Anziché vivere di speranza vogliamo sempre certezze

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 11, 29-32)

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Più uno si guarda allo specchio, meno vede gli altri; più si è autocentrati, meno ci accorgiamo delle belle cose che abbiamo attorno: delle persone, delle natura, delle occasioni, dei fatti decisivi per la vita. Più stringiamo l’orizzonte su di noi, meno ci accorgiamo di quello che di importante capita proprio tra di noi. Sicumera, la si chiama questo atteggiamento di sentirci l’ombelico della terra, di aver risolto tutto perché noi siamo bravi, di sentirci autosufficienti e autoreferenziali: tutto ci è dovuto, tutto è scontato, tutto è scolorito.

Erano così anche gli abitanti della Palestina al tempo di Cristo, i suoi stessi compaesani, gli uomini del potere e della religione: nel loro tessuto di relazioni c’era Gesù, ma non si accorgevano; Lui diceva di sé e del Regno di Dio, ma non gli credevano. Molta gente veniva da ogni parte per ascoltarlo e loro lo davano per scontato … anzi, volevano una prova ogni giorno. Non bastavano le sue parole, i segni della sua forza e della sua bontà, i ciechi che tornavano a vedere, i disperati cui rinasceva la fiducia nella vita, gli indemoniati che provavano la gioia insperata della liberazione dallo spossessamento; volevano segni straordinari, eclatanti, inequivocabili. Il giorno dopo ne avrebbero voluto un altro ancora più strepitoso.

Non è forse questa una fotografia della nostra vita?

Nel nostro tessuto di relazioni c’è Gesù, ma non ci accorgiamo; viene a bussare alle porte delle nostre case, ma non lo identifichiamo; lo accogliamo nelle nostre opere di carità, ma non lo riconosciamo. Facciamo tante opere di bene, ma senza anima. E’ un dovere, forse solo una specializzazione, spesso una abitudine.

Lui ci continua a dire di sé e del regno di Dio, ce ne fa vedere i segni, si sbilancia dalla parte della debolezza, come certezza della sua presenza, ma noi non gli crediamo, non siamo disposti a scommettere: abbiamo perso l’occhio limpido di chi lo intuisce e indica a tutti la strada per incontrarlo.

Molti vorrebbero che noi glielo facessimo incontrare, ma noi continuiamo a nasconderlo sotto un cumulo di preoccupazioni morali: invece di essere “sentinelle del regno di Dio”, siamo registratori di comportamenti.

Noi vogliamo un segno ogni giorno, noi chiediamo sempre conferme, noi non sappiamo accettare l’invito al cambiamento radicale, perché anziché vivere si, di speranza, vogliamo certezze.

Il segno di sua natura è un rimando a un’altra realtà, come il fumo al fuoco, il cartello stradale al paese o alla città che indica. Giunti là dove indica cessa la sua funzione questo segnale, ci ha messo nella realtà che cercavamo. E noi che facciamo? Siamo proprio come quelli che cercano la luna: un dito gliela indica e noi ci fermiamo a guardare il dito. Ci ammaliamo di segni perché non vogliamo aprire gli occhi, il cuore, la mente sulla realtà.

I contemporanei di Gesù, e lo siamo sempre anche noi da quando Gesù è risorto, non volevano cambiare: stavano troppo comodi nella loro routine quotidiana. Se avessero creduto a Gesù avrebbero dovuto cambiare alla grande, il loro potere sarebbe stato messo in difficoltà.

Molta gente ci invidia la nostra fede cristiana, molti cercano la verità, vorrebbero poter dialogare con il Dio di Gesù Cristo, se avessero a disposizione il Vangelo sarebbero felici. Il mondo nel quale viviamo lo butta, la religione la si sopporta, ci siamo abituati al Vangelo, come al colore delle pareti e le abbiamo perfino scolorite; il nostro modo di credere ha perso nerbo. Forse anche noi vorremmo dei miracoli, per essere confermati, ma il miracolo vero è sempre e solo Gesù, il risorto, colui per il quale i martiri di ieri e di oggi hanno testimoniato con la vita. Desiderare il miracolo significa non aver fiducia, non essere disposti a cambiare, non aver capito che il segno di Dio sono i poveri di cui riempie le nostre case, i nostri colloqui.

Siamo sempre attorniati da questi segni, finché le nostre case, gli episcopi, le canoniche, sono piene di poveracci, di schizofrenici che nessuno vuole, significa che il Signore ci sta dando privilegi per il Regno di Dio, sono i nostri tesori, sono la miglior preparazione all’esame della vita, che tutti faremo davanti a Gesù: avevo fame, non mi guardava nessuno, ho bussato a tutte le porte, ma non mi avete mai riconosciuto e io vi avevo dato occhi grandi per vedermi, e li tenete sempre dietro occhiali impenetrabili per voi e per gli altri.

12 Ottobre 2020
+Domenico

Autore: +Domenico

Domenico Sigalini (Dello, 7 giugno 1942) è un vescovo e giornalista italiano, Vescovo emerito della sede suburbicaria di Palestrina. Una Biografia più esaustiva è disponibile su Cathopedia all'indirizzo https://it.cathopedia.org/wiki/Domenico_Sigalini

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