che aveva assistito fino all’ultimo momento, all’ultimo spasimo, Gesù che moriva, per sostenere sua madre e Pietro, quello che aveva dato il colpo di grazia del tradimento a Gesù, quello che, mentre Gesù veniva sbeffeggiato e insultato da tutti, non aveva avuto il coraggio di stare dalla sua parte.
Due vite incantate da Gesù, due apostoli, due storie si rimettono in corsa col cuore in gola per poter sperare ancora, per potersi dire che non è vero che tutto è finito, per farsi sorprendere dalla potenza di Dio.
Giovanni è giovane, è innamorato perso e corre di più; Pietro è adulto, si porta dentro anche il peso del tradimento e arranca.
Giovanni lo precede, arriva prima, ma si ferma davanti al sepolcro, aspetta Pietro.
Il giovane è entusiasta, è veloce, ma sa di avere bisogno della saggezza di Pietro.
È sempre così anche nella vita: giovani e adulti stanno bene insieme, hanno bisogno gli uni degli altri.
La scoperta che assieme fanno è di grande importanza: sarà determinante per i secoli futuri.
Anche loro constatano che Gesù non c’è più, il suo corpo che Giovanni aveva visto esalare l’ultimo respiro non c’è più. E descrivono il lenzuolo, la sindone, le bende che avevano hanno avvolto Gesù afflosciate su di sé, come se da sotto ne fosse sparito il corpo.
Il Natale che abbiamo appena festeggiato già ci rimanda alla Pasqua: Quel bambino che abbiamo contemplato nella sua nascita è quel Gesù che sarebbe stato ucciso, ma che avrebbe vinto la morte con la risurrezione, dando al mondo una speranza definitiva.
Ci viene facile pensare a Maria che quei momenti iniziali della vita di Gesù ha vissuto con grande intensità, portandosi dentro tutta la decisione di star fedele a suo figlio fino alla morte.
A quella corsa dei due apostoli Maria partecipava col cuore in gola, era stata tutta per il Signore, la sua fiducia era in Lui, l’aveva dovuto accogliere di nuovo in grembo alla morte ai piedi della croce.
Quanto avrà pensato a quel dolcissimo bambino, ma da lei protetto e ora indifeso a del tutto offerto.
Come le sono risuonate nel cuore le parole del vecchio Simeone: una spada trafiggerà il tuo capo.
Ma la tre giorni più decisiva della storia era scritta nel suo cuore di madre fin da Betlemme, la perdita e il ritrovamento di Gesù a Gerusalemme nel tempio glielo ha ricordato e scritto nei sentimenti, nell’apprensione, nell’anima.
Ma noi abbiamo la possibilità di vedere quella carezza delicatissima di Gesù il bambino a sua madre, carezza che segna la nostra fede, che vorremmo sentirci sulla nostra vita spesso dispersiva e disperata.
Madre del Buon Consiglio che hai fatto sentire da 650 anni la carezza di Gesù ai padri seguaci di S, Agostino, falla sentire anche a noi, fa che la sua manina benedetta si posi sulle nostre vite e sulle nostre istituzioni, sulle nostre famiglie e sui nostri governi, sul nostro Papa e sui nostri preti, sui giovani e sui malati, su tutti.
+Domenico