Il popolo nuovo di Gesù

Una riflessione sul Vangelo secondo Marco (Mc 3, 7-12)

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Interessante vedere in questa pandemia, che basta aprire con un decreto trasmesso con dei colori, qualche spazio, soprattutto se si tratta di spazi di contatto, di dialogo, di compera, di scambio … che non si bada più a distanza fisica obbligatoria o a proibite concentrazioni di persone: tutti si scandalizzano, ma possono leggerci sotto la necessità di trovarsi, di uscire, di vedere, toccare, ascoltare, di sentirsi un popolo.

La gente abituata a spostarsi per i mercati, per i divertimenti, per ascoltare “persone significative”, di questi tempi soprattutto, ma sempre si sposta in cerca di speranza: I malati sono spesso questa gente.

La ricerca di sollievo alla sofferenza mette in tutti i malati una grande attesa: quando sentiamo che da qualche parte di questo mondo c’è qualcuno che può risolvere le nostre angosce o le nostre malattie facciamo tutti i sacrifici possibili per tentare una possibile strada che ci dà guarigione, che risponde alle nostre sofferenze, fossero pure dei maghi …

Gesù, nel suo pellegrinare, spostava tanta gente che aspirava – e lui pure ne era consenziente – a diventare il suo popolo, un popolo che  veniva a contatto con la sua Parola, con il suo messaggio nuovo, con la forza con cui accompagnava quanto diceva. E la gente era talmente interessata a Gesù che lo travolgeva, voleva un contatto fisico con lui – dice il Vangelo – gli si gettavano addosso per toccarlo. Si è fatto come pulpito una barca così che almeno, parlando da qualche metro dalla riva del lago, non lo schiacciassero.

Non era fanatismo, ma desiderio di dare salvezza alle proprie vite, certezza di essere a contatto con Dio e di poterglisi affidare!

Noi guardiamo con supponenza a questa folla che si stringe attorno a Gesù, perché crediamo di essere autosufficienti, di non aver bisogno di un salvatore, perché crediamo che ci salvi la scienza, o il progresso, di questi tempi soprattutto il vaccino.

Pensavamo di essere già assicurati su tutto … pensavamo “per le malattie abbiamo gli ospedali, per le depressioni le medicine, per la solitudine le città e le piazze, per i problemi tecnici il progresso, per i contenziosi i tribunali, per gli imprevisti le assicurazioni” … invece ci è crollato tutto, non sappiamo più dove trovare certezza e sicurezza.

Questa è l’immagine del nostro vivere di oggi; da soli o assieme abbiamo bisogno gli uni degli altri … ma alla fine sentiamo che tutto quanto è in nostro potere non basta: abbiamo bisogno di un salvatore, anche noi uomini e donne del terzo millennio abbiamo bisogno di Dio, cerchiamo anche inconsciamente, un contatto con Lui.

E Dio, in Gesù, si lascia toccare, già da allora, ma anche oggi: Dio si presenta all’uomo e si fa incontrare in Gesù. Lui si fa incontrare nella quotidianità della nostra vita, nel rapporto tra di noi, nel volto del povero, nella vita sacramentale, nella sua Parola … le chiese possono essere vuote, ma la sua presenza non si “contrae”: viene lui a cercarci, perché Dio non ci abbandona mai.

21 Gennaio 2021
+Domenico

Per noi è più importante il fare che accompagnarlo con il ragionare

Una rflessione sul Vangelo secondo Marco (Mc 3, 1-6)

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Noi adulti siamo spesso più orientati alla concretezza, al “fare”, al porre gesti “fotografabili” piuttosto che accompagnarli con ragionamenti: anche i giovani spesso oggi badano ai fatti concreti e sono stufi di parole con cui noi nascondiamo – anche senza volerlo – i veri significati di quello che facciamo, e sono abbastanza intolleranti dei comportamenti negati, per esempio, per la pandemia.

E’ quello che capita a Gesù, continuando i suoi insegnamenti sul sabato, perché gli preme far nascere negli ascoltatori una profonda consapevolezza della “legge del sabato” che veniva sempre esasperata, assolutizzata, a danno della attenzione premurosa verso l’umanità, soprattutto se sofferente, e far nascere così qualche altra prospettiva che qualificherà in seguito la vita dei cristiani.

Anche questa volta Gesù di sabato sta vicino a una persona che ha una mano inaridita, quindi una umanità ferita che lo rende spesso non autosufficiente nella sua esistenza, non gli permette di fare dei lavori, lo rende insomma “sofferente”.

