Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 14, 1-6)
«Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molti posti. Se no, ve l’avrei detto. Io vado a prepararvi un posto; quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, ritornerò e vi prenderò con me, perché siate anche voi dove sono io. E del luogo dove io vado, voi conoscete la via». Gli disse Tommaso: «Signore, non sappiamo dove vai e come possiamo conoscere la via?». Gli disse Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me.
E’ esperienza comune quella di trovarci talvolta in un dedalo di vie tutte uguali, intricate, di continuare a girare sempre attorno agli stessi isolati, di fermarci a guardare la cartina, di sbagliare l’orientamento, di chiedere, di avere informazioni contraddittorie … insomma, non si riesce a venirne a capo, non c’è satellitare che tenga …
… oppure sei in un bosco, credevi di continuare nel verso giusto invece dopo ore di cammino ti trovi pressappoco al punto di prima, se non dalla parte opposta verso cui volevi andare. Avere la certezza di un cammino sicuro, in montagna per esempio, è questione di vita o di morte!
La stessa esperienza, se non più drammatica è quella della strada da scegliere nella vita: “Che faccio? Che cosa decido? Continuo questa esperienza affettiva o gli dò un taglio netto? Ma è proprio questa la mia strada? Sono nel giusto se mi comporto così? E’ questo il mio futuro? Passa da qui la strada della mia felicità?”
… e, spesso si procede spesso per tentativi: “Oggi è più conveniente – dice qualcuno – navigare a vista, non decidere, procedere per approssimazioni, tanto si può tornare indietro da tutto”, anche se sappiamo che non è vero.
Si sente comunque la necessità di avere una indicazione, di avere qualcuno che lasciandoti pure tutta la tua libertà di decidere, ti dà dei segnali, ti fa intuire dove sta una buona meta, ti aiuta con la sua chiarezza, il suo punto di vista meno coinvolto del tuo a guardare la realtà. Si fa pure aiutare soprattutto dal Vangelo!
Gesù è talmente una sicurezza nel suo collocarsi nella vita degli uomini da dire perentorio: Io sono la via, la verità e la vita.
Non dice che la conosce, che la può insegnare, che ha fatto studi che lo rendono esperto nel fare la guida, no! Dice che Lui è la via della felicità, della pienezza … Lui è la verità del nostro essere e dell’essere del mondo, Lui è la vita, questo bene sommo cui tutti aspiriamo e che è condizione di tutto il nostro essere.
Questo – certo – esige che ci accostiamo a Gesù non come ai soliti guru per avere emozioni, o “per tentare anche questa (tanto le ho tentate tutte)”, o come fanno molti, come un talismano da tenere sul cruscotto dell’automobile, perché non si sa mai …
Gesù invece è veramente la luce della nostra vita e ne diventa, se noi ci lasciamo illuminare da questa luce, la sicura speranza di tutta l’esistenza.
Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 11, 25-30)
In quel tempo Gesù disse: «Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te. Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare. Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero».
È già così complicata la vita con tutto quello che c’è da fare! Lavoro, studio, spostamenti, famiglia, malattia, fatica, stress, vita di coppia, figli, amici, contrattempi, disgrazie, code in automobile, code in aeroporto, code al check in, code alla posta…. non vale forse la pena di semplificarla al massimo sta vita?
Invece ci si mettono anche i preti ad aumentarne il carico: “ho lavorato tutto il giorno, tutti mi hanno fatto salire la bile e adesso c’è anche il prete che tormenta. Una riunione, una messa, l’animazione dei ragazzi, l’incontro dei catechisti, la scuola della Parola…Ad essere sincero però mi accorgo sempre più che mi si apre un buco nei pensieri, nei sentimenti, nelle relazioni, nelle mie solitudini di pendolare, che non è colmabile con le tagliatelle o con lo stare tutta sera con gli amici al pub a sparare idiozie e che si allarga sempre di più aumentando il peso di tutto il resto.”
Avere fede è un “peso”, è una catena, è un’altra fatica, è un’oppressione o fa parte della gioia di vivere? E’ meglio essere spensierati, superficiali, prendere le cose come vengono, divertirsi, non complicare la vita con troppi pensieri o si diventa più uomini e donne se con la fatica dei nostri pensieri cerchiamo risposte più vere, ci affidiamo a qualcosa che va oltre?
La vita è così misteriosa o basta prenderla come viene, stando in superficie? Contano di più i tormentoni, le leggende metropolitane o una bella partita e qualche ora di palestra?
