Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 6, 7-15)
Pregare è esperienza profondamente umana: fa parte della struttura dell’umanità, del mondo delle relazioni che ogni persona stabilisce, ed è stato giustissimo che Dio Padre, attraverso Gesù, ce ne abbia consegnata una che è insuperabile, anche perché quando la preghiamo, Gesù la prega in noi.
E’ talmente conosciuto il Padre nostro che val la pena che commentiamo e riflettiamo su come, prima di dirlo, al versetto 7 del capitolo 6 di Matteo, viene a noi comunicata.
Il versetto è soltanto questo: “Così dunque pregate voi”.
E’ un imperativo: ci sta dietro una volontà precisa, con tutta l’autorevolezza che la investe; la parolina “così” la contrappone a un modello di preghiera appena descritto, che lascia il tempo che trova: è quella degli ipocriti, dei parolai, di coloro che si fanno vedere a muovere le labbra e a moltiplicare parole, di chi prega per posa per tutt’altri motivi che per rivolgersi a cuore pieno, fiducioso, figliale, familiare, abbandonato totalmente alla iniziativa di Dio, mentre invece cerca di rifarsi con la molteplicità e esteriorità ricercata delle espressioni verbali.
Non è fatta per piegare attraverso una colluvie di parole Dio ai nostri desideri, ai nostri bisogni, ma è mettersi in ascolto di un papà, il Padre, e accogliere, e che si realizzino su di me, suo figlio, i suoi desideri.
Sant’Agostino dice che la preghiera è una ginnastica del desiderio – bella questa: il desiderio è una grande qualità dell’umanità, che non produce niente, ma è pronta, aperta ad accogliere tutto.
Tutto ciò che esiste – e Dio è veramente la totalità – non è da fare, ma da accogliere: allora si sviluppa attesa, accoglienza del dono dell’altro, meglio ancora, l’altro come dono, e nemmeno lontanamente una volontà di pretesa.
L’altra parolina: “dunque”; il dunque ci fa capire – così dunque, ricordate, pregate voi – il dunque ci fa capire che questa preghiera davanti al Padre contiene tutte le altre, le condensa in un dialogo e in un ascolto, un accoglienza definita, decisa.
Infatti le prime richieste che facciamo nel Padre Nostro sono all’imperativo: vogliamo che il Padre ci dia ciò che Lui ci vuol dare; se Dio è Padre allora lo sia davvero! Noi lo desideriamo non certo quanto Lui, ma sicuramente con tutta la disponibilità orientata soltanto ad immergerci nel suo volere.
Poi, se ricordate, seguono le sette richieste, di cui le prime tre riguardano il grande bisogno che noi qui sulla terra abbiamo di Lui e le altre quattro esprimono il bisogno che abbiamo dei suoi doni, per vivere alla grande, Lui che è il dono grande, e la affermazione solenne che la fraternità e il perdono al fratello – notate – è il luogo necessario per il dono del Padre.
Così dunque “Pregate voi” : è un classico imperativo, non camuffato da raccomandazioni o condizionali “ma sarebbe meglio che voi pregate” … no, “pregate”, che ha il senso di prescriverci di continuare l’azione della preghiera, che sia presente e continua come la vita che se si arresta muore.
Questo ordine è di Gesù: noi non avremmo osato mai pregare ordinando al Padre di darci ciò di cui abbiamo bisogno, ma è proprio così che riconosciamo di averne bisogno.
Allora non ci resta che metterci in preghiera.
18 Giugno 2020
+Domenico