Lo vuol guarire … diremmo noi, come chi lo accusa, che poteva aspettare di uscire dalla sinagoga per fare il miracolo, ma Gesù sa dove vuol arrivare: vuol stanare dal cuore dei farisei l’ipocrisia ormai incancrenita nei loro pensieri e nei loro atteggiamenti, che mette sempre davanti alla sofferenza di una persona un insieme di leggi e di precetti … quelli sì, che secondo loro danno lode a Dio, non la guarigione di una persona sofferente, e li ha proprio davanti a sé, pronti a vedere che cosa avrebbe fatto.

Gesù sa di dovere spendere ogni momento della sua vita che, anche secondo quello che faranno alla fine questi farisei, comincerà ad essere sempre più in pericolo, anche dopo questo fatto … infatti fa a loro una domanda chiarissima: “E’ lecito in giorno di sabato fare del bene o fare del male, salvare la vita di un uomo o lasciarlo morire?” Non rispondono, e il Vangelo ci presenta Gesù che si guarda attorno con sdegno e pieno di tristezza: dice a quell’uomo che ha accanto con la mano secca e inservibile “mettiti nel mezzo, dammi la tua mano”, il malato obbedì e la mano divenne perfettamente sana.

Gesù era sdegnato e triste perché la cosa più importante per loro era di vedere se stava agli schemi, non importava loro farsi domande sui segni che metteva in evidenza, non interessava loro mettersi in ascolto, almeno avere dei dubbi su chi era lui o che cosa stesse tentando di far capire, ma solo essere severi guardiani di un passato che ingessava il rapporto tra gli uomini e il Signore.

Il Dio che avevano in mente non si commuoveva per il male di cui soffriva un uomo, ma era più interessato alla legge che stabiliva regole: “Subito uscirono – dice il Vangelo – e fecero una riunione non tra loro, ma con quelli del partito di Erode per cercare il modo di far morire Gesù”; Si abbassavano anche a chiedere aiuto a un notissimo monarca assassino, che non solo non rispettava il sabato, ma uccideva persone e disprezzava la legge, la Torah.

Purtroppo nella nostra vita di fede ci mettiamo sempre al centro noi, non Lui … invece Gesù ci ribalta e dice che c’è speranza in una vita vera se ci sappiamo rinnovare nel contemplare la sua vita, e mettiamo in pratica la sua parola.

20 Gennaio 2021
+Domenico

I pilastri della vita cristiana sono esperienze di pienezza di vita

Una riflessione sul Vangelo secondo Marco (Mc 2, 23-28)

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Avrai anche ragione a dire che la vita cristiana è una vita di gioia e di serenità, ma ci sono dentro tanti elementi o obblighi che stridono con la nostra felicità, per esempio al Messa della domenica: ho solo un  giorno libero a settimana, finalmente posso fare di testa mia, posso stare un poco di più in famiglia, devo sgranchirmi un po’ il mio corpo con dello sport, devo incontrarmi con i miei amici, sperando che questa pandemia finisca e non ci torturi ancora con questa distanza fisica e le mascherine, e la Messa dove la metto?

Gli ebrei a Gesù ponevano altre domande, forse contrarie alle nostre, ma “dello stesso tipo”: Il sabato era una giornata di assoluto riposo, ne venivano contati anche il numero dei passi che si potevano fare, senza offendere Dio l’Altissimo, le azioni anche semplici da evitare, le lodi a Dio da “esternare” …I discepoli di Gesù a questa pratica del sabato, presi dall’entusiasmo di vivere con Lui, lo sposo con cui vivere felici, si permettevano nella loro vita di pellegrini per le strade della Palestina con Gesù, di cogliere qualche spiga di grano nei campi di sabato e farsi passare la fame.

Ciò creava scandalo tra i farisei: “Come? tu Gesù sei venuto a richiamarci a una vita religiosa nuova e non fai osservare quello che per noi è un assoluto, il sabato?”

Chi era qui l’assoluto? Una legge o la persona?

Gesù quindi dice non è che Dio imprigioni l’uomo nel sabato, ma è il sabato che deve essere per l’uomo: non c’è contrasto tra un sabato da donare a Dio o all’uomo, mettendoli in contrasto perchè Gesù è l’uomo-Dio, dopo l’incarnazione non si può fare questa contrapposizione.

Non è la legge del sabato che dà lode a Dio, ma lo spirito di chi lo vive, spirito che sta nella dignità della persona umana, che lo apprezza e lo offre al Signore. Il sabato era diventato una gabbia che non poteva sempre tenere in conto la vita della persona.  

