S. Silvestro: la notte per seminare, ancora e sempre, speranza

Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 1, 1-18)

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Ogni giorno abbiamo … bisogno di riti per capire chi siamo, per capire che esistiamo, che il tempo passa, che la vita ha un senso: è un rito il “bacetto” prima di uscire di casa, è un rito la preghiera, lo è la telefonata o l’sms, il mazzo di fiori, il buon giorno anche se detto qualche volta tra i denti … è un rito il regalo di Natale anche se rischia di essere un ricatto o un legaccio.

Oggi, che è l’ultimo giorno dell’anno, è sempre stato un rito lo scatenarsi dei botti, dei brindisi, del lancio degli oggetti vecchi, della cena con gli amici, del cambio del calendario: è il tempo che passa inesorabile e forse si fa baldoria perché noi adulti che lo vediamo fuggire vorremmo fermarlo e i giovani vorrebbero scavalcarlo perché non vedono l’ora di essere autosufficienti e padroni della propria vita.

Il Vangelo invece per farci capire dove siamo e che cosa significa il passare del tempo ci rimanda al principio anziché alla fine, ci ricorda che all’inizio di tutto c’era la Parola: Non esisteva nulla, c’era il caos forse, esisteva solo Dio nella sua definizione fondamentale: comunicatore.

Dio era ed è Parola, uno che fa consistere il suo essere nel comunicarsi, nel farsi dono, nel proiettarsi verso, nel far essere: il tempo è cominciato proprio lì, dalla sua volontà di far essere l’uomo per dialogare con una libertà.

Proprio per portare questo dialogo alla sua massima possibilità, questo Dio Parola, questo Dio comunicativo, che ha fatto? Si è fatto uomo, si è dato una vita tra noi per aumentare al massimo il dialogo.

La comunicazione tra due persone è al massimo, quanto più grande è quello che si ha in comune: Dio ci ha regalato in Gesù di aver in comune la vita intera.

E noi ci avviamo a chiudere il 2020, un anno che è stato pieno di crisi e di fatiche, segnato da questa pandemia che già covavamo senza saperlo prima della fine dell’anno passato.

Non siamo ancora in grado di fare sintesi, perché se un anno finisce e se ne può fare un riassunto, la pandemia non finisce ci accompagna anche dopo questa notte di san Silvestro, che – giustamente – non possiamo vivere come tutte le altre, come abbiamo fatto negli anni passati.

Possiamo sempre fare un bilancio, per renderci conto di tanti doni e di tante prove, di tutte le persone che hanno condiviso con noi paure, impazienze, ribellioni, ma soprattutto che hanno condiviso con noi, la tensione dell’attesa del risultato dei tamponi, la felice scoperta che fossero negativi o la paura di averlo avuto positivo,;molti hanno condiviso ricovero in ospedale, terapia intensiva, guarigione … Altri ci hanno lasciato e li pensiamo nelle braccia di Dio Padre: la preghiera per loro è averli ancora vicini.

Sicuramente un pensiero di gratitudine questa notte deve andare a tutto il personale che sta curando la nostra salute sia in prima linea che nelle retrovie!

La notte di S. Silvestro, non solo quest’anno, non può essere baldoria per dimenticare, ma forza per cambiare: è diventare più maturi di un anno, è celebrare con un rito il tempo che passa, ma seminare ancora e sempre speranza.

31 Dicembre 2020
+Domenico

La profetessa Anna, vecchia, ma non di spirito

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 2, 36-40)

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Capita a tutti di incrociare in luoghi di grande afflusso di persone, mercati, piazze, santuari, cattedrali, delle nonnine rattrappite, con a seguito borse, pacchi, stracci e carrelli dove si tengono tutto il necessario e il superfluo che fa la loro vita: le vedi vagare, parlare tra sé, ogni tanto imprecare contro cose o persone e alla fine acquietarsi, senza badare a niente e a nessuno, nemmeno a chiedere qualche spicciolo per vivere.

Doveva fare questa impressione la vecchia profetessa Anna di cui parla il Vangelo di Luca: era proprio vecchia, ottantaquattro anni di allora sono come più di 100 nel terzo millennio … la sua età però non ha spento l’attesa.

La vera vecchiaia è non aspettare più niente, vivere ogni giorno senza speranza, credere che tutto sia deciso e che inesorabilmente venga avviato verso un fantomatico destino su un nastro trasportatore: puoi essere vecchio anche da giovane, quando ti assale la noia, quando stai ai bordi dell’esistenza a fumarti la vita, la salute e le energie, quando ti affidi alle sostanze perché non senti più il sapore dell’esistenza, quando senza accorgerti cominci a dire ormai o, peggio ancora, “ai miei tempi”.

