Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 26, 14-16) dal Vangelo del giorno (Mt 26, 14-25) nel Mercoledì santo
«Allora uno dei Dodici, chiamato Giuda Iscariota, andò dai sommi sacerdoti e disse: “Quanto mi volete dare perché io ve lo consegni? ”. E quelli gli fissarono trenta monete d’argento. Da quel momento cercava l’occasione propizia per consegnarlo».
Non c’è nessun destino nella vita umana, c’è sempre e solo capacità di intercettare una proposta, una chiamata e la creatività di rispondere o di rifiutare. Dio ci fa liberi, ma la nostra vita non è automaticamente collocata nella bontà. Esiste sempre la necessità di scegliere e le scelte sono collocate entro un disegno di amore. Destino è una parola che non sta bene sulla bocca del cristiano e noi la usiamo molto spesso. Era destino che… è stato il suo destino… vuol dire che era destinato a… ce l’ha messa tutta, ma non ce l’ha fatta: era destino che…Non è assolutamente vero.
Dio ci chiama alla libertà e ci offre tutte le condizioni per viverla. Resta sempre un grande mistero, quello sì. E la parola mistero non è una affermazione sbrigativa, per dirci che non val la pena di pensarci, ma è una espressione di coinvolgimento in un piano superiore alle nostre vedute e immerso in una atmosfera di amore.
Resta un mistero la sua volontà che non può essere scalfita da disobbedienza alcuna; resta un mistero la nostra libertà di scegliere, che ci è sempre garantita; resta un mistero come si accordino, ma sappiamo che in Dio abbiamo un posto di amore.
Giuda non ci ha più creduto: si è tormentato, si è confrontato, ha avuto la debolezza di lasciarsi incantare da abbagli di morte e non ha più avuto il coraggio di riprendere in mano la vita, come invece è riuscito a fare Pietro.
Ambedue traditori, ma uno chiuso in sé, l’altro aperto alla misericordia di Dio.
E’ penosa la scena di quella intimità profonda tra Gesù e i suoi all’ultima cena: Gesù apre tutto il suo cuore in maniera struggente e tutti stanno a tirarsi indietro con quel bugiardo: sono forse io Signore?
Sì, ciascuno aveva in cuore un piccolo o grande tradimento, ciascuno il giorno dopo non avrebbe retto alla prova, si sarebbe squagliato, avrebbe fatto tutte le carte false possibili per far credere di non essere mai stato con Lui.
Anche noi forse in queste giornate vedremo rappresentazioni della passione e vivremo le belle liturgie della Settimana Santa: staremo anche noi a tirarci indietro con quel farisaico “Sono forse io, Signore?” O ci prenderemo le nostre responsabilità e apriremo la mente, il cuore a quella unica speranza della nostra vita che è il suo perdono? E che diventa certezza?!
Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 13,21-23) dal Vangelo del giorno (Gv 13, 21-33.36-38) nel Martedì Santo 2021
In quel tempo, [mentre era a mensa con i suoi discepoli,] Gesù fu profondamente turbato e dichiarò: «In verità, in verità io vi dico: uno di voi mi tradirà». I discepoli si guardavano l’un l’altro, non sapendo bene di chi parlasse. Ora uno dei discepoli, quello che Gesù amava, si trovava a tavola al fianco di Gesù.
Anche nei cuori più puliti, nelle intenzioni più belle e sincere, nelle amicizie più profonde c’è sempre la presenza di un tarlo che può rovinare tutto: il tradimento.
Lo abbiamo provato magari tutti nell’età dell’adolescenza, quando avevamo trovato un amico, una amica, che speravamo fosse la nostra ancora di salvezza, il nostro punto di confidenza, il superamento della nostra solitudine e poi … ci siamo visti le nostre confidenze messe in piazza, i nostri sentimenti buttati in pasto a tutti; soprattutto l’amico, con cui avevamo fatto patti di acciaio, farsi ostile e nemico, con il vantaggio di avere in mano tutti i nostri punti più deboli: traditore.
Gesù passa attraverso questa dolorosissima esperienza, non nei giochi di una adolescenza, che per prove e difficoltà si fa più forte nell’affrontare la vita, ma nel pieno della sua missione: è stato tradito, aveva riposto tutte le sue speranze nei dodici, ma aveva sempre avuto grande rispetto della libertà di tutti.
Giuda e Pietro sono alla stessa mensa, a quella cena intima che Gesù ha voluto consumare prima degli eventi definitivi della sua missione: ambedue apostoli, ambedue collaboratori stretti di Gesù, ambedue alle prese con la propria coscienza, le proprie paure, ambedue con un rapporto di amicizia con Gesù … e satana scatena la sua battaglia, si insinua nelle loro vite e ne sfrutta le debolezze.
Giuda lo tradisce con un bacio, Pietro con la paura.
Gesù li ha chiamati entrambi, ha voluto far nascere nel loro cuore la sua passione per il Regno di Dio.
