Dal sabato ebraico alla domenica di risurrezione

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 14, 1.7-11)

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La questione del sabato per gli ebrei era di capitale importanza – come tutti sappiamo – come dovrebbe essere per i cristiani il giorno di domenica: la legge ebraica aveva “dedicato”, più che ritagliato o aggiunto, nei suoi libri sacri molte riflessioni sul sabato, come giorno del Signore, come giornata di assoluto riposo, una giornata in cui si fa memoria del riposo di Dio al settimo giorno della creazione, come finestra aperta sull’eternità.

Per molti cristiani purtroppo la Domenica è ricordata solo come l’obbligo di partecipare alla Messa, all’Eucaristia: da dono di Dio è diventata solo un obbligo, per di più non molto osservato dalla maggioranza.

Quello che sentiamo nel Vangelo di oggi è l’ultimo sabato della attività di Gesù che Luca menziona nel suo Vangelo, e Gesù non perde occasione per ridefinire da credenti in Dio il significato del Sabato, e per cogliere l’occasione di anticipare il suo superamento  nella memoria viva della morte e risurrezione di Gesù con la  Domenica.

Se mangiare significa vivere, “mangiare” il sabato significa partecipare alla vita di Dio!

Gesù accetta l’invito di andare a mangiare un sabato in casa di uno dei capi: con questo racconto Gesù ci presenta e ci fa vedere il volto del Signore della vita; egli, per la ricchezza della sua misericordia, dona a tutti quella salvezza che è impossibile per tutti: è una vittoria sul lievito dei farisei, tutto è una lezione di umiltà, ci fa condurre una vita filiale e fraterna, che coinvolge concretamente il nostro rapporto con il Figlio di Dio, con noi e con tutti gli altri.

Gesù invitato a mangiare, accetta per offrire il suo pane sabbatico anche al fariseo. Vorrebbe guarirlo, perché possa cibarsene. C’è sempre un ribaltamento in tutti gli inviti che il Signore riceve; da invitato si trasforma in colui che invita a un altro banchetto.

Gesù, dove è accolto, accoglie sempre verso il Padre, e offre il pane del Regno.

L’idropico soffre di una grande arsura, ma più beve, meno si disseta e tutto ciò che prende lo gonfia di morte, aumentandone la sete; fa da specchio senza volerlo al fariseo: lui ha abbandonato Dio, sorgente di acqua viva  e si è costruito una cisterna fessa che riempie del proprio io invece che di Dio, ha in sé un lievito che non gli permette di maturare verso il Regno di Dio.

Solo Gesù sarà la sua vera sorgente di acqua viva che guarisce e disseta!

Noi pure siamo spesso questo fariseo, quando riempiamo la  domenica di tutte le nostre cose, pure belle, ma mai all’altezza della bellezza di Dio.

31 Ottobre 2020
+Domenico

Il volto del Signore della vita

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 14, 1-6)

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Leggere il Vangelo ogni giorno, meditarlo, rifletterci a lungo è compito di ogni cristiano: la figura di Gesù vi si erge con tutta la sua grandezza di Figlio di Dio e di fratello di ogni persona umana.

Lui è venuto a chiamare i peccatori a conversione: qui si tratta di chiamare a conversione proprio un capo dei farisei. Come bene sono stati descritti pure da Luca, sappiamo bene che i farisei hanno in sé un lievito di morte: l’ipocrisia, che riempie l’interno di rapina e di ingiustizia e lo fa imputridire. E’ il lievito contrario al Regno di Dio. Lo invitano a mangiare con loro e ci va per offrire la sua guarigione. Per questo svela loro il male che li tiene prigionieri, rendendolo visibile come ha fatto con la prostituta e qui farà con l’idropico.

Se i farisei lo invitano per spiarlo, i peccatori invece lo accolgono per far festa. Paradossalmente si può dire che Gesù ama i farisei più di tutti i peccatori, perché? Perchè affetti dal peccato più tremendo e più nascosto che ci sia: quello che sotto un manto di bene, si oppone direttamente a quel Dio che è grazia e misericordia.

Dobbiamo ricordarcelo ancora di più, noi persone consacrate o ministri della chiesa, a partire da me, sempre insidiati da questo male oscuro, perché non dimentichiamo mai il fondamento della dottrina in cui siamo stati istruiti: la misericordia del Signore, sperimentata nel Battesimo.