Anna invece non s’allontanava mai dal tempio, che era il cuore di un popolo, era il punto di arrivo di ogni attesa, aspirazione, provocazione, di ogni ricerca: se il Signore, benedetto sia il suo nome, manda il Salvatore è da qui che deve passare, è da questo luogo di preghiera, è da questa rete di scambi, di aspettative che si consumano ogni giorno.

Lei aveva in cuore una certezza: Dio avrebbe risposto a questa sete di salvezza e bisognava prepararsi, allenare il cuore a percepire la venuta del Salvatore. Lui non lo si aspetta nei bagordi, nelle piazze, nelle caserme, nei palazzi dei re: Lui è re, ma si lascia accogliere nei cuori puliti, e digiunava Anna, non dava al corpo tutto il cibo di cui sentiva il bisogno per tenere il cuore desto.

A noi invece hanno sempre insegnato che se senti un istinto, devi seguirlo: che c’è di male nel mangiare e nel bere? Perché devo andare contro la natura se questa è stata così ben fatta da Dio? Forse non sai che il corpo si intorpidisce se non lo tieni allenato alla ricerca? lei sapeva ciò che ogni sportivo conosce, che se hai una meta davanti devi prepararti tutto: cuore, spirito e corpo a perseguirla.

Se accontenti sempre il corpo, l’anima s’addormenta, se hai il coraggio di tenerlo in tensione la vita si arricchisce, la vista si pulisce e il cuore si allarga.

Quando Anna vede il bambino non le par vero di poterlo dire a tutti: tanto lo aveva immaginato che la vita, il futuro di questo bambino le era davanti agli occhi come una certezza … “Questo bambino che abbiamo atteso a lungo, che nelle mie preghiere mi era dato di sentire, che i nostri avi hanno da sempre previsto, che molti si sono stancati di aspettare, è qui: la vita ora è diversa. Sono vecchia da buttare, ma sono contenta di aver dato a voi questo segnale di speranza. Ora lo affido a voi, non me lo trattate male, perché chi vi ha preceduto lo ha aspettato per millenni. Lui è il punto di arrivo del nostro popolo, non aspettate altri.”

Purtroppo non fu così: la malvagità umana anche oggi lo continua a inchiodare in croce, ma Anna lo gode risorto e definitivo con i suoi padri.

30 Dicembre 2020
+Domenico

Lascio ai giovani di continuare a tenere accesa la luce

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 2, 22-35)

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Quando nasce un bambino in una casa, la prima festa la fanno i genitori, i fratellini, se ci sono, i nonni soprattutto, i parenti passano a far visita … quel fiocco alla porta segnala a tutto il vicinato che c’è una presenza nuova, il telefono squilla in continuazione, il padre va in comune più presto possibile a registrare la sua nascita … ma la nascita del bambino non è “completa” se non c’è un momento ufficiale che lo consegna alla comunità; ogni popolo primitivo aveva un atto pubblico che definiva questo momento: per gli ebrei era portare il bambino al tempio per dichiararlo davanti a Dio, riconsegnarlo quasi con orgoglio e gratitudine, scrivergli nel corpo l’appartenenza a un popolo.

Noi oggi lo facciamo col battesimo, come atto e dono al figlio di una comunità più grande e di una immersione nella vita di Gesù, il centro della nostra fede.

Anche Gesù fu portato al tempio: anche lui ha fatto questo suo primo ingresso, da Figlio di Dio, nel popolo che Dio stesso si era scelto come prediletto … e lì ad attenderlo c’è tutta la speranza dei secoli che lo hanno preceduto, c’è una figura ieratica, severa, tenace, Simeone: un vecchio che non ha mai perso la speranza di poter vedere la salvezza.

Dirà soddisfatto: “ora Signore mi puoi chiamare a te. Ho presidiato il tempio in attesa del salvatore, i miei occhi stanchi lo hanno visto, il mio cuore è pieno di gioia, lascialo scoppiare perché la mia vita ha raggiunto il massimo cui aspirava. Ho nel cuore una soddisfazione impensabile. Non ho atteso invano, non ho speso inutilmente i miei giorni a tener accesa questa fiaccola che ora è luce purissima che invade il mondo. Il nostro popolo può uscire dalle tenebre in cui si è cacciato come sempre quando si allontana da te. Certo chi ti segue avrà una vita in salita, dovrà sempre confidare solo in Te, e Tu ci metti sempre alla prova, perché vuoi vagliare il nostro cuore, ma ora l’attesa è finita: Lascio ai giovani di continuare a tenere accesa la luce, perché loro vivano di speranza!”

