La cena di Betania

Una riflessione esegetica confrontando i Vangeli di Matteo (Mt 26, 6-13), Marco (Mc 14, 3-9) e Giovanni (Gv 12, 1-11) – Cfr “Sentieri di vita 3” di Francesco Rossi De Gasperis – Luciano Pacomio – Editrice Paoline, pagine 38-39

Audio della riflessione

Ricordiamo che i vangeli, soprattutto quello di Giovanni sono stati scritti dopo non poco tempo della morte in croce di Gesù e la sua risurrezione, elementi decisivi per la fede cristiana, e a partire dalla fine si è sentito il bisogno di narrare quello che era successo prima.

Noi partiamo da questo episodio narrato nel vangelo di Giovanni: sei giorni prima della grande festa ancora tutto è normale (noi nella preghiera ufficiale della Chiesa chiamiamo questo sesto giorno “Lunedi Santo”), non è ancora esplosa la cattiveria umana che porterà Gesù in croce, c’è una scena intima di amicizia, dove si mescolano tenerezza e triste presagio.

Gesù sente di essere braccato: quell’ingresso trionfale a Gerusalemme ha messo in allarme il sinedrio (che potremmo per noi chiamare “consiglio dei ministri”, di fronte a Gesù che è molto più pericoloso di una pandemia) … non staranno con le mani in mano a farsi cogliere di sorpresa, il loro DPCM è “O adesso o mai più: Quel che Gesù ha fatto è troppo” … e Gesù si concede un momento di intimità con gli amici: va a Betania, nella casa dell’amico Lazzaro … la casa è piena di tanti amici, ma la scena è occupata da due persone soprattutto, Maria, che è la sorella di Lazzaro e Giuda.

Entra in scena per prima una donna, Maria: è importante notare che è una donna che dà inizio al racconto della passione e sarà una donna che ne segnerà la fine annunciando la risurrezione. 

Tra la congiura dei capi e il tradimento di Giuda si inserisce questa donna con un gesto tenerissimo: porta un profumo in un vasetto, un profumo di grande valore, di nardo genuino, non contraffatto.

In giro per l’orto del Getsemani si percepisce l’atmosfera acre dell’accerchiamento di morte che gli stanno preparando i membri del Sinedrio, in questa casa invece si diffonde un profumo delicatissimo, in un silenzio rotto dal colpo secco di un vasetto di alabastro, come di un cuore indurito, che si infrange per amore.

Questo olio viene versato sui piedi di Gesù: sembra un gesto normale, di cortesia, di gentilezza, di ospitalità, in cui si mescolano tenerezza e tristezza, per quello che tutti presagiscono.

La bibbia è piena di momenti solenni in cui sul corpo, il capo o i piedi dell’uomo viene versato olio profumato: con l’olio si allieta il volto, si consacrano i sacerdoti, si consacrano i re e i profeti, si curano i malati… forse riusciamo tutti a ricordare il gesto di Samuele che, invitato da Dio a ungere, e consacrare quindi, il  nuovo re di Israele, blocca il pranzo di tutta la famiglia, finchè, dopo aver passato in rassegna tutti i figli presenti, non si presenta il più piccolo, Davide … e giunge il ragazzetto, sottovalutato da tutti come capita anche oggi, perché noi adulti siamo molto importanti e bravi … e lo unge re.

Ricordo il fatto perché con questo gesto la donna non solo fa un gesto di amore, ma anche di fede profonda: riconosce in Gesù, il re, il sacerdote, la vittima, il profeta. E’ inaudito che sia una donna che compie una unzione messianica, quasi una consacrazione, dopo che Dio ha dichiarato messia il figlio Gesù.

Questo corpo di Cristo prossimo alla morte è oggetto di amore: Resta per ora sospesa una decisione efferata di metterlo a morte, si espande un profumo che penetra le narici, imbeve i vestiti, riempie l’atmosfera di una esaltazione gioiosa, di sentimenti di gratitudine e di amore. Questo momento nel racconto della passione si inscrive come una sospensione, una contemplazione; guardiamo questo Gesù con il suo cuore di figlio e di messia, che si prepara alla croce. Un uomo nel pieno della vita, nell’entusiasmo della sua missione che viene braccato come un delinquente, come uno spergiuro, un maledetto da Dio e dagli uomini. Una donna lo capisce, ne intuisce il dramma, ne coglie la mestizia e non lo vuol lasciare solo a un ruolo, lo accoglie come persona nella sua dignità umana.