Luca ne fa il tema di tutto il suo Vangelo, perché la Chiesa non esca mai dall’esperienza battesimale che salva e si senta sempre peccatrice e perdonata: solo così resta aperta a Dio e a tutti gli uomini, ricevendo e dando misericordia.  

La nostra cattolicità è fondata su questa verità che la rende capace di solidarizzare con i più lontani, proprio sino agli estremi confini della terra; non crea barriere precostituite, non isola in fortini, che diventano prigioni, di difesa o di attacco. Siamo sempre nel pericolo di trasformarci da popolo di giustificati, amati da Gesù fino all’ultima goccia di sangue, in una “setta di giusti” senza alcuna misericordia e capacità di relazioni buone e umili, peccatori e convinti di essere santi.

Questo è il massimo dell’infedeltà alla Parola di Dio che noi possiamo vivere nelle nostre miserevoli esistenze: Dio ci ama sicuramente SEMPRE, e troverà la strada per farci crescere secondo il suo piano di salvezza, ma noi sappiamo che non possiamo tenere sempre questa abitudine malvagia, che abbiamo anche nelle nostre persone che “frequentano di più”, di essere ipocriti.

30 Ottobre 2020
+Domenico

I due atti di ogni nostra storia

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 13, 31-35)

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Le nostre vite spesso sono immaginate come quella di qualche animale, per esempio quella della volpe e della chioccia, così Luca con la volpe rappresenta Erode, la miseria dell’uomo e con la chioccia Gesù, la grande misericordia di Dio. La storia dell’umanità pure può essere descritta da due atti: Noi uomini recitiamo la prima parte e abbiamo un canovaccio non troppo originale: la paura della morte, l’egoismo, il tentativo di salvarsi e l’immancabile perdersi. Dio invece si riserva la seconda parte, che recita sempre in forma originale, a seconda dell’uomo che scrive con la sua vita la storia: contempla la novità della Risurrezione, si serve addirittura della morte per donare all’uomo una vita superiore e più feconda. La nostra cattiveria umana fa di tutto per gettare il seme e disperdere il lievito del Regno che proprio così germina e fermenta. Dio sposa realmente la nostra storia con il suo male e in essa diffonde a larghe mani il suo bene. Si prende tutti i nostri sgorbi su di sé e ne fa un fantastico disegno di salvezza.

Gli apostoli cominciano a capire lentamente questa grande inventiva di Dio. Durante la prima persecuzione vedono che i nemici si uniscono e si ritrovano per mettere fine alla loro esperienza. Nel primo grande disorientamento avevano sperimentato che il Crocifisso era risorto e ora capiscono che il risorto è proprio il Crocifisso e loro sono associati alla sua storia. Dio dà loro la grazia di vedere la storia con i suoi stessi occhi. Dio non si fa una storia sua, parallela alla nostra, più bella e più giusta. Prende la nostra come è, piena di sbagli, di tradimenti, di peccati, di ribellioni. La volpe potrebbe dire alla chioccia e lo ha detto: ti uccido e sei finita, ma Gesù ha il potere di rispondere ad Erode; muoio e così arrivo alla compiutezza-pienezza della mia vita e del disegno della Trinità.

 Se di abbandono di Dio si può parlare è solo nella prima parte, quando getta il seme che marcisce e sparge il lievito che scompare e fermenta. E’ un tempo che non capiamo, ma è foriero di cose grandi. L’amore materno di Dio è tanto forte da renderlo debole, tanto sapiente da renderlo stolto, fino a dare la vita per noi (“fu crocifisso per la sua debolezza”). Dio agisce sempre in noi. Non mi vedrete affatto,  ma al canto della risurrezione: benedetto colui che viene nel nome del Signore, sarò evidente per tutti.