I giovani imposteranno la vita sulla speranza, se ci sono adulti e anziani che la addita a loro, che rimangono sempre sulla breccia, che non si piegano alla moda dei tempi, ma sanno tenere lo sguardo vigile sui valori, anche se sembra che più nessuno li segua: loro devono indicare alle giovani generazioni in questa terra spaesata che il cielo non è vuoto!

Oggi però è chiesto ai giovani stessi di tenere in vita noi anziani, perché la pandemia ci sta falcidiando: non vi vogliamo rubare il futuro, ma almeno aiutarvi a non prendere le nostre cantonate, a fare i nostri sbagli e così lavorare per un mondo più bello di come ve lo abbiamo ridotto noi.

29 Dicembre 2020
+Domenico

Ci fa orrore Erode, ma siamo in tanti a imitarlo

Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 2, 13-18)

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Innocenti sono i bambini che non fanno del male a nessuno, indifesi, bisognosi di tutto e di tutti. Ti si affidano ingenuamente, ti fanno sorrisi che conquistano anche i cuori più duri, ti parlano col pianto che devi interpretare, ti si attaccano al petto per poter vivere, ti succhiano col latte la vita, il tempo, il cuore. Ma sono deboli, mai come oggi devono sopportare gli attacchi degli adulti. Li ammazziamo ancora prima di nascere, perché sono scomodi, perché li abbiamo fatti venire al mondo senza pensarci, perché servono a pezzi, a cellule, a organi.

A Betlemme nell’anno della nascita di Gesù, all’anagrafe sono andati tanti altri papà e mamme, la vita continuava a esplodere, il mondo di quella sperduta provincia romana si perpetuava nelle nuove generazioni, ma Erode non voleva farsi soppiantare. Il suo trono traballava e la colpa era di questo piccolo, innocente bambino, nato in una grotta; ma occorreva ucciderli tutti perchè nessuno scampasse a insidiare il suo futuro.

La storia oggi si ripete, nelle guerre tra etnie non solo di distruggono case e beni, ma anche vite innocenti, per estirpare un popolo. Come avviene delle nostre società occidentali; le chiamano interruzioni di  gravidanza, ma sono la lenta inesorabile decadenza di un popolo. E’ la strage degli innocenti che si perpetua di nuovo. Gesù si è affidato nella sua potenza alla debolezza dell’amore di un uomo e di una donna. San Giuseppe entra in scena con grande dignità, coraggio e decisione. Chi ama la vita sa sempre leggerne i percorsi e le risorse. Fugge, prende una carretta del mare di sabbia che è il deserto e porta in salvo il figlio di Dio; già il suo popolo aveva fatto questa scelta per sopravvivere a carestie, guerre e fame.

Durante la pandemia ci siamo pure permessi di dare indicazioni perché ogni donna si arrangi a farsi il suo aborto con due pastiglie, a casa sua, anche dopo due mesi dal concepimento, dopo tante battaglie per toglierlo dalle mammane che  l’aborto lo facevano già in casa.

Oggi il figlio di Dio è una icona delle storie di tutti i popoli che devono fuggire per vivere, di tutti i bambini indifesi e innocenti che non possono difendersi dagli adulti ingordi e dissennati. E’ l’immagine dei bambini di strada, dei bambini che non vengono fatti nascere, dei bambini che vengono usati coma cavie, degli innocenti che vengono sfruttati commercialmente per saziare le voglie innominabili di tanti adulti, dei figli non amati e violentati in casa. Occorre in ogni luogo un san Giuseppe che protegge, aiuta, porta con sé, difende, sostiene. Lo possiamo essere ciascuno di noi. Dio lo è per tutti, perché non ci abbandona mai.

28 Dicembre 2020
+Domenico

Festa della famiglia con nel cuore la famiglia di Gesù al tempio

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 2)

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La nascita è stata una gioia per tutti, la fine di una attesa misurata, talvolta preoccupata ma sempre piena di speranza; i dolori del parto da dimenticare, ma ora lui o lei c’è: è già stato tutto preparato, il lettino, la cameretta, i vestitini, tutti si sono concentrati su questa nuova creatura, voluta, desiderata, progettata.