Gesù non ha mezzi termini nel dire che il suo giogo è soave e il suo peso è leggero, anzi si offre con semplicità e decisione: “Non sai dove andare? Ti senti dentro un vuoto? Hai capito quanto hai sbagliato nella vita, non hai più voglia di vivere? Credi che sia già detta l’ultima parola sul tuo futuro? Venite a me voi tutti che siete affaticati e Io vi darò forza, vi abbraccerò, vi farò sentire il calore della mia passione per voi. Non ho altro da fare su questa terra: sono qui solo per questo! Conosco in quanti tranelli potete cadere, so che il male vi sembra più forte del bene; conosco molto bene come basta una stagione di balordaggine per segnare di pianto tutta la vita, ma Io ho in riserbo per voi la gioia di un abbraccio, la forza di una ripresa, la luce di una strada nuova, capace di darvi felicità. La fede che vi dono non è una droga che crea dipendenza e da cui fate fatica a liberarvi: la fede non è un peso in più da portare, è come l’amore!”
Che sarebbe la vita senza amore? Credere è volare, è il sole al posto della nebbia, non i catarifrangenti o le lampade allo iodio; è l’aria pura invece dello smog, è la sicurezza invece della depressione, fede è la libertà non il metadone.
“Siete fatti a mia immagine e so che cosa abita nel vostro cuore. Oltre le vostre guerre c’è una pace vera.”
Santa Caterina a questa pace credeva e vi si è impegnata tutta la vita: credere non è solo staccare la spina, ma inserirla ancora di più nel cuore della vita e trovarvi la speranza necessaria per vivere; è avere il coraggio di stare con Gesù, di metterlo al centro delle nostre sequenze di desideri e di sogni, di progetti e di tentativi di vivere…
Gesù è bello perché è Lui: queste verità sono nascoste agli opinionisti e ai conduttori di talk show, non hanno posto nei concerti rock, ma sono lampanti per i semplici; le percepisci quando riesci a far sorridere uno sfortunato, brillano sul volto dei poveri, ti prendono quando non hai paura della croce.
Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 12, 44-50)
Gesù allora gridò a gran voce: «Chi crede in me, non crede in me, ma in colui che mi ha mandato; chi vede me, vede colui che mi ha mandato. Io come luce sono venuto nel mondo, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre. Se qualcuno ascolta le mie parole e non le osserva, io non lo condanno; perché non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo. Chi mi respinge e non accoglie le mie parole, ha chi lo condanna: la parola che ho annunziato lo condannerà nell’ultimo giorno. Perché io non ho parlato da me, ma il Padre che mi ha mandato, egli stesso mi ha ordinato che cosa devo dire e annunziare. E io so che il suo comandamento è vita eterna. Le cose dunque che io dico, le dico come il Padre le ha dette a me».
Mai il mondo ha conosciuto una potenza di illuminazione come il nostro: abbiamo capacità di assorbire ogni energia in energia luminosa; le nostre città non ci permettono più di guardare le stelle, le nostre luci ci confondono.
Siamo sul palco della vita con un faro puntato negli occhi: non vediamo nient’altro, tutto attorno è nelle tenebre e sperimentiamo solitudine.
Non vediamo niente, mentre tutti vedono noi; la luce ci abbaglia e non ci permette di guardare la vita.
Abbiamo occhi, abbiamo cose, c’è la natura ancora bella, un creato meraviglioso, ma non lo sappiamo più vedere perché la luce giusta: è come se avessimo rubato colori dell’arcobaleno: invece di uomini e donne vediamo spettri, ne fotografiamo pezzi per venderli, vediamo solo quello che appare, non sappiamo andare oltre … soprattutto penetrare il mistero della vita.
Gesù è la luce vera: è venuto nel mondo proprio come luce perchè non ci siano più tenebre.
Lui non ci acceca! Lui non ci abbaglia: la Sua Luce colora ciascuna creatura della Sua bellezza, ci permette di andare in profondità, di scegliere il punto di vista più giusto, più capace di far vedere il bene,
Le vicende dell’esistenza hanno bisogno della luce giusta, per essere gustate e capite … è come quando andiamo a comprare un vestito: non ci fidiamo dei colori del negozio, usciamo in strada per vedere la realtà, non una finzione.
è così anche nella vita: solo Gesù ci da i colori giusti, tutti quelli che servono, anche quelli che ci fanno capire il male, quello che noi siamo, per sentirci bisognosi della sua misericordia è quello che abita nel cuore degli altri, perché li amiamo ugualmente, li perdoniamo, gli aiutiamo a vincerlo, siamo per loro l’aiuto sicuro.
Se una luce ti illumina sai trovare la strada della vita, la sai percorrere, capisci quando stai sbagliando!
Gesù è sempre questa luce della Vita, e con la luce dona anche la sua parola: è una parola di consolazione e non mai di condanna, è una Salvezza, un sostegno e mai giudizio: ne tenebre, ne condanne, ma luce e forza, vita piena, cielo aperto su di noi, sulle nostre strade spaesate.
