Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 14, 25-27) dal Vangelo del giorno (Lc 14, 25-27)
In quel tempo, una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro:
«Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo».
Una vita riuscita sta nelle scelte di mezzo tra lo slancio entusiasta del giovane e la ponderatezza eccessiva dell’adulto? Si deve preoccupare di più delle sensibilità, delle reazioni, dei malumori da non esasperare, per cui si prefigge di accontentare tutti, non tanto della bellezza della vita? Oppure sta in scelte decise, radicali, senza mezze misure, sbilanciate da una qualche parte e quindi provocatorie, non convenzionali e attendiste?
Fatta salva la classica prudenza e il rispetto di tutti, soprattutto dei più deboli, esclusa ogni forma di giudizio, la vita cristiana che è sempre vita di un uomo riuscito e pienamente realizzato nella sua vera dignità umana, secondo il Vangelo, non sta nelle scelte di mezzo, nell’acqua tiepida, né fredda, né calda (vomitevole direbbe l’Apocalisse), ma nella decisione anche provocatoria di dedicarsi senza riserve al Regno di Dio, di sbilanciarsi dalla parte della giustizia e delle esigenze profonde di verità e libertà da tutti i condizionamenti del galateo.
Per questo Gesù non teme di offendere i sentimenti tenui e dice: “chi non odia padre, madre, fratelli e sorelle, chi non si butta senza rete di protezione non può essere mio discepolo; chi non osa abbracciare la sua croce, il suo supplizio, la sua sofferenza, il suo dolore non è degno di stare dalla parte del Vangelo”.
Non si tratta di odio, tomba dell’amore, ma di assoluto primo posto di Dio nella vita di ogni credente, di precedenza assoluta dell’amore su ogni legame o calcolo, di centralità di Dio in ogni vita e convivenza umana.
Non vogliamo essere nè “talebani” ne fondamentalisti, ma di aver chiaro che la fede cristiana ha in sé la forza di ridare significato profondo a tutta la vita, di ridire la sua vera dignità, di essere atto intellettualmente onesto, laicamente dignitoso e umanamente capace di dare senso all’intera esistenza personale e del mondo.
La fede in Gesù ha una sua dignità di razionalità che sta alla pari di ogni ricerca umana, non teme alcun giudizio, né si colloca nell’irrazionale.
Essere cristiani è stare dalla parte del Vangelo, dalla parte del fuoco che Gesù viene a portare sulla terra e che desidera ardentemente che si accenda e porti calore al povero e sostegno al debole.
Il cristiano è “uomo di parte”, non perché fonda un partito, ma perché sceglie di stare sulla croce come Gesù, di stare dalla parte della bontà contro la malvagità: non avrà mai vita facile quindi, ma vita felice e beata.
La vita cristiana non è un atto eroico che si consuma all’istante, non è un sollevamento pesi, è un peso da trasportare: esige pazienza e resistenza al grigiore e al tran tran della vita quotidiana; è anche un peso leggero dirà Gesù, che si fa sempre più portabile, perché Gesù stesso ne ha già portato il peso impossibile al Calvario e la nostra croce se la appoggia alla sua e ci dà la forza necessaria per trasportarla.
4 Novembre 2020
+Domenico