Giuda era un poco di buono, ma Gesù accetta la sfida: “se vuoi puoi farti affascinare da un amore più grande di quello che provi oggi”. Giuda era stato scelto per essere apostolo, chiamato all’intimità con Gesù, a partecipare al suo progetto di mondo nuovo a partecipare al suo amore, alla sua missione … ma ha scelto di abbandonare e ha creduto che il peccato fosse più grande della misericordia, non ha capito che poteva sempre e solo sperare, perché Gesù è la speranza vera di ogni vita.
Anche là dove si costruisce la tana dei disperati, c’è sempre uno spiraglio di bontà: la luce della speranza si insinua in ogni fessura e vince. Pietro invece l’aveva capito e ha bagnato l’amore fragile nel pianto.
Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 12, 3) dal Vangelo del giorno (Gv 12, 1-11) nel Lunedì Santo 2021
«Maria allora prese trecento grammi di profumo di puro nardo, assai prezioso, ne cosparse i piedi di Gesù, poi li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì dell’aroma di quel profumo».
Esistono momenti nella nostra vita carichi di simboli, di presagi, di strane o fortunate coincidenze, di gesti semplici, ma profondi che ti aiutano a trovare un senso, una luce per il cammino dell’esistenza: sono i momenti delle decisioni per il matrimonio, o per una vita consacrata a Dio, sono situazioni che decidono l’avvenire dei figli, una svolta nella professione, nella ricerca del lavoro, nella nostra stessa ricerca della fede.
La cena in casa di Lazzaro, a sei giorni dalla pasqua è per Gesù uno di questi momenti carichi di significato, di presagi, di dolcezza: la trama dei farisei si sta infittendo sempre più, Gesù deve sostenere tutti i giorni nel tempio una diatriba serrata con tutto l’apparato … gli hanno giurato di farlo morire: la sua predicazione è insopportabile, destabilizzante.
Gesù ha un luogo accogliente, in cui nell’amicizia si stemperano le tensioni, dove è possibile vivere rapporti umani, dove la delicatezza è sovrana, dove sei accolto per quello che sei, non per nessun ruolo che svolgi, dove in amicizia si può sperimentare sincerità, fiducia, confidenza …
Gesù ha un cuore di uomo, amante della vita: ha bisogno del calore di una famiglia che manca spesso a tanti di noi, quel luogo in cui ci si dona l’uno all’altra per amore.
Il gesto più bello d’amore, l’ultimo che l’umanità gli ha rivolto – non sarà certo così il bacio di Giuda, e nemmeno lo schiaffo nel pretorio – l’ultimo gesto d’amore, il più bello, lo compie ancora Maria, la sorella di Lazzaro. che versa sui piedi di Gesù un profumo delicatissimo, costoso, quello delle grandi occasioni.
E’ la sorella di Lazzaro, e … unge a Gesù quel corpo che fra poco penderà dalla croce, che sarà percosso e umiliato, oltraggiato in maniera efferata: Gesù pensa alla sua sepoltura, perché ormai la morte è vicina … Giuda invece pensa agli affari e accampa la scusa dei poveri.
I poveri sono purtroppo sempre usati per nascondere le intenzioni più basse: “non si poteva vendere questo profumo che costa 300 denari per i poveri?” … ma non ci saranno funerali per Gesù, né bisogno di curarne il corpo freddo nella morte, ci sarà la morte, sicuramente; il male avrà il sopravvento, ma solo per porre davanti a tutti nella solennità di un trono scomodo quale è quello della croce, il massimo di bene che Dio avrà sempre per l’uomo, anche per i traditori, per gli infami.
Allora si leverà nella vittoria massima la speranza di vita per tutti, una speranza prefigurata e generata nei gesti semplici dell’amore, che si avvererà, dentro una accoglienza libera nella fede, nella morta di Gesù in croce, e nella risurrezione.
Una riflessione esegetica sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 18, 29-40 e Gv 19,1-15)
Abbiamo già analizzato il “processo religioso” fatto a Gesù, oggi vogliamo analizzare e leggere, dalla parola di Dio, il “processo civile”, cioè quello fatto davanti all’autorità romana, e quindi quello che … decideva della vita delle persone, perchè gli ebrei non potevano mettere a morte nessuno se non c’era il permesso dei romani.
Giovanni insiste sul “processo civile” con una narrazione molto elaborata, che vedremo distribuita in 7 parti: va dal capitolo 18 versetto 29 di Giovanni fino al capitolo 19 versetto 15.
Vediamo in sintesi prima i personaggi: sono I giudei, il popolo, i capi, alcuni farisei e scribi. Sono l’immagine del credente incredulo tra ipocrisia e false verità, non credono nel vero Dio e in loro risalta l’ipocrisia; del resto anche noi siamo credenti religiosi ipocriti, figure a metà, e vi ci siamo quindi rappresentati tutti in questo processo.