E … non è una luce abbagliante: preferisce farci da “torcia”, perchè sta camminando con noi.
Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 10, 27-28) dal Vangelo del giorno (Gv 10, 22-30)
«Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno mai perdute e nessuno le rapirà dalla mia mano».
Incontrare anche talvolta sulle stesse nostre strade asfaltate file di pecore … ti fanno perdere la pazienza, perché noi abbiamo calcolato tutto e compiangiamo quel pastore preoccupato che le fa spostare, aiutato da un cane … loro, seguono il pastore.
Ai tempi di Gesù la scena era del tutto normale per le valli e per i campi … si stabiliva una sorta di linguaggio comune tra pastore e pecore: le stesse abitudini, gli stessi percorsi, gli stessi orari, le stesse consuetudini, e … sopra tutte le faccende e tutto quello che capita … la voce che chiama, richiama, orienta, dirige, rimprovera, avverte, sferza, sospinge.
Una immagine dolce, ma di una vita dura; un quadretto forse troppo bucolico, ma denso di significato.
Gesù nel Vangelo spesso usa questa immagine per indicare l’amore che ha per le persone e la sua cura per aiutarci a trovare la strada della vita: Lui si spende per noi, vive la nostra stessa vita, ritma i suoi tempi sui nostri, ha cura di ciascuno e ci spinge a stare assieme, conosce i nostri passi e i nostri pericoli, prevede le nostre deviazioni e ci avverte; ci chiama, ci orienta.
Il dono che ci pone davanti, la meta cui ci orienta è la pienezza della vita: la nostra vita se non raggiunge la sua pienezza, tutta la sua capacità di espressione, tutta le possibilità di esprimersi non è degna di essere vissuta! E’ come se fossimo in una gara faticosa, esaltante e ci accontentassimo di giocare, senza l’ambizione non solo di giocare bene, ma anche di vincere.
Chi sta con Lui non ci sta solo per comodità, per essere garantito, per sicurezza gratuita, ma per la pienezza di quello che Gesù propone: è ancora vero che la vita cristiana o è bella, da santi o non val la pena di viverla.
Dentro questo stile, questa prospettiva, questo desiderio e questa certezza che Gesù ci dà vita piena, abbiamo dallo stesso Gesù una promessa: “nessuno rapirà dalla mia mano le pecore che ascoltano la mia voce e che io conosco”.
Spesso crediamo di essere sopraffatti dal male, dallo stesso male che nasce dentro di noi; abbiamo tante volte la sensazione che ci possa essere qualche giorno in cui per pazzia abbandoniamo la via della vita che Dio ci ha insegnato.
Troppe volte sentiamo di amici che hanno deciso di mollare: erano sempre stati dedicati alla famiglia e la abbandonano per una stupida avventura; avevano sempre avuto corretta generosità e ora sono sfruttatori; coltivavano la vita interiore e ora sono solo dediti ai soldi.
Ma Dio non ci abbandona, se noi ascoltiamo la sua voce.
Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 10, 8-9) dal Vangelo del giorno (Gv 10, 1-10)
Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo.
Si possono spesso vedere scene agresti anche nel nostro mondo supertecnologizzato. In un prato verdissimo greggi di pecore che pascolano, un pastore, un cane che continua a serrare le fila, a orientare verso recinti, a tenerle unite. Basta un richiamo del pastore, un battere del bastone che le pecore si dispongono e si orientano. Da sole si disperderebbero, il pastore le sa tenere assieme e orientare. Gesù si presenta come pastore, come colui che si dedica al suo gregge, non in forma impersonale, ma accostandole ad una ad una. Di ciascuna conosce il belato e ciascuna conosce la sua voce. Difatti racconterà più tardi di quella pecora sbadata o cocciuta che lascia il gregge e che lui con pazienza, anche se stanco dopo il lavoro della giornata va a cercare e a ricondurre a casa.
Un occhio diverso per le pecore ha invece il ladro: quello le vuol solo ammazzare, se ne vuole solo impadronire, ne vuol fare carne da macello, guadagno sicuro. C’è tanta gente che si interessa degli uomini solo per approfittarne; non sempre si tratta di violenze eclatanti; si può far morire anche con i guanti bianchi, anche con il sorriso dell’inganno sulla bocca. Molti, dice Gesù, sono lupi rapaci, vogliono solo soddisfare i propri interessi, i propri istinti di potere nei confronti degli altri. Promettono vita invece offrono solo morte.
La nostra storia è piena di profittatori, di uomini che hanno promesso felicità e hanno portato solo distruzione, dittatori che hanno ingannato con promesse e hanno portato fame e guerre, schiavitù e desolazione. Ma ne è piena anche la nostra storia personale, di singole persone attirate nella rete del male, della delinquenza da promesse allettanti.
Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano nella pienezza. Basterebbe credere in questo per dare un orientamento definitivo alla nostra esistenza, Credere che la vita sta da questa parte, dalla parte di Gesù, la vera vita è Lui. Spesso ci lasciamo ingannare dalle sirene, a volte vogliamo fare solo di testa nostra, ma in verità stiamo seguendo ladri anziché il pastore e non ce ne accorgiamo.
La nostra speranza è sempre e solo Lui, il buon pastore.
Una riflessione esegetica sul Vangelo secondo Matteo (Mt 18,10-14)
Guardatevi dal disprezzare uno solo di questi piccoli, perché vi dico che i loro angeli nel cielo vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli. [È venuto infatti il Figlio dell’uomo a salvare ciò che era perduto]. Che ve ne pare? Se un uomo ha cento pecore e ne smarrisce una, non lascerà forse le novantanove sui monti, per andare in cerca di quella perduta? Se gli riesce di trovarla, in verità vi dico, si rallegrerà per quella più che per le novantanove che non si erano smarrite. Così il Padre vostro celeste non vuole che si perda neanche uno solo di questi piccoli.
Per rendere ancora più concreta la figura di Gesù buon pastore. Abbiamo fatto seguire la lettura di un testo dell’evangelista Matteo che descrive un ottimo esempio di come Gesù Risorto, vive l’essere il nostro pastore e non un mercenario, un ladro, un qualsiasi guardiano, pure pagato per portare al pascolo le pecore.
L’amore e il perdono di Dio, la sua ricerca appassionata di ciascuno di noi che si allontana, che si perde, che scappa o si nasconde, che brucia il patrimonio di bene in cui è immerso per prendersi soddisfazioni stupide, è la storia di Gesù che ha un cuore squarciato per amore; un cuore che non si è mai più ricomposto perché la cattiveria dell’uomo è sempre grande e la sua libertà è un dono da cui Dio non si ritrae mai.
Sei libero, ti ritrovi a fare sempre quello che ti piace di più, non ti interessa più niente delle persone che ti vogliono bene, ne vuoi sfruttare tante altre, ma sappi che da me puoi sempre tornare, che io non ti mollo, io, tutte le sere prima di chiudermi in paradiso faccio la conta e mi accorgo si ci sei o no, se sei tornato dai tuoi insani percorsi, se ancora una volta ti sei fatto i tuoi giri perversi, il tuo sballo per sentirti vivo, le tue comode isole in cui seppellisci il tuo cuore. Ma il mio cuore è sempre aperto ad accoglienza, a tenerezza, a gesti d’amore. Vorrei che quando tornerai ancora da me, anche il tuo cuore resti sempre aperto perché chiunque ci possa scavare dentro e trovi quello di cui ha bisogno per vivere bene e per essere veramente felice.
Queste parole sembrano troppo gravi; allora immaginiamo Gesù il buon Pastore così: ha lavorato e dialogato tutto il giorno con le sue pecore che siamo noi, che siete voi; ha ascoltato, ha aiutato, ha tenuto il suo sguardo buono, lieto su tutti sempre e torna a casa parlando con qualcuno, sorridendo a qualcun altro e quando passa in rassegna tutti a uno a uno e sorride, saluta, ricorda qualche cosa di importante da fare o da chiedere, si accorge che manchi proprio tu. Hai fatto la tua cavolata, ti sei voluto prendere la tua libertà, la tua strada; ti hanno fatto fastidio o qualche dispetto i tuoi amici e li hai lasciati. Oppure qualcuno senza che tu lo volessi, ti ha ingannato, ti ha teso una trappola e tu ci sei cascato.
E Gesù che fa? Con un cuore già squarciato per amore non ci pensa due volte. Ti cerca, usa tutti gli strumenti: facebook, twitter, sms,tik-tok; chiede ai tuoi amici, ma loro nemmeno si sono accorti che manchi. E ti lancia messaggi: non fare lo stupido, torna a casa che ci sono sempre io che ti voglio un bene infinito. Non crederti disprezzata o ignorata, non stare a specchiarti in una pozzanghera, qui c’è quello che cerchi. E tu magari spegni il cellulare, rivedi un altro messaggio, lo spegni ancora; poi finalmente dici: ma che sto qui a fare da solo in mezzo ai guai? Chi mi credo di essere? Che felicità mi sono trovato, che tutti mi sfruttano, mi fanno complimenti poi mi tagliano le gambe, ne approfittano, mi fanno le moine, ma solo per avermi e per farsi belli di me.
Allora lanci un sms: arrivo subito, aspettami, ti voglio abbracciare.