Non è certo così il nostro caso quando ci disinteressiamo della domenica come giorno del Signore, perché ne abbiamo cancellato il Signore e al centro ci siamo messi noi.

Non pensiamo nemmeno lontanamente di contestare una precettistica umiliante, noi contestiamo lo stesso Signore, la dimensione spirituale della nostra esistenza che ha bisogno di esprimersi anche attraverso dei segni, degli spazi che dedichiamo a Lui con i nostri fratelli e non disinteressandoci mai dei loro bisogni vitali, che hanno sempre se non la precedenza, almeno la coscienza in noi di amare Dio nella risposta ai loro bisogni … ma abbiamo bisogno di dare del tempo al Signore, per renderlo evidente nella nostra vita!

19 Gennaio 2021
+Domenico

Si può essere cristiani convinti e vivere felici?

Una riflessione sul Vangelo secondo Marco (Mc 2,18-22)

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Si sta radicando sempre di più sia nel mondo giovanile, che in quello un poco più adulto l’idea che essere cristiani significhi soprattutto non poter godere le gioie della vita, dell’amore, della compagnia, del divertimento, della spensieratezza, della felicità.

Ci si continua a dire, in questa pandemia, che quando sarà passata dovremo prendere la vita in maniera più seria, non tornare a ripetere gli errori che ci hanno portato a queste mascherine, a queste chiusure, a questi cambi di colore incombenti.

Io dico che ci farebbe bene diventare o ridiventare cristiani convinti se avessimo cessato di esserlo: l’attenzione agli altri, la generosità, il rispetto e la cura del creato non sono solo virtù cristiane, ma stili di vita per tutti, e noi cristiani dobbiamo essere convinti di questi cambiamenti.

Vivendo così ci mancherà la gioia? Sarà una sorta di digiuno che dovremo fare?

Al tempo di Gesù c’era stato un grande cambiamento, che la gente che aveva seguito Giovanni il Battista aveva notato in Gesù e in quelli che lo seguivano: “Questi – dicevano – non fanno digiuno come noi, vivono contenti, gioiosi, felici. Si può sapere perché?”

Gesù interviene con una delle sue risposte inaspettate: “quando voi partecipate alle nozze di qualche vostro amico, vi preoccupate più del digiuno o della condivisione della sua festa al meglio possibile, così da fare con lui una bella esperienza di gioia? Se poi fosse non solo un amico, ma la persona che dà senso alla vostra vita, lo stesso Signore, state a fare digiuno di gioia, di sorrisi, di felicità? Qui i miei seguaci hanno capito che c’è lo sposo, sono Io lo sposo della nuova vita che Dio ha voluto iniziare con me, col messia che tanto avete aspettato; c’è da cambiare stile di vita, c’è una novità assoluta nel mondo. Occorre lasciarsi trascinare dallo sposo dentro questa nuova visione  del mondo e della vita. Verranno sicuramente tempi in cui la mia presenza non ci sarà più e allora dovrete affrontare l’esistenza nel digiuno, ma non sarà una sofferenza senza speranza, sarà solo un passaggio”, una preparazione.

La convinzione che con Gesù non si trattava di aggiustare la vita con delle pezze, o mettere il vino della gioia di vivere mescolandolo alle lagne di lamento e di tristezza precedenti, non era ancora chiara per la gente.

Si deve partire da una concezione radicale della vita e della gioia di Gesù, del Vangelo, dell’essere cristiani: non si potrà riparare lo squarcio della croce con delle “pezze di felicità,” ma sarà la felicità piena lo sbocco della crocifissione e morte, sarà la risurrezione, e già ora noi cristiani dobbiamo anticipare nella nostra coscienza esistenziale, nella nostra vita quotidiana la gioia che ci ha portato Gesù e testimoniarla, affascinando ogni persona che si farà le nostre stesse domande.

La vita non è sforzo titanico di  superamento di sé, ma è contemplazione: essere felici in compagnia dello sposo, il Signore Gesù, che già sta nella nostra vita!

Difficile? Ricordate tutti quanto era felice ed entusiasta del signore il beato Carlo Acutis …

18 Gennaio 2021
+Domenico

Non siamo a questo mondo per caso

Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 1, 35-42)

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Il Vangelo ci aiuta a riflettere su una parola che fa parte del nostro mondo ecclesiale che è “vocazione”: per questa parola abbiamo già pronto un cassetto in cui chiuderla, per buttarci dentro tutti i significati che ci fa venire in mente … “ah allora si parla di preti, di frati, di suore… e il discorso è chiuso: a me non interessa questo tipo di discorso che sa troppo di accalappiamento”!

