Una riflessione sul Vangelo secondo Marco (Mc 6, 7-13)
Chi porta il Vangelo ed esce nel mondo ad annunciarlo deve dare agli uomini il segno della povertà.
La Chiesa rende testimonianza alla povertà a un duplice livello:
- attraverso ogni cristiano nella sua vita individuale;
- attraverso la comunità ecclesiale stessa, nelle sue istituzioni e nei suoi mezzi di azione apostolica.
Alcuni cristiani provvisti di abbondanti beni, intuiscono l’ambiguità della ricchezza materiale di cui dispongono: la ricchezza genera sicumera e nutre l’istinto del dominio, crea distanza dal mondo dei poveri, è un sottile coefficiente di materialismo.
Ci possiamo allora domandare: la fedeltà al Vangelo implica allora la rinuncia alla ricchezza?
La ricchezza è una maledizione in se stessa? E’ intrinsecamente cattiva?
C’è sempre da vedere come sono state accumulate, quale provenienza hanno, sono frutto del proprio lavoro onesto e utile alla vita umana?
… e che parte della mia umanità mi hanno sottratto quando le ho ottenute?
La rinuncia alla ricchezza è frutto di una vocazione, di una chiamata personale di Dio.
Non tutti hanno questa vocazione.
Tutti dobbiamo essere superiori alle ricchezze, ma c’è qualcuno che usa quelle per vivere.
San Francesco l’aveva al massimo questa “vocazione alla povertà” ed ha faticato non poco per farla accettare come scelta anche di una comunità, come di tutti i conventi.
Tutti però si devono chiedere come “liberarsi” dalla schiavitù delle ricchezze, come usare al meglio e per il bene di tutti i propri beni materiali, o di altro genere, in spirito di servizio universale.
La povertà va “testimoniata”, personalmente, ciascuno deve farsi i suoi ragionamenti.
Però, deve essere anche testimoniata anche attraverso le istituzioni propriamente ecclesiali: stile della celebrazione liturgica, mezzi di apostolato, abitazioni, mezzi di trasporto… così che in un concreto contesto non appaiano come mezzi di prestigio e di potere.
In segno di libertà dalle preoccupazioni che superano le necessità quotidiane, ai discepoli è chiesta una povertà, personale e comunitaria, i cui segni sono l’essenzialità dell’abbigliamento, la precarietà e la modestia dell’alloggio, il carattere nomade della missione, il non appoggiarsi o ritenere indispensabili le tecniche e le possibilità umane, il rispetto della libertà di chi non crede … anche … il cuore e la porta aperta all’accoglienza.
Insomma, occorre fantasia e passione per il Vangelo per liberarsi e concretezza per farla diventare la scelta che connota la propria esistenza e il vasto mondo delle nostre relazioni, che mette sempre in primo piano la fiducia e l’abbandono in Dio e non nelle casette di sicurezza.
Così lo esige lo stesso centro della vita cristiana: la celebrazione dell’Eucaristia.
6 Febbraio 2020
+Domenico