Il sapore e la forza della vita è Gesù

Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 6, 47-48) dal Vangelo del giorno (Gv 6, 44-51)

«In verità, in verità vi dico: chi crede ha la vita eterna. Io sono il pane della vita.»

Audio della Riflessione

In tempi di grande confusione come sono i nostri non è raro farsi domande del tipo: “dove sta il segreto per avere una vita vera, non succube delle strane teorie che ogni tanto qualcuno vende per definitive? E’ possibile trovare pienezza di vita o dobbiamo accontentarci sempre di ritagli, di piccoli adattamenti?” 

Il Vangelo non ha dubbi: la vita piena, bella, felice, completa, degna di essere vissuta, determinante, definitiva ce l’ha solo chi crede, chi si affida, chi mette la sua vita nelle braccia di Dio, chi ha colto in Dio la direzione del suo percorso e lo continua a seguire, a cercare, a percorrere.

Per essere felici occorre avere una fede: noi cristiani diciamo “occorre avere la fede nel Dio di Gesù Cristo”.  

Purtroppo molti dicono che la fede provoca fanatismi e intolleranze: addirittura si fanno guerre, si creano contrapposizioni, si mina la pace sociale e quindi è meglio starsene tranquilli, senza esporsi, facendosi ciascuno i fatti propri …

A parte che qualche contrapposizione naturale, qualche confronto anche duro per chiarire i nostri ideali e sostenerli è sempre meglio della pace del cimitero, e inoltre pace e serenità non possono consistere nel lasciarsi fare la vita dai più furbi, mettersi in balia di chi ha la capacità di farci ragionare come lui vuole, perché è potente, perché è persuasivo, ha tutte le immagini possibili di felicità da propinarci per svariate ore ogni giorno. 

Ogni persona ha una sete di vita che non può passare con l’adattamento: la persona, l’umanità, è un vulcano di energie, di amore, di intelligenza, di forza e deve trovare direzioni verso cui esprimerle, e la direzione che il Vangelo ci dice è quella della fede, e per prendere questa direzione Dio si pone nella vita come il pane, il nutrimento di base, la solida possibilità di crescere nella prospettiva di Lui.

Questo pane è il sapore della vita, e il sapore è Lui; è la forza della vita, e la forza è Lui.

Dice Gesù: “Io sono il pane della vita, io sono a disposizione per ogni vostra fame, io sono la forza di quel Dio che non vi abbandona mai.”

Se facciamo digiuno eucaristico in questi tempi di epidemia è perché c’è una giustizia e un amore più grande che viene prima, una attenzione ai più fragili, ma molti di noi lo hanno sempre fatto volutamente e cocciutamente senza motivo, per superficialità, per supponenza, tutti atteggiamenti che non hanno ragione di stare in un cristiano. 

Anche questa è una conversione che dobbiamo “attuare”.

30 Aprile 2020
+Domenico

Io non vi mollo, ma voi mettete fuoco nella vita del mondo

Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 11,28-30) dal Vangelo del giorno (Mt 11, 25-30)

«Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero»

Audio della riflessione

La fatica della vita spesso è tanta e non ne vedi un sollievo: la casa, i figli, il lavoro, lo studio, le avversità, le incomprensioni, le sventure e quando ti sembra che tutto fili liscio, la malattia o la morte, un’epidemia e lo stravolgimento della vita quotidiana.

Altre volte invece c’è serenità, gioia, comprensione, collaborazione, intesa, amore; purtroppo sembrano più frequenti le sfortune che le fortune.  

I discepoli di Gesù da un po’ di tempo stanno con lui e cominciano a sentire la dolcezza della sua persona, ma anche l’arditezza dell’impegno che Gesù loro chiede, e si avventurano da soli per le strade della Palestina a predicare, a preparare la via a Gesù: tornano stanchi e desiderosi di parlare, di confidarsi, di confrontarsi con Lui, di sentire il suo sostegno.

Il Vangelo è così difficile da annunciare? Perché incontriamo tanti ostacoli? Non stiamo parlando e offrendo pace e serenità, vita bella e amore di Dio? Perché troviamo persecuzioni e molestie?

Il male viene sconfitto, ma il mistero del male non vuol cedere e scatena nell’uomo tutte le reazioni possibili.