Invece la parola “vocazione” sarebbe più giusto metterla in un altro cassetto, un poco più ampio e con orizzonti impensati: nessuno è a questo mondo a caso, siamo tutti stati pensati, amati, chiamati e con una proposta bella, originale di felicità.

Vocazione è qualcosa che interessa tutti, e ciascuno vi viene coinvolto anche se non lo vuole. Questo perché? Perché la vita è così: la vita ci è stata donata e nessuno si è potuto opporre … non hanno chiesto a te i genitori per poterti donare la vita!

Il Signore non ci ha chiesto se volevamo venire al mondo o no, Lui ci ha chiamato alla vita a uno a uno e dentro questa vita scrive con noi la strada che ciascuno di noi può  fare: la vita è tutto un dialogo tra la nostra libertà e il sogno che Dio vuole costruire con noi.

La parola chiamata è più concisa, ma non deve ingenerare l’idea che  qualcuno  è obbligato a dire di si: Giovanni l’evangelista, nel suo Vangelo ci presenta Gesù che il giorno dopo aver fatto la fila tra i peccatori e aver ricevuto il battesimo di penitenza dal Battista, accompagnato da due suoi discepoli, si è visto puntato su di sè il  dito del battezzatore con l’annuncio solenne: “Ecco l’agnello di Dio”.

I due discepoli sono incuriositi, ascoltano Gesù che parla alla gente e gli stanno alle costole. Gesù li nota e chiede loro:  “Che cosa cercate?”, non “chi” cercate, perché Gesù vuole aiutarli ad andare in profondità su quello che hanno in cuore. Cercano veramente qualcosa, qualcuno per la loro vita o cercano se stessi?

Possiamo pensare che siano la nostra immagine: la prima cosa da fare è verificare se la ricerca che ci mettiamo a fare è autentica, mette in gioco la nostra esistenza, non è una pura curiosità per sfruttare qualche occasione nel disordine della nostra vita

Loro lo riconoscono per quello che hanno capito che sia e dicono: Maestro, dove abiti? La ricerca, che è già stata preceduta da una testimonianza, quella di Giovanni il Battista che lo ha loro indicato, esige poi un incontro, quindi, con la persona di Gesù. Lui stesso immediatamente apre loro questa possibilità e risponde con un imperativo “Venite” – che nel linguaggio dell’evangelista Giovanni “venire a Gesù” significa credere in Lui – e “vedrete” è qualcosa che avverrà in un futuro, che, stando con Lui si dischiuderà.

Infatti sappiamo quanta fatica hanno fatto poi a capire bene chi era Gesù, compresa la fuga durante la sua passione. E fanno – gli apostoli – l’esperienza della persona di Gesù. L’incontro con Lui è stato decisivo per dire di aver trovato colui che cercavano.

C’è da parte loro un uscire da se stessi, dalla propria sicumera: quel venite se lo deve sempre rendere vero ciascuna persona che è stato chiamato alla vita, senza la sua partecipazione alla chiamata alla vita, ma adesso rispondendo al venite decide di uscire da sé.

Quante volte papa Francesco stimola ciascun cristiano con questo verbo “uscite, non state sdraiati sul divano della vostra vita”.

Andarono e rimasero: non scuriosavano soltanto, ma decisero di rimanere; quel loro rimanere durò a lungo perché nel vangelo si dice che iniziò alle quattro del pomeriggio e durò fino alla fine della giornata. Si cerca Gesù e lo si segue per dimorare con Lui. Sono le grandi strutture di ogni  ricerca umana e religiosa.

La persona desidera  stare con Dio, va sempre oltre dei tempi contingentati, cerca di trovare qualcosa che sia durevole: tutto questo in Cristo lo trova.

Andrea che era uno dei due, dice “Abbiamo trovato il Messia”. La ricerca è stata fatta bene, perché è Dio stesso che prende l’iniziativa, e il suo sviluppo ha bisogno di tempo; con Dio si squarcia  sempre un futuro (si dice infatti alla fine di questo episodio, nel Vangelo “…vedrete il cielo aperto…” ).

La manifestazione di Gesù avviene sempre dentro una storia, la storia della sua vita che sta appena cominciando in pubblico e finirà sulla croce e oltre nella risurrezione: una ricerca è corretta non tanto nel sapere già all’inizio l’esito, che cosa si vuole, dove si va, ma piuttosto nel porsi sulla strada giusta, disposti ad arrivare dove essa conduce, aperti alla libertà di una persona che è Gesù.

