Una rflessione sul Vangelo secondo Marco (Mc 3, 1-6)
Noi adulti siamo spesso più orientati alla concretezza, al “fare”, al porre gesti “fotografabili” piuttosto che accompagnarli con ragionamenti: anche i giovani spesso oggi badano ai fatti concreti e sono stufi di parole con cui noi nascondiamo – anche senza volerlo – i veri significati di quello che facciamo, e sono abbastanza intolleranti dei comportamenti negati, per esempio, per la pandemia.
E’ quello che capita a Gesù, continuando i suoi insegnamenti sul sabato, perché gli preme far nascere negli ascoltatori una profonda consapevolezza della “legge del sabato” che veniva sempre esasperata, assolutizzata, a danno della attenzione premurosa verso l’umanità, soprattutto se sofferente, e far nascere così qualche altra prospettiva che qualificherà in seguito la vita dei cristiani.
Anche questa volta Gesù di sabato sta vicino a una persona che ha una mano inaridita, quindi una umanità ferita che lo rende spesso non autosufficiente nella sua esistenza, non gli permette di fare dei lavori, lo rende insomma “sofferente”.
Lo vuol guarire … diremmo noi, come chi lo accusa, che poteva aspettare di uscire dalla sinagoga per fare il miracolo, ma Gesù sa dove vuol arrivare: vuol stanare dal cuore dei farisei l’ipocrisia ormai incancrenita nei loro pensieri e nei loro atteggiamenti, che mette sempre davanti alla sofferenza di una persona un insieme di leggi e di precetti … quelli sì, che secondo loro danno lode a Dio, non la guarigione di una persona sofferente, e li ha proprio davanti a sé, pronti a vedere che cosa avrebbe fatto.
Gesù sa di dovere spendere ogni momento della sua vita che, anche secondo quello che faranno alla fine questi farisei, comincerà ad essere sempre più in pericolo, anche dopo questo fatto … infatti fa a loro una domanda chiarissima: “E’ lecito in giorno di sabato fare del bene o fare del male, salvare la vita di un uomo o lasciarlo morire?” Non rispondono, e il Vangelo ci presenta Gesù che si guarda attorno con sdegno e pieno di tristezza: dice a quell’uomo che ha accanto con la mano secca e inservibile “mettiti nel mezzo, dammi la tua mano”, il malato obbedì e la mano divenne perfettamente sana.
Gesù era sdegnato e triste perché la cosa più importante per loro era di vedere se stava agli schemi, non importava loro farsi domande sui segni che metteva in evidenza, non interessava loro mettersi in ascolto, almeno avere dei dubbi su chi era lui o che cosa stesse tentando di far capire, ma solo essere severi guardiani di un passato che ingessava il rapporto tra gli uomini e il Signore.
Il Dio che avevano in mente non si commuoveva per il male di cui soffriva un uomo, ma era più interessato alla legge che stabiliva regole: “Subito uscirono – dice il Vangelo – e fecero una riunione non tra loro, ma con quelli del partito di Erode per cercare il modo di far morire Gesù”; Si abbassavano anche a chiedere aiuto a un notissimo monarca assassino, che non solo non rispettava il sabato, ma uccideva persone e disprezzava la legge, la Torah.
Purtroppo nella nostra vita di fede ci mettiamo sempre al centro noi, non Lui … invece Gesù ci ribalta e dice che c’è speranza in una vita vera se ci sappiamo rinnovare nel contemplare la sua vita, e mettiamo in pratica la sua parola.
20 Gennaio 2021
+Domenico