29 Ottobre 2020
+Domenico

Gesù sceglie i suoi annunciatori dopo una intensa preghiera

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 6, 12-19)

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Ti capita qualche volta di dover fare delle scelte difficili, soprattutto quando hai bisogno di collaboratori, di amici che condividono con te parte della vita o una missione. Spesso vuoi affidare incarichi delicati, devi scegliere gli educatori dei tuoi figli o i compagni di una attività, i membri di una compagnia, i lavoratori di una azienda, i componenti di una cooperativa … allora ci mettiamo a prendere informazioni, a fare ricerche, a leggere attentamente i curriculum, a fare rassegne e concorsi …

Ecco, anche Gesù aveva da scegliere un gruppo di uomini decisi a tutto, a fare da nucleo di predicatori del Vangelo, della bella notizia. E che ha fatto? Si è messo in orazione tutta notte. Si è messo in dialogo col Padre, in contemplazione della profondità dell’amore che sgorga dal cuore della Trinità per leggere in essa le vite di questi dodici uomini, le loro libertà, i loro sogni, i desideri di spendersi per gli altri.

Immagino la preghiera per Pietro, per tutti i suoi slanci e le sue debolezze, la preghiera per Giovanni, il ragazzo entusiasta e fragile, deciso e bisognoso di cura, di sostegno, di fiducia come tutti i giovani; penso alla decisione di assumersi il rischio di scegliere Giuda: lo vedeva entusiasta per una causa, lo sapeva legato a una visione di mondo violento, ma ha voluto rischiare nel dialogo profondo con Dio di puntare sulla sua libertà.

Così ha scelto anche gli apostoli Simone e Giuda, che oggi ricordiamo. Nel martirologio romano si legge il 28 ottobre “In Persia il natale dei beati Apostoli Simone Cananeo e Taddeo detto anche Giuda. Di essi Simone predicò il Vangelo nell’Egitto, Taddeo nella Mesopotamia, poi, entrati insieme nella Persia, avendovi convertito a Cristo una innumerevole moltitudine di quel popolo, compirono il martirio”.

Tutti gli apostoli li ha scelti, ma non li ha forzati: li ha amati in Dio Padre e non li ha plagiati. Ciascuno ha presentato a Gesù la sua vita aperta al suo messaggio e nella propria libertà ha risposto.

Con questa squadra si è messo subito all’opera, li ha coinvolti nella sua avventura, ha voluto aver bisogno di loro e ha affidato nelle loro mani il tesoro del suo corpo e del suo sangue, il futuro del suo messaggio: lo Spirito Santo li avrebbe giorno dopo giorno forgiati e temprati, avrebbe delineato in loro i tratti stessi di Gesù.

Tutti noi siamo chiamati così da Dio, nessun cristiano è “generico”; non siamo nel mondo a caso, ma soprattutto non siamo cristiani a caso: siamo sempre oggetto di una scelta personale di  Gesù.

Per noi c’è un piano suo, una vocazione, una vita da vivere in un certo modo: lui ci ha pensati per la nostra missione in una notte di preghiera, sempre, con quel Dio che non ci abbandona mai.

Ogni annunciatore del Vangelo è stato e viene scelto così: abbiamo fatto parte tutti delle preghiere di Gesù.

Non voi avete scelto me, ma Io ho scelto voi.

28 Ottobre 2020
+Domenico

Il regno di Dio è sempre sotto il segno della povertà

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 13, 18-21)

In quel tempo, diceva Gesù: «A che cosa è simile il regno di Dio, e a che cosa lo posso paragonare? È simile a un granello di senape, che un uomo prese e gettò nel suo giardino; crebbe, divenne un albero e gli uccelli del cielo vennero a fare il nido fra i suoi rami».
E disse ancora: «A che cosa posso paragonare il regno di Dio? È simile al lievito, che una donna prese e mescolò in tre misure di farina, finché non fu tutta lievitata».

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La nostra mentalità moderna punta molto allo spettacolare, al grandioso, punta molto sulle manifestazioni di potenza e spesso cancella le piccole tracce di umanità e di bontà che sempre resistono nella vita delle persone: si vorrebbe che il bene trionfasse con i criteri dei mass media, si pretende di fotografare ogni attimo della vita per mandarlo in diretta, si crede che si esiste solo se ci si può far vedere.

Invece il mondo non va avanti così: la vita degli uomini è frutto dell’apporto di ogni vita umana, semplice, dedicata; è collocata dentro un tessuto di amore che non ha bisogno di apparire per essere vero, anzi esige interiorità, silenzio, umiltà.

Il regno di Dio, proprio quel progetto profondo di vita vera che deve pulsare nel mondo, è di questo tipo: è un granello di senape, una manciata di lievito … è sempre “fallimentare”, ha una apparenza trascurabile e insignificante, quasi invisibile.