Fossero tutte così le nascite dei figli, fossero tutti così i genitori che esprimono il massimo del loro amore nel farlo diventare nuova vita. Sappiamo purtroppo che spesso non è così, che per molti la vita nuova è un “incidente”, o un “sopruso”, o un intruso … ma per questa povera, debole creatura l’amore di una mamma non deve mancare, il dono di una famiglia è un bene da conservare e su cui piegare ogni sana comunità umana, ogni civiltà, ogni stato, ogni globalizzazione.

Ogni bambino che nasce a questo mondo deve avere il bene assolutamente gratuito che abbiamo avuto noi: un papà e una mamma, un nido d’amore accogliente.

Nelle migliaia di campi profughi non c’è cameretta, né vestitini, ma spesso solo paura del futuro e fame e guerra sempre all’orizzonte: Abbiamo sotto gli occhi il pianto di una madre a cui è annegato il figlio di sei mesi e il suo corpicino esanime annegato in quelle tragiche attraversate del mar Mediterraneo.

Quanti bambini, sono vittime di una guerra, come tutte senza senso, quanti volti di genitori disperati, quanti corpi feriti e i bambini, grazie a Dio sono ancora capaci di sorridere.

Anche se il nido preparato è fragile e subito o troppo presto si rompe: il presepio dura poco, la vita di famiglia entra in crisi, le difficoltà aumentano e come se non bastassero le tensioni quotidiane ci si mettono anche le condizioni sociali incapaci di costruirsi a misura di famiglia.

Anche Giuseppe e Maria hanno dovuto fare i conti con le avversità, la fuga, l’emigrazione, la violenza … c’è però ancor un quadro che il Vangelo ci fa contemplare e che chiude il tempo natalizio: Giuseppe e Maria vanno al tempio – vanno in Chiesa diremmo noi – e presentano a Dio questo dono sorprendente che hanno gelosamente da custodire.

Lì c’è un vegliardo Simeone e una donna anziana, Anna: a me fanno tanto pensare ai nonni, a quella stagione della vita in cui ti sembra che tutto sia passato, che il declino abbia il sopravvento e invece la nascita del nipotino ritorna a far vivere, a darti speranza.

“I miei occhi hanno visto la salvezza”, la vita continua, occorre tornare con entusiasmo a servirla, senza potere, senza rabbia, con la consapevolezza del limite e della pace … e questi due nonni sono là a ricordarti, a ricordare a Maria e Giuseppe che la vita sarà sempre in salita, “una spada trafiggerà la vostra anima”; non sono uccelli del malaugurio, ma la forza nella prova immancabile: te li ricorderai sempre perché ti hanno aiutato a vivere.

E Maria e Giuseppe contemplano stupiti questo Gesù, che pur essendo Dio, impara a vivere da uomo, a camminare e a crescere in una famiglia. Credevano di essere soli con la loro fragile creatura, ancora frastornati di quello che stava capitando attorno a questo bel bambino, invece continuavano a poter dire il loro sì a Dio che li aveva chiamati a dare il loro contributo al suo grande sogno, grande progetto: il cambiamento in bontà della cattiveria umana.

In questo non si sono mai sentiti e mai lasciati soli: sarà Gesù a compiere con la sua vita, la sua croce tutto questo grande progetto di Dio … e noi oggi ne facciamo memoria e decidiamo di non lasciare solo Gesù.

Durante questa pandemia, forse i responsabili della cosa pubblica si sono accorti che si possono fare progetti grandi, riforme in meglio, pianificazioni di finanziamenti, ma se non ci sono famiglie che danno vita ai figli, la nostra Italia non solo impoverisce, ma rischia di non esserci più, se non nascono più figli!

La necessità di dare stabilità alla famiglia, che del resto, in questa pandemia, è stata quella che ha sopportato di più la fatica del contenere i disagi e rendere possibili operazioni di chiusura: dove sarebbero andati i bambini, i ragazzi, senza il tempo della scuola, se non ci fossero state le famiglie, che fungevano quasi sempre da tura buchi nell’organizzazione.

Soprattutto chi avrebbe potuto offrire loro un ambiente di amore profondo, di serenità, sicurezza, protezione e stimolo a comportamenti positivi, di bontà, di collaborazione, di fratellanza e a vivere ancora anche se a distanza l’amicizia o sopportarne l’assenza? Come sempre ci ricordiamo della famiglia solo se tappa qualche buco del nostro impossibile stile di vita.

Ci affidiamo alla Santa Famiglia, per resistere, e per non perdere mai la speranza.