Il gesto più bello d’amore lo compie ancora questa donna. Gli unge quel corpo che fra poco penderà dalla croce, che sarà percosso e umiliato, oltraggiato in maniera efferata. Gesù pensa alla sua sepoltura, e lo dirà pure, agghiacciando le persone che gli vogliono solo bene perché è Lui e non pensano al valore del profumo,  perché ormai la morte è vicina.  La donna non  offre solo il profumo, ma la sua persona, il suo cuore, il suo corpo, se stessa e confessa che Gesù per lei è tutto. Un altro evangelista che racconta questo stesso fatto riferisce che Gesù avverte questa fede profonda e dice che in tutto il mondo non si potrà proclamare il vangelo senza parlare del gesto di questa donna. In pratica si annuncia che tutto questo espresso in una sensibilità squisitamente femminile nei confronti di Gesù. è l’evangelo.

Vediamo invece ora che cosa pensano gli altri invitati alla cena:

Allora Giuda Iscariota, uno dei suoi discepoli, che stava per tradirlo, disse: “Perché non si è venduto questo profumo, per trecento denari e non si sono dati ai poveri?  

L’autore di questo pensiero scellerato per l’evangelista Giovanni è Giuda, nei passi paralleli degli altri evangelisti si dice: Ci furono alcuni che si sdegnarono fra di loro. Ed erano infuriati contro di lei tra i quali ci sono  pure i discepoli che si indignano. Una povera donna scoppia di amore, un ceto di saggi si fanno consumare dai calcoli, dagli interessi, pensano agli affari e accampano la scusa dei poveri. I poveri sono purtroppo sempre usati per nascondere le intenzioni più basse. Non sempre si servono i poveri, ma ci si serve dei poveri.

Il momento dell’amore è finito troppo presto, con esagerata velocità; nella successione dei fatti si passa subito a spegnere ogni sogno. Il profumo è ancora nell’aria, ma non c’è più nessuno che è disposto a lasciarsene invadere; la gratuità è finita, l’illusione che l’amore fosse definitivo si fa palpabile. C’è gente che si sdegna per la perdita dei soldi e non s’accorge che disprezza la sofferenza di un  morente, passa sopra ai sentimenti di Gesù, alla consapevolezza della sua morte imminente. Che è la morte di un uomo di fronte all’accumulo di denaro, all’efficienza di una amministrazione, alla fame di trecento denari?  Nella vita credono che sia più importante comperare o vendere, piuttosto che amare e donare; calcolare e ammassare, piuttosto che aprirsi e consolare.

Quanta gente regola i rapporti umani col calcolo e con l’interesse. L’unico intento della vita è il vantaggio, il fatturato. E’ il denaro il fine della società stessa. Le cose, il lavoro, i gesti, l’uomo stesso, tutto è mercificato, comprato, venduto, barattato; così è tentata anche di diventare la religione: una ragioneria di interessi.

Non sanno capire i convitati alla vita il bello, il buono, il gratuito che si nasconde nel gesto della donna. Il dono è l’unico atto umano in cui l’uomo ritrova se stesso. Contemplare, amare e donare sono gesti che non servono a niente, ma ci fanno diventare persone, ci distaccano dalla confusione con la materia, creano spazio per la meraviglia, la gioia, la vita.

No a noi servono trecento denari, non ci serve Gesù Cristo; a noi serve avere sicurezza nelle strategie dei cambiamenti, non la gratuità dei rapporti. Questi pensieri purtroppo potrebbero essere anche quelli della caritas, di noi cristiani semplici e in continua ricerca, non ci dobbiamo vergognare e chiediamo a Gesù di farci capire.

Questa donna ha rovinato le uova nel paniere di chi voleva fare anche di Gesù un affare. E contro di lei si infuriano, sbraitano, intolleranti. Non amare nessuno perché a qualcuno fai subito fastidio, soprattutto a chi crede di dover giudicare gli altri e di avere in mano il mondo.

