Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 15, 1-8)
«Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già mondi, per la parola che vi ho annunziato. Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e si secca, e poi lo raccolgono e lo gettano nel fuoco e lo bruciano. Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli.
Non abbiamo in noi il principio del nostro essere. Siamo un mistero a noi stessi, non riusciamo a trovare ragioni sufficienti di vita se non in una relazione, nella percezione di una linfa che scorre dentro di noi e che ha la sorgente fuori di noi. Io sono la vita, voi i tralci se rimanete in me, farete frutti, la vostra vita non sarà vuota. La vita è un bene “indisponibile”; l’uomo lo riceve, non lo inventa; lo accoglie come dono da custodire e da far crescere, attuando il disegno di Colui che lo ha chiamato alla vita; non può manipolarlo come fosse sua proprietà esclusiva.
Viviamo un’epoca nella quale l’uomo non crede più alla centralità di Dio nella storia, all’essere Lui l’unico liberatore e salvatore. I salvatori si sono moltiplicati e, moltiplicandosi, si sono relativizzati. Con la perdita della fede in Dio, invece di non credere più a nulla, si crede a tutto. E’ proprio vero che quando si eclissa Dio spuntano gli idoli, la religiosità diventa superstizione, l’uomo smarrisce il senso della sua dignità e del suo destino.
Ricorderò sempre quello che Giovanni Paolo II rispondeva ai giovani kazaki, che gli domandavano chi sono io per te Papa Giovanni: Il papa rispondeva: “tu sei un pensiero di Dio, tu sei un palpito del cuore di Dio, tu hai un valore in certo senso infinito, tu conti per Dio nella tua irripetibile individualità”. Proviamo a ripensare a queste parole quando rispondiamo ai complimenti con gli insulti, alle domande coi grugniti, alla vita con la bestemmia, ai problemi con gli acidi, alle invocazioni di aiuto con idiozie e ai ragionamenti con le nostre paranoie.
E’ sempre vero che bisogna comportarsi bene, ma il cristiano non è colui che si comporta bene, ma è colui che sa di essere amato da Dio, che si lascia amare da Dio, che ha il coraggio di starlo a guardare, di rimanere con Lui, di stare cuore a cuore con Lui. “Venite in disparte e riposatevi un po’, passate di qua quando non ne potete più e avete giù la catena e non capiterà mai che io abbia qualcosa d’altro da fare che abbracciarvi, ascoltarvi, coccolarvi”.
Noi siamo rami, non siamo la pianta; “senza di me, dice Gesù, non potete far nulla”. I santi hanno cominciato a diventarlo, quando hanno capito che dovevano lasciar fare a Dio, si dovevano fidare ciecamente di lui. E’ Lui che va messo al centro, è Lui che conduce la vita e la storia di ciascuno di noi, non senza la nostra partecipazione. Se ci convinciamo che il Signore ci vuole un mondo di bene, non ci scoraggia più nessuno e nessuna situazione della vita.
5 Maggio 2021
+Domenico