Poi c’è Pilato, la buona volontà, ma è condizionato dalla ragione di stato, dal suo ruolo: è un uomo a metà e ha una sua nobiltà formale di tratto, ma putroppo è imbelle e succube
Gesùè la verità e l’amore rifiutati, ma sempre offerti e proposti: risaltano l’innocenza di Gesù, è proclamato re, uomo perfetto, guida autorevole e sintesi di un popolo, una vera regalità … e viene presentato, da un punto di vista logistico, tra la casa di pilato e il cortile: per ben sette volte esce ed entra. Prima volta
Prima volta: Inizio del processo, prima uscita (Gv 18, 29-32)
Uscì dunque Pilato verso di loro e domandò: “Che accusa portate contro quest’uomo?”. Gli risposero: “Se non fosse un malfattore, non te l’avremmo consegnato”. Allora Pilato disse loro: “Prendetelo voi e giudicatelo secondo la vostra legge!”. Gli risposero i Giudei: “A noi non è consentito mettere a morte nessuno”. Così si adempivano le parole che Gesù aveva detto indicando di quale morte doveva morire.
Pilato esce, gli viene richiesta la crocifissione, domanda per quale accusa e non viene riportata nessuna ragione.
Tu sei il re dei Giudei affermazione apodittica (Gv 18, 33-38a)
Pilato allora rientrò nel pretorio, fece chiamare Gesù e gli disse: “Tu sei il re dei Giudei?”. Gesù rispose: “Dici questo da te oppure altri te l’hanno detto sul mio conto?”. Pilato rispose: “Sono io forse Giudeo? La tua gente e i sommi sacerdoti ti hanno consegnato a me; che cosa hai fatto?”. Rispose Gesù: “Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù”. Allora Pilato gli disse: “Dunque tu sei re?”. Rispose Gesù: “Tu lo dici; io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce”. Gli dice Pilato: “Che cos’è la verità?”.
Pilato fa chiamare Gesù gli fa la domanda se è re. In questi testi si parla ben dodici volte di regno e re – nel vangelo di Giovanni invece c’era stato solo un accenno al regno quando Gesù parlò di notte con Nicodemo (cfr Gv 3,3) – e qui il dialogo tutto si gioca sulla regalità e c’è una affermazione di Gesù Tu l’hai detto che dà importanza a ciò che dice Pilato.
Terzo passaggio, Non ha nessuna colpa (Gv 18, 38b-40)
E detto questo uscì di nuovo verso i Giudei e disse loro: “Io non trovo in lui nessuna colpa. Vi è tra voi l’usanza che io vi liberi uno per la Pasqua: volete dunque che io vi liberi il re dei Giudei?”. Allora essi gridarono di nuovo: “Non costui, ma Barabba!”. Barabba era un brigante.
Pilato non trova colpa e lo vuol liberare e fa fare al popolo una scelta, umiliando Gesù e vedendo come la famosa regalità è anche per lui una farsa
Flagellazione assurda (Gv 19,1-3)
Allora Pilato fece prendere Gesù e lo fece flagellare. E i soldati, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero addosso un mantello di porpora; quindi gli venivano davanti e gli dicevano:“Salve, re dei Giudei!”. E gli davano schiaffi
Per fare questa operazione Pilato entra di nuovo, nella sede del giudizio – anche se il vangelo non lo dice – fa prendere Gesù e lo fa flagellare: l’umiliazione di Gesù con la soldataglia è del tutto gratuita, crudele e devastante (penso che molti di voi ricorderanno il film di Gibson al riguardo)
Ecco l’uomo (Gv 19, 4-8)
Pilato intanto uscì di nuovo e disse loro: “Ecco, io ve lo conduco fuori, perché sappiate che non trovo in lui nessuna colpa”. Allora Gesù uscì, portando la corona di spine e il mantello di porpora. E Pilato disse loro: “Ecco l’uomo!”. Al vederlo i sommi sacerdoti e le guardie gridarono: “Crocifiggilo, crocifiggilo!”. Disse loro Pilato: “Prendetelo voi e crocifiggetelo; io non trovo in lui nessuna colpa”. Gli risposero i Giudei: “Noi abbiamo una legge e secondo questa legge deve morire, perché si è fatto Figlio di Dio”.All’udire queste parole, Pilato ebbe ancor più paura
Come abbiamo sentito esce di nuovo ed esce anche Gesù e Pilato usa quella frase misteriosa di grande significato per noi e che poi commenteremo e su di essa rifletteremo
Gesù in dignità (Gv 19,9-12)
ed entrato di nuovo nel pretorio disse a Gesù: “Di dove sei?”. Ma Gesù non gli diede risposta. Gli disse allora Pilato: “Non mi parli? Non sai che ho il potere di metterti in libertà e il potere di metterti in croce?”.
Rispose Gesù: “Tu non avresti nessun potere su di me, se non ti fosse stato dato dall’alto. Per questo chi mi ha consegnato nelle tue mani ha una colpa più grande”.
Da quel momento Pilato cercava di liberarlo; ma i Giudei gridarono: “Se liberi costui, non sei amico di Cesare! Chiunque infatti si fa re si mette contro Cesare”.
Pilato rientra ancora, chiede a Gesù di dove è.
