La nostra religiosità è una formalità svuotata di fede?

Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 8, 5-17)

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Forse siamo degli “abituati” al cristianesimo e abbiamo bisogno di qualche scossone da parte di chi è lontano dalla fede le mille miglia e che da questa sua posizione, mosso dalla grazia di Dio, scopre la bellezza della vita cristiana a cui non ci siamo troppo abituati: il suo slancio è un grande stimolo per riflettere sul nostro essere abituati alla fede come al colore delle pareti, perché la fede è sempre novità.

Con Dio non ci si può abituare: se non ci sentiamo bisognosi di salvezza davanti al Signore c’è proprio da temere che la nostra religiosità sia una pura formalità svuotata di fede.  

Gesù, con insistenza quasi irritante, sottolinea la fede di un centurione comparandola espressamente a Israele che è l’immagine esatta di tanti di noi: i paragoni sono sempre odiosi, ma Gesù non ha paura di scalzare quella comoda opposizione sprezzante tra noi e loro, quelli dentro e quelli fuori, quelli che vanno in chiesa e quelli che non ci vanno mai, i cattolici e i laicisti, il nostro giro ben affiatato e questi appena venuti …   

Un ufficiale dell’esercito romano, che seguiva da lontano Gesù nella sua predicazione, probabilmente si doveva mescolare alla folla per dovere di vigilanza, e sentendo Gesù era rimasto colpito della sua visione del mondo, dell’amore che cercava di accendere, del potere di sconfiggere il male.

Si decide, pur sapendosi troppo lontano dal mondo che intuisce praticato da Gesù, gli va incontro e gli dice: “Ho un servo che mi sta morendo, paralizzato, e soffre terribilmente. Tu puoi fare qualcosa. Io non  sono del tuo mondo, sono qui per dovere, ho mansioni da eseguire, ma anch’io ho un cuore, ho degli affetti, ho una casa dove non sempre tutto è tranquillo. Ho anche potere perché a uno dico fa questo e lui lo fa, vai là ed egli ci va. Ma ci sono problemi più grandi di me: la salute per esempio non è sicuramente in mio potere. Gli altri mi vedono forte, perché sono un soldato, ma non sono le armi che contano nella vita. Ho bisogno di Te per la vita di questo servo che desidererei non si spegnesse.

E Gesù non manca di far notare a tutti quelli che lo ascoltavano, tra i quali c’erano anche i signori della legge: “trovassi una fede così in Israele, ma nemmeno un pizzico ne ho veduta. Vi devo portare ad esempio un romano, non certo tenero con le nostre tradizioni? Questi, che voi dite pagani, vi soppianteranno nel regno di Dio e dice al centurione: vengo da te, vengo a casa tua.”  

Ma il centurione non ha una casa in ordine per un ospite così grande, per quel Gesù che gli sta sconvolgendo la vita, e dice: “ho osato troppo, nella mia casa non saresti onorato come ti meriti. Mi basta una parola, dì soltanto una parola: tu sì che veramente hai in mano le chiavi della vita. Mi devo cambiare dentro, devo togliermi dal cuore il male che per troppo tempo ha avuto tutte le possibilità di rovinarmi i sentimenti e i pensieri. Ti vorrei avere, ma con un cuore nuovo. Mi basta la tua parola potente.

Gesù lo ascolta, coglie la grande delicatezza del soldato, ne vede la gratuità, ne avverte l’adorazione e dice la parola che salva: “Va e sia fatto secondo la tua fede“.

In quell’istante il servo guarì: quella allora era fede autentica!

Ed è il secondo dei dieci miracoli di questo “ciclo” di Gesù. 

27 Giugno 2020
+Domenico

Autore: +Domenico

Domenico Sigalini (Dello, 7 giugno 1942) è un vescovo e giornalista italiano, Vescovo emerito della sede suburbicaria di Palestrina. Una Biografia più esaustiva è disponibile su Cathopedia all'indirizzo https://it.cathopedia.org/wiki/Domenico_Sigalini

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