Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 13, 1-15)
E’ sempre bello poter rifarsi a qualcosa che ti incanta e ti incatena nello stesso tempo.
L’amore, per esempio, l’amore tra un uomo e una donna, tra un ragazzo e una ragazza: sei passato per caso, s’è accesa una passione, uno spasimo, una gioia che non puoi più contenere, hai fatto pazzie per capire, per incontrarti, per vedere come … “saziare” questo desiderio, come dargli un nome, come possederlo; non ce l’hai mai fatta perché ogni espressione non è mai stata capace di definirlo, di comprenderlo fino in fondo: c’è sempre stata una sete che non poteva esaurirsi.
La vita è così: accende forti passioni per farci alzare lo sguardo all’infinito, anche se noi facciamo finta che ci possiamo accontentare di qualcosa che vale molto meno: i soldi, il potere, il sesso fine a se stesso.
Ma nessuno si inganna con se stesso: sono tutte “pezze” di felicità che cercano di tappare un colabrodo che è la nostra vita e che fa acqua da tutte le parti.
Per noi cristiani una esperienza della stessa profondità dell’amore è l’Eucarestia, anche molto di più: questa semplicissima cena, in cui Gesù anticipa nei gesti, nei segni, nel pane e nel vino l’offerta di sé per la pienezza di vita del mondo, per colmare la sete di amore dell’uomo, per proporsi come riferimento alle nostre ricerche e alle nostre paure.
Proviamo brevemente a contemplare questo momento intenso, tragico, coinvolgente: immaginiamo di esserci tutti noi.
Quest’anno purtroppo lo possiamo soltanto proprio immaginare, non vediamo i segni perché non possiamo andare in chiesa, non possiamo partecipare a questa ri-presentazione in cui riviviamo l’ultima cena: possiamo soltanto “guardarla” alla Radio, a una TV o un tablet .
Però, per una sera voglio immergermi: Stasera ci sto anch’io.
Gesù tra l’annuncio di un tradimento e la crocifissione, prende tra le mani i piedi degli apostoli e li lava: quest’anno chi lava i piedi degli apostoli sono tutti quei medici e infermieri che stanno a curare, a consolare e confortare con grande dedizione i nostri malati.
Gesù – dicevo – ha preso tra le mani i piedi di ciascuno di noi, ha pensato a tutti i nostri percorsi sbagliati, le nostre fughe da lui, le nostre avventure incoscienti, i nostri tradimenti, ma prende tra le mani anche i piedi dei dottori, degli infermieri, delle persone che rischiano la vita per i nostri malati.
Stasera però Gesù vuol andare oltre e ci lava la vita.
E ci fa il suo più grande dono: “Vi dico che sono allo snodo fondamentale della mia missione: vi do la Mia Vita, perché vi voglio troppo bene. Non posso permettere più che il male sia l’ultima parola sui vostri sentimenti, sui vostri affetti, le vostre azioni, i vostri corpi e le vostre relazioni: questo pane spezzato e questo vino versato saranno sempre il segno di un dono senza rimpianti, di una vita donata senza ripensamenti; saranno il segno del Mio Corpo dilaniato e del mio Sangue versato per Amore, solo per Amore: il mio stesso corpo e il mio stesso sangue. E potrete sempre rifare questi miei gesti e ogni volta che li rifarete Io sarò lì ancora a dirvi che vi voglio bene, a dirvi che non immaginate che Padre avete nei cieli, a ricordarvi che è finita la schiavitù, che l’ultima parola non è la morte, anche se in cuore avrete odio, anche se userete questi miei segni per farvi belli, in una Chiesa dove state soltanto per dovere, in una comunità che usa la Messa per truccare l’odio e la falsità, anche quando i gesti li compirà un prete senza fede, senza amore, pieno di ambizioni: è un dono, per sempre, senza ripensamenti o nostalgie.“
Ricordate che “Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per me, la salverà” (Lc 9, 24): questo è il paradosso a cui siamo chiamati anche stasera.
Se noi ci arroghiamo di essere i padroni della vita, la perdiamo.
La storia di ogni giorno ce lo insegna: non arrogandoci la vita per noi, ma solo dando la vita, non avendola e prendendola, ma dandola, possiamo trovarla.
Questo è il senso ultimo della Croce, che domani metteremo al centro ancora di più del nostro essere cristiani: non prendere per sé, ma dare la vita.
E noi lo supplichiamo che ci lavi dalla nostra epidemia.
Abbiamo affidato alla medicina la purificazione che dobbiamo responsabilmente favorire e aiutare, ma c’è da lavare anche il nostro cuore che in questi tempi per molti di noi si è rattrappito nell’egoismo.
9 Aprile 2020
+Domenico