Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi

Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 11,25-30)

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Non sono rare le giornate in cui ci capita di non farcela più, in cui sembra che tutti si accaniscano contro di te, oroscopo compreso: hai proprio giù la catena, vai in depressione, si accumulano proprio tutte le contrarietà.

Allora si ricorre ai rimedi: mandare al diavolo tutti, ma sposti soltanto il problema e inaridisci il cuore nella solitudine; qualcuno si ubriaca, ma poi si trova peggio di prima con il mal di testa pure; altri, si impasticcano o si danno ai tranquillanti con il risultato alla fine di sentirsi degli zombie.  

Tanti nostri giorni che passano su orizzonti chiusi senza mai capire dove siamo, verso che cosa andiamo, adattati al ribasso, ripiegati su noi stessi, in un vicolo chiuso, ciechi noi stessi perché non vogliamo o non possiamo vedere al di là del nostro interesse, della nostra passione, del nostro calcolo. 

“Gli squilibri di cui soffre il nostro mondo contemporaneo si collegano con quel più profondo squilibrio che è radicato nel cuore dell’uomo” ci dice il concilio (Gaudium et Spes 10): non è neanche una vita in bianco e nero, è solo tutto grigio. 

E’ grigia la nostra vita quando non siamo capaci di uno sguardo di speranza, perché ci sembra tutto scontato; è grigia quando non abbiamo voglia di uscire da noi stessi, quando leggiamo con odio le differenze, quando lo studio è ridotto a penitenza da fare per sopravvivere, quando gli amici sono solo da usare e da sfruttare; quando la noia ci toglie desideri di bontà; quando ci lasciamo andare a cattive abitudini che ci ingabbiano nel vizio, quale esso sia, una prigione da cui non vogliamo uscire.  

Gesù dice: “venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi e io vi darò ristoro.”

Traduciamo: quando non ce la fai più, io ci sono; quando ti sembra che tutto crolli io non cedo; quando sei disperato, io sono il tuo futuro; quando ti sembra che non ci sia un cane a capirti, prova a passare da me e vedrai che io non ho altro da fare che accoglierti, rinfrancarti.

Gesù era la consolazione dei poveri che incontrava, era il segno della bontà di Dio per chi provava solo rimorso, era l’oasi per ogni deserto di emozioni.  

Ecco: “Dal Cuore di Cristo  il cuore dell’uomo impara a conoscere il vero e unico senso della sua vita e del suo destino, a comprendere il valore di una vita autenticamente cristiana, a guardarsi da certe perversioni del cuore umano, a unire l’amore filiale verso Dio con l’amore del prossimo” (Gaudium et Spes 22). 

Si tratta ancora oggi di fissare lo sguardo adorante sul mistero di Cristo, Uomo-Dio, per divenire uomini e donne di vita interiore, persone che sentono e vivono la chiamata alla vita nuova, alla santità, alla riparazione, cioè a questa sorta di cooperazione apostolica alla salvezza del mondo.  

Se vogliamo prepararci e dedicarci alla nuova evangelizzazione – come ci invita Papa Francesco e invita tutti i Cristiani, tutti i laici, i preti, tutti gli operatori pastorali – dobbiamo riconoscere il Cuore di Cristo come cuore della Chiesa, e comprendere che il cristianesimo è la religione dell’amore.

Il Cuore del Salvatore invita a risalire all’amore del Padre, che è la sorgente di ogni autentico amore: “In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati” (1 Gv 4, 10). 

E Gesù riceve incessantemente dal Padre, ricco di misericordia e compassione, l’amore che Egli prodiga agli uomini (cfr Ef 2, 4; Gc 5, 11): il suo Cuore rivela particolarmente la generosità di Dio verso il peccatore.

Dio, reagendo al peccato, non diminuisce il suo amore, ma l’allarga in un movimento di misericordia che diventa iniziativa di redenzione.  

La contemplazione del Cuore di Gesù avviene oggi nell’Eucaristia: qui, in quel Cuore, cerchiamo l’inesauribile mistero del sacerdozio di Gesù e di quello della Chiesa.  

Come si può trovare in Gesù questo ristoro? “Il mio giogo è dolce e il mio carico è leggero”: Prendi questo peso, rifatti alla mia parola, altro che tranquillanti.

Spesso nella vita ci scrolliamo di dosso la proposta cristiana perché la riteniamo oppressiva, antiliberatoria, pesante, distruggiamo equilibri delicatissimi per mancanza di cuore. 

Ci scrolliamo di dosso quella che ci sembra una croce, che Cristo sempre porta con noi, e andiamo a costruircene di incomprensibili.

La soluzione di tanti nostri affanni è proprio la Sua Parola, la Sua visione della vita; sono le sue beatitudini, ma noi vogliamo scartare Lui per avere la vita.

Possiamo pure non fidarci e sbagliare, ma che cosa ci costa ritornare? Solo il primo slancio per buttarsi nelle braccia di un papà. 

San Giovanni Paolo II non ha mai ceduto a stanchezza, proprio perché sapeva di contare su questo cuore senza riserve e a questo cuore spesso tornava come a casa sua, come in braccio a sua madre, come nel nido della santità. 

19 Giugno 2020
+Domenico

Autore: +Domenico

Domenico Sigalini (Dello, 7 giugno 1942) è un vescovo e giornalista italiano, Vescovo emerito della sede suburbicaria di Palestrina. Una Biografia più esaustiva è disponibile su Cathopedia all'indirizzo https://it.cathopedia.org/wiki/Domenico_Sigalini

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