Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 16, 13-19)
Lo domanda il ragazzo alla ragazza: si sente ora abbracciato e baciato, ora amato e lasciato, ora alle stelle per l’amore corrisposto, ora abbandonato e solo; lo domanda la moglie al marito che si sente sequestrata in casa, o il marito alla moglie, quando si sente un soprammobile; lo domanda un figlio ai suoi genitori: talvolta si sente di nessuno, qualche altra volta è soffocato da non potersi esprimere; lo domanda un prete al suo vescovo per sentire se ha ancora un padre cui affidare la sua passione per il Vangelo; lo domandiamo tutti a Dio, quando non ci bastano i ruoli ufficiali della vita, quando vogliamo uscire dalla nostra autosufficienza che ce ne ha allontanato e ha provocato solitudine e spesso peccato.
Non è una domanda innocente, è una domanda che si porta dentro una pretesa se non un rimprovero: è una invocazione di relazione vera, è desiderio di essere chiamati a vivere in maniera nuova, autentica.
Gesù ha davanti a sé il suo seminario di apostoli, di gente che vuol condividere con lui la passione per il Regno: “Ma avranno capito questi chi sono? Come potranno sostenere tutte le prove della vita se per loro sono solo uno che fa miracoli, o un predicatore di grido, o uno che sa tener testa ai violenti, che sa parlare schietto, che sa risvegliare dal torpore. Soprattutto come faranno a entrare nel Regno dei cieli se fissano il loro sguardo solo sulla storia che li precede? Sapranno fare un salto nella assoluta novità del Regno di Dio? Come faranno ad accettarmi risorto, quando sarò stato crocifisso e cancellato non solo dai loro occhi, ma anche dalla loro stima e dalla loro fede.”
Gesù si mette in gioco: rischia il primo abbandono. Ce ne saranno tanti dopo l’ultima cena: nel Getsemani, nel pretorio, sul Calvario, ma anche sulla via di Emmaus con quei due che raccontano la loro pasqua con tutti quei verbi al passato … speravamo … ci hanno detto, ma noi non abbiamo visto nessuno … oppure con Tommaso che stenta a credere.
Nella vita occorre sempre essere veri: tutti devono fare un passo per uscire da sé e accettare la novità, nel suo caso la novità definitiva del Regno di Dio.
E’ una domanda che anch’io sto facendo a Gesù … è una domanda talvolta gioiosa, talvolta demenziale: “Gesù, ma chi sono io per te?”
Non ho dubbi sulla risposta, che poggia sulla certezza di una chiamata cui hanno aderito per me la prima volta i miei genitori quando sono stato battezzato: quella domenica 7 giugno la mamma era andata a dottrina nel pomeriggio come sempre, aveva percepito che stavo nascendo, ero già il quarto e non c’erano paure di sorta.
Sono nato al calar del sole e il venerdì successivo, festa del Sacro Cuore – allora festa di precetto – secondo le consuetudini del tempo che volevano che il battesimo venisse celebrato la prima festa di precetto dopo la nascita, sono stato battezzato a Dello, nella chiesa di San Giorgio.
Gesù, io posso anche non sapere bene chi sono, ma so che sono stato immerso nella tua morte e definitivamente rinato nella tua risurrezione; in seguito ho cominciato a rispondere io, nei lunghi anni del seminario ho incominciato a rispondere, il giorno della ordinazione presbiterale, tutti i giorni della mia vita da prete e infine in quel pomeriggio di Pentecoste a Palestrina da Vescovo.
Non so chi sono, ma mi hai chiamato tu: mi basta questo! Mi sento sicuro nelle tue braccia, che so non essere un elenco o una rubrica, o una mailing list, ma un rapporto vivo di amore, una amicizia senza se e senza ma e soprattutto senza ripensamenti.
Anche i giovani del Kazakistan domandavano a Giovanni Paolo II nel 2001, dopo il terrore delle torri gemelle: chi sono io per te papa Giovanni? E lui rispondeva: tu sei un disegno di Dio, tu sei un palpito del cuore di Dio. Siamo sempre amati a dismisura da Dio!
E’ una domanda che ho fatto per 12 anni a Palestrina: “Chi sono io per voi?” Per la risposta occorreva andare al di là del vocabolario che era fatto di “eccellenza”, di “eminenza”, perché si esagerava sempre per tradizione.
Non sapevo ancora che cosa potevano rispondere a questa mia domanda impertinente, ma io sapevo che venivo ogni giorno misurato da affetto, da attesa, da pretesa, da domande urgenti, da richieste di cammino, da invocazioni di decisioni, da sete di Vangelo; e sapevo che Dio mi aveva dato possibilità di rispondere a partire dalla vita e dalla fede di questa terra in cui sono nato e in cui mi trovo a concludere i giorni della mia vita e dal giorno dell’ordinazione in piazza davanti alla cattedrale di Palestrina: quel giorno restava sempre un riferimento per trovare la consapevolezza che Dio compie sempre miracoli e che è Lui a guidare ogni sua Chiesa.
Ma soprattutto questo “chi dite che io sia” è una domanda che Gesù fa a me, ed esige la risposta ingenua, immediata di Pietro: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente. Tu sei il consacrato che ha tirato dentro in questa consacrazione anche me, sei il mandato che si è degnato di mandare anche me, sei il Messia, l’atteso che associa in questa attesa dell’umanità anche me. Sei Figlio a Dio come hai fatto diventare anche me. Sei il pastore che mi ha tolto dalla comoda routine in cui mi stavo rifugiando per chiamarmi a portare il tuo nome ad ogni fratello: mi hai tolto dalle secche del pensare a me per aprirmi a servire una tua porzione di regno, e oggi mi chiami a riposare fisicamente, ma sempre mi chiedi di vivere bene da cristiano, da prete, da vescovo e di non chiudermi mai agli altri.”
Oggi Gesù rifa a tutti noi questa domanda e ci aiutiamo a rispondere a dire: “Tu, sei Gesù il Cristo, Figlio di Dio vivo. Sei il rivelatore del Dio invisibile, sei il primogenito di ogni creatura. Sei il fondamento di ogni cosa. Sei il maestro dell’umanità, e il Redentore. Sei colui che ci conosce e ci ama. Sei il compagno e l’amico della nostra vita. Sei l’uomo del dolore e della speranza. Sei la pienezza della nostra esistenza, la nostra felicità. Io non finirei più di parlare di lui. Sei il Figlio di Maria, la benedetta fra tutte le donne, tua madre nella carne, e madre nostra nella partecipazione allo Spirito del Corpo mistico.”
E lo dico qui in una chiesa, la nostra chiesa, quella che rappresenta da secoli la nostra comunità cristiana che deve essere resa sempre più abitabile da tutti.
La parrocchia è la casa di tutti, la casa dove si apprende la fede: se non avesse nient’altro che il Vangelo da offrire agli abitanti di Dello, avrebbe già tutto quello che ci aspettiamo da Lei.
Se mi permettete sono qui a dirvi che senza giovani cristiani la nostra parrocchia non avrà futuro: ci sarà una bella chiesa, una bella torre, un bel castello, ma saranno solo per fare le fotografie e non per dare speranza e gioia agli uomini del futuro.
Ci dobbiamo sbilanciare dalla loro parte, dalla parte dei giovani, non per accontentarli, ma per leggere in loro i doni che Dio ci ha dato e per farli fruttificare.
29 Giugno 2020
+Domenico