Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 20,1-10)
Oggi è al culmine la Settimana Santa: l’abbiamo vissuta all’insegna dei ricordi, delle tradizioni, delle usanze ereditate dai nostri genitori; abbiamo forse rimpianto – stando in casa – quando ci siamo improvvisati attori, registi, sceneggiatori di fatti più grandi di noi …. e siamo potuti risalire alla nostra infanzia, all’incanto di ogni fanciullezza, e quest’anno abbiamo visto soltanto in TV o nell’isolamento, giovani interpretare Gesù Cristo, uomini maturi fare Pilato, anziani fare i sommi sacerdoti, il solito – segnato a dito – fare Giuda.
Poi si sono fatti passare di mano in mano quella croce.
Potevamo essere tentati solo di esprimere tradizioni, folklore, appuntamenti con la storia, oggi però la cosa cambia di netto: ieri era possibile stare indifferenti, stare sulle nostre, non scomodarci troppo, oggi non è più possibile, dobbiamo fare il salto della fede.
Oggi ci viene chiesta la fede: non possiamo appendere nelle scuole o negli edifici pubblici il “risorto”, perché li ci vuole un atto di fede; appendiamo solo un crocifisso, che richiama la storia e pietà di un uomo, anche se molti ci negano anche quella.
Oggi facciamo il salto nell’oltre: riconosciamo che l’uomo della debolezza e della croce, l’immagine dei nostri infiniti dolori, è il Dio della risurrezione, è il nostro liberatore, è la vita piena e senza fine.
Colui che è morto così miseramente, senza nessuno stoico coraggio, è il Figlio di Dio; e dice uno dei quattro Vangeli nel racconto di questa giornata memorabile: «Passato il sabato, all’alba del primo giorno della settimana, Maria di Màgdala e l’altra Maria andarono a visitare il sepolcro. Ed ecco che vi fu un gran terremoto: un angelo del Signore, sceso dal cielo, si accostò, rotolò la pietra e si pose a sedere su di essa» (Mt 28, 1-2).
E’ un discorso difficile, perché occorre affidarsi: occorre avere il coraggio di leggere il “terremoto” di cui si parla nel Vangelo come definitivo, come quello che ci toglie da ogni disperazione; questo terremoto ci consola, questo terremoto vogliamo chiedere a Dio: è il terremoto della vita che dà inizio alla costruzione di un nuovo mondo.
Abbiamo avuto – e molti hanno ancora – il terremoto del coronavirus che ci sta cambiando l’esistenza, che ci mette alla prova, ma non ci può togliere la speranza di questo terremoto della risurrezione.
E’ il cambiamento radicale del nostro modo di pensare, degli stili di vita della nostra esistenza, della speranza oltre ogni paura e ogni dolore.
Il terremoto del coronavirus ci fa paura, e ogni tanto anche qualche altro terremoto colpisce il nostro mondo e soprattutto l’Italia: è questo terremoto di Pasqua, il terremoto della vittoria sul male e sulla morte, il terremoto che ha fatto saltare i macigni dalle tombe e dal cuore.
Ognuno di noi ha il suo macigno, una pietra enorme messa all’imboccatura dell’anima che non lascia filtrare l’ossigeno, che opprime in una morsa di gelo, che blocca ogni lama di luce, che impedisce la comunicazione con l’altro: è il macigno della solitudine, della miseria, della malattia, dell’odio, della disperazione, del peccato.
E’ questo terremoto che noi vogliamo augurare a tutti, che imploreremo con forza da Dio per tutti i martiri anche di questi tempi, di tanti giovani sgozzati, crocifissi perché cristiani.
Sono stato non poche volte a celebrare Messa in una qualche scuola in occasione della Pasqua e ho trovato ragazzi, giovani, che a fatica hanno fatto un segno di croce, per non farsi tirare in giro dopo dai compagni: questo spesso è il coraggio della nostra fede, il nostro coraggio quando siamo nella movida o nelle nostre vite private; la nostra fede “per mestiere”, il nostro forzato credere per non creare problemi dove siamo.
Ma Dio è grande, e ci dimostra continuamente il suo amore e la sua misericordia!
Risurrezione è sapere che abbiamo un futuro più grande di ogni nostra attesa, più forte delle nostre miserie e più autentico dei nostri giuramenti.
Resurrezione è non permetterci in nessuna situazione di dire la parolaccia “ormai”, perché risurrezione significa che c’è sempre più futuro che passato, perché la vita non è la quantità di giorni che ci rimangono, ma la qualità dell’esistenza che viviamo e che si prolungherà senza fine nelle braccia di Dio.
Resurrezione è uno spazio di futuro che ci garantisce da ogni morte definitiva e questo ce lo ha regalato Gesù, il Nazzareno, il condannato a morte, sepolto e risuscitato.
12 Aprile 2020, Pasqua di Resurrezione
+Domenico