La vita è una lotta continua: il male non vince il bene perché Gesù lo ha già sconfitto, ma  vincere le resistenze del cuore è una scelta di libertà che parte dalla convinzione della persona; e Gesù si pone come “interlocutore” della fatica del vivere e della lotta contro il male: Lui è forza e balsamo, ristoro e serenità, fiducia e consolazione.

“Se avete qualcosa che vi pesa nella vita Io vi aiuto a portarla, non vi lascio soli, non vi lancio appelli, non vi faccio una videoconferenza dal cielo, ma sto con voi; non vi seguo dall’esterno dei problemi e della vita, ma mi accompagno ai vostri passi. Vedrete poi che il mio giogo è lieve e la vita cristiana una fontana di luce e di gioia: se siete stanchi passate da qui, Io non ho altro che accogliervi e farvi dimorare con me. Anch’io mi sento sempre accolto dalle braccia forti e sicure, amorevoli e rappacificatrici del Padre mio; star dietro a me può sembrare difficile, ma questa è la strada della felicità; le difficoltà le semina nel vostro cuore il principe del male, vi ho dimostrato che lo posso vincere: fidatevi di me! Mitezza, umiltà, semplicità, povertà, la stessa vostra debolezza sono titoli di assoluta presenza mia nelle vostre esistenze.”  

Oggi è la festa di santa Caterina da Siena, patrona d’Italia e dell’Europa, e non posso non ricordare quel grido che san Giovanni Paolo II lanciò 20 anni fa, alla conclusione della GMG del 2000 a Tor Vergata, citando proprio santa Caterina. “il Papa vi accompagna – diceva – con affetto” e, parafrasando un’espressione di Santa Caterina da Siena, vi dice: “Se sarete quello che dovete essere, metterete fuoco in tutto il mondo!” 

Non si riferiva certo agli incendi dei boschi, ma a quel fuoco che ogni cristiano deve avere dentro ed essere capace di appiccare in tutto il mondo. 

29 Aprile 2020
+Domenico

Signore dacci sempre questo pane

Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 6,30-35)

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Fame e sete sono bisogni che assillano ancora molta parte dell’umanità; fame e sete di pane, di nutrimento, di acqua, degli elementi fondamentali della vita umana dividono -purtroppo – ancora l’umanità in ricchi e poveri, in affamati e sazi, in denutriti e obesi.

Parole come pane e acqua in alcuni nostri contesti non dicono niente, in altri sono l’assillo quotidiano: il bisogno di pane e di acqua, la fame e la sete non sono solo di un momento, ma tornano sempre finché viviamo, ci accompagnano per tutta la vita; oltre che necessario nutrimento, sono anche segno di salute, di voglia di vivere.  

E Gesù parte da questa esperienza determinante per aprire l’umanità a una prospettiva più ampia nella sua esistenza: c’è una fame e una sete che non passa col cibo e con l’acqua; ci sono dei bisogni profondi che non si possono esaudire con cibo e bevanda; c’è una sorgente di acqua zampillante che è fatta per un’altra sete, un pane che è fatto per un’altra fame: è la sete di felicità, è la fame di amore, è il bisogno di Dio e di contemplazione di un riferimento alto per la nostra vita. 

Per questi bisogni occorre un altro pane e un’altra acqua.  

Aveva provato – se ricordate – quella donna al pozzo in Samaria a dialogare con Gesù di acqua, di pani, ma Gesù subito la smaschera: “non ti nascondere dietro questi bisogni, tu hai un’altra sete più profonda dentro! Abbi il coraggio di guardarti nella coscienza e di leggere che hai una vita da alimentare con lo Spirito”.

Gesù si pone davanti agli uomini come il pane della vita, il sostegno vero, il nutrimento necessario, normale, quotidiano: “vai cercando felicità ovunque, perché non la cerchi nella Mia vita, nella Mia Parola? Perché non ti decentri dal tuo continuo guardarti addosso e non alzi lo sguardo a me per aprirti alla bellezza di Dio, alla pienezza della felicità?” 

Gesù risorto si presenta al mondo proprio così: il pane della vita, il sapore dei nostri giorni, il nutrimento della nostra fame di verità, di gioia, di amore; non solo, ma si rende presente in questo pane e ogni chiesa ne è la casa, la custodia del pane della vita, di quel Dio che non ci abbandona mai

Resta qualche compito da fare anche alla nostra portata? Credo di si, perché ogni famiglia non deve accontentarsi solo del cibo, ma deve offrire affetto, compagnia, solidarietà, dritte, condivisione, deve “fare famiglia“.

