Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 10,24-33)
«Perciò chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli».
Non è raro trovare un cristiano che ha paura a testimoniare la sua fede religiosa, il suo credere, il mondo di valori cui si affida, le convinzioni radicate nella sua educazione familiare.
E’ un comportamento che si chiama vergogna, latitanza, nascondersi dietro un dito, mancanza di coraggio, anonimato … e questa paura talvolta viene camuffata anche da dialogo, da ascolto, da umiltà, da libertà massima che deve essere lasciata alle persone per aderire alla fede, tutte doti vere e necessarie, che vanno sempre però coniugate con una identità forte del cristiano: una identità non prevaricatoria mai, ma disponibile a offrire quella speranza che ci è stata data e che non è nostra, una Parola che viene da oltre.
La paura cresce poi se si sperimenta il rifiuto: l’invio in missione da parte di Gesù, infatti, non garantisce necessariamente ai discepoli il successo, così come non li mette al riparo dal fallimento e dalle sofferenze, per cui essi devono mettere in conto sia la possibilità del rifiuto, come la possibilità e perfino l’inevitabilità della persecuzione.
E’ sempre stata storia delle nostre comunità e della nostre aggregazioni di cristiani quella di far crescere persone disposte fino al martirio a difendere e proporre la nostra fede, e lo è anche oggi nei contesti di intolleranza nei confronti della fede cristiana
Molte ragazze hanno dato la vita per difendere la propria verginità, del resto un discepolo di Cristo non può che conformare la sua vita a Lui, deve seguire il modello che è Cristo respinto e perseguitato dagli uomini, che ha conosciuto il rifiuto, l’ostilità, l’abbandono, e la prova più atroce che è la croce.
La persecuzione non è eventualità remota, ma una possibilità sempre attuale: non esiste missione all’insegna della tranquillità.
Forse per molti di noi il coraggio della fede non ci chiede eroismi, ma pur sempre ci chiede di confrontarci con l’indifferenza, con la irrilevanza, con una mentalità supponente contro cui si deve sempre almeno resistere e dialogare; ci chiede di essere sempre attaccati alla Parola di Dio, ma anche concretamente di vivere da cristiani difendendo il povero, l’immigrato, il rom, il lavoratore sfruttato, offrendo buone testimonianze di vita – anche se non del tutto capite – che possono far crescere speranza e dare compagnia e conforto alle troppe solitudini e sofferenze umane.
Non andiamo in cerca di sconfitte o di disprezzo, ma nemmeno di indici di gradimento: siamo sempre desiderosi di spenderci per la vita di tutti, mettendo la nostra nella mani di Dio.
21 Giugno 2020
+Domenico