E Gesù ti prende, ti accarezza, ti carica sulle spalle e ti porta a casa, convince i tuoi amici a volerti ancora bene e continui a vivere con Lui. Gesù non è una persona da internet, da twitter, da facebook, è una persona vera che abita in te. E quando ha deciso di prendere casa da te? Sappiamo che si è fatto persona, come uno di noi, che ha calcato tutte le strade della Palestina, per condividere gioie e speranze con tutti quelli che incontrava. Per questa sua tenacia nel voler bene a tutti, anzi il massimo bene che apriva le porte del cielo a tutti, anche ai più cattivi e profittatori di altre persone, lo hanno messo in croce, l’hanno fatto soffrire, ne hanno goduto tronfi di averlo fatto fuori, ma lui è fuggito anche dalla morte nella quale pensavano di aver chiuso la sua bontà. Stiamo ancora celebrando la sua risurrezione. Non saremmo però nel massimo della verità se Gesù con questa risurrezione non solo non ci avvicinasse a Dio Padre, ma non ci desse anche una presenza speciale, unica, viva, in ciascuno di noi con lo Spirito Santo. Credo che la giornata più brutta che hanno vissuto gli apostoli sia stata propria il giorno dopo il grande sabato. Gesù ammazzato brutalmente, sepolto come tutti; finita come per tutti prima o poi la vita. Lui invece si presenta vivo e fa fatica a convincerli, si ritirano ancora paurosi tra di loro, finchè non fa a tutti la sorpresa di donare lo Spirito, il coraggio, la forza, la gioia. Noi in questi giorni lo vogliamo contemplare risorto, vincente quelle brutture che gli hanno inflitto, ci siamo accostati al sacramento della penitenza, ma sentiamo ancora il peso della nostra vita che non cambia dalla mattina alla sera.
Siamo aiutati a capire che si può sbagliare, si può abbandonare qualche volta la chiesa, ma che la casa è sempre questa, che la sua presenza ci è garantita dallo Spirito Santo. Ci sarà sempre qualcuno che aspetterà il nostro ritorno. E noi stessi diventeremo dei buoni amici per tutti, racconteremo la gioia che si ha a comportarsi bene, a seguire Gesù a diventare suoi amici, a sentirsi accolti da quel cuore squarciato, ma sempre aperto per scavare gioia e felicità per tutti. Tanta nostra infelicità è dovuta all’appiattimento, alla prigione che ci siamo costruiti. Ci siamo collocati in un bicchiere d’acqua e continuiamo a sbattere contro le pareti, mentre il nostro vero habitat è il vasto mare della vita che viene dall’alto, dal misterioso mondo di Dio. C’è un vento dello Spirito che soffia su di noi e dà vita vera. La creazione lo ha atteso, Gesù lo ha inviato. Abbiamo bisogno di un’anima per tutte le cose. Quest’anima viene dall’alto. La risurrezione ha aperto i nostri confini, ha offerto gli orizzonti infiniti di quel Dio che ci ha creati
In questo tempo pasquale possiamo addentrarci anche noi in un dialogo serio con il Signore come hanno fatto tanti con Gesù; abbiamo bisogno di ritornare a casa, di sentirci trasportati sulle spalle del buon Pastore. Dove vai? Dove scappi? Non ti accorgi che scappi da te stesso. Che vita ti stai preparando, che dolori vai a creare a tutti quelli che ti stanno vicini? Ti vengo a prendere io. Fatti trovare, le novantanove che stanno a casa si sono dimenticate di te, ma non io
Anche noi abbiamo bisogno di rigenerare la nostra fede. Il nostro è un tempo che ci chiede di uscire allo scoperto, di prendere decisioni, di stare della parte della verità, di contemplare il Signore, ascoltare la sua parola.
In quella stanza al piano superiore, imbandita a festa c’è stata l’ultima cena, Gesù ci ha dato il suo corpo e il suo sangue. Siamo stati liberati dal peccato e nutriti della vita di Gesù. Deve ancora accadere qualcosa di grande in quel cenacolo; è Gesù deve ancora raccattarci dalle nostre fughe finchè dentro di noi scoppierà un fuoco che brucerà ogni male , ci riempirà di doni e ci aprirà a un’altra presenza di Dio: lo Spirito Santo. Il buon Pastore non si accontenterà di portarci solo nell’ovile, sotto protezione, nella sua compagnia ritrovata, ci darà con lo Spirito una forza di vincere ogni paura e coraggio di portarlo in ogni parte del mondo e in ogni tratto della nostra vita.
Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 10,11-18)
Io sono il buon pastore. Il buon pastore offre la vita per le pecore. Il mercenario invece, che non è pastore e al quale le pecore non appartengono, vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge e il lupo le rapisce e le disperde; egli è un mercenario e non gli importa delle pecore. Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, come il Padre conosce me e io conosco il Padre; e offro la vita per le pecore. E ho altre pecore che non sono di quest’ovile; anche queste io devo condurre; ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo pastore. Per questo il Padre mi ama: perché io offro la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso, poiché ho il potere di offrirla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo comando ho ricevuto dal Padre mio».