Mai aver la pretesa di chiudere noi il cammino, di definire di essere arrivati: se vocazione, chiamata significano tutto questo vuol dire che la nostra vita non è proprio lasciata al caso, non  siamo stati gettati in questo mondo per caso, ma sempre dentro un amore personalissimo che ci deve coinvolgere a rispondere, a uscire, a incontrare, a  dimorare, e a stare … ne va della nostra felicità!

17 Gennaio 2021
+Domenico

Lo sai già: si può sempre rispondere a una nuova chiamata di Gesù

Una riflessione sul Vangelo secondo Marco (Mc 2, 13-17)

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Di questi tempi sta diventando ancora più difficile soprattutto per il mondo giovanile, ma anche per chi, sposato, si è fatto una famiglia e vede che la pandemia gli ha sconvolto l’esistenza, tolto la sicurezza, spinto a una ricerca spesso affannosa di nuove possibilità di lavoro e di vita sociale, trovare soluzione alla propria ricerca, alle sue necessità e a una urgente riprogettazione della sua esistenza.

Qualcuno invece non si pone tanti problemi di scelta. Ha trovato due o tre occasioni, le ha seguite, una gli sembra buona e se ne sta tranquillo a vivere di rendita: è una vita senza lode e senza infamia come tutte del resto … “Non faccio niente di speciale, ma sto bene, ho amici, ho fascino, ho soldi, che vuoi di più? Mi tengo pure sempre la mascherina, non vado a nessuna movida …”

A un certo punto però si accorge che c’è qualcosa che non quadra nella sua esistenza, oppure viene posto di fronte con evidenza a una luce, a una intuizione, a una verità che gli fa cambiare radicalmente strada: gli si aprono gli occhi, percepisce dentro una voce, una spinta che non lo lascia tranquillo.

Levi (Matteo) era uno di questi: pacifico, stava a contare i suoi soldi in banca, a spostare danaro, a fare “bonifici”; aveva un lavoro fisso, disprezzato da tutti perché se la intendeva per forza di cose con i romani, che occupavano la Palestina; un avvenire sicuro, una cerchia di amici della stessa risma che gli faceva da cortina di fumo per non vedere i problemi, qualche bella cena, qualche buona avventura e guadagno sicuro. Della rispettabilità non gli interessa, tanto per i soldi tutti si creano una maschera e fanno tacere a pagamento se fosse possibile anche la coscienza.

Un giorno però gli capita al banco, dove sta contando euro a non finire, Gesù: e Gesù punta su di lui lo sguardo, il dito, la sua persona, la sua voce perentoria, tutto il suo fascino e gli dice “Seguimi!”

E’ un fascio di luce, un dito puntato, uno stupore, una sorpresa: ti serve qualche donazione per i quattro straccioni che ti seguono dovunque vai? Hai progetti ambiziosi che ti posso finanziare? Ma Gesù non è venuto a chiedere le sue cose, ma la sua stessa vita, l’ardore del suo lavoro, l’intelligenza dei suoi pensieri da applicare al suo Regno non a quello di mammona.

E Levi capisce: proprio me chiami? È me che vuoi? Con tutti i banchieri che ci sono ti rivolgi proprio a me? E alzatosi, messosi dritto davanti a Gesù, davanti alla vita, davanti a un nuovo futuro, nella dignità di tutta la sua umanità, provocata da questo invito a risorgere, lo seguì.

Gli è andato dietro, lo ha messo davanti a se come una meta, una forza irresistibile, una luce abbagliante, un calore confortante ed è diventato apostolo, mandato ad annunciare, non più seduto a contare.

Ha una sua vita di relazione, i suoi amici, sicuramente deve giustificare loro perché abbandona la sua ricca posizione sociale per correre dietro a un predicatore che non si sa quanto raccomandabile sia; sta di fatto che vuole che Gesù incontri questa sua potente fasciatura, cioè tutto il mondo di pubblicani che lo accerchia.

E Gesù va con grande scandalo dei benpensanti a sradicare certezze e a portare la sua speranza. Gesù non disdegna nessuna delle nostre mense, si fa compagno di tutti, non ha paura, vuole solo la nostra felicità. Li vede spaesati, ma lui li aiuta a alzare lo sguardo al cielo: è venuto per loro, non per stare nelle sacrestie del tempio a morire di fumo di animali bruciati!

Questo Gesù passa ancora per banche e agenzie, per fabbriche e uffici, per borse valori e università, per corsie d’ospedale e pronto soccorso e punta il dito e dice “seguimi”.

Se lo ascolti avrai trovato la strada della felicità.

