Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 19, 27-29)
Due frasette semplicissime di Matteo ci mettono in grado di riflettere sulla nostra vita, sul mondo in cui viviamo, e dare voce a un esempio che le ha messe in pratica alla lettera: san Benedetto, patrono dell’Europa.
Di lui purtroppo molta gente poco sapiente – dico così per rispetto alle idee di tutti – non si ispira neanche lontanamente al lavoro che hanno fatto i benedettini in Europa: hanno ricostruito relazioni umanamente ricche e economicamente e politicamente anche vantaggiose tra diversi nuovi popoli, chiamati barbari, dopo lo sfacelo dell’impero romano, promuovendo non soltanto monete, ma anche e di più religiosità, cultura, libertà dalla povertà e dalle malattie, organizzazione del lavoro, autosussistenza …
“Abbiamo abbandonato tutto” – risalta nel Vangelo di oggi – “e ti seguimmo. Che sarà di noi?” E’ la domanda degli apostoli a Gesù. E’ la domanda di chi si butta per un ideale e si mette al servizio del bene di tutti.
Non solo i frati o i preti o le suore e i missionari, sono tutti i cristiani che per un ideale, quello della famiglia prima di tutto, lasciano tutto e si dedicano a questa grande novità che è l’amore tra un uomo e una donna e la vita dei figli.
Abbiamo speso tutto per la famiglia, per lui, per lei, per i figli … non abbiamo contato le ore, i pensieri, le preoccupazioni, non abbiamo badato a difficoltà di ogni genere e ora, che ci resta?
Per un figlio i beni sono un dono del padre da condividere con i fratelli: chi li accumula si rende schiavo dell’egoismo e fa i fratelli schiavi della miseria.
Libero invece è colui che è capace di usarli al servizio degli altri!
Gesù ci offre di vivere come “da principio”, non solo in rapporto con l’altro e con noi stessi, ma anche con i beni materiali: questi non sono il fine cui sacrificare la nostra vita e la vita altrui, ma il mezzo da usare tanto quanto serve per vivere da figli e da fratelli, con piena libertà, senza lasciarci condizionare.
Quello che teniamo in proprio, ci divide dagli altri; quello che doniamo ci unisce: i beni del mondo sono quindi benedizione e vita se li condividiamo liberamente, diventano maledizione e morte se li accumuliamo spesso in forma compulsiva, cioè stregati dal desiderio di possedere.
Siamo figli e signori, non servi del creato, proprio perché con esso serviamo i fratelli.
Rifacciamoci sempre all’incandescenza della creazione: da principio – torno a dire da principio – tutto è dono. Possedere e accumulare è distruggere la radice stessa della creazione.
La violenza che usiamo per impossessarci delle cose distrugge non soltanto la fraternità, ma anche i beni stessi di cui viviamo. La cacciata famosa dal paradiso terrestre, è stata una conseguenza amara del voler rapire ciò che era stato donato.
Alla fine delle nostre fragili vite ciascuno porterà il suo tesoro vero: non saranno certo le ricchezze possedute e accumulate, ma quelle vendute e condivise; di quelle non andrà perduto nulla.
Allora per rifarci alla prima domanda “e noi che avremo?”, nella nuova creazione, nel giorno senza tramonto che già ora è cominciato, i discepoli, parteciperanno alla regalità, alla gloria, alla ricchezza del Figlio: i poveri regneranno per sempre con Gesù.
Chi avrà seguito Gesù e amato gli altri non perde nulla, ottiene tutto, ed eredita la felicità senza fine: la pienezza del dono si manifesterà dopo, ma già ora il Regno è suo, per questo il suo futuro sarà diverso.
E allora il presente allora rimane il luogo per decidere il passaggio dall’egoismo all’amore, è lo spazio della liberazione della nostra libertà.
E’ forse questo il programma dell’Europa? Si libra ancora nei suoi cieli questa colomba di pace o deve fuggire perché la vogliono ingabbiare o impallinare o avvelenare? Certo dobbiamo capovolgere i nostri modelli di vita sociale e stabilire nuove priorità: sognare sempre una Europa come l’ha voluta san Benedetto ci fa solo bene e non ci fa perdere la speranza.
10 Luglio 2020
+Domenico