Gesù non risponde perché non ne vede nessuna attinenza al suo processo o perché il silenzio è la risposta più vera, e di fatto Pilato esce nella sua sortita più insipida, rinfacciando a Gesù il suo potere: non sa proprio chi ha davanti, neanche se lo è forse chiesto … e Gesù si erge ancora nella sua dignità, conduce ancora lui il processo ‘non avresti nessun potere se non ti fosse dato dall’alto’
E l’ultimo passaggio : Ecco il vostro re (Gv 19, 13-15)
Udite queste parole, Pilato fece condurre fuori Gesù e sedette nel tribunale, nel luogo chiamato Litòstroto, in ebraico Gabbatà. Era la Preparazione della Pasqua, verso mezzogiorno. Pilato disse ai Giudei: “Ecco il vostro re!”. Ma quelli gridarono: “Via, via, crocifiggilo!”. Disse loro Pilato: “Metterò in croce il vostro re?”. Risposero i sommi sacerdoti: “Non abbiamo altro re all’infuori di Cesare”.
… esce un’ultima volta; i Giudei fanno a Gesù l’accusa di essere re, Pilato siede in tribunale – qualche esegeta dice che fa sedere Gesù beffandosi di Lui sullo scranno del tribunale – e dice un’altra frase significativa. Ecco il vostro re.
Si impaurisce e consegna loro Gesù per la crocifissione.
Noi però vogliamo terminare qui a questa affermazione: “Ecco il vostro re”.
C’è molto da riflettere. Potremmo spendere tempo ad analizzare che anche questo processo è una farsa, pure se fatta con tutta la formalità del diritto romano, pure ingiusta e penosa dal punto di vista di un magistrato di Roma, patria del diritto, ma desideriamo andare più in profondità.
Contempliamo sempre il nostro Gesù che viene passo passo umiliato, percosso, deriso, schernito, barattato con un ladro, privato di ogni dignità, che Lui però non perde, manifestando sempre di stare molte spanne al di sopra di tutti quelli che sono stati convocati a dare una parvenza di legalità alla sua uccisione.
Da notare sempre la serenità e calma di Gesù, la sua padronanza dei fatti, la percezione di una umanità per cui muore e che cade sempre più in basso, sapendo Lui che si deve caricare sulle sue spalle e nella sua vita tutto questo male per poterlo sradicare dal mondo.
“Ecco l’uomo, Ecco il vostro re”.
A queste due affermazioni di Pilato dedichiamo una attenta meditazione, un’altra attenzione.
Due elementi sono da mettere in risalto
Ecco l’uomo: Gesù appare come l’uomo nella sua verità, obbediente a Dio Padre, umiliato, deriso … eppure è l’uomo perfetto nel paradosso giovanneo; Gesù ha adempiuto il disegno per cui si è incarnato, è diventato l’Emanuele, il Dio con noi, si è fatto uomo … e l’altra affermazione,
Ecco il vostro re: Gesù è presentato anche come re, quindi guida dell’umanità, rappresentante del popolo.
“Ecco l’uomo”, non lo vogliamo contemplare secondo il primo senso ovvio, della serie “questo straccio di uomo, che non è capace più a nulla, voi volete che io mi accanisca su di lui? guardate come l’hanno ridotto! che volete ancora?”, no, vogliamo pensare quest’uomo nel senso più profondo e paradossale: è una proclamazione quasi gioiosa come ce lo presenta il capitolo 53 di Isaia
Chi avrebbe creduto alla nostra rivelazione? A chi sarebbe stato manifestato il braccio del Signore? È cresciuto come un virgulto davanti a lui e come una radice in terra arida. Non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per provare in lui diletto. Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia, era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima. Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori e noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato. Egli è stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti. Noi tutti eravamo sperduti come un gregge, ognuno di noi seguiva la sua strada; il Signore fece ricadere su di lui l’iniquità di noi tutti. Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca; era come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non aprì la sua bocca. Con oppressione e ingiusta sentenza fu tolto di mezzo; chi si affligge per la sua sorte? Sì, fu eliminato dalla terra dei viventi, per l’iniquità del mio popolo fu percosso a morte. Gli si diede sepoltura con gli empi, con il ricco fu il suo tumulo, sebbene non avesse commesso violenza né vi fosse inganno nella sua bocca. Ma al Signore è piaciuto prostrarlo con dolori. Quando offrirà se stesso in espiazione, vedrà una discendenza, vivrà a lungo, si compirà per mezzo suo la volontà del Signore. Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce e si sazierà della sua conoscenza; il giusto mio servo giustificherà molti, egli si addosserà la loro iniquità. Perciò io gli darò in premio le moltitudini, dei potenti egli farà bottino, perché ha consegnato se stesso alla morte ed è stato annoverato fra gli empi, mentre egli portava il peccato di molti e intercedeva per i peccatori.