Agisce nell’irrilevanza religiosa e politica: non si impone per la maestosità o grandezza della sua consistenza, ma per la forza interiore regalata da Dio, che nessuno può vincere.

Il sogno di Dio sull’umanità si realizza nella debolezza e nella disponibilità alla volontà di Dio.

Le nostre megalomanie sono un ostacolo al Regno di Dio. La nostra frenesia di potere non è imparentata con l’avvento del Regno di Dio. Il chiasso, l’esposizione sulla scena che conta, gli apparati non sono parte del regno di Dio, ne sono spesso un intralcio.

Il lievito tende a scomparire per fermentare tutta la pasta, il granello di semente muore per dar vita a qualcosa di impensabil.

Dio opera soprattutto entro la nostra inconsistenza: La fionda del ragazzetto Davide, portava solo un sasso e il gigante si è schiantato a terra.

Gesù era un uomo buono senza legioni, è stato ucciso come un delinquente: la sua estrema debolezza di fronte al potere è stata la sua forza, perché si gettato nelle braccia del Padre.

Lo sparuto gruppo di apostoli, dispersi e perseguitati, cacciati e sopraffatti, è diventato il seme di un nuovo mondo: la stessa Chiesa ha conosciuto la massima sua diffusione per il sangue dei martiri, degli sconfitti.

E’ più regno di Dio il costruirsi giorno dopo giorno che il dispiegamento di una organizzazione. Nella storia, quando la Chiesa si è appoggiata sul potere è sempre stata meno credibile, ha sempre perso. 

Dio opera così: in questo modo ci costringe … si costringe a Lui, a non lasciarci mai soli, a non abbandonarci mai.

27 Ottobre 2020
+Domenico

Ogni uomo incurvato può raddrizzarsi nel suo vivere

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 13, 10-17)

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C’è sempre qualcuno che vuol salvare Dio con le sue intransigenze, quasi che Dio abbia bisogno di Lui per esistere o per operare nel mondo. Capita così che qualcuno inventa una guerra in nome di Dio, sancisce condanne di persone in nome di Lui, perpetra torture, fa leggi che tolgono la libertà e la dignità alle persone, mantiene nella sofferenza anziché offrire gioia e libertà. Certo è difficile riuscire a far maturare la propria coscienza e quella dell’umanità che oscilla sempre tra la negazione di Dio e l’assolutizzazione dell’idea che noi abbiamo di Lui.

Oggi nel nostro occidente è più facile vedere una esclusione di Dio dalla vita, mentre in Oriente sembra che prevalga il talebanesimo, cioè una imposizione su tutti di una irrazionalità assoluta nei riguardi delle esperienze religiose.

Il responsabile del culto che ha incontrato Gesù quel giorno nella sinagoga era di questo secondo tipo. Gesù ha davanti a sé una donna piegata da un male, che da troppo tempo la teneva nell’infelicità, di sabato la guarisce e la restituisce alla gioia di vivere.

Il sabato è un giorno sacro, dice il capo della sinagoga; la sinagoga non è un ambulatorio, non è di sicuro il luogo in cui si può andare contro la legge di Dio. Ma tu Gesù che tanto tieni a che il nome di Dio sia lodato e benedetto, tu che vedi quanto la gente si stia allontanando da Dio, anche tu vieni a mescolare il profano col sacro, vieni a far crescere la magia, a far correre la gente in sinagoga a trasformare la religione in un placebo per disperati. Dio va lodato e benedetto, non servito con medicine e chirurgie.

Il centro del fatto avvenuto e raccontato dal Vangelo; sei stata slegata dalla tua infermità è la constatazione di quanto Gesù ha già compiuto nella nostra storia. Il miracolo già avvenuto è semplicemente dichiarato. L’annuncio ne fa prendere coscienza e permette a noi uomini e donne ancora curvati di raddrizzarci, se accogliamo l’annuncio di fede. Quello che Gesù  vuol far capire guarendo questa donna, ammalata da 18 anni, è di tenere in grande dignità e considerazione la vita umana. Non ci può essere contrasto tra la vita e la legge di Dio, non ci può essere subordinazione della persona  alla legge, né contrapposizione tra  i precetti e la sete di felicità vera che ha l’uomo. Sarà Lui con la sua morte in croce a rimettere al centro della vita dell’uomo la vera libertà e il vero culto a Dio: comunione con Lui e solidarietà con i fratelli.