Penso che resti in piedi ancora qualche dubbio sulla insensatezza dello spreco dell’olio profumato: i poveri. Si poteva dare ai poveri. Certo c’è una intenzione nobile; il calcolo non è fatto per un volgare tornaconto o affare, ma per un atto di solidarietà. Rivediamo al rallenty la scena: da una parte la tenerezza, un cuore ansioso, pieno di presagi, una sensazione di qualcosa di irreparabile che sta capitando, dall’altra un freddo calcolo pieno di sicurezza e di disprezzo, frustrato e tentato di tradimento. La donna  rompe un vaso di nardo preziosissimo e riempie la sala di profumo. Sono i piedi di Gesù che meritano tanto, ma è tutta la casa che ne viene saturata, la vita di quel gruppo di disperati che viene inondata da un profumo che nei loro ricordi resterà indimenticabile. E’ un gesto d’amore, è l’ultimo vero gesto d’amore che viene rivolto dall’umanità a Gesù. Ce ne sarà tra poco un altro, il bacio di Giuda, quello non sarà amore, ma tradimento.

C’è un conteggio che passa per la mente di Giuda o di tanti che la pensano come lui: un profumo sprecato questo unguento, con tutti i poveri che ci sono e che potrebbero avvantaggiarsi del suo valore. Vale ben trecento denari. Il prossimo conteggio lo farà ancora il Sinedrio, quando gli conterà trenta miseri denari come prezzo del tradimento.

Ma non ci saranno funerali per Gesù, ci sarà la morte, sicuramente; il male avrà il sopravvento, ma solo per porre davanti a tutti nella solennità di un trono scomodo quale è quello della croce, il massimo di bene che Dio avrà sempre per l’uomo, anche per i traditori, per gli infami.

Allora si leverà nella vittoria massima la speranza di vita per tutti, una speranza prefigurata e generata nei gesti semplici dell’amore.

6 Allora Gesù disse: “Lasciala fare; perché ella lo conservi per il giorno della mia sepoltura. Ella ha compiuto verso di me un’opera buona;  i poveri infatti li avete sempre con voi e potete beneficarli quando volete, me invece non mi avete sempre.

E’ Gesù stesso che interviene con la sua parola per aiutarci a fare discernimento. Il punto nodale è: Noi dobbiamo sempre fare la scelta decisiva di stare dalla parte della persona di Gesù, è Lui il povero che si è addossato tutto il male del mondo; l’unzione è rivolta proprio a chi verrà presto ucciso, a uno che sta affrontando la morte. Questa, dice Gesù, è un’opera buona: amare Lui sopra ogni cosa è opera buona, come era buona la creazione ogni giorno che arricchiva l’universo delle bellezze del creato e della centralità dell’uomo e della donna.

Se vedi che davanti a te si affaccia il Cristo che sale il Calvario, tu vai a preoccuparti di come e dove poter risparmiare o stai a farti i calcoli per le tue buone azioni? Che ti importa di Lui che muore solo, abbandonato? Ti interessa la sua vicenda o l’hai già cambiata in una azienda?

Quante volte la religione, il nome di Gesù è tirato in ballo per coprire i nostri interessi, per fare da supporto alle nostre fissazioni, al nostro stesso egoismo. Questo avviene anche negli uomini della Chiesa, come me.

Avere sempre con noi i poveri non ci autorizza a strumentalizzare Gesù, non ci esime dal riscattarli sempre, ma ci obbliga a guardare sempre a Lui che sa vincere ogni povertà, ci dà la forza di spenderci. Senza di Lui, prevale l’egoismo, l’interesse; il pensiero dei poveri diventa strumentale come lo è per ogni organizzazione di carità, di beneficienza: Facciamo qualche esempio. Quanti hanno guadagnato sui migranti! la Fao l’organizzazione che si mangia tra i funzionari l’80% dei capitali messi a disposizione per risolvere la fame nel mondo. Molta gente se non mette al centro Cristo, che ti obbliga ogni giorno a guardarti dentro, a purificare le tue intenzioni e quindi i tuoi comportamenti, si serve dei poveri e non li aiuta a riscattarsi

