Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 6, 22-29)
Noi pensiamo spesso di essere generosi, di avere ideali grandi, ma tante volte ci basta mettere a posto il nostro corpo con cose materiali e ne siamo soddisfatti.
Erano così anche quelli che sono andati alla moltiplicazione dei pani fatta da Gesù; infatti dirà: “voi mi cercate perché avete mangiato”, ma c’è un pane diverso che vi deve nutrire.
Il nostro pane è Gesù: è Lui che ci nutre, che fa rinascere speranza, che permette alle nostre deboli forze di sostenere le difficoltà della vita.
Il pane è la Parola, è l’Eucarestia: nella celebrazione eucaristica si sposa la centralità dell’Eucarestia con il dono necessario dello Spirito; laddove si va a pregare, soprattutto a celebrare l’Eucaristia, lo Spirito troverà la sua casa per illuminare le vite degli uomini di oggi.
In questa casa vorremmo che l’uomo disperato trovi speranza, l’affamato di luce trovi chiarezza, il povero trovi la solidarietà, il malato trovi non solo conforto o tamponi, o tute, o mascherine, ma guarigione piena.
Avere bisogno di pane significa avere fame: forse noi oggi non abbiamo fame di Dio, ma di tante altre cose che non ci danno soddisfazione.
Purtroppo quando facciamo ricerche personali sulle cause della nostra infelicità, depressione, scoraggiamento, insipienza nella vita, frustrazioni… non ci domandiamo mai: che posto ha Dio nella mia vita?
Se Lui è il nostro bene massimo, la nostra felicità senza misura, l’averlo estromesso dalle nostre esistenze significherà qualcosa? Produrrà carenze determinanti, o Dio è solo un quadro o un soprammobile?
Abbiamo – insomma – buttato fuori di Dio dalla vita, noi che siamo fatti a sua immagine e somiglianza, e crediamo che questa morte di Dio dentro di noi non sia assolutamente influente sulle nostre vite?
C’è un prototipo del nostro essere persone, una luce che la rischiara: noi l’abbiamo spenta e questo assassinio noi diciamo che non conta niente, che abbiamo bisogno appena di ricostituenti, di dialoghi tra noi, di passeggiate all’aperto, di tenere il corpo in forma.
Se non curiamo anche l’anima non possiamo sperare di guarire le nostre mille fragilità umane:
Certa nostra infelicità non ha origine fisiologica, è bisogno di Dio: occorre avere il coraggio di cercarlo e mettere la nostra vita con semplicità davanti a Lui; Lui sa moltiplicare non le nostre miserie, ma le nostre disponibilità; sa cambiare la debolezza in forza, purché lo cerchiamo con sincerità.
Lo Spirito ci guiderà a farlo presente e a fare della nostra vita una gratitudine e una sorgente del suo amore per tutti.
Se dopo l’epidemia il nostro ricostruire vita personale e sociale sarà fatto senza Dio, o addirittura contro, non speriamo nella felicità vera, saranno sempre passi utili, ma non tutti e non quelli definitivi.
27 Aprile 2020
+Domenico