27 Dicembre 2020
+Domenico

I giovani sono i primi che pagano

Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 10, 17-22)

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Quale che sia l’idea che abbiamo dei giovani – talora purtroppo è disprezzo, commiserazione o compassione – sta di fatto che sono sempre i primi a cogliere la verità e a pagarne il prezzo.

Questa nella vita della Chiesa è la storia di tanti martiri: il primo è proprio un giovane, lo chiamano il “protomartire” (primo martire) Santo Stefano, il primo testimone fino al dono del sangue e della vita per la sua adesione a Cristo; era giovane, deciso, entusiasta, aperto al futuro: ha incontrato sulla sua strada una piccola sparuta comunità di gente semplice, coraggiosa, e innamorata di Cristo.

Era la comunità dei discepoli di Gesù: erano reduci da un tradimento collettivo, s’era salvato solo Giovanni da quella codarda fuga, ma tutti poi erano tornati sui loro passi e avevano cominciato a seguire la Parola, quella parola che si era fatta carne, quella parola che ieri abbiamo adorato nelle vesti di un fragile bambino e che oggi è diventata forza invincibile per Stefano contro l’odio degli uomini.

Era una comunità senza pretese, non eclatante, ma aveva chiara la coscienza della strada da percorrere; sapeva che la speranza, la gioia, la pienezza della vita passava da Gesù, dalla sua croce.

Era convinta, e lo dimostrava a tutti, che la morte del maestro non era la fine, ma il vero principio: aveva ricevuto la forza dello Spirito, era rinata a quella nuova vita che Gesù aveva promesso … “non preoccupatevi di che cosa dire… io sarò sulle vostre labbra con le parole della vita e della fede.”

E Stefano  è entrato, ha subito deciso di orientare tutte le sue energie alla cura dei poveri, è diventano diacono, servitore, il primo titolo di onore della chiesa, di ruolo, di ministero: non ha scelto di lavorare, di essere concreto, come potrebbe capitare a qualcuno di noi, per protagonismo o perché riteneva la preghiera perdita di tempo o perché gli mancava la contemplazione, ma dopo una lunga profonda riflessione sulla storia del popolo d’ Israele, sulla Bibbia.

Gli atti degli apostoli riportano – quasi fosse uno schema – il suo intervento per far ragionare i suoi amici di fede israelita, con una forza puntigliosa nel far capire che la torah (il primo testamento diremmo noi) era superata, che tutto quello che essa diceva aspettava un compimento e il compimento era Gesù: tutto portava a Gesù e si meravigliava che i suoi amici non capissero che il tempo era compiuto,  che l’atteso era con loro e che occorreva cambiare tutto.

Ha dovuto passare attraverso la lapidazione: una esecuzione efferata che dà la morte entro uno scatenamento collettivo di odio, di vendetta, di cattiveria sobillata, istintiva, disumana. 

“Il fratello darà a morte il fratello e il padre il figlio” … tremende le parole del vangelo! Quelle pietre che lo hanno ammazzato si portavano dentro l’odio, la cecità, la bestemmia verso un Dio che aveva scelto di farsi uomo, di venire al mondo messia, fuori dagli schemi “comodi” di chi lo aspettava.

Tutto questo c’è ancora oggi: la supponenza culturale che crede che la fede sia una debolezza, una concessione fragile a sentimenti tradizionali, che hanno valore forse la notte di Natale e niente più.

Sì, la fede ti fa vivere dei bei momenti: se il Natale non ci fosse occorrerebbe inventarlo, infatti lo stanno proprio inventando diverso, perché questo non serve più … è meglio un albero, disegni di luci, un “marketing” appropriato, è la festa che conta, non il festeggiato.

Ma la vita è un’altra, le cose serie sono altre: se devo impostare il mio futuro ho bisogno di salute, di vincere questa pandemia.

Ci dobbiamo fare qualche domanda, però, che occorre avere sempre chiara nel cuore: è necessario ancora oggi un Salvatore? Se l’è domandato anche Stefano: abbiamo bisogno di Gesù, dopo tutto quel poderoso impianto religioso che il popolo di Israele metteva a disposizione per i rapporti con Dio? Se c’era un mondo religioso fin nel midollo era quello ebraico; se c’è un mondo “evoluto” è proprio il nostro.

A questa domanda però dobbiamo rispondere, dobbiamo rispondere “, abbiamo bisogno di Dio”.