8 Essa ha fatto ciò ch’era in suo potere, ungendo in anticipo il mio corpo per la sepoltura.

La consapevolezza di Gesù è precisa. La morte non è un tragico incidente in cui è caduto perché era un predicatore sprovveduto e ingenuo. Sapeva che lì doveva provare a tutta l’umanità la decisione irrevocabile dell’amore di Dio. Gesù aveva la consapevolezza molto umana, ma non per questo meno intensa, di quella morte che lo attendeva al varco. All’ultima cena, di lì a pochi giorni avrebbe esplicitato ancora di più quello che c’era nel suo cuore.

“Non si può più girare attorno alle cose. La mia vita non me la prenderanno con inganno o con strategie politiche, per farsi qualche piacere l’un l’altro o Erode o Pilato o Anna e Caifa o i mestatori di popolo, la dono io. Sono venuto per questo. Qui sta lo snodo fondamentale della mia missione: vi do la mia vita, perché vi voglio troppo bene. Non posso permettere più che il male sia l’ultima parola sui vostri sentimenti, affetti, azioni, corpi e relazioni. Questo pane spezzato e questo vino versato saranno sempre il segno di un dono senza rimpianti, di una vita donata senza ripensamenti, saranno il segno del mio corpo dilaniato e del mio sangue versato.

 E potrete sempre rifare questi miei gesti, coinvolgendo dentro di essi i vostri, anche voi dovete sempre essere in grado di spezzare la vita per i poveri, e ogni volta che li rifarete io sarò lì ancora a dirvi che vi voglio bene, a dirvi che non immaginate che Padre avete nei cieli, a ricordarvi che è finita la schiavitù, che l’ultima parola non è la morte, anche se in cuore avrete odio, anche se userete questi miei segni per farvi belli, in una chiesa dove state solo per dovere, in una comunità che usa la messa per truccare l’odio e la falsità, anche quando i gesti li compirà un prete senza fede, senza amore, pieno di ambizioni, incapace di uscire dal giro del peccato di cui non si accusa più. E’ un dono per sempre, senza ripensamenti o nostalgie”

Se possono servire altre riflessioni:

C’è una triangolazione sempre da salvaguardare:

Io/noi, Gesù, i poveri

e non una dialettica soltanto

io/noi e i poveri/Gesù.

E’ certissimo che nei poveri vediamo il volto di Gesù, ma se questo volto non è sempre presente nei nostri pensieri, nelle nostre valutazioni e lo perdiamo di vista, diventiamo solo organizzatori, presto perdiamo il senso più profondo della vita e dell’amore ai poveri

Ciò che avete fatto a uno solo dei miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me. Quindi ogni azione umana, anche quelle di coloro che non conoscono Lui, si qualifica e si giudica in riferimento alla persona di Gesù. Il coinvolgimento della persona irriducibile di Gesù precede, ispira, comanda e interpreta a livello dell’essenza, di quello che esiste nel nostro amore per gli altri, ogni gesto di amore per i fratelli.

La causa di Gesù non è la causa di una collettività o un programma di azione per la giustizia o la misericordia. Essa è la causa di una Persona singolare e unica, che è la chiave della forza di ogni nostra decisione.

Per Maria, e per il Vangelo, la causa di Gesù precede e qualifica la causa dei poveri

Per Giuda e alcuni suoi compagni, la causa di Gesù  finisce nella causa dei poveri e si riduce ad essa. Gesù può persino scomparire dalla scena.

Chi non capisce il gesto di Maria non ha ancora colto, oppure sta perdendo il senso unico della persona di Gesù e può trovarsi, lo sappia o no, alla viglia del tradimento o del rinnegamento del Signore.

4 Marzo 2021
+Domenico

Autore: +Domenico

Domenico Sigalini (Dello, 7 giugno 1942) è un vescovo e giornalista italiano, Vescovo emerito della sede suburbicaria di Palestrina. Una Biografia più esaustiva è disponibile su Cathopedia all'indirizzo https://it.cathopedia.org/wiki/Domenico_Sigalini

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