Ma io sono verme, non uomo, infamia degli uomini, rifiuto del mio popolo. Mi scherniscono quelli che mi vedono,storcono le labbra, scuotono il capo:
L’uomo nel paradiso terrestre non aveva saputo rispondere alla sua vocazione: ora invece è l’uomo come Dio vuole che nasca, l’uomo giunto a maturazione perfetta come Dio lo aveva sognato in Paradiso:
Esaltato nel battesimo – se ricordate – Questo è il mio figlio, l’amato (agapetos)
Esaltato nella trasfigurazione: i tre apostoli videro la gloria di Lui, tra Elia e Mosè
predetto da Giovanni nel suo Vangelo, capitolo primo (Gv 1, 33): tu vedrai lo Spirito Santo fermarsi su un uomo, è Lui e posso testimoniare che è Gesù il Figlio di Dio
Però quel Gesù, che fu fatto di poco inferiore agli angeli, lo vediamo ora coronato di gloria e di onore a causa della morte che ha sofferto, perché per la grazia di Dio egli provasse la morte a vantaggio di tutti. Ed era ben giusto che colui, per il quale e del quale sono tutte le cose, volendo portare molti figli alla gloria, rendesse perfetto mediante la sofferenza il capo che li ha guidati alla salvezza.
Ha assunto su di sé, come nuovo Adamo, l’umanità perduta: ha preso le nostre infermità, come dicono … come dice Matteo …
Venuta la sera, gli portarono molti indemoniati ed egli scacciò gli spiriti con la sua parola e guarì tutti i malati, perché si adempisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaia: Egli ha preso le nostre infermità e si è addossato le nostre malattie.
… ed alcuni esegeti sono di questo pensiero: per esempio un ottimo esegeta, proprio morto in questa pandemia, don Bruno Maggioni, dice che questo uomo è l’uomo perfetto che corrisponde ai disegni di Dio; è a sua volta enigmatico ma assume tutto il suo vero significato sullo sfondo dei testi sapienziali. Il vero essere umano come ancora non è mai stato manifestato.
E’ a immagine e somiglianza di Dio, fu creato così, ma lo ha dovuto e lo deve sempre diventare per realizzare a pieno la creazione … e ci aiuta in questo la lettera di San Paolo ai Filippesi
Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio l’ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre.
Ogni volta che entriamo con coraggio nella umiliazione di Cristo troviamo una pace interiore, la vittoria sul nostro male, sulla nostra ambizione. Questa emozione interore viene rafforzata ecco il vostro re che si riferisce a colui che è sintesi e guida del popolo, il messia il mediatore e salvatore universale …
“Questo è il vostro vero messia”: senza attendere la risurrezione qui viene proclamata la vera regalità di Gesù, che rende testimonianza all’amore misericordioso di Dio.
Chi vorrà mettersi alla sequela di Gesù, di questo re, dovrà accettare di essere umiliato, calpestato, deriso: Giovanni lo presenta con molta forza, totalmente immerso e dedicato al Padre, e con altrettanta forza lo presenterà nella risurrezione, perché ha bevuto fino in fondo il calice del Padre, Gesù
schiacciato emerge
ucciso vivifica
condannato a morte condanna il mondo
A me, a ciascuno di voi, spetta contemplare questo Gesù, che ha dato se stesso per me … e Qui vedo il mio peccato, Qui esprimo la fiducia grande che devo avere in Lui, chiedere di potergli stare vicino, che io sappia sopportare umiliazioni per amore tuo; qui siamo nel cuore del vangelo: viene messa in luce la sua umanità la sua dedizione: a noi seguirlo e non tirarci indietro quando ci fa partecipi delle sue umiliazioni e delle sue sofferenze
E da qui sgorga la nostra preghiera in una contemplazione orante.
Una riflessione sul Vangelo secondo Marco (Mc 15, 2-5) dal Vangelo del giorno (Mc 14,1-15,47) nella “Domenica delle Palme”
Allora Pilato prese a interrogarlo: “Sei tu il re dei Giudei? ”. Ed egli rispose: “Tu lo dici”. I sommi sacerdoti frattanto gli muovevano molte accuse. Pilato lo interrogò di nuovo: “Non rispondi nulla? Vedi di quante cose ti accusano! ”. Ma Gesù non rispose più nulla, sicché Pilato ne restò meravigliato.
Gli ulivi che popolano festosamente tante nostre colline, i nostri laghi, oggi sono al centro della nostra vita di fede: diventano rami di festa, foglie di letizia per accompagnare Gesù alla sua Gerusalemme, alla città dei suoi sogni, al vertice della sua vita, alla settimana decisiva per la storia dell’umanità.
I racconti della passione, morte e risurrezione di Gesù sono il punto di partenza della nostra fede.
Oggi in tutte le chiese ne leggiamo uno: tutti ci vogliamo risentire quella storia, vogliamo prendere parte, stanare dal nostro cuore, abituato a tutto, sentimenti di partecipazione.
Tante volte abbiamo sentito … del traditore Giuda e avremmo voluto essergli accanto per dirgli “ma che fai?”, per fermarlo; tante volte avremmo voluto dire a Pilato di continuare nel suo sforzo di salvare Gesù e di non cedere alla paura per amore di carriera, avremmo voluto essere vicini a Pietro per dargli un po’ di coraggio, avremmo voluto evitare a Gesù la morte o magari dire ai soldati … di non essere crudeli, di fare presto quello che dovevano.
Avremmo forse perso la speranza ancora prima e avremmo trasformato l’amore in compassione, non saremmo più stati capaci di sostenere lo strazio a lungo: saremmo scappati – forse anche noi – come i suoi discepoli.