Così anche una amministrazione pubblica deve offrire ai cittadini futuro con il lavoro, sicurezza per la casa, l’ambiente, la vita quotidiana, la convivenza pacifica, progetti che anche a lunga scadenza possono essere utilissimi, importanti per i giorni che Dio ci concederà, con lungimiranza, con disinteresse, amore alla gente e alla propria terra, e anche a chi possiamo ospitare. 

Deve pure avere in massimo conto la salute di tutti, gli elementi fondamentali per mantenerla, condividerla e garantirla a tutti, poveri inclusi, ospiti inclusi, barboni inclusi. 

28 Aprile 2020
+Domenico

Datevi da fare per il cibo che rimane per la vita eterna

Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 6, 22-29)

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Noi pensiamo spesso di essere generosi, di avere ideali grandi, ma tante volte ci basta mettere a posto il nostro corpo con cose materiali e ne siamo soddisfatti.

Erano così anche quelli che sono andati alla moltiplicazione dei pani fatta da Gesù; infatti dirà: “voi mi cercate perché avete mangiato”, ma c’è un pane diverso che vi deve nutrire. 

Il nostro pane è Gesù: è Lui che ci nutre, che fa rinascere speranza, che permette alle nostre deboli forze di sostenere le difficoltà della vita.

Il pane è la Parola, è l’Eucarestia: nella celebrazione eucaristica si sposa la centralità dell’Eucarestia con il dono necessario dello Spirito; laddove  si va a pregare, soprattutto a celebrare l’Eucaristia, lo Spirito troverà la sua casa per illuminare le vite degli uomini di oggi.

In questa casa vorremmo che l’uomo disperato trovi speranza, l’affamato di luce trovi chiarezza, il povero trovi la solidarietà, il malato trovi non solo conforto o tamponi, o tute, o mascherine, ma guarigione piena

Avere bisogno di pane significa avere fame: forse noi oggi non abbiamo fame di Dio, ma di tante altre cose che non ci danno soddisfazione

Purtroppo quando facciamo ricerche personali sulle cause della nostra infelicità, depressione, scoraggiamento, insipienza nella vita, frustrazioni… non ci domandiamo mai: che posto ha Dio nella mia vita?

Se Lui è il nostro bene massimo, la nostra felicità senza misura, l’averlo estromesso dalle nostre  esistenze significherà qualcosa? Produrrà carenze determinanti, o Dio è solo un quadro o un soprammobile? 

Abbiamo – insomma – buttato fuori di Dio dalla vita, noi che siamo fatti a sua immagine e somiglianza, e crediamo che questa morte di Dio dentro di noi non sia assolutamente influente sulle nostre vite?

C’è un prototipo del nostro essere persone, una luce che la rischiara: noi l’abbiamo spenta e questo assassinio noi diciamo che non conta niente, che abbiamo bisogno appena di ricostituenti, di dialoghi tra noi, di passeggiate all’aperto, di tenere il corpo in forma.

Se non curiamo anche l’anima non possiamo sperare di guarire le nostre mille fragilità umane:

Certa nostra infelicità non ha origine fisiologica, è bisogno di Dio: occorre avere il coraggio di cercarlo e mettere la nostra vita con semplicità davanti a Lui; Lui sa moltiplicare non le nostre miserie, ma le nostre disponibilità; sa cambiare la debolezza in forza, purché lo cerchiamo con sincerità.

Lo Spirito ci guiderà a farlo presente e a fare della nostra vita una gratitudine e una sorgente del suo amore per tutti.

Se dopo l’epidemia il nostro ricostruire vita personale e sociale sarà fatto senza Dio, o addirittura contro, non speriamo nella felicità vera, saranno sempre passi utili, ma non tutti e non quelli definitivi. 

27 Aprile 2020
+Domenico

I delusi e scoraggiati del pomeriggio di Pasqua

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 24,13-35)

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Procedevano con la mani in tasca, tirando calci ai sassi: non ne potevano più di quello che avevano vissuto.

Ti capita qualche volta che non ce la fai più a stare al palo, sai che il tuo compito è lì, che devi resistere, ma vuoi cambiare aria: non ti basta più la classica sigaretta che vai a fumare da solo nel cortile, non ti basta più l’amico con cui non hai ritegno a dire le tue debolezze, vuoi cambiare aria, andar via, cancellare il problema.  

