Chiesa madre mia, aiutaci a vincere il male col bene

Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 10, 16-23)

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La debolezza della Chiesa fa contrasto con la forza del mondo: è il contrasto che Cristo ha manifestato continuamente nella sua persona.

Gli Ebrei aspettavano un re potente e trionfatore ed egli si presenta inerme e mite: è così povero da non avere dove posare il capo, ma dona prodigiosamente pane a migliaia di persone; davanti a Pilato si proclama re, ma si lascia incatenare, brutalmente flagellare, condurre alla morte come delinquente, malfattore, bestemmiatore.  

Un programma non facile per la sua Chiesa, continuamente tentata di assumere gli stessi atteggiamenti del mondo, più apparentemente efficaci; sappiamo però che tutte le volte che la Chiesa si è rivestita di potenza, si è allontanata dallo Spirito del suo Fondatore e ha inaridito le sorgenti della sua azione.  

Un discepolo di Cristo invece è testimone – come il Maestro – di povertà, di semplicità, di umiltà e insieme di coraggio e di chiarezza di pensiero, di posizioni in tutte le circostanze: pronto a sopportare con pazienza ogni ingiuria, pronto a denunciare con fermezza ogni ingiustizia – anche compiuta dalla Chiesa, ma con un grande amore per essa – e non facendo chiasso o cercando appoggi mondani.  

Il cristiano deve sapere che ogni passo del Vangelo va fatto mettendo in conto sofferenza e pazienza, disponibilità e passi indietro non nella verità, ma nei tempi e nella attesa. Ognuno di noi cristiani, preti, vescovi e cardinali, laici, religiosi o religiose, frati o monaci, dobbiamo comprendere che il mistero del maestro è anche il nostro: anche noi per paura di soffrire e di morire rischiamo di chiuderci in noi stessi e ci difendiamo facendo male a noi e agli altri.  

Chiediamo al Signore la grazia di capire che il male non è soffrire e morire, ma far soffrire e far morire: il male, come sempre provoca, nel senso che chiama fuori, da vita al male latente nell’altro e innesca una reazione a catena, che si arresta solo dove c’è uno tanto forte da non restituire mai il male che ha ricevuto.

La vita è sempre sacrificio di sé o di un altro: l’amore è quel sacrificio di sé che ci fa simili a Dio, capaci di rispondere alla provocazione del male con il bene.  

Del resto Gesù questo ce lo ha insegnato con la generatività, che è qualità tipica del bene che si deve fare proprio andando oltre e aprendo orizzonti nuovi alla famose “legge del taglione” e a tutte le controversie: al male non si ripara con un altro male, ma con una abbondanza di bene! Anche storicamente la non violenza ha reso incapaci di mostrare i denti anche agli eserciti più potenti. 

Purtroppo anche la Chiesa tante volte crede di parificare i torti facendone altri; invece il nostro maestro ci fa capire che le difficoltà, le lotte e le persecuzioni sono i costi della vittoria del bene, sono segno della distruzione del male che viene scoperto e rimane sconfitto. 

L’unica bella catena che ci tiene uniti sempre è la misericordia, il perdono, un approccio ai “lupi”, che siamo anche noi, con il perdono.

Questa volontà è stata esplicitata sempre da Dio in Gesù Cristo. 

10 Luglio 2020
+Domenico

Autore: +Domenico

Domenico Sigalini (Dello, 7 giugno 1942) è un vescovo e giornalista italiano, Vescovo emerito della sede suburbicaria di Palestrina. Una Biografia più esaustiva è disponibile su Cathopedia all'indirizzo https://it.cathopedia.org/wiki/Domenico_Sigalini

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