Poi siamo tornati alle nostre abitudini, alla nostra “routine”, e la commozione è finita: non possiamo vivere sempre in tensione; abbiamo la nostra vita da vivere!
Ma il nostro tornare tutti gli anni alla morte e risurrezione di Gesù è tornare sempre alle nostre radici: non è una fiction, non è una commedia, è scavare ragioni di vita e di speranza.
La nostra fede parte da lì: i cristiani non stanno a fare grandi pensate filosofiche, anche se usano continuamente e bene la ragione, ma si fanno conquistare da questo amore che sta appeso alla croce.
Avvertiamo tutti che le molte critiche al mondo cattolico, a coloro che frequentano e che non sono meglio di nessuno, ai preti che non sono all’altezza della loro vocazione, a cardinali e a papi, alla chiesa nella sua struttura, possono essere anche vere e lo sono state nella lunga storia del cristianesimo; avvertiamo – dicevo – che sono una fuga dai problemi veri.
Non cercate solo il gusto di umiliarci, che a noi fa solo bene … ma quella croce e quell’amore, crocifissole sopra, non lo mette in dubbio nessuno; con quello occorre confrontarsi ed essere sinceri con se stessi: è solo e tutta qui la nostra speranza, non nella fragilità dei cristiani, dei cattolici, di noi, di me, che decidiamo ancora di confrontarci in questa settimana con Lui che soffre e che muore.
Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 11, 47-48) dal Vangelo del giorno (Gv 11, 45-56) nel Sabato della V settimana di Quaresima
Allora i capi dei sacerdoti e i farisei riunirono il sinèdrio e dissero: «Che cosa facciamo? Quest’uomo compie molti segni. Se lo lasciamo continuare così, tutti crederanno in lui, verranno i Romani e distruggeranno il nostro tempio e la nostra nazione».
Nel campo di sterminio di Auschwitz un giorno si procede a una decimazione. Devono essere messi a morte dieci prigionieri presi a caso. Capita un padre di famiglia, che piange sconsolato pensando ai suoi figli. Un frate p. Massimiliano chiede di poterlo sostituire e prende il suo posto. Muore per salvare una vita. E’ S. Massimiliano Kolbe.
E’ arrivato a questo gesto non per caso, Aveva alle spalle una vita di generosità, come non sono poche le mamme che preferiscono portare a termine una gravidanza che pensare alla propria salute: Muoiono per dare la vita.
Un giorno assolato, una spiaggia tranquilla, i ragazzi finalmente sono riusciti ad andare al mare, fanno un bagno “divertito”: Un’onda anomala li investe e li sta annegando tutti.
Il prete si fa in quattro e li porta a riva a uno a uno. Lui è un atleta, ha alle spalle tante ore di nuoto e ce la fa. Ma alla fine cade a terra stroncato dalla fatica: è morto per salvare i suoi ragazzi.
Il nostro mondo non è fatto solo di egoisti, ma anche di uomini e donne che sanno fare dell’amore la loro legge!
Gesù, uomo come noi, è dentro questa catena di bontà: è venuto a salvarci, ha condiviso in tutto la nostra vita e non poteva non offrire la sua per la vita di tutti.
Il vangelo di Giovanni narra come lentamente, ma inesorabilmente si sta stringendo il cerchio della morte attorno a Lui: ha toccato più di un nervo scoperto del potere dei sommi sacerdoti che, a pochi giorni dalla grande pasqua intensificano le loro sedute, diurne e notturne, pubbliche e mafiose, per poterlo fermare.
L’ultimo fatto inaudito è la risurrezione di un morto, molto noto, nobile, che abitava alle porte di Gerusalemme, Lazzaro: qualche uomo del potere era pure andato ai funerali, aveva visto sigillare la tomba … ma, inaudito, Gesù è arrivato quando già il cadavere aveva un odore insopportabile e lo ha riportato in vita.
Ma dove andremo a finire? Se Gesù continua così, noi possiamo andare tutti in pensione, ma quello che più conta finisce la nostra religione: occorre fermare questo Gesù, “E’ meglio che uno muoia per la salvezza di tutti.”
Mai profezia fu così precisa, mai odio fu così lucido nel decidere una strategia di sopravvivenza … e l’hanno fatto fuori, credendo di aver risolto il problema.
Ma Gesù ha spuntato con la risurrezione anche queste armi di morte, ed è diventato speranza per tutti noi.
Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 10, 33) dal Vangelo del giorno (Gv 10, 31-32) nel Venerdì della V settimana di Quaresima
Gli risposero i Giudei: “Non ti lapidiamo per un’opera buona, ma per la bestemmia e perché tu, che sei uomo, ti fai Dio”.
Chi ci ha preceduto – e forse anche noi nella fanciullezza e nella prima adolescenza – è cresciuto con la profonda convinzione di essere fatto a immagine di Dio, come il tu di un Dio personale: Dio è l’essere in cui rispecchiarsi e a cui configurarsi, in cui trovare il senso della vita e della morte, della buona e della cattiva sorte, del presente e del futuro …
Oggi, tuttavia, viviamo un’epoca nella quale l’uomo non crede più alla centralità di Dio nella storia.
