Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 22,15-21)
Ci domandiamo spesso in questi tempi che funzione ha la religione nella vita dell’uomo: per qualcuno è una debolezza della capacità di ragionare, per altri è una sensazione insopprimibile cui dare un volto; per molti è una abitudine sociale creata ad arte per attutire le passioni; per molti invece è ancora una dimensione della vita con una sua dignità.
Forse oggi un certo “positivismo materialista”, che non ritiene degno dell’uomo accettare quello che non si può dimostrare, quello che non è falsificabile si dice per chi se ne intende, questo lascia spazio a una ricerca meno ideologica, intellettualmente onesta e umanamente sensata.
Una domanda ineludibile però è: come gioca la scelta di una fede con la vita di uno stato, con le leggi di una nazione? Era forse una domanda sopita, perché troppo sbrigativamente si era liquidata la religione come un rimasuglio di ignoranza e la si era relegata a faccenda del tutto privata … al massimo poteva essere vista solo come funzionale all’ordine costituito e per questo ancora più snaturata.
Oggi invece è una domanda attuale per le altre religioni che si affacciano sulla nostra Europa con tutte queste emigrazioni non facilmente ospitabili.
A Gesù un giorno sono proprio andati a chiedere: ma che c’entra la religione con le nostre leggi? Che dici di questa schiavitù cui ci sottomettono i romani? Continui a predicare belle cose, ma alla prova dei fatti o si è talebani o la religione è un soprammobile, o serve a far la guerra a chi ci toglie libertà, o ci aiuta a liquidare i terroristi, oppure che ci sta a fare?
Usano una moneta per riassumere la diatriba e l’inganno: “È lecito pagare il tributo a Cesare?” E Gesù: dopo aver coinvolto chi gli domandava nel farsi dire di chi era l’effigie stampata sulla moneta, riconoscendola tutti come l’effigie dell’imperatore romano disse: date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio.
Riconosce Gesù che ci sono i diritti dello Stato, e quando lo Stato rimane nel suo ambito i suoi diritti diventano doveri di coscienza anche per il credente, e non occorre che lo Stato sia governato da cristiani per far scattare l’obbligo.
I cristiani non giocano nello Stato, ma lo servono: non ci sono mai scuse per chi non paga le tasse o ruba allo stato … ma lo Stato non può arrogarsi i diritti che competono a Dio, non può assorbire tutto l’uomo, non può sostituirsi alla coscienza, che ha il diritto di essere riconosciuta al di sopra delle leggi.
Se lo stato come è giusto fa delle leggi, non è detto che siano sempre vere e buone e il credente le osserva in base alla sua coscienza: non per niente c’è l’obiezione di coscienza.
Se lo stato ammette l’aborto, il cristiano deve poter sempre non farlo, così se ammette l’eutanasia. Spesso lo Stato, meglio ancora la finanza, diventa l’assoluto, crede di essere una vecchia religione onnicomprensiva e si crea i suoi talebani.
La radice della libertà di coscienza è il riconoscimento del primato di Dio.
18 Ottobre 2020
+Domenico