C’è la segreta speranza di poter trovare qualche soluzione o per lo meno la fiducia che la vita sia più forte dei tuoi malanni e ti dia qualche nuova prospettiva; spesso, in casi come questi purtroppo ti affidi alle sostanze, o all’alcool: ma ti ricacciano i problemi in gola e tu stesso t’accorgi che non sei più te stesso, e fingi di essere normale.  

Cleofa era in questa crisi nera: con il suo amico dei giorni buoni aveva deciso di lasciare Gerusalemme quel famoso giorno dopo il sabato; non era ancora un turismo domenicale, ma la fine di una settimana senza speranza, senza obiettivo, lontano dai vicoli di Gerusalemme, da quelle pietre, da quella “skyline” oltre le mura che ricordavano il passo disperato di Gesù sotto la croce, le grida prezzolate della gente, la confusione del cuore, l’urlo di Gesù sulla collina delle croci alla sua morte.

No, non poteva finire così!  

Non si spengono così i sogni di futuro che due giovani hanno conquistato giorno dopo giorno passando da incredulità, sorpresa, curiosità, desiderio, gioia di un incontro con la speranza, come era stato per loro Gesù.

Ma dov’è che abbiamo sbagliato? Perché ci siamo infilati in questa strada stretta? Eppure quando parlava ci incantava, a me passavano troppo velocemente le ore, perdevo perfino l’appetito. 

E questi due si stavano a distribuire le colpe: tu hai abboccato, tu mi hai trascinato dentro; Ma anche tu però trovavi che era bello stare con Lui.

Sempre tra amici ci si colpevolizza a vicenda per darsi forza e per sentirsi dentro tutti e due alla stessa maniera, forse per trovare coraggio, sicuramente per non restare soli.

Ma il cammino disperato e senza scopo deve fare i conti con uno sconosciuto: C’è sempre qualcuno che non pensa ai fatti suoi, che ti sta tra i piedi proprio quando già fai fatica a tenere coordinati i tuoi.

E fa pure lo gnorri: viene da Gerusalemme e non sa che cosa è capitato.

C’è sempre qualcuno che vive isolato nei suoi affari. Questo che faceva a Gerusalemme prima della festa? Stava a casa a raccogliere francobolli o a infilzare farfalle? E’ il solito agnostico che nemmeno a Pasqua si fa vedere in Sinagoga, che non legge giornali e tanto meno dà ascolto alla gente?  

Ma non sanno che è Gesù, che sente quei loro ormai, quei loro verbi all’imperfetto, non solo come la mancanza di speranza, ma come altre pietre tombali che vorrebbero inconsciamente calcare sulla sua morte.

Lui li aveva amati a uno a uno, i suoi apostoli, li aveva toccati a uno a uno in quella sera dolcissima dell’ultima cena, lui aveva patito l’inverosimile sotto i colpi pesanti e inumani dei suoi crocifissori, lui aveva sperato che qualcuno forse con scarso coraggio, ma con nel cuore un lume di speranza, stesse trepidando nell’attesa del compimento di un grande mistero di vita e risurrezione, invece se li vede davanti a dire “ormai, non c’è più niente da fare”.  

Cleofa è troppo vero per non essere la nostra immagine, per non ricordarci tutte le volte che anche noi allunghiamo ombre sul nostro vivere, anziché cercare luci; ma ha un pregio, sa dire la sua disperazione a questo sconosciuto, non sa di dirla a Gesù, se ne accorgerà a poco a poco, perché gli si scalda il cuore.

Delle volte nella vita basta avere il coraggio di dire le nostre delusioni a Lui, a Gesù, e ci pensa Gesù a cambiarle in raggi di speranza, a far nascere un cuore nuovo, a metterci attorno a un tavolo a spezzare il suo unico pane, come saremmo contenti di poter fare ancora tutti se questa epidemia ci lasciasse respirare di più e scomparisse dovunque, ancora meglio.

26 Aprile 2020
+Domenico
 

Andate: questo è il segreto della vita

Una riflessione sul Vangelo secondo Marco (Mc 16, 15-20)

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Le parole che caratterizzano un venditore di ogni tipo, gli ambulanti soprattutto, sono: “Venite che qui trovate tutto quello che vi serve! Mi voglio rovinare, se passate di qua ne uscirete felici; donne, uomini è qui la fine del mondo, venite che troverete tutto quello che vi piace e anche molto di più.”