Conseguenza? “Rottamato Dio” si è proceduto alla “rottamazione” dell’uomo, dissolto in mille maschere, simulacri, manichini.
Siccome siamo profondamente “religiosi” … la nostra vita è sempre orientata a una sete di Lui … ci inventiamo dei surrogati: i ragazzi che non sentono più parlare di Dio, cadono anche nel satanismo; la gente semplice si cerca le sue magie – di fatto sta aumentando il fatturato dei maghi; l’intellettuale, crede di non fare la fila dalle fattucchiere, ma pone la sua fiducia solo nelle ipotesi scientifiche, che fungono ancor più da ultima spiaggia, destinata a dissolversi ad ogni ricerca più avveduta, anche se la pandemia ci ha tolto un po’ della nostra sicumera; il superficiale sostituisce sempre Dio con le sue “star”.
A questa deriva il popolo di Israele si opponeva in tutti i modi, richiamando sempre l’assoluta unicità di Dio; per questo non sono riusciti a farsi provocare da Gesù, vedevano in Lui un uomo che aveva la sfrontatezza blasfema di mettersi al posto di Dio: Inaudito, Bestemmia, roba da lapidazione … e infatti cercavano ogni modo per lapidarlo: di fronte a questa bestemmia non servivano processi, tanto per loro era delittuosa.
Noi siamo tanto abituati agli idoli che non ci faremmo caso: ogni tanto c’è uno che si fa dio, il denaro per esempio, che diventa il dio della nostra vita, uno o qualcosa cui sacrifichiamo la nostra felicità, la nostra esistenza.
Abbiamo bisogno di ritornare al Dio vero e l’unica strada è Gesù, è il Vangelo, la sua buona notizia; è la sua croce, la sua storia, è la sua vita donata.
Tornare a Dio, significa sperare ancora e essere certi che la vita è ancora nelle sue mani, la nostra come quella del mondo, pure con la nostra pandemia.
Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 1, 38) dal Vangelo del giorno (Lc 1, 26-38) nella Solennità dell’Annunciazione
Allora Maria disse: “Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto”. E l’angelo partì da lei.
L’istante del concepimento è il vero inizio della vita di una persona: lì, nel segreto del seno materno inizia una vita nuova, inizia un progetto, una novità assoluta … certo assomiglierà al papà e alla mamma, ai nonni e alle zie, avrà un colore della pelle, caratteristiche somatiche che dipendono dal luogo in cui nasce, dall’etnia cui appartiene, ma è e sarà sicuramente non riducibile a nessun altro, avrà un suo DNA caratteristico: non si sentirà “fatto in serie”, ma sempre una assoluta novità.
Dio da quel momento ha già inscritto una sua peculiarità: la sua anima, il suo alito di vita, soprattutto il suo amore.
Tutto comincia da questo momento magico, che non è per nulla imbarazzante, è un momento di amore, non è una operazione chirurgica, né una tecnica sofisticata per far vedere che come uomini siamo bravi e sappiamo manipolare tutto; non c’è inseminazione artificiale che tenga. Sono solo strumenti sostitutivi che non devono mai lasciare in secondo piano l’amore profondo di due persone e l’unione della loro corporeità. Il piano di Dio prevede che sia sempre l’amore che provoca la vita, anche se la cattiveria umana spesso lo fa diventare il momento della violenza e del sopruso.
Oggi, a nove mesi esatti dal 25 dicembre – il giorno di Natale – la Chiesa non può non rivivere il momento magico del concepimento di Gesù: Dio si è inscritto nella vita dell’uomo, ne segue le leggi, soprattutto ne interpreta i momenti determinanti e infonde in loro la luce vera del progetto di amore di Dio.
Maria, una giovane ragazza ebrea si sente chiamata a dire sì, a vivere per il Signore la grande, estasiante, unica avventura di diventare mamma, a dare la sua adesione al grande piano di Dio, di abitare tra noi, di condividere la nostra umanità, la nostra quotidianità.
Dalla sua disponibilità dipende l’inizio di una storia che cambierà il mondo: i secoli vengono divisi in due da quel momento … l’uomo può di nuovo cominciare a sperare: la nostra carne non è debolezza e vanità, ma la carne del Figlio di Dio.
E Maria dice sì. Non diranno sì tante persone che incontreranno Gesù, anzi molti gli daranno battaglia, lo metteranno in croce, ma proprio lì si esprimerà la pienezza dell’amore partito da quel concepimento, e nessuno più lo fermerà.
Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 8,33) dal Vangelo del giorno (Gv 8, 31-42) nel Mercoledì della V settimana di Quaresima
Gli risposero: “Noi siamo discendenza di Abramo e non siamo mai stati schiavi di nessuno. Come puoi tu dire: Diventerete liberi?”
Liberi di fare quel che vogliamo è ormai una conquista da cui nessuno vuol tornare indietro. Voglio decidere io della mia vita, voglio realizzarmi come desidero, ho la mia età e non vedo perché qualcun altro debba poter vantare qualche diritto di fermarmi; non siamo come nel secolo scorso in cui c’erano tanti paletti e tante lotte inutili per conquistarsi un minimo di libertà. Non mi dire di andare a messa che non sono più un bambino. Sono libero o no di fare quel che voglio?
