Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 1, 35-42)
Ciascuno di noi ha bisogno di un tessuto di relazioni per vivere, per orientarsi nelle scelte, per crescere, per dare alla sua esistenza una direzione, per sentirsi pienamente persona … e stiamo ancora facendo la brutta esperienza di limitare il più possibile lo stare con gli altri, a fare distanza fisica, che purtroppo diventa anche distanza sociale.
Abbiamo una forte identità, ma la costruiamo nel confronto, nel dialogo, nello scambio di sentimenti, nel coinvolgimento con altri … soprattutto poi se si tratta di portare avanti progetti, di lanciare messaggi, di convincere, abbiamo bisogno di fare squadra; ne facciamo ancora di squadre perché abbiamo strumenti comunicativi nuovi, ma proprio come i ragazzi che vogliono andare a scuola e che siamo tutti felici che possano riprendere, anche noi vogliamo tornare a fare squadra di presenza.
Gesù si trova lanciato sulla scena della vita del popolo di Israele con un perentorio “Ecco l’agnello di Dio”, che a noi ricorda un gesto liturgico quotidiano, ma che alla gente radunata sulle rive del Giordano dal Battista è apparso come la fine di una attesa, forse un po’ confusa.
“Sei tu che deve venire o dobbiamo aspettarne un altro?”
“Eccolo colui che stiamo aspettando. Io ho finito la mia parte – dice il Battista – il futuro è dalla sua”, e i discepoli di Giovanni si fanno discepoli di Gesù: lo seguono, cambiano guida, prima da curiosi, poi da veri appassionati: “Dove abiti? Che fai? Che vita vivi? Possiamo condividere con te il nostro tempo, la nostra ansia, le nostre aspettative? Hai per noi una risposta alle molte domande che ci facciamo? Abbiamo deciso con il Battista che non si può stare inerti ad aspettare, ora che la nostra attesa sembra approdare a Te, vogliamo stare con Te.”
“Ci veniamo anche con il sacco a pelo” direbbero i giovani, e Gesù con un “venite e vedete”, comincia a formare la sua squadra, comincia a chiamare esplicitamente a far parte del suo regno, inizia a formare i nuovi testimoni e continuatori della sua opera.
“I sacerdoti del tempio sono stati molto utili e necessari fino ad oggi, ma ora vi chiamo Io, vi scelgo Io, vi voglio stare cuore a cuore per prepararvi a donare il mistero della salvezza, per farvi entrare in comunione con il Padre, che è Dio l’altissimo” : è un bellissimo incontro tra la volontà dell’uomo e la chiamata di Dio.
Gli uomini, in questo caso gli apostoli, con un tam tam inarrestabile si passano la parola, si comunicano la gioia di una amicizia cercata a lungo e trovata … e Gesù trasforma la curiosità, la generosità, la voglia di avventura in una chiamata esplicita, in una missione che diventa concreta anche a partire – per qualcuno – dal cambiamento di nome: “tu ti chiamerai Pietro, non più Simone”.
E’ il mistero di ogni vita: cercatori e chiamati, liberi e convocati, spontanei e orientati, affascinati e impegnati esplicitamente.
Spesso ci domandiamo chi essere nella vita, come posso capire a che cosa sono stato chiamato, quale è la mia vocazione? È una ricerca certo delicata perché la chiamata di Dio si sposa sempre con la ricerca dell’uomo, con la sua intelligenza nel capire i segni che Dio ci lascia e che ci testimoniano che non ci abbandona soprattutto nella scelta del nostro futuro.
Non è detto che nel tempo di pandemia Dio non proponga per molti di noi una nuova vocazione nella vita … e che Dio ci illumini, per conoscerla.
4 Gennaio 2021
+Domenico