Non occorre essere venditori di cose per chiamare la gente, si può essere anche venditori di idee, propugnatori di ideali: “venite, mettiamoci assieme, diventiamo forti e conquisteremo il posto per governare”. La battaglia elettorale è una battaglia per mettere assieme all’insegna del verbo venire. 

Gesù invece, nel momento conclusivo della sua vita, dice perentorio a tutti: andate.

La vostra casa è il mondo: la gente di ogni razza si attende di incontrare la salvezza che voi avete incontrato; c’è un avvenimento sconvolgente che deve essere vissuto da tutti: il Vangelo è una speranza per ogni persona

Nella intensità di un serio lavoro di ricostruzione della interiorità di ogni cristiano, in ogni cammino di conversione si deve inscrivere un movimento missionario, una andata nel mondo ad annunciare, proprio perché è Gesù che vogliamo imitare. 

Sono solito dire che il Vangelo che abbiamo non è quello che abbiamo imparato o studiato, ma quello che sappiamo portare agli altri.  

Per seguire il comando di Gesù “andate“, occorre vita interiore, preghiera prolungata, affidamento totale alla misericordia di Dio, contemplazione di Gesù, conversione profonda che aiuta ad avere fiducia soltanto nel Signore, che permette di approfondire le ragioni della propria fede, e trovare la sorgente di speranze decisive per la vita di tutti.  

Noi crediamo nella risurrezione, per questo non temiamo la morte; noi sappiamo che Dio è somma giustizia, per questo amiamo gli ultimi; noi osiamo non spaventarci della croce, per questo sappiamo anche soffrire per una causa o una vita.  

Beati tutti quelli che sanno prendere posizione per me: sarete insultati, messi fuori giro, davanti a voi spegneranno le dirette televisive, non sarete “trendy”, dovrete sempre ricominciare da capo … ma sappiate che Io sarò sempre lì con voi; Io nella mia vita ho sempre fatto così e voglio essere la vostra felicità; Io, non le mie cose, o i miei pensieri, Io nel massimo dell’intimità con le vostre esistenze. 

Sappiate che nel vostro andare c’è sempre la Mia Presenza: il cielo non è mai vuoto è sempre aperto sui vostri cammini in tutto il mondo. 

Se siamo convinti che dobbiamo aprirci alla missione ci nascono allora alcune domande impegnative: che Chiesa è quella capace di spingere i credenti fino agli estremi confini della terra? Che formazione e celebrazione  deve offrire perché i giovani e gli adulti di oggi siano lanciati sugli orizzonti della missione, dell’uscire? Quali sono gli assopimenti del mondo cristiano provocati dalla formazione o dalle celebrazioni che li costringono nei confini del gruppo e della parrocchia? Chi insinua la mancanza di coraggio, il nascondersi dietro un dito, il mimetizzarsi di fronte alle responsabilità per un futuro di pace e di Vangelo, per un annuncio coraggioso della fede? 

Che felicità offre la Chiesa a questi giovani di oggi, spesso annoiati, diffidenti, pieni di domande, desiderosi di risposte e in fuga dalle comunità cristiane? Che comunità cristiana deve essere? Quali percorsi può intraprendere, che figure educative deve avere? Quali aperture deve coltivare assolutamente necessarie e normali nella vita di una comunità cristiana, parrocchia o insieme di parrocchie? Che libertà deve scavarsi dentro le nostre strutture per spaziare oltre i confini? 

Se rispondiamo decisi e generosi a queste domande, sogniamo il volto della Chiesa e il ritratto del giovane e dell’adulto credente, perché la missione non sta dalla parte delle attività, ma dell’essere configurati a Gesù, dal viverne a fondo il mistero, dal far diventare esperienza vissuta la sua Incarnazione.  

Oggi però non possiamo dimenticare che è l’anniversario della Liberazione, della fine della guerra nel 1945 che ha portato tanti lutti, tanti odi in Europa, nel mondo e nella nostra Italia: sia una festa che non ci divide, come troppe volte è stato.

Forse l’epidemia ci fa capire che le cose importanti sono altre, non le nostre divisioni ideologiche, ma la pace, la salute, la vita operosa, la fratellanza, la solidarietà, l’accoglienza gli uni degli altri, la famiglia, la vita.