Diceva un giovane romanziere … “il mio segreto è che ho bisogno di Dio, che sono stufo marcio e non ce la faccio più ad andare avanti da solo: Ho bisogno di Dio, per aiutarmi a donare, perché sembro diventato incapace di generosità; per aiutarmi a essere gentile, perché sembro ormai incapace di gentilezza; per aiutarmi ad amare, perché sembro aver oltrepassato lo stadio in cui si è capaci di amare.”

 Scegliere Gesù non sarà senza costi: “… e sarete odiati da tutti a causa del mio nome”.

Il cristianesimo non è un invito alla vita tranquilla, ma sempre un coinvolgimento impegnativo … e oggi questo coinvolgimento ce lo detta la pandemia, ce lo detta questo bisogno che ciascuno di noi ha dell’altro, questo sentirci tutti nella stessa barca, l’accorgersi delle persone sole e bisognose di uscire dalla solitudine, di essere aiutate a vivere, il sopportare chiusure e rinunce perché tutti possiamo debellare questa pandemia.

Dio non ci lascia mai soli: Il Natale non è solo una festa, è Gesù sempre con noi, l’Emmanuele.

26 Dicembre 2020
+Domenico

Siamo testardi: non ci toccate il presepio!

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 2,8-12) dal Vangelo del giorno (Lc 2, 1-14)

C’erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore, ma l’angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia».

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Tanto è piena di tensioni, di apprensioni, talora di paure l’attesa di un bimbo, tanto, e molto di più, è piena di gioia la sua nascita! Anche Maria ha provato questa decisiva esperienza della maternità e ora l’attenzione va sul bambino: dopo i primi complimenti fatti alla mamma l’attenzione va su di Lui.

Partorì, lo fasciò, lo sdraiò … e Lui, ora c’è, si fa sentire, si presenta, attira l’attenzione, si crea il suo spazio: ha sempre bisogno dell’amore di tutti, dei suoi genitori soprattutto, ma ora è una nuova vita … e Gesù è la nuova vita per noi!

Il vangelo di Giovanni userà parole più severe, “il verbo si è fatto carne”, ma tutti gli evangelisti dicono e tentano di farci capire la grandezza di quello che una scena così umana ci permette di contemplare.

A noi oggi non basta lasciarci commuovere da un bambino che nasce, ci serve anche la commozione, ma la nostra fede vuole che andiamo oltre, che vediamo in trasparenza la nostra storia, la storia dell’uomo, la storia del mondo.

Non siamo soli, Dio è con noi: questo bambino è il figlio di Dio, è la pienezza cui aspira da sempre la nostra vita. E’ una speranza nuova, è il seme di una umanità che si può riscattare, è il principio e la fine, è il Signore dei signori, è il creatore.

Potremmo sembrare pazzi, ingenui a caricare una scena così idilliaca di questi numerosi significati: infatti la cultura occidentale si sta stancando del Natale, si sta stancando della grotta, del bambinello, preferisce non fare menzione di nessuna nascita, le basta un albero, un vecchio vestito di rosso … presepio è parola ormai “non politicamente corretta”.

Noi invece siamo testardi: non ci interessa niente delle mode, non ci dispiace scandalizzare, passare per ritardati, vogliamo guardare a quel bambino, e vedervi il sorriso di Dio, leggergli sulle labbra le parole dell’amore del Signore.

Noi credenti in questo bambino adoriamo il nostro creatore, sappiamo di stare a cuore a Dio, sappiamo che la nostra storia, non è una accozzaglia di avvenimenti, ma è un tessuto di relazioni d’amore.

E non siamo senza ragione, perché la vera ragione si è fatta carne, contro tutte le semplificazioni della ragione umana che non riesce più a parlare di Dio, dell’eternità, della morte, perché parla solo di quello che vede e tocca … ma quello che è più importante nella vita degli uomini è sempre invisibile agli occhi, e l’invisibile s’è fatto uno di noi, perché Dio non ci abbandona mai.

Non avremmo mai pensato di vivere un Natale così: Il tessuto di amore che ti abbiamo preparato, Gesù, è fatto di respiratori, di tamponi, di medici e infermieri, di operatori pastorali che ti adorano in ogni malato, che amano e curano … e così incontrano Te.

