Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 13, 1-9)
Non ci vuole molto a vedere che la nostra vita è piena di errori, di carognate, di sbagli, di cattiverie gratuite. Siamo sicuramente anche capaci di bontà: compiamo gesti puliti e sinceri di amore e di dedizione, ma nessuno ci esime dal dover fare spesso i conti con il male.
Sembra quasi più grande di noi: ci siamo applicati spesso ad estirpare le malvagità, ci siamo anche allenati ad avere buona educazione, a frenare le passioni, a mantenere un equilibrio, ma torniamo spesso ai nostri vizi, i nostri peccati si sono “inveterati” in noi.
Se poi guardiamo la storia del mondo, la storia che ci ha preceduto, ma anche il cumulo di male che stiamo compiendo oggi con guerre, terrorismi, ingiustizie, imbrogli, sopraffazioni, infedeltà… non possiamo negare che le prospettive di un futuro di bontà e di pace si stanno sempre più allontanando.
C’è, ad onor del vero, lo sforzo di tante persone che pagano con la loro stessa vita per dare al mondo una prospettiva diversa, ma il male non sembra avere fine.
C’è una frase Gesù che nel Vangelo ci ripete: “Se non vi convertirete, morirete tutti allo stesso modo”. Mette in relazione conversione e vita, adattamento al male e morte.
Non si può certo pensare di risolvere il mistero del dolore credendo che tutto il male che c’è è un castigo di Dio per i nostri comportamenti malvagi. E il dolore innocente? E le sofferenze di tanti bambini?
Proprio per questa “applicazione automatica” tra disgrazia che capita e colpa che l’ha meritata, Gesù richiama alla conversione, a cambiare vita: “Voi credete che mio Padre stia a tendervi un agguato per sorprendervi quando sbagliate e punirvi? Credete che Dio, mio Padre, sia un freddo calcolatore di meriti e colpe e che sta a far pareggiare i conti: tanto hai sballato, tanto devi pagare?” Saremmo proprio fuori di testa.
Convertirsi è cambiare testa, modi di pensare, è uscire dalla logica di un dio “commerciante” che ci siamo costruiti a nostra immagine e somiglianza; è prima di tutto sentirsi sempre tra le braccia di un Padre.
Lui, che ti vede non combinare niente di buono, che sa di quanti doni ti ha caricato, che conosce il valore della tua umanità; Lui che dandoti la vita ti ha fatto poco meno degli angeli, di gloria e di onore ti ha coronato – come dice il salmo 8 – Lui che ci vede impigriti in continui errori, Lui che fa, che dice?
“E’ una vita che ti sto dietro, che sto ad aspettare ogni minimo cenno di bontà, ma non riesco a percepire niente…. Vuoi che ti lasci al tuo destino?! Neanche a parlarne! Non c’è nessun destino, ma solo libera scelta”.
L’Incarnazione di Dio in Gesù è una scommessa sulla libertà degli uomini: ha scommesso sulla libertà di Maria di accettare di diventare la mamma di Gesù, sulla libertà di Giuseppe di caricarsi di un figlio non suo, sulla libertà di tutti coloro che lo hanno seguito di fidarsi di un regno che a mano a mano che si avvicinava la pasqua diventava una disfatta.
Ha pazientato infinitamente con gli apostoli, non ha loro tolto la fatica del decidersi per il Regno di Dio. Tutte le persone che sono state travolte dalla sua parola ora dura, ora consolante non sono stati ammaliati, hanno dovuto decidersi, giocare in libertà piena, non costretti da eventi favolosi o da irretimenti sottili. Sì! Gesù invita a convertirsi, ma, vedete, lui dice così perché è un carattere deciso, per noi poi nella vita si trova sempre un modo di comportarsi che “accontenta tutti”: abbiamo l’arte di avvolgere nella melassa tutta la radicalità del vangelo.
Convertirsi è esaltare l’uso della nostra libertà a confronto con la persona di Gesù. Contro questa nostra libertà Dio non può andare e se qualcuno nella sua cattiveria ci toglie ogni libertà perché decide di toglierci la vita, come tanto spesso capita nel nostro mondo violento, Lui ce la ridona in pienezza.
E Dio si paragona al contadino, non più al padrone: si fa uno di noi in Gesù e consuma la sua vita a zappare e mettere concime attorno a questa nostra esistenza inaridita. La mette in condizione di giocarsi in pienezza e libertà. Conversione è sentire su di noi queste cure, questo amore che ci toglie dalla nostra sterilità.
Il rumore dei colpi insistenti, cadenzati, ostinati del contadino che zappa attorno alla nostra vita è musica e ritmo della nostra conversione.
24 Ottobre 2020
+Domenico