Ricorderò sempre quel mosaico che da ragazzo vedevo spesso in una chiesetta di una casa per incontri spirituali: una fitta siepe di zampe da cui ogni tanto sporgeva una testa di pecora e in mezzo Lui, il buon pastore, una dolce immagine di Gesù.
L’attenzione principale di noi ragazzi era di contare le zampe e vedere se ad ogni quattro corrispondeva una testa: i conti non tornavano mai, qualche pecora probabilmente non stava “attenta” e abbassava la tesa per farsi i fatti suoi, ma la cosa più importante erano le parole del predicatore … “vedete ragazzi? Voi siete come i tasselli di quel mosaico: ciascuno ha il suo posto fissato e assieme agli altri completa questo bellissimo ritratto, bucolico, della vita di Gesù, del pastore con le sue pecore. Se ne mancasse uno di questi tasselli non sarebbe più un bel mosaico.” … e per coinvolgerci – secondo lui – ancora di più, più a fondo, continuava … “Voi per esempio potreste essere l’unghia di quella pecora laggiù.”
Pensa che bello – dicevo io – l’unghia di quella pecora laggiù?! Era la mia esclamazione delusa: la mia vita già inscatolata in un destino, per lo più da pecora e in un’unghia, neanche in un corpo da potersi sentire la gioia di stare sulle spalle di Gesù, se mi fossi perduto, perché avevo già iniziato a fare delle marachelle. Quella sarebbe la mia vocazione fin dall’eternità?
Ritornavo allora alla faccia di quel buon pastore: no lui non mi condannava a fare l’unghia, mi prendeva sulle spalle … mi aveva rincorso perché me ne ero scappato e mi aveva caricato con amore.
Gesù non è un mercenario che vende le sue creature a un cieco destino: la nostra vita è nelle sue mani, sì, ma la accoglie con la nostra creatività, la ascolta con le nostre petulanze, la rincorre nei nostri colpi di testa, la riscrive con noi in un progetto di amore.
Noi facciamo fatica a scoprirlo, consumiamo troppo tempo allo specchio credendo di riuscire a guardarci dentro di più, a capirci chi dobbiamo essere; invece … basta tendere l’orecchio alla sua voce che chiama, basta sentirla viva nella vita delle persone che incrociamo: talvolta sono urla, grida di aiuto; sguardi di disperazione; altre volte sono sentimenti d’amore.
Gesù da quando è risorto è nostro contemporaneo e la sua voce chiama e si fa incontrare nella vita, nelle nostre qualità e doti, negli stessi nostri gusti confrontati con la sua parola, nei gesti di carità che facciamo verso i più poveri.
Con un Gesù così, che mi vuole bene così, che mi cerca e mi capisce, che mi accetta sempre pieno di amore immeritato, che mi vuole con sé a vivere da pastore come lui….. mi basta e avanza essere l’unghia delle pecora che sta sulle sue spalle.
Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 6, 60-69)
Molti dei suoi discepoli, dopo aver ascoltato, dissero: «Questo linguaggio è duro; chi può intenderlo?». Gesù, conoscendo dentro di sé che i suoi discepoli proprio di questo mormoravano, disse loro: «Questo vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell’uomo salire là dov’era prima? È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che vi ho dette sono spirito e vita. Ma vi sono alcuni tra voi che non credono». Gesù infatti sapeva fin da principio chi erano quelli che non credevano e chi era colui che lo avrebbe tradito. E continuò: «Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre mio». Da allora molti dei suoi discepoli si tirarono indietro e non andavano più con lui. Disse allora Gesù ai Dodici: «Forse anche voi volete andarvene?». Gli rispose Simon Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna; noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio».
Ci capita molte volte di sentirci chiamati dentro avventure più grandi di noi, di misurarci le forze per vedere se riusciamo ad affrontare la sfida: spesso è uno sport, molte altre volte invece è la vita, la famiglia, la casa, il lavoro … Spesso è un ideale che ci viene proposto da chi ha grandi mete, grandi sogni e vede in noi la possibilità di una risposta generosa e vera…
San Giovanni Paolo II quando incontrava i giovani, soprattutto nelle giornate mondiali della gioventù; li sapeva spingere a ideali alti, a imprese impossibili e a tu per tu li incoraggiava. Molti hanno fatto cose grandi nella loro vita, per la chiesa, per i poveri, per la loro nazione, dietro la sua spinta.
