Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 16, 5-11)
Capita nella vita di sporgere denuncia contro qualcuno per difenderci e venire denunciati perché la vera colpa è nostra: credevamo di poterla fare franca, perché avevamo conoscenze, sapevamo di una strada di ingiustizia “superprotetta” da connivenze coltivate a lungo, come i vecchioni – ricordate – che insidiavano la regina nei suoi giardini, coperti nei loro turpi affari da guardie e testimoni prezzolati.
Nei confronti di Gesù è capitato proprio questo: i sommi sacerdoti – che rappresentano tutti noi evidentemente, tutti noi uomini e donne anche di oggi – lo hanno incriminato, condannato e ucciso, sicuri del favore del popolo prezzolato, sicuri del favore degli intrighi di potere a lungo sperimentati, della corruzione anche del potere romano.
Ma dopo la sua Risurrezione apparve lo Spirito Santo che ha voluto rifare nelle nostre coscienze questo giudizio di morte e convincere noi tutti di peccato, di ingiustizia e di falso giudizio.
Ed era una paradossale situazione quella dei discepoli di Gesù: perseguitati e condannati dai tribunali del mondo come Gesù e sul piano della fede e nell’intimo delle loro coscienze chiamati a giudicare e condannare il mondo.
Le parti si invertono: il condannato diventa giudice e viceversa.
Anche nella scena del mondo il cristiano si erge a giudice: illuminato dalla Parola di Dio, nutrito dall’Eucarestia, abitato dalla potenza dello Spirito, egli è abilitato a intraprendere un’opera di “contestazione” del mondo.
Infatti, lo Spirito suscita continuamente in seno alla Chiesa persone, uomini e donne particolarmente sensibili ai valori autentici e veri e li rende capaci di impegnarsi effettivamente nella opposizione ai falsi valori del mondo.
Questa opposizione del cristiano però, proprio perché suscitata dallo Spirito Santo non si esaurisce in qualche gioco facile di parole pure vere, ma diventa incarnazione di questi valori evangelici, nella concretezza della vita e nelle scelte di ogni giorno.
Gesù manda lo Spirito, manda una forza che si fa persona dentro i meandri di ogni vita, nelle pieghe intime di ogni esistenza, in quel sacrario inviolabile di ogni persona che è la coscienza, ed è il mistero della Pentecoste, è la ricchezza della vita divina che si sperimenta con la presenza dolcissima dello Spirito.
Insomma, è come se nel buio pesto di una vita smarrita e scoraggiata, perché falsamente accusata, irrompesse una luce viva, che ridà speranza, ridà chiarezza o come se nella pur bella vita di due persone, nei loro rapporti corretti di buon vicinato scoppiasse l’amore, come se nella tristezza scoppiasse la gioia, come se nella tentazione di rancore più impenetrabile per il male ricevuto, alla luce del vero cominciasse a risplendere la verità, per lasciare sempre solo a Dio il giudizio su ogni persona.
19 Maggio 2020
+Domenico