16 Gennaio 2021
+Domenico

C’è un posto davanti a Gesù per ogni paralisi

Una riflessione sul Vangelo secondo Marco (Mc 2, 1-12)

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Lui era ammalato e immobilizzato, la malattia da un po’ di tempo lo teneva incollato al letto paralizzato, lo chiamavano “il paralitico”; era disperato, la sua vita era segnata per sempre, ma aveva quattro amici, aveva 8 gambe, 8 braccia, quattro cuori che facevano il tifo per lui: “Fatti coraggio, ci siamo noi ad aiutarti, per quel che ti serve conta su di noi! Abbiamo sempre lavorato assieme, ci siamo divertiti, ci si è spezzato il cuore quando ti abbiamo dovuto ricuperare senza più forze per sempre, ma non ti possiamo abbandonare.”

Ed è questa amicizia che scatena il miracolo, la fede, la salvezza!

“Ti abbiamo sempre aiutato, vuoi che ora non ti portiamo da Gesù? Di Lui dicono tutti che ha un cuore tenerissimo. Lui ha guarito dalla lebbra … ti ricordi quel cieco che ogni tanto urlava la sua rabbia e la sua fame? Ebbene oggi ci vede e non sta nella pelle dalla gioia … e tu? Da Gesù ti portiamo noi.”

Ve li immaginate questi amici, con la solidarietà che hanno in corpo, se stanno a far la fila, a ritirare lo scontrino che fissa la precedenza, a recedere perché l’ambulatorio è chiuso o perché non c’è più spazio?

“Ti caliamo dal tetto, proprio davanti a Gesù. Tanto a Pietro glielo rifaremo nuovo e per fortuna che è un poveraccio come noi e non ha fatto né soletta, né soffitto né controsoffitto” … «Scoperchiarono il tetto nel punto dove egli si trovava».

Gesù si vede calare davanti agli occhi il dolore fatto persona, un corpo paralizzato, una vita imprigionata che gli taglia la parola che stava annunziando, gli “interrompe l’omelia”, gli nasconde l’uditorio, gli stizzisce gli scribi che erano riusciti a segregarlo per un seminario di studi sulla Torah, o su qualche iota o apice della legge.

Come fa Gesù a non rispondere alla provocazione di questa fede, di questa solidarietà, alla pressione incontenibile di questa domanda, all’invocazione di questa vita?

“Voi pensate che io sia un guaritore da 4 soldi, che sia uno sciamano che ha ereditato a Nazareth un po’ di magia? Figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati: è questo male profondo che io sono venuto a sradicare dal cuore, non sono specializzato in neurologia o in traumatologia, non mi scambiate per un ipnotizzatore. Ora la tua vita è diversa, e per significarti che sei cambiato dentro prendi il tuo letto e cammina ti riconsegno ai tuoi quattro amici, con una vita piena, una salvezza che non potrà non contagiare quelli che incontrerai.”

Il tam tam della salvezza ha cominciato a diffondersi attraverso questo paralizzato con il letto a traino, con una vita nuova fuori e soprattutto dentro.

Il male più grande è il peccato: è aver reciso la vita dalla fede, per noi adulti di oggi avere abbandonato Gesù e averlo ridotto a un nome, a una religione come le altre, a una pia tradizione, è una cosa importante sapere cosa è il peccato.

Questo Gesù è un fatto, non è una idea, non è una pia sollevazione del sentimento, ma una presenza datata e senza fine, definita e aperta a tutte le espressioni del vivere, chiara e scritta nel mistero: è sempre quel Gesù che sa togliere le paralisi della vita, del pensiero, della cultura, della società …

“Alzati e cammina” è l’invito a ogni persona, a ciascuno di noi se cerchiamo di dare alla nostra vita un nuovo centro … aveva, per questo, trovato amici che non lasciavano solo nessuno.

Essere comunità cristiana significa moltiplicare le braccia per portare a Gesù tutti gli afflitti da paralisi del nostro mondo violento, il mondo dei pestaggi o delle polizie di stati violenti che torturano, delle rivoluzioni dei kamikaze, che nella ricerca dissennata di un cambiamento lasciano sul campo paralitici di ogni tipo e tolgono dal cuore del mondo e della cultura Gesù, il Signore della storia.

Che Dio ci conceda che ci sia sempre in prima linea, soprattutto in questa pandemia, qualcuno a scoperchiare tetti, a togliere fasciature, coperture “comode”, per mettere davanti a Gesù l’uomo desideroso di una parola decisiva e definitiva: “alzati e cammina. Io sono con te, io vivo dentro il tessuto dei tuoi rapporti. Non mi cercare altrove, anzi scrivi tu la mia presenza con la tua nuova esistenza dovunque porterai il tuo ingegno, la tua passione, la tua vita in nome mio.”