25 Dicembre 2020
+Domenico

Oh Dio sii benedetto

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 1,76) dal Vangelo del Giorno (Lc 1, 67-79)

… e tu, bambino, sarai chiamato profeta dell’Altissimo
perché andrai innanzi al Signore a preparargli le strade

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Quando ti capitano fatti gravi o importanti nella vita resti per un po’ di tempo incapace di comprendere, di parlare … anche di reagire: ti assale dolore, stupore, sorpresa, meraviglia. E cerchi dentro di te una ragione, ti fai mille pensieri, costruisci congetture, ma non te ne raccapezzi facilmente.

Poi finalmente ti scoppia dentro la chiave, la sintesi, la percezione del tutto, la bellezza o la chiarezza della tua situazione.

Il vecchio prete del tempio, Zaccaria, aveva pensato a lungo quello che gli era capitato nel tempio quel giorno che si sentì dire che nella sua vecchiaia sarebbe diventato padre: ora dopo nove mesi di silenzio forzato esplode in un canto che guida ancora oggi l’inizio delle nostre giornate, “O Dio sii benedetto, sii pieno del mio atto di lode; grazie che mi hai fatto vincere tutti i miei insensati dubbi e ora mi fai vedere e toccare con mano che tu non ci lasci soli, che tu il tuo popolo lo segui con cura e non lo lasci nella solitudine delle sue disperazioni e nelle sue paure. Ci hai sempre fatto percepire che non ci avresti abbandonato, ma ora la tua salvezza è palpabile. I tuoi giuramenti non erano calmanti e placebo, le tue promesse non erano lacci per controllarci; io sono un poveraccio, ma ho capito quanto tu sei grande, quanto sei fedele, come da sempre mi hai amato e ora dimostri il tuo amore con una visita. Questo bambino che io non aspettavo, questo figlio che mi ha messo in cuore dubbi atroci sulla tua potenza, è tuo profeta. Io, suo padre, non sto alla sua altezza, non ho il suo santo timore di te, non sono così pieno di santità e giustizia, di servizio. Sono contento che lo hai chiamato per stare davanti a tuo figlio, a preparargli la strada. E’ l’aurora del sole che sei tu, è l’alba di un nuovo giorno, illuminato definitivamente dalla tua bontà, dalla tua misericordia. Tu sei il sole che lo illuminerà per sempre, tu strapperai dagli inferi i morti senza speranza, tu ci permetterai finalmente di percorrere sentieri di pace. Le ombre della nostra vita, le ombre di morte che ci opprimono, non resistono a questa irruenza del tuo figlio nella nostra quotidianità.”

Signore, sii benedetto: ora è scoppiata dentro di me la certezza che tu non ci abbandoni mai; e non abbandonare i medici, gli infermieri, il personale addetto ai malati di Covid-19, i malati sotto i respiratori.

Gesù, quest’anno, questa culla di ospedale ti abbiamo preparato: Tu riempila della tua vita e del tuo sorriso.

24 Dicembre 2020
+Domenico

Ma che vuole Dio da noi?

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 1, 57-66) dal Vangelo del giorno (Lc 1, 63-64)

Egli chiese una tavoletta e scrisse: «Giovanni è il suo nome». Tutti furono meravigliati. All’istante gli si aprì la bocca e gli si sciolse la lingua, e parlava benedicendo Dio.

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Quando vivi degli avvenimenti intensi sembra che il tempo si fermi: l’attesa si fa spasmodica, conti i giorni, le ore, i minuti, poi ti guardi un attimo indietro e vedi che il tempo è passato, che gli avvenimenti procedono con una certa inesorabilità.

La vita che è iniziata si radica,  continua, ha i suoi ritmi che paiono lenti, ma che procedono inesorabili … e così avvenne anche per Elisabetta: la sorpresa, la vergogna di vedersi incinta alla sua età, la consolazione di avere Maria a farle compagnia, il grande evento che in Lei si sta compiendo … insomma, tutto continua e nessuno più ferma la nuova storia e viene il giorno in cui questo Giovanni nasce: le meraviglie, le incredulità, la sorpresa – che pure ciascuno viveva nella sua interiorità – prendono fuoco, perché ora Giovanni è lì, il suo pianto è vero, il suo corpo se lo coccola sua madre, se lo mangiano con gli occhi tutti.

Zaccaria è muto, è un padre ancora senza parole, gli ripassa nella mente tutta la sequenza del tempio, della promessa, tutte le attenzioni di questi nove mesi.

Elisabetta si fa aiutare, Maria dopo tre mesi ritorna a casa sua: ora la storia di Dio continua in Lei, anch’essa ha bisogno di rientrare nella sua intimità a custodire il futuro dell’umanità.