Era così anche Gesù: proponeva ai suoi discepoli cose grandi, oltre ogni possibilità umana, ma molta gente lo abbandonava; dice il Vangelo “molti si tirarono indietro e non andavano più con Lui”: era sta fatta loro la proposta dell’Eucaristia, del nutrirsi del suo corpo e del suo sangue, inaudito, impossibile, troppo arduo da capire … e Gesù che vuole sempre il massimo di libertà quando fa le sue proposte, dice con molta franchezza ai suoi discepoli: “Volete andarvene anche voi? Volete ritirarvi? Sentite che non ce la fate? Vi cedono le forze? non riuscite a fidarvi di me? Avete in cuore l’idea che io vi abbandoni, che vi lasci soli? Non ve la sentite di osare tanto?”
… e non posso qui non ricordare che questo brano di Vangelo che si propone oggi nelle messe era quello che san Giovanni Paolo II propose nella messa conclusiva della Giornata Mondiale della Gioventù del 2000 – ormai 21 anni fa – di fronte a 2 milioni di giovani, andando contro alla tradizione della Giornata Mondiale della Gioventù che alla messa conclusiva propose sempre il brano di vangelo che ne contiene il motto; in quel caso, dell’anno 2000, era un pezzo del Vangelo di Giovanni, il primo capitolo, in cui era scritto “Il Verbo si è fatto carne e venne ad abitare tra noi” … aveva davanti un mondo giovanile entusiasta, coltivato in tutte le giornate mondiali che anche con sofferenza aveva presieduto … poteva almeno raccogliere il frutto del suo lavoro accarezzando di più questo mondo giovanile, addolcendo il vangelo con altre belle frasi, una qualche bella parabola, commovente che sempre vangelo è …
Invece no! Fece risuonare di fronte a quella gioventù entusiasta, che divenne pure profetica, la domanda cruda e provocatoria del Vangelo: Volete andarvene anche voi?
La tentazione dei discepoli di girare i tacchi a Gesù è forte: il giovane cui aveva indicato la strada della vita piena lo aveva lasciato, Giuda lo abbandonerà tradendolo; qualcuno che gli dice si, ma poi se ne va lo ha incontrato … molti al momento giusto sono fuggiti!
La debolezza va messa in conto e non spaventa Gesù: Lui sarà sempre pronto a raccogliere la fragilità per cambiarla in cammino di ripresa … infatti Pietro che ha capito che nella sua vita l’unico che gliela può riempire è Gesù, dice con ingenuità: “Signore, che credi? Che noi abbiamo alternative alla tua pienezza? Tu hai parole di vita piena, oltre ogni limite, una parola che ci riempie il cuore di gioia oltre ogni misura. Tu sei la pienezza di Dio, la santità di Dio, il cielo della nostra aspirazione quotidiana e decidiamo di stare sempre con te.”
… e San Giovanni Paolo II alla messa conclusiva di quella Giornata Mondiale della Gioventù del 2000 disse “Nella domanda di Pietro: “Da chi andremo?” c’è già la risposta circa il cammino da percorrere. E’ il cammino che porta a Cristo. E il Maestro divino è raggiungibile personalmente: è infatti presente sull’altare nella realtà del suo corpo e del suo sangue. Nel sacrificio eucaristico noi possiamo entrare in contatto, in modo misterioso ma reale, con la sua persona, attingendo alla sorgente inesauribile della sua vita di Risorto …”
L’Eucaristia è il sacramento della presenza di Cristo che si dona a noi perché ci ama: egli ama ciascuno di noi in maniera personale ed unica nella vita concreta di ogni giorno, nella famiglia, tra gli amici, nello studio e nel lavoro, nel riposo e nello svago.
Ci ama quando riempie di freschezza le giornate della nostra esistenza e anche quando, nell’ora del dolore, permette che la prova si abbatta su di noi: anche attraverso le prove più dure, infatti, egli ci fa sentire la sua voce.
“Sì – diceva il papa – cari amici, Cristo ci ama e ci ama sempre! Ci ama anche quando lo deludiamo, quando non corrispondiamo alle sue attese nei nostri confronti. Egli non ci chiude mai le braccia della sua misericordia. Come non essere grati a questo Dio che ci ha redenti spingendosi fino alla follia della Croce? A questo Dio che si è messo dalla nostra parte e vi è rimasto fino alla fine?
E Pietro, nella persona di papa Francesco, continua come tutti i suoi predecessori anche oggi ad alzare tutti noi alle parole più impegnative di Gesù.
Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 6, 52-59) dal Vangelo del giorno (Gv 6, 52-59)
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me.
Facciamo fatica, noi persone del terzo millennio a credere che ci sia qualcosa che va oltre le leggi della natura: noi calcoliamo tutto, misuriamo ogni cosa, sappiamo dire tutte le cause, sappiamo prevedere tutti gli effetti, anche se non sappiamo ancora dominare la natura, non conosciamo fino in fondo la stessa nostra umanità, il nostro stesso corpo.