26 Ottobre 2020
+Domenico

La vita cristiana: né fuga, né prigione, ma trasparenza

Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 22, 34-40)

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Ci sono dei periodi nella vita in cui le uniche cose che ti interessano sono quelle concrete, quelle che vedi, che tocchi, che possiedi. Rischi di farti ingoiare dal fare, dalle cose, dal denaro, dalle realizzazioni. Tutto quello che ha senso nella vita è qui dentro ben percepibile, palpabile. È immanente.

In altri periodi invece hai bisogno di aria fresca, di poesia: hai sete di cose che non finiscono, di spiritualità; vedi fino all’evidenza che il senso non sta nelle cose, che quattro soldi non possono decidere tutto, che la tua vita è portata sulle mani di qualcuno che sta oltre. Hai bisogno di un trascendente. O ti schiacci su un orizzonte o ti astrai in una fuga.

Era anche questa la domanda che la gente faceva a Gesù: “Tu che te ne intendi, che dici parole che vanno dritte al cuore, ci aiuti a trovare la strada vera della vita? Siamo condannati a restare divisi in cerca di fragili equilibri che non ci lasciano mai soddisfatti o ci puoi indicare la strada vera della vita? Sono le cose che ci misurano o è possibile una fuga consolatoria?”

E Gesù: “amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente… Amerai il prossimo tuo come te stesso. Se hanno un senso le vostre tradizioni, se ha un senso quella legge che tanto venerate, se ha un significato per noi quanto ci hanno detto i Profeti è solo perché vi dicono questo.”

Né trascendenza, né immanenza, ma trasparenza.

A Dio devi giungere, ma lo incontri se passi dall’uomo! L’uomo devi servire, ma non ti puoi fermare, lui è trasparenza di Dio, immagine, continuo rimando a lui. L’uomo vivente è gloria di Dio e vita dell’uomo è la visione di Dio, diceva S. Ireneo.

È un modo originale di pensare Dio, di pensare la vita, di vivere atteggiamenti religiosi. Nel cristianesimo non c’è spazio per la fuga dalla vita né timore di restarne imprigionati, c’è sempre una trasparenza da guadagnare, un Dio da incontrare nell’uomo e un uomo da vedere in filigrana in Dio. Per questo il segreto della vita è l’amore, l’azione più alta in cui possiamo identificarci, sicuri che se è vero amore non è né una fuga, né una prigione ma la vita stessa di Dio, che ogni persona può sperimentare già oggi.

25 Ottobre 2020
+Domenico

La conversione: cambiare testa e cuore

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 13, 1-9)

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Non ci vuole molto a vedere che la nostra vita è piena di errori, di carognate, di sbagli, di cattiverie gratuite. Siamo sicuramente anche capaci di bontà: compiamo gesti puliti e sinceri di amore e di dedizione, ma nessuno ci esime dal dover fare spesso i conti con il male.

Sembra quasi più grande di noi: ci siamo applicati spesso ad estirpare le malvagità, ci siamo anche allenati ad avere buona educazione, a frenare le passioni, a mantenere un equilibrio, ma torniamo spesso ai nostri vizi, i nostri peccati si sono “inveterati” in noi.

Se poi guardiamo la storia del mondo, la storia che ci ha preceduto, ma anche il cumulo di male che stiamo compiendo oggi con guerre, terrorismi, ingiustizie, imbrogli, sopraffazioni, infedeltà… non possiamo negare che le prospettive di un futuro di bontà e di pace si stanno sempre più allontanando.

C’è, ad onor del vero, lo sforzo di tante persone che pagano con la loro stessa vita per dare al mondo una prospettiva diversa, ma il male non sembra avere fine.

C’è una frase Gesù che nel Vangelo ci ripete: “Se non vi convertirete, morirete tutti allo stesso modo”. Mette in relazione conversione e vita, adattamento al male e morte.

Non si può certo pensare di risolvere il mistero del dolore credendo che tutto il male che c’è è un castigo di Dio per i nostri comportamenti malvagi. E il dolore innocente? E le sofferenze di tanti bambini?