Poi va a finire che diventiamo schiavi di tutto, che tutti i giorni occorre qualche canna, ogni fine settimana qualche pasticca e passi tutta la giornata a raccattare soldi, a rubarli pure per mantenerti il vizio. Scegli con tutta la parvenza di libertà del caso le sigarette e non riesci più a staccartene, nonostante il terrorismo delle scritte che ci stanno sui pacchetti; ti attacchi a una bottiglia e non riesci più a farne a meno; ti metti in strada sulla fila del vizio e la scambi per la fila del confessionale a Pasqua; quando vai al supermercato non resisti al piacere di fare la spesa e comperi di tutto e di più insultando i poveri che muoiono di fame. E’ questa la nostra libertà?
I giudei alla proposta di libertà vera di Gesù rispondevano: noi non siamo mai stati schiavi di nessuno! Di se stessi tutti però sì. La libertà è una continua conquista, sta nella capacità di scegliere il bene, di stare dalla parte del vero, di vincere la tendenza al ribasso che continuamente ci insidia, di acquattarci nel nostro egoismo che non ci dà felicità.
E c’è una schiavitù che è ancora più grande e che da soli non riusciamo mai a vincere: il peccato. Veramente molte persone hanno già pensato di vincere anche questo, cancellandolo dal vocabolario. Facile, ma quella nostalgia del bene che ogni tanto ti prende, quella consapevolezza di aver sbagliato tutto nella vita, quel morso interiore che non ti permette di sciogliere la tua vita in un canto di gioia? Il peccato è solo Dio che lo toglie e solo lui ce ne libera. Vediamo tutti quanto male c’è nel mondo. Anzi direi che i nostri organi di informazione si scatenano solo nel farci conoscere la barbarie umana. Non riusciremo mai a sconfiggere la guerra, la mala vita, la pedofilia, la violenza, il terrorismo?
Una speranza occorre avere in cuore: la speranza che è Gesù, l’unico che ci fa veramente liberi
Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 8, 28-30) dal Vangelo del giorno (Gv 8, 21-30) nel Martedì della V settimana di Quaresima
Disse allora Gesù: «Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora conoscerete che Io Sono e che non faccio nulla da me stesso, ma parlo come il Padre mi ha insegnato. Colui che mi ha mandato è con me: non mi ha lasciato solo, perché faccio sempre le cose che gli sono gradite». A queste sue parole, molti credettero in lui.
Dobbiamo assolutamente avere la possibilità di alzare lo sguardo da questa nostra vita a qualcosa, a qualcuno che ci sta davanti. I nostri giorni possono per molto giocarsi tutti sulle nostre preoccupazioni, i nostri problemi, ogni giorno ne scopri uno nuovo: ti sembrava finalmente di poter stare un po’ in pace, invece ritorna di nuovo il vecchio male, si accaniscono ancora le vecchie “sfortune”, il marito ritorna al suo vizio, la moglie alle sue manie, i figli fanno quello che vogliono, gli adulti non capiscono niente… e così via.
Ma abbiamo qualche volta il coraggio di alzare gli occhi, di guardare un po’ più in là del nostro naso, di tirarci fuori da questa nebbia che tarpa le nostre ali?
Gli ebrei nel deserto, dopo che erano stati avvelenati dai serpenti guardavano a un serpente di bronzo, che Mosè aveva loro messo davanti, e ne restavano guariti.
Noi non abbiamo serpenti o magie da guardare, non abbiamo scene particolari che ci possono sconfiggere la routine dolorosa della vita, ma abbiamo qualcuno cui poter alzare lo sguardo, Abbiamo un simbolo che ci può dare forza: la croce.
“Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora saprete che Io sono”: Gesù viene innalzato su quella croce, perché tutti possiamo alzare lo sguardo a lui.
E’ sempre un grande mistero pensare che noi cristiani vogliamo metterci sempre davanti agli occhi un crocifisso, un segno di dolore, uno strumento di tortura e di passione, una condanna vivente … eppure, se guardiamo a quel crocifisso, riusciamo di più a capire la nostra vita: noi guardiamo a lui e lui guarda a noi.
Ci vediamo sopra un uomo che muore come capiterà a tutti noi di morire, un uomo lasciato solo come tanto spesso ci troviamo soli noi anche noi, un uomo che ha paura di morire, come l’abbiamo noi, un uomo con le braccia aperte come vorremmo sempre trovarci uno davanti a noi, un uomo che sa abbandonarsi nelle braccia di suo Padre, di cui è Figlio amatissimo, un uomo soprattutto che esprime il massimo di amore di Dio per noi e di questo abbiamo infinitamente bisogno.
Alzare lo sguardo al crocifisso, smettere di piangerci addosso e di guardare alle nostre miserie … è la nostra unica e vera speranza, che nessuno ci può togliere, perché noi, guardando il crocifisso, contempliamo l’amore.