15 Gennaio 2021
+Domenico

Signore, se vuoi, puoi guarirci

Una riflessione sul Vangelo secondo Marco (Mc 1,40-45)

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Come la felicità di una persona in un gruppo è contagiosa, scatena gioia, voglia di nuovo, così purtroppo è il male, anzi il male è ancor più corrosivo in tutti i rapporti umani: basta una macchia per rovinare un vestito e non è sufficiente un bel gesto isolato a risanare una vita.

La forza misteriosa del male sembra invincibile non solo in te, ma anche nel deterioramento del vissuto sociale: occorre domandare a chi si è lasciato invischiare dalla droga quanta fatica deve fare per uscirne, quanti sforzi, quanta compagnia, quante costrizioni si deve imporre per sperare in una guarigione.

Poter guarire è l’aspirazione di ogni malato, liberarsi dalla colpa è il desiderio di ogni assassino: non si tratta di dimenticare, di stordirsi, di distrarsi … occorre sperimentare liberazione, pace, vita nuova: è questo che porta Gesù alla gente che lo incrocia per le strade della Palestina.

Talvolta è un cieco che chiede di vedere, qualche altra è uno storpio che vuol tornare a saltare … un giorno fu un lebbroso che gli si poté accostare sfidando le maledizioni di tutti, l’ostracismo sociale, la paura degli amici: «Se vuoi, puoi guarirmi

Aveva visto giusto nella sua disperazione: “Tu Gesù sei la salvezza, non distribuisci calmanti o placebo, non curi la facciata, non guadagni sulle nostre miserie, Tu mi puoi ridare speranza, mi puoi strappare dalle maglie di ogni tipo di spacciatori, non mi regali una dose per chiudere il buco della mia crisi di astinenza. Tu mi puoi guarire, mi puoi dare vita nuova. Non mi fermi solo la lebbra che mi corrode, ma mi ricostruisci le mani al posto dei moncherini, mi ritessi le labbra sulla bocca, i piedi su questi due trampoli.” … e Gesù, stese la mano, lo toccò, e gli disse «Lo voglio, guarisci!»

Una parola così me la voglio sentire sulla mia vita, sui miei errori, sulle mie miserie, sulle mie superficialità, sui miei tradimenti; ogni uomo, se ha il coraggio di chiedere e l’umiltà di riconoscere “se vuoi, puoi guarirmi” la riceve in dono come vita rigenerata su tutto il male che ha commesso.

Una parola così la vogliamo sentire sulla nostra pandemia, sui malati in cura intensiva, sulle file ai pronto soccorso, sui medici che hanno contratto l’epidemia, sulle persone anziane e sole, sui nostri vecchi preti che sono costretti dalla pandemia a chiudere la loro vita in solitudine, ma sicuramente non lasciati senza le Tue braccia, il Tuo “venite a Me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e Io vi ristorerò”.

14 Gennaio 2021
+Domenico

Ci voleva anche la pandemia!

Una riflessione sul Vangelo secondo Marco (Mc 1, 29-39)

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Se c’è qualcuno che ha ancora dei dubbi, la pandemia che non riusciamo a bloccare, glieli toglie tutti: ogni uomo che viene al mondo deve portare il suo carico di dolore, di pena, di male … non è una fatalità, ma un dato di fatto! 

Siamo sconcertati dal cumulo di dolore, dalle file ai pronto soccorso, da quelle file di camion – che non dimenticheremo facilmente – che portavano bare a seppellire, ti senti schiacciato dal dolore, quando ne devi portare una parte; ti tocca perché sei papà o mamma e spesso ti sembra di non farcela a sostenere il dolore che ti accumula la vita di famiglia; ti tocca per la tua stessa vita, per le vicende che ti capitano, che qualche volta hai provocato tu con la tua insipienza o che spesso ti vengono caricate sulle spalle senza tua colpa: è un incidente, è una malattia, è una ingiustizia, sono le disonestà, le cattiverie, i delitti di chi non ha rispetto di nessuno.

Se poi ampliamo lo sguardo alle file di emigranti, torturati, vessati, stipati in “camion frigorifero”, annegati in mare, disprezzati come terroristi, respinti alle torture, ti senti sicuramente in colpa … ma perché tutto questo macigno straziante di male? C’è qualcuno o qualcosa o qualche prospettiva che ci permetta di vincerlo, non solo di sfuggirlo, di superarlo … non tanto di scaricarlo sulle spalle di altri.