Proprio per questa “applicazione automatica” tra disgrazia che capita e colpa che l’ha meritata, Gesù richiama alla conversione, a cambiare vita: “Voi credete che mio Padre stia a tendervi un agguato per sorprendervi quando sbagliate e punirvi? Credete che Dio, mio Padre, sia un freddo calcolatore di meriti e colpe e che sta a far pareggiare i conti: tanto hai sballato, tanto devi pagare?” Saremmo proprio fuori di testa.

Convertirsi è cambiare testa, modi di pensare, è uscire dalla logica di un dio “commerciante” che ci siamo costruiti a nostra immagine e somiglianza; è prima di tutto sentirsi sempre tra le braccia di un Padre.

Lui, che ti vede non combinare niente di buono, che sa di quanti doni ti ha caricato, che conosce il valore della tua umanità; Lui che dandoti la vita ti ha fatto poco meno degli angeli, di gloria e di onore ti ha coronato – come dice il salmo 8 – Lui che ci vede impigriti in continui errori, Lui che fa, che dice?

“E’ una vita che ti sto dietro, che sto ad aspettare ogni minimo cenno di bontà, ma non riesco a percepire niente…. Vuoi che ti lasci al tuo destino?! Neanche a parlarne! Non c’è nessun destino, ma solo libera scelta”.

L’Incarnazione di Dio in Gesù è una scommessa sulla libertà degli uomini: ha scommesso sulla libertà di Maria di accettare di diventare la mamma di Gesù, sulla libertà di Giuseppe di caricarsi di un figlio non suo, sulla libertà di tutti coloro che lo hanno seguito di fidarsi di un regno che a mano a mano che si avvicinava la pasqua diventava una disfatta.

Ha pazientato infinitamente con gli apostoli, non ha loro tolto la fatica del decidersi per il Regno di Dio. Tutte le persone che sono state travolte dalla sua parola ora dura, ora consolante non sono stati ammaliati, hanno dovuto decidersi, giocare in libertà piena, non costretti da eventi favolosi o da irretimenti sottili. Sì! Gesù invita a convertirsi, ma, vedete, lui dice così perché è un carattere deciso, per noi poi nella vita si trova sempre un modo di comportarsi che “accontenta tutti”: abbiamo l’arte di avvolgere nella melassa tutta la radicalità del vangelo.

Convertirsi è esaltare l’uso della nostra libertà a confronto con la persona di Gesù. Contro questa nostra libertà Dio non può andare e se qualcuno nella sua cattiveria ci toglie ogni libertà perché decide di toglierci la vita, come tanto spesso capita nel nostro mondo violento, Lui ce la ridona in pienezza.

E Dio si paragona al contadino, non più al padrone: si fa uno di noi in Gesù e consuma la sua vita a zappare e mettere concime attorno a questa nostra esistenza inaridita. La mette in condizione di giocarsi in pienezza e libertà. Conversione è sentire su di noi queste cure, questo amore che ci toglie dalla nostra sterilità.

Il rumore dei colpi insistenti, cadenzati, ostinati del contadino che zappa attorno alla nostra vita è musica e ritmo della nostra conversione.

24 Ottobre 2020
+Domenico

Non solo previsioni, ma speranze

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 12, 54-59)

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Dove stiamo andando, che direzione prende la nostra vita, i giovani che futuro potranno godere, che cosa capiterà nei prossimi anni al nostro modo di vivere? Sono domande che ogni tanto mettono ansia a un papà e a una mamma di famiglia che pensa ai suoi figli, o a qualsiasi persona che vuol sentirsi responsabile della sua vita.

Se guardiamo indietro agli anni che ci hanno preceduto e li confrontiamo con l’oggi registriamo cambiamenti impensabili del nostro modo di vivere. Penso alla rivoluzione nelle comunicazioni, nel lavoro, nella vita di famiglia, nella immigrazione. E siamo spesso impreparati ad affrontare i problemi. Gesù nel vangelo ci dice che dobbiamo scrutare con più attenzione i segni dei tempi. Purtroppo, dice,  tutta la vostra intelligenza la mettete nel fare previsioni. Utili anche quelle. Avessimo potuto prevenire gli tsunami o i terremoti! Potessimo prevedere le bombe d’acqua, le inondazioni, gli incendi devastanti e implacabili  

C’è anche da avere una capacità di cogliere la presenza di Dio nella storia e i segnali di conversione che ci manda. Il futuro non sta nelle previsioni, ma nella speranza e occorre soprattutto in questi tempi leggere i segni di speranza che nascono nel mondo per accoglierli, svilupparli, orientare il mondo alla sua naturale direzione che è il Regno di Dio. Anche la pandemia ci costringe a cambiare progetti, previsioni anche accurate. Il Concilio Ecumenico vaticano II ci aveva aiutati a questo esercizio di lettura dei segni dei tempi, dei luoghi, cioè, in cui si manifesta maggiormente la presenza di Dio, la sua storia di salvezza. Sono indicazioni di apertura a nuovi fatti che caratterizzano il cammino della nostra storia e in essi il cristiano deve seminare la Parola di Dio, li deve orientare nella direzione giusta.