Il bambino di Elisabetta è nato e arriva anche il giorno della Legge, il giorno della circoncisione: questo figlio fa parte di un popolo, non nasce in un deserto di relazioni e di storia, è dentro un nobile casato sia per parte di Zaccaria che di Elisabetta.

Di nomi da ereditare ne ha tantissimi e tutti nobili, tutti capaci di rievocare gesta, ruoli elevati, funzioni eminenti … a cominciare dai capostipiti Abia, per Zaccaria e Aronne per Elisabetta.

Ma il bambino è destinato a far scoppiare il futuro, non a clonare il passato: “Chiedevano con cenni a suo padre”… i muti ora sono tutti, come si fa di solito con chi non parla, con chi deve esprimersi a cenni, pensano forse che Zaccaria sia anche sordo e lo seppelliscono nell’isolamento, lo privano di qualsiasi normalità.

Zaccaria esprime ancora per l’ultima volta la sua tensione di non essere capace di dire e scrive “Giovanni sarà il suo nome”: Lui deve annunciare la novità assoluta, definitiva per l’umanità, non sarà cultore del tempio, non si metterà in fila come tutti a ripetere un passato anche glorioso, non farà come suo padre i turni settimanali dell’offerta dell’incenso, intuirà invece e indicherà con forza la venuta del Salvatore, brucerà di ardore per l’attesa del compimento.

Zaccaria torna a parlare e la gente, noi, a riflettere a domandarci: ma Dio che vuole da noi? Che vuole da noi Lui che non ci abbandona mai? Che vuole da noi questa pandemia? Che cuore dobbiamo portare al Bambino Gesù? Che famiglia abbiamo accanto alla nostra abitazione cui possiamo almeno sorridere e far sentire che non sono mai soli?

23 Dicembre 2020
+Domenico

Un canto di lode

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 1,51-53) dal Vangelo del giorno (Lc 1, 46-55)

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Cantare è sciogliere il nostro spirito nella libertà, uscire dalla solitudine, offrire a tutti la serenità del cuore, creare un clima di distensione.

Cantare è dire con il cuore e con la vita la speranza e la voglia di vivere, modulare sentimenti che con le parole sarebbero mortificati e incomprensibili.

Anche Maria, quando incontra Elisabetta esce in un canto di lode e di gioia, un canto di vita e di speranza. L’incontro è tra i più poetici della storia: qui nasce l’Ave Maria e il grande cantico della speranza, il Magnificat.

Maria esplode nella lode al Creatore e nell’indicare agli uomini la bontà di Dio, la sua grandezza: Dio è di parola, ci salva, non ci lascia in balia dei potenti, esalta gli umili. Sperare in Lui è la nostra unica forza. Lui è grande ed è grande per noi: non gli fa paura la nostra povertà, nè la strafottenza dei potenti, ci ama e ci apre un futuro di felicità e  di gioia. Il tempo della pienezza è venuto. A noi non resta che aprire il cuore e lasciarci inondare da Lui. Dio è sempre più grande di ogni nostra attesa. I potenti sono lasciati a se stessi, i ricchi troveranno i loro forzieri  bucati e vuoti, i superbi che non hanno occhi per nessuno che per sé stessi, che millantano grandezze che sono di altri, che non sanno riconoscere di avere avuto tutto in dono, che si sono fatti un trono di sabbia, resteranno nella palude dei propri inganni, vedranno con verità che Dio è grande.

I poveri sapranno di poter contare su di Dio come su una roccia incrollabile, avranno in lui la difesa, si sentiranno tra le sue braccia; gli umili troveranno il sapore della vita in lui, come l’ho sempre trovato io. Gli affamati non dovranno più cercare il cibo nei bidoni della spazzatura, ma avranno una mensa imbandita. Il popolo che saprà dare posto nelle sue leggi, nei suoi valori, nelle sui suoi progetti a opere di pace, a solidarietà e misericordia sentiranno sempre il soccorso di Dio.

E così Maria, se non è irriverente il paragone, fa la cantautrice, e sa scatenare nei giovani la voglia di cose pulite: si fa carico nel suo concerto di tutti quelli che la ammirano, dei nostri sogni, delle nostre speranze; non blandisce, non accontenta, ma apre alla nuova vita, la vita di Dio, la vita che va oltre ogni nostra attesa e che non abbandona mai nessuno; anche in questa lacerante pandemia che ci costringe a cambiare almeno il nostro cuore in offerta di bontà, noi sappiamo che Dio veglia sempre su di noi. 

22 Dicembre 2020
+Domenico