Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 28,16-20)
Mi piace pensare alla vita come a un grande pendolo che oscilla e che sposta i nostri sentimenti, le nostre tensioni ora su una prospettiva ora nussun’altra.
È il caso del nostro vivere sociale: s’è spostato per tanti anni su idee di universalismo, ora sembra che invece conti di più il particolare, quello che è nostro, che possiamo godere, che ci dà sicurezza, che ci dà identità, insomma un contorno che ci permette di riconoscerci tra noi, di godere delle nostre tradizioni, di non sentirci espropriati delle nostre radici; insomma, dall’universalismo, dal sentirci cittadini del mondo ad essere soprattutto e solo italiani.
Forse si stava fissando troppo su questa ricerca di sicurezza anche il pendolo della vita degli Apostoli: dopo lo sconquasso crudele degli avvenimenti della passione e morte di Gesù, dopo la insperata e ritrovata felicità di vederselo vivo risorto, a ritemprare forze e stimolare volontà, si erano un po assopiti fra di loro.
Era stata di nuovo ricomposta la piccola comunità: certo, tutto non era più come prima, ma la tentazione di riportare il messaggio di Gesù al livello del “tamponamento consolatorio” della vita di ciascuno era forte.
La tentazione di farsi dei muri protettivi contro le persecuzioni, ma soprattutto contro nuovi ingressi nella comunità cristiana di tanti pagani che ponevano sicuramente dei problemi ai giudei che si erano fatti o diventavano cristiani.
Si farà addirittura un concilio per vedere se i pagani dovevano prima diventare ebrei con la circoncisione e solo dopo ricevere il battesimo per essere cristiani, e lo Spirito Santo li aiutò a decidere per il battesimo soltanto.
E Gesù interviene e dà un’altra oscillazione al pendolo, una oscillazione definitiva: “Andate in tutto il mondo, è là che mi troverete d’ora in avanti, non qui. Il mio messaggio, la mia vita, la mia forza è nelle vostre mani e va spesa nelle strade del mondo. Il mio compito su voi, di tenervi uniti, assieme, è finito. Io sono con voi per sempre, tutti i giorni fino alla fine del mondo e in tutti i posti del mondo.”
Non li abbandonava, ma dava loro appuntamento fuori del guscio delle piccole appartenenze, dei piccoli equilibri di coscienza, delle fragili identità da bonsai.
La piazza del Vangelo è il mondo invece, le strade dell’uomo sono le direzioni, tutta la sete di amore, di pace, di verità è invito per tutti a cercare nuovi orizzonti e i cristiani li debbono loro mettere a disposizione con la fede in Gesù.
Tutte le sofferenze sono indicazioni di rotta. La fede non è un bene da seppellire nella vita come una moneta preziosa.
Fra un poco dovrai tornare a scavare, ma non la troverai più, non sarà più fede, ma ideologia, potere, comodità, egoismo, archeologia, museo, muffa.
La fede si fortifica e cresce solo se la doni.
Gli apostoli sono partiti tutti, noi invece ci siamo spesso seduti, la pandemia ci serve ancora di più da scusa.
Sappiamo però che la fede non è fatta solo di prediche e di Messe, ma oggi soprattutto deve far sperimentare la presenza di Dio soccorrendo, con ciò che è possibile fare, il nostro prossimo, i malati, la solitudine degli anziani, allargando a tutti la nostra limitata esperienza di chiesa e di parrocchia con la preghiera e la vicinanza morale, un colpo di telefono, una fotografia che aiuti a non spegnere mai la speranza.
Siamo chiamati a uscire anche noi, pur restando in casa, come ci si dice nel rispetto delle raccomandazioni contro il Covid.
24 Maggio 2020
+Domenico