Dio ci dia possibilità di viverle e goderle tutte queste realtà in tutto il mondo. 

25 Aprile 2020
+Domenico

Un ragazzo diventa e offre il segno del pane della vita

Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 6, 1-15)

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Ci aiuta a entrare nel capitolo sesto di Giovanni, che accompagnerà alcune eucarestie di questi giorni, un giovane sconosciuto, ma importante come appare nel Vangelo: spontaneo, concreto, generoso, mescolato alla gente con una bisaccia piena di pane e qualche pesce.  

E’ un ragazzo che, come tutti, ha una vita davanti: va tutti i sabati in sinagoga a ripetere e cantare i versetti della Bibbia, qualcuno ogni tanto lo prende e lo molla con qualche lavoro, ma ha sentito parlare di Gesù: per lui Gesù è uno che parla chiaro, che va giù duro, che non fa le solite raccomandazioni di galateo.

Lo voglio sentire anch’io, voglio vederlo anch’io, voglio partecipare alla festa dell’esserci: e va all’incontro con Gesù che lo può infiammare, che lo fa sentire vivo.  

E parte, ma nella sua concretezza, più utile della saggezza di tanti noi adulti (poi dicono che i giovani sono sbadati), si prende una scorta di pane e due pesci seccati: sa che gli viene  un buco nello stomaco, soprattutto quando la vita va a mille. 

Ascolta Gesù che parla, si mescola alla gente e gli viene fame: apre la sua bisaccia, ma è proprio il momento in cui tra gli apostoli si diffonde il panico.

Gesù li provoca: occorre dare da mangiare a questa gente. 
Sì! – risponde Filippo – noi che ci facciamo?

E Andrea: “L’unico che sta bene è questo ragazzetto qui, più avveduto di tutti questi adulti, che pensano di campare gratis.”

Il ragazzo qualche meraviglia l’avrà avuta, sentendosi togliere il pane dalla bocca, ma il suo entusiasmo per Gesù, lo fa pure diventare generoso; sta di fatto che quei cinque pani e quelle sardine arrivano a Gesù: il ragazzo nella sua concretezza, semplicità e generosità li mette a disposizione, e tutti mangiano, e tutti si saziano, e tutti si scatenano e si scaldano.

Erano solo la scorta di un ragazzo per la sua avventura in cerca di vita, diventano il segno di un pane insaziabile, che è Gesù; erano una debolezza, di fronte al problema, sono diventati, attraverso Gesù, la forza. 

Anche noi oggi possiamo metterci davanti a Dio come quel ragazzo che porta i suoi semplici pani e le sue secche sardine; la nostra preghiera può essere molto semplice, ma vera: “Gesù, noi siamo questo, noi ti mettiamo a disposizione il poco che abbiamo per la Tua gloria; ti preghiamo di cambiare quel poco che siamo in pane della speranza, della libertà, della santità per tutti coloro che incontriamo in casa, sul lavoro, nelle nostre responsabilità sociali”. 

Il nostro pane è Gesù: è Lui che ci nutre, che fa rinascere speranza, che permette alle nostre deboli forze di sostenere le difficoltà della vita.

Il pane è la Parola, è l’Eucaristia: ecco perché tanto la desideriamo noi cristiani, questa eucarestia.

Se in questi giorni, finalmente, potremo accostarci, o sarà più vicino il giorno che lo potremo fare, non dobbiamo più essere cosi restii a nutrirci dell’Eucaristia, perché la nostra forza è Gesù

24 Aprile 2020
+Domenico

Contemplare sempre la Pasqua

Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 3, 31-36)

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Ci possiamo domandare: come mai ci sono stati anni in cui la nostra vita cristiana è implosa, anziché esplodere? Forse perché non abbiamo contemplato, ma solo organizzato o custodito, abbiamo dato alla preghiera il significato solo di un dovere, di un compito da fare, e non vogliamo più nasconderci nessuna delle domande profonde di umanità, dobbiamo percepire la sete dell’uomo di oggi, constatare il fascino di un mondo male orientato: oggi c’è una pervasività del male e delle tenebre, come dice il vangelo di Giovanni, che esige uno sbilanciamento dalla parte della luce.

