Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 24,35-48)
Occorre che ci riportiamo, ogni giorno di questa settimana, alla luce, alla forza, alla gioia, al dono inestimabile della Pasqua e non possiamo non leggere le emozioni, le paure, le nuove forze che nascono nel gruppo disperato fino a quel giorno degli apostoli.
E’ un cammino che viene richiesto a tutti per vivere la Pasqua, non come una domenica qualunque, o un fatto come tanti della vita di Gesù, ma come essa è: il centro della nostra fede e della nostra vita di Chiesa.
Gesù ritorna dai suoi e li trova sconvolti e pieni di paure; collochiamo questo fatto in un rapporto normale tra amici: avevano vissuto assieme per circa 3 anni, si erano lasciati lentamente convincere e scaldare il cuore, in Gesù avevano ritrovato speranza; ce ne avevano messa di volontà per riuscire a entrare nel nuovo ordine di idee, nella nuova esperienza di fede che Dio aveva loro offerto nella persona di Gesù; ne avevano viste di schiavitù saltare, si erano sentiti entusiasti al ritorno dalle piccole missioni a due a due che avevano fatto; ogni tanto litigavano fra loro per spartirsi i ministeri del Regno di Dio, e Gesù li rimproverava amabilmente.
In quell’ultima cena erano convinti, partecipi, commossi, si erano lasciati lavare i piedi; ma poi c’era stata la prova, lo sconvolgimento, la tentazione, la fuga.
Lui l’avevano lasciato al suo destino: la costruzione della loro nuova mentalità non aveva retto; erano crollate a una a una le motivazioni umane: fascino di Gesù, amicizia, entusiasmo per una nuova visione della realtà, sogni di mondo nuovo, progetti di attività comuni, contrapposizione al mondo, al modello religioso dei farisei …
Insomma, avevano sperimentato ciascuno, in cuor loro, la delusione: forse questo sentirsi “traditi e ingannati” … e … non avevano pensato che erano stati loro ad averlo abbandonato!
Lui non aveva mantenuto le promesse e loro se ne erano tornati a pescare.
Le donne avevano speso un capitale per imbalsamarlo, tanto credevano alla risurrezione che aveva loro promesso, e i discepoli si stavano a leccare le ferite.
E Gesù si ripresenta, ma non per la resa dei conti: arriva per aiutare a capire, per ricostruire amicizia, per radicare nella fede le loro esistenze smarrite: “Quei colpi secchi sui chiodi che avete udito da lontano mi hanno forato mani e piedi, ma non mi hanno fissato alla morte. Quell’urlo agghiacciante che avete potuto sentire, ben protetti per non farvi vedere, non è stata disperazione, ma affidamento a Dio mio Padre, che mi dona per sempre a voi. Quel colpo di lancia ha fatto nascere la nuova comunità, la Chiesa, che ora affido a voi, per vivere una nuova comunione”.
Gesù, insomma, non rinfaccia il tradimento, ma continua a farli crescere, li lancia nella missione: “Voi sarete testimoni di tutto questo”.
Non è il modo di educare di tanti consigli disciplinari, che è quello di calcare la mano sugli errori, di togliersi tutti i sassolini dalle scarpe, di chiamare alla resa dei conti.
Gesù invece torna ad avere fiducia, richiama ancora dalla sua parte e dice: vi affido la mia buona notizia, il Vangelo, da annunciare a tutti.
Non vi lascio soli: il mio corpo e il mio sangue lo avrete sempre con voi.
E ce lo affida ancora oggi.
Abbiamo provato in questi mesi a farne a meno, domandiamoci se c’è dispiaciuto o se … ci siamo già abituati facilmente: non ci si abitua al dolore! Come non si sono “abituati al dolore” i nostri malati di questa epidemia: che il Signore li ri-consoli e dia loro salute, a tutti.
16 Aprile 2020
+Domenico