Una riflessione sul vangelo secondo Matteo (Mt 2, 16-18)
Il mistero del dolore innocente è, per tutti credenti e non, uno scandalo.
Dio stesso, è rimasto come spiazzato di fronte alla malvagità e cattiveria che l’uomo da lui creato è riuscito a inventare.
La storia dell’umanità è storia di grandi conquiste, di maturazione verso il bene, ma contemporaneamente è la storia dell’intelligenza applicata al male, del male gratuito, dello sfogo iniziale, immotivato, della barbarie sempre più sofisticata.
Uomini fugaci nell’amore e tenaci nell’odio.
Di fronte a questo fatto c’è il silenzio di Dio il dolore innocente si infrange contro un cielo di cristallo, freddo e indifferente.
R. Gualdrini sul letto di morte ebbe a dire: nel giorno del giudizio dovrò rispondere alle tante domande che Dio mi farà, ma ne avrò anch’io un paio da fargli: perché la sofferenza degli innocenti?
Perché non riusciamo a trovare una spiegazione al dolore?
Credo che una continua preghiera che possiamo fare a Dio sia proprio quella che in diverse forme ci viene dalla Bibbia: Fino a quando Signore mi nasconderai il tuo volto?
Dio mio perchè mi hai abbandonato!?
Perché mi respingi?
Maledetto il giorno in cui nacqui…mia madre poteva ben essere la mia tomba!
Signore distogli il tuo sguardo, così che io respiri un istante. Dice Giobbe nel colmo della sua disperazione.
Risale al 2200 a.C. il dialogo con la sua anima di un suicida: la morte è davanti a me come la guarigione per un malato come l’ombra nella oasi del deserto, come il profumo della delle ore dell’alba.
Anche Giobbe per non poche volte impreca, maledice, bestemmia descrive Dio come un arciere sadico che gli trafigge per divertimento, reni, fegato, cuore.
Il dolore e il male sono una tomba. Sono una componente della nostra vita di fronte al quale non si devono cercare pezze, soluzioni di bassa lega volte solo a esorcizzare, a non fare i conti.
Bisogna passarci dentro: rispettare chi ci soffre, rispettare il momento in cui si soffre e sopportarlo con pazienza.
Spesso non c’è ora di adorazione che tenga.
Giobbe sopportò tutto: ha perso la pazienza solo quando sono arrivati i suoi amici a consolarlo.
La ricerca della consolazione è il rifiuto del limite, è segno di onnipotenza, è non volere toccare il fondo.
Solo se sapremo toccare il fondo della nostra povertà, solo allora avremo in dono la Resurrezione, la speranza. Invece stiamo a perdere tempo a ingannarci con piccole consolazioni che polverizzano la nostra dignità umana.
Le ultime parole di Gesù sono state il grido di una disperazione umana lanciata nelle braccia di un padre.
Quel grido è stata la prova per la fede dei presenti.
È il pianto di Rachele.
È il vuoto assoluto che può essere riempito solo da Dio.