Il primo nostro scopo è di contemplare: la contemplazione è luogo di ricerca, spazio in cui ci si fanno domande, non si dà niente per scontato, dove c’è posto anche per il dubbio, la dialettica, il lavoro della ragione e dei sentimenti, delle emozioni, dei comportamenti … vogliamo scavare in profondità, a far emergere tutte le riserve umane che nascono nei confronti della fede, del mondo religioso, della propria appartenenza alla Chiesa, per essere più veri!   

Questi giorni pasquali sono un tempo in cui è possibile l’ascolto, il confronto, lo studio, l’incontro con Gesù, nel silenzio del raccoglimento o nella ricerca comune, nella preghiera o nel dialogo.  

Ogni tanto è utile una visita al cimitero – se ce lo permettono, anche in questi giorni – dove sono sepolti i nostri avi, quelli che non siamo nemmeno riusciti a portare alla sepoltura e sono stati portati senza un minimo di nostra partecipazione, verso i quali oggi siamo debitori di cristiana pietà e di preghiera; quelli che ci hanno passato il testimone della fede, che nei secoli hanno tenuta viva la luce della fede e ce l’hanno tramandata: hanno creato esperienze di vita cristiana, hanno affrontato la vita con la speranza nel Signore risorto. 

Vogliamo guadagnarci una nuova adesione, anche sofferta, ma decisa e felice, alla vita di fede; vogliamo confessare che Gesù è il Figlio di Dio: dobbiamo tornare da Gesù a dire quel “Mio Signore e mio Dio”, dell’affidamento, della preghiera, della celebrazione, della vita sacramentale, dell’accostamento ai tesori della Chiesa, ed in questo tempo ne abbiamo sentito la mancanza.

Allora la Chiesa prenderà nuovo slancio: la nostra comunità diventerà casa abitabile da tutti, soprattutto dai giovani, che sono sempre il nostro futuro. 

La Chiesa oggi ricorda e venera san Giorgio, cui sono dedicate nazioni, compagnie, tante parrocchie, chiese, bandiere: è un difensore contro le forze del male e ne abbiamo sempre bisogno, noi e ogni comunità cristiana, perché dobbiamo vincere il male con il bene

23 Aprile 2020
+Domenico

Guardare alla croce, soprattutto al Crocifisso

Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 3, 16-21)

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Avere un ideale ti aiuta molto a vivere!

Avere un sogno che lancia la tua immaginazione oltre le ingessature della realtà, ti può far rischiare la fuga, ma spesso ti permette di nutrire progetti, di avere visioni di mondo belle, di catalizzare le forze su prospettive nuove: non abbiamo bisogno solo di mangiare, di riempire la pancia … ma anche di bellezza, di ideali, di simboli che ci richiamano la grandezza della vita oltre ogni miseria in cui la nostra insensatezza la costringe.  

Mi sono sempre domandato perché nelle catapecchie più squallide delle bidonville, nelle capanne più sperdute e povere della savana, nei tuguri più puzzolenti, dove magari manca anche acqua corrente, igiene e il necessario per una vita civile, non manchi mai l’antenna parabolica: ci sono più antenne paraboliche in un villaggio sperduto che in un paese cosiddetto civile. 

Noi ci meravigliamo, e perfino rimproveriamo gli immigrati perché hanno tutti una parabolica: proprio perché l’uomo ha bisogno di sogni, di allargare gli orizzonti e anche di radici, di riferimenti al proprio passato per immaginare un futuro, rinuncia anche a qualche pasto pur di poter avere un segno di riscatto, una prospettiva di futuro.

Solo che le TV spesso vendono solo se stesse e non costruiscono vera speranza: nel nostro male dell’epidemia, qualcosa hanno imparato forse anche le TV, a non propinarci solo distrazioni e pubblicità.  

Così è stato per gli ebrei nel deserto: Mosè aveva levato un serpente su un palo, chi lo guardava guariva dai morsi dei serpenti che avevano invaso il loro accampamento.

E’ una immagine ardita, ma usata dal Vangelo, di Gesù sulla croce: la croce è quel simbolo, quel sogno, quell’ideale, quella prospettiva cui ogni persona può guardare per avere salvezza, per poter avere forza di riscatto,  per stringere i denti nel dolore, per contemplare non tanto la sofferenza che esprime, ma l’Amore che vi è depositato nella persona del crocifisso.