Gesù è Figlio di Dio, è con il Padre creatore del cielo e della terra: Lui è il centro dell’universo e pone il mondo al servizio del suo piano d’amore.
Le leggi della natura sono per Lui al servizio del grande messaggio di amore di Dio per l’umanità: per l’uomo e per la donna; per questo ha moltiplicato i pani, per questo un giorno offre all’uomo una proposta sconvolgente: si offre come cibo per la vita.
“Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha una vita piena!”: Gesù sta spiegando ai suoi apostoli la preziosità del dono del suo corpo e del suo sangue che sta offrendo con l’Eucaristia.
Il discorso è duro da capire, difficile da immaginare, è provocatorio: dire a un ebreo che occorre bere il suo sangue è blasfemo, va contro tutte le norme del suo vivere … ma sangue è sinonimo di morte, è riferimento alla sua crocifissione, è necessità di confrontarsi con il suo dono fino all’ultima goccia di sangue.
Il discorso è duro, ma su questo Gesù non transige: è pronto a restare solo.
L’Eucaristia è una esperienza necessaria per la vita del cristiano, come rapporto con Dio, come modo di impostare la propria esistenza, come modo di comunicare con il Signore, come modo di incarnare il suo messaggio … e dirà, più tardi, ai suoi discepoli che rimanevano esterrefatti come la gente che lo ascoltava “volete andarvene anche voi?”
Qui occorre fare quel salto di qualità che spesso noi cristiani dobiamo esigere, ciascuno per se stesso, ciascuno per tutti: è un dono che supera non solo le leggi della natura, ma anche la fantasia delle persone …
Quando non sai che strada prendere nella vita: Io sono con te;
quando hai bisogno di ritrovare senso e gusto nel vivere, Io sono con te;
quando cerchi la vera speranza della vita, Io te la posso far incontrare nel mio essere pane per te …
… perché speranza vera nasce quando uno si dona all’altro per amore fino in fondo.
I suoi apostoli in seguito si rifaranno all’Eucaristia per avere speranza in ogni situazione di vita, e noi cristiani, che seguiamo Gesù, su questo non possiamo “stare assenti”.
Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 6, 47-48) dal Vangelo del giorno (Gv 6, 44-51)
47 In verità, in verità vi dico: chi crede ha la vita eterna. 48 Io sono il pane della vita.
In tempi di grande confusione come sono i nostri non è raro farsi domande del tipo: chi è che ha ragione di tutti questi che ci imboniscono? I politici, le televisioni, i talk show, i nostri vecchi saggi, i rivoluzionari? La religione è ancora una prospettiva da seguire o è ormai da lasciare all’angolo, perché siamo autosufficienti? Dove sta il segreto per avere una vita vera, non succube delle strane teorie che ogni tanto qualcuno vende per definitive? E’ possibile trovare pienezza di vita o dobbiamo accontentarci sempre di ritagli, di piccoli adattamenti?
Il Vangelo non ha dubbi: la vita piena, bella, felice, completa, degna di essere vissuta, determinante, definitiva ce l’ha solo chi crede, chi si affida, chi mette la sua vita nelle braccia di Dio, di chi ha colto in Dio la direzione del suo percorso e lo continua a seguire, a cercare, a percorrere.
Per essere felici occorre avere una fede: noi cristiani diciamo occorre avere la fede nel Dio di Gesù Cristo.
Purtroppo molti dicono … che la fede provoca fanatismi e intolleranze, è meglio starsene tranquilli, senza esporsi, facendosi ciascuno i fatti propri … la felicità quindi starebbe nel lasciarsi fare la vita dai più furbi, mettersi in balia di chi ha la capacità di farci ragionare come lui vuole, perché è potente, è persuasivo, ha tutte le immagini possibili di felicità da propinarci per svariate ore ogni giorno …
A parte che è sempre meglio qualche litigio che la “pace del cimitero” … è altrettanto vero però che l’uomo ha una sete di vita che non può passare con l’adattamento: l’uomo è un vulcano di energie, di amore, di intelligenza, di forza e deve trovare direzioni verso cui esprimerle.
La direzione che il Vangelo ci dice è quella della fede … e per prendere questa direzione Dio si pone nella vita come il pane, il nutrimento di base, la solida possibilità di crescere nella prospettiva di Lui.
Questo pane è il sapore della vita, il sapore è Lui: è la forza della vita e la forza è Lui.
Dice ancora Gesù: «Io sono il pane della vita», “io sono a disposizione per ogni vostra fame, io sono una forza che si mette dentro nella vostra esistenza, che si lascia immedesimare, che prende quasi ad essere il vostro sangue, la vostra linfa … sono dentro di voi per questo … e, se vi nutrirete di me pane di vita, vivrete sempre!”