Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 17,11b-19)
Ancora all’inizio della preghiera di Gesù che precede – come dicevamo – la notte dell’agonia nel Getsemani, la sua crocifissione, morte e risurrezione, Gesù stesso fa questa affermazione: «Non prego per il mondo».
E’ una frase che sorprende: sappiamo che la parola mondo assume molti significati, sempre nel campo di forze ostili, e la frase sembra poco in sintonia con altre affermazioni del Vangelo, però questa affermazione non possiamo tacerla e nemmeno sminuirla.
Nel contesto dell’intera preghiera il rapporto col mondo è descritto secondo varie prospettive: il vocabolo “mondo” vi ricorre almeno dodici volte, ciò vuol dire che è importante.
Gesù non riesce a esprimere il suo rapporto col Padre, e nemmeno il suo rapporto coi discepoli, senza servirsi della figura del mondo: Gesù non appartiene al mondo, ma al Padre che lo ha mandato nel mondo.
I discepoli non appartengono al mondo, ma Gesù li lascia nel mondo: i discepoli sono diversi dal mondo, ma devono stare il mondo, perché il mondo sappia che Gesù è stato inviato dal Padre per la sua salvezza.
Allora … tra il mondo e Gesù, il mondo e i discepoli, c’è diversità di appartenenza: una diversità che il mondo rifiuta, la avverte come una minaccia; tuttavia ogni discepolo deve stare davanti al mondo per testimoniare la grande verità che Dio ama il mondo.
Il mondo rifiuta la verità che lo salva, e rifiuta i cristiani che la annunciano: è un umanità che rifiuta consapevolmente l’obbedienza alla Parola restando chiusa nell’amore di sé, ma ogni cristiano deve stare nel mondo a testimoniare che il mondo sta sempre nel cuore di Dio.
Se c’è una diversità, non sta nella condanna del mondo, ma nell’amore al mondo: Il mondo non ama se stesso, è pieno di relazioni egoistiche e distruttive.
Il cristiano invece lo ama: questa è la differenza cristiana.
Questo mondo non è nemmeno quello che gli anacoreti, o i contemplativi, gli eremiti abbandonano per dedicarsi alla contemplazione in una salutare segregazione: Gesù stesso ha abbandonato il suo stato di “segregazione divina” per entrare compiutamente nella condizione umana, proprio per scrivere dentro lo spessore della nostra storia, dentro questa nostra umanità, la sua nuova esperienza di umanità: Lui stesso che è fondamento oggettivo di passaggio dalla schiavitù alla libertà.
I cristiani non sono portatori di una alternativa mondana, ma annunciatori della Parola che salva, della parola che cambia, che accende speranze, che è presenza della Parola per eccellenza: il Verbo fatto carne.
E qui torniamo con una completezza di visione al primo capitolo del Vangelo di Giovanni: «il Verbo si è fatto carne e venne ad abitare in mezzo a noi».
Ci fa bene, anche dentro questa epidemia che sta forse evolvendo verso la sua fine, che noi abbiamo questa consapevolezza: che questo mondo va amato come lo ha amato Dio.
27 Maggio 2020
+Domenico