Lì l’uomo, noi nelle nostre pene quotidiane, troviamo avverata la promessa di Dio: guardando a quella croce vediamo realizzata la volontà di amore del Signore che ha tanto amato il mondo da dare il suo Unigenito figlio.

Lì Dio si è compromesso fino all’estremo per noi: lì c’è l’immagine della morte, ma c’è anche la certezza della vita

Non abbiamo anche noi pensato proprio così e avuto forza impensata quando quella sera di pioggia scrosciante in piazza san Pietro a Roma, Papa Francesco s’è fatto pellegrino a quel Crocifisso, anch’esso lavato dalla pioggia e contemplato da tutti come segno di speranza, voglia di resistere, passione da vivere nella solidarietà e nella pietà?!  

Fosse meno – la croce – un ornamento e più un ideale quel crocifisso che portiamo al collo, che seminiamo nei nostri luoghi di vita comune, avremmo forse più coraggio nell’affrontare la vita, sicuramente molto di più che a guardarci nello specchio.

Lo specchio ci può dare compiacimento o delusione, la croce invece è sempre una speranza, e lo abbiamo provato nei giorni più bui della nostra pandemia, anche il Venerdì Santo, se abbiamo avuto il coraggio di baciare quel Crocifisso che abbiamo in casa non potendolo baciare in Chiesa come ogni anno.

22 Aprile 2020
+Domenico
 

Occorre il vento dello Spirito che ci sostiene nella rinascita

Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 3, 7-8) dal Vangelo del Giorno (Gv 3, 7b-15)

«Non ti meravigliare se t’ho detto: dovete rinascere dall’alto. Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va: così è di chiunque è nato dallo Spirito». 

Audio della Riflessione

Ci capitano alcune volte delle esperienze di vita in cui diciamo “mi sembra di rinascere, mi sento rinato a una vita diversa”: può essere l’aver trovato un lavoro, l’essere uscito dall’incubo di una malattia, di cui non si vedeva la fine, l’esperienza gratificante dell’aver incontrato la persona a cui dedicare l’amore della nostra esistenza, una forte esperienza spirituale, la fine dell’incubo dello stare a casa…  

Ecco, nel discorso notturno tra Gesù e Nicodemo si parla proprio di questo vento misterioso dello Spirito che entra nella vita di una persona inaspettatamente e la cambia.

Nicodemo, come ricordate, era andato da Lui di notte, forse la sua posizione di prestigio nel Sinedrio non gli permetteva di avere contatti “ufficiali” con Lui, forse voleva tenere per sé e non sbandierare a tutti i tentativi di ricerca della verità per trovare quella felicità cui tutti siamo chiamati: sicuramente Gesù lo aveva incantato e in Lui era sicuro di trovare risposta a tutti i suoi perché.   

E la risposta non si fa attendere: occorre rinascere.

La vita va riportata a un nuovo inizio: non si può vivere di restauri, di pezze, di aggiustamenti, occorre affrontarla ex novo, da un altro punto di vista.

Capita spesso così anche a noi, quando vediamo che non ce la facciamo a cambiare, a dare una svolta positiva al nostro continuo tornare nel peccato, nel vizio, sulle strade dello spacciatore o del venditore di illusioni, del gioco o dell’alcool.

Occorre affidarsi allo Spirito per rinascere: la risurrezione, che ancora sta al centro della riflessione e della esperienza pasquale, è questa novità che dobbiamo abituarci a fare nostra; non siamo destinati, ma chiamati; non siamo abbandonati, ma ricuperati; non siamo condannati, ma salvati

La tentazione di vivere come se non fossimo destinati alla risurrezione è grande: la nostra scarsa fantasia prevede sempre che tutto sia come prima, che si tratti di piccole correzioni di rotta, di qualche sentimento un po’ più buono che dopo Pasqua possiamo nutrire; invece è una vita nuova che deve risorgere: è una vera conversione.

Questa forse è la parola che più permette di capire che cosa Dio sta scrivendo nelle nostre esistenze: un cambiamento, una nuova meta, una vita del tutto diversa, un insieme di desideri e di ideali alti cui sempre occorre rispondere.

E’ lo Spirito Santo che soffia dentro le nostre vite e le lancia su nuovi orizzonti, gli orizzonti di quel Dio che non ci abbandona mai

Ma non vi sembra che stiamo proprio tentando questo, se ci aiutiamo l’un l’altro, dopo la botta dell’epidemia?! 

21 Aprile 2020
+Domenico