A Gesù, al tramonto del sole di quella prima giornata di Cafarnao, passata amichevolmente nella casa di Pietro, si presenta una massa di ammalati e di indemoniati: si è diffuso un rapidissimo tam tam tra tutti i disperati, la notizia della sua presenza è passata di tugurio in tugurio, di disperazione in disperazione e ciascuno ha trovato la forza di portare alla luce i suoi mali, i suoi malati, i reclusi del dolore.

C’è Lui, Gesù ha detto che il Regno sta scoppiando: Lui comanda ai demoni!

Lui è capace di portare tutto il male del mondo e se ne sente quasi schiacciato, ha bisogno di fissare il suo sguardo gravato dalle scene del dolore negli occhi del Padre e di buon mattino si ritira in un luogo deserto a pregare: non è una fuga al “tutti ti cercano” che Pietro gli grida, non oppone rifiuto, ma allarga ancora più l’orizzonte a tutti i villaggi vicini.

È Lui l’agnello che si carica il male del mondo, non siamo più soli a portarlo: Lui è la chiave di volta sotto cui il peso della vita non potrà mai schiacciarci.

Il male del mondo è tanto, siamo tentati di dire che è troppo, ma bisogna cercare Lui per avere la certezza di vincerlo: se la terra è spaesata, il cielo non è vuoto.

Papa Francesco ci dice sempre che la chiesa deve uscire e accogliere tutti: gli siamo obbedienti oppure ci fermiamo a guardarci negli occhi? Noi i bravi, i garantiti, quelli che dicono di avere bisogno di nessuno e magari non aiutano nessuno?

Tutti cercano solidarietà, compagnia, amore: la Chiesa è in uscita sempre per questo, per essere come il suo maestro Gesù.

13 Gennaio 2021
+Domenico

Gesù è Lui il Signore che vince il demonio

Una riflessione sul Vangelo secondo Marco (Mc 1, 21b-28)

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Siamo veramente immersi in un mare di sofferenze: spesso non ce ne accorgiamo o facciamo finta che non esistano, le nascondiamo per pudore, ce le teniamo nel segreto delle nostre vite, per vergogna, per evitare commiserazioni inutili.

Oggi le nascondiamo nella pandemia che è già una grande sofferenza, che però fa trascurare le altre che sempre ci sono: molte famiglie si tengono in casa il loro malato, il loro handicappato, il figlio o la figlia incapace di autonomia o soggetto a crisi depressive, a schizofrenia … insomma spesso ci si mette anche il demonio a distruggere la vita di una persona proprio con la sua “possessione”.

Se ne raccontano più di quelle che esistono, ma non c’è dubbio che il demonio ci sia e sia operativo … e queste malattie escono alla ribalta appena si sente un segnale di aiuto, appena si sente dire che c’è qualcuno capace di dare pace, di guarire, di offrire per lo meno speranza.

Capitò così anche a Gesù: quando transitava per un paese, stanava tutte le miserie che c’erano. Le mamme si facevano coraggio e mettevano in pubblico le loro sofferenze, i malati che potevano venivano  portati sulla piazza per incrociare Gesù, chi vi era impossibilitato trovava qualche amico che lo aiutava.

E Gesù dimostrava di comandare anche agli spiriti del male, ai demoni: “Taci, esci, te lo comando. Qui c’è il Figlio di Dio e non ci può essere nessuna zona umana posseduta dal male”.

Gesù è l’unica potente salvezza: è giusto che ricorriamo alle medicine e alle scoperte scientifiche, ma ci sono dei mali che si superano solo nella preghiera, solo affidandoci a Lui!

Non c’è nessuna pastiglia che scaccia il male che è il demonio, non ci sono sostanze chimiche che possono scacciare dalla vita lo spirito del male: occorre molta preghiera, una esposizione costante alla Parola di Dio e una grande fede in Gesù.

Ma chi è mai Gesù? Certo non è riducibile a una persona politicamente corretta, tutta dimostrabile, ben comprensibile … i sapientoni hanno cercato di smontarci nella nostra fede, dicendo che i miracoli che compiva e di cui ci parla il Vangelo fossero frutto di visioni distorte o di racconti edificanti senza nessuna base reale.

Gesù è colui che parla con autorità e che compie segni che lo mostrano Figlio di Dio, Figlio di un Padre che ha creato cielo e terra, che soprattutto ci ha dimostrato un amore grande andando a morire sulla croce per noi.

Questa è la dottrina nuova, insegnata con autorità: “e Dio lo ha risuscitato”.

12 Gennaio 2021
+Domenico