Esistono oggi tanti segni di speranza che vanno sviluppati: la valorizzazione della persona concreta, l’apprezzare le differenze, l’originalità, il pluralismo, la tol­leranza, il crescente e diffuso interesse per la creatività, il simbolo, i riti, la dimensione estetica del­la vita; la particolare e generalizzata sensibilità al­la festa e al­la componente ludica del vivere umano; l’attenzione al­la vita quotidiana, intesa come spazio minimo vitale che consente al­le persone di costruire concretamente la propria esistenza; la nuova sensibilità verso la pace, una certa nostalgia del sacro…

Non c’è che da farsi prendere da questa speranza che sale dalla vita.

23 Ottobre 2020
+Domenico

Avere l’ardore del fuoco

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 12, 49-53)

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C’è un modello di vita, oggi imperante, che è quello di accontentarsi dell’acqua tiepida: né calda, né fredda. Ha il sopravvento – insomma – la mediocrità, l’adattamento al ribasso, la comodità del proprio status, il non muovere niente “perché si è sempre fatto così”.

La vita in questo modo viene a mancare di grinta, di nerbo, di appello alla generosità, al dono, alla radicalità … e Gesù conosce queste tentazioni della nostra umanità, ma non vuole così i suoi discepoli!

“Sono venuto a portare un fuoco sulla terra” … è stato il grido del vecchio papa Giovanni Paolo II, mutuato da una donna fragile nel corpo, ma ardente nello spirito, Caterina da Siena,  davanti ai due milioni di giovani nel 2000: “Se metterete fuoco sulla terra…”

Essere cristiani deve avere l’ardore del fuoco!

Nel petto dei due discepoli di Emmaus il giorno di Pasqua, di fronte alle parole appassionate del finto pellegrino, sotto le cui sembianze si era fatto vedere Gesù, ardeva il cuore, era incontenibile la gioia e la passione.

A San Filippo Neri si erano deformate le costole per l’ardore d’amore verso Gesù Cristo che spingeva il suo cuore a dilatarsi.

Un fuoco che brucia il male, che toglie di mezzo le sterpaglie della vita, che purifica come in un crogiolo i nostri pensieri, che dà calore alla vita contro il freddo calcolo dell’egoismo: deve così diventare la vita cristiana!

Certo non è questa l’immagine più normale delle nostre comunità cristiane, delle nostre parrocchie, di tanti fedeli che “mal sopportano” di dover partecipare alla messa domenicale! Non è questa l’immagine anche di noi tutti che prima di compiere un passo decisivo nella conversione moriamo di calcoli, di se e di ma.

La fede ha la forza di un fuoco, il suo calore e la sua luce, trova nel Signore l’alimento, nella contemplazione di Lui la sorgente! Il fuoco può far male, perché costringe a concentrarsi sull’essenziale, perché ci stana dai nostri nascondigli, ci priva di inutili appoggi, ci purifica.

Gesù nella sua vita è stato questo fuoco: nella sua peregrinazione per le strade della Palestina, si accorge che non riesce a smuovere niente, ha di fronte un muro di gomma che respinge ogni desiderio di cambiamento ed esclama “come vorrei che questo fuoco fosse già acceso!”

E’ la testimonianza della sua passione incontenibile per il Regno e per la salvezza di tutti noi uomini e donne: per Gesù tutto deve essere orientato alla volontà del Padre, che è la nostra vita piena, per ottenerci la quale non ci abbandona mai.

Ora comprendiamo perché Gesù ci ha detto di non temere o preoccuparci: Egli stesso il Figlio è venuto a visitarci da parte del Padre in ogni nostra angoscia, perché noi potessimo esserne sempre liberi.

22 Ottobre 2020
+Domenico