Dio e il prossimo: non sono in alternativa per la tua fede, ma sempre uniti

Una riflessione sul Vangelo secondo Marco (Mc 12, 28-34)

In quel tempo, si avvicinò a Gesù uno degli scribi e gli domandò: «Qual è il primo di tutti i comandamenti?». Gesù rispose: «Il primo è: “Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza”. Il secondo è questo: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Non c’è altro comandamento più grande di questi».
Lo scriba gli disse: «Hai detto bene, Maestro, e secondo verità, che Egli è unico e non vi è altri all’infuori di lui; amarlo con tutto il cuore, con tutta l’intelligenza e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici».
Vedendo che egli aveva risposto saggiamente, Gesù gli disse: «Non sei lontano dal regno di Dio». E nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo.

Audio della riflessione

La necessità di semplificare, ma non di fare i sempliciotti, oggi è assolutamente necessaria: in un mondo pieno di informazioni, invaso da immagini, destabilizzato dall’esasperazione delle emozioni e dei sentimenti è necessario avere qualche punto fisso da cui guardare la vita; soprattutto è necessario avere capacità di sintesi, cioè la possibilità di dare unificazione al nostro pensare.

La vita non è una somma di fatti, un susseguirsi disordinato di eventi, ma è una storia, composta di avvenimenti nella coscienza di ciascuno, un filo d’amore che Dio tesse nella vita di tutti e tocca a noi intercettarlo, renderlo consistente, offrirlo come corda di solidarietà a tutti.

Così è della nostra vita cristiana: c’è un punto unificatore di tutto? Esiste una scelta di base che dà significato a tutta l’esistenza, che permette di valutare e rivedere, di riorientare e ritrovare forza dopo le immancabili cadute e defezioni, dopo lo smarrimento e la debolezza dei nostri comportamenti? C’è nel cristianesimo un principio base che giudica tutte le alterne vicende della nostra esistenza?

L’aveva anche il popolo di Israele, era lo “Shemà israel”: ricordati, ascolta Israele, il Signore Dio nostro è l’unico Signore.

Anche Gesù lo ha imparato dalle labbra della mamma, lo ha ripetuto tante volte quando andava in sinagoga come ogni bambino ebreo e lo ripropone carico della novità assoluta dell’amore di Dio fatto carne in Lui al nuovo popolo dell’alleanza, a tutti i cristiani che erano allora, che sono e che verranno.

“Ama Dio e ama il prossimo: non  fare separazioni che sarebbero ben comode, non fissarti su uno o sull’altro se vuoi rispondere seriamente alle esigenze che Io ho seminato in te; ti ho messo dentro una nostalgia di Dio grandissima e non  sarai felice se non la seguirai; ti ho messo dentro una assoluta necessità di stare con gli altri, di amare e vivere in pace con tutti gli uomini e la loro compagnia ti sarà strada di felicità se li amerai. Sono un unico amore, ma attento: non li separare mai, non viverli mai in alternativa, non dare all’uomo quel che è di Dio e non depositare in Dio quello che devi assolutamente ai tuoi simili”.

E’ un riferimento semplice, ma è impegnativo, come si è sempre impegnato Dio per noi perché Lui è un Dio non ci abbandona mai.

Ti ricordi quando Giuda e gli apostoli fecero una sorta di cena di ringraziamento a Dio per la risurrezione di Lazzaro, nell’imminenza dell’arresto di Gesù? Allora Maria andò ai piedi di Gesù, ruppe un vasetto costosissimo di nardo e glieli profumò. Subito Giuda e gli altri si scandalizzarono per lo spreco di 300 denari che si potevano dare ai poveri.

Fu l’ultimo gesto d’amore dell’umanità a Gesù, quello successivo sarebbe stato il bacio di Giuda che non era d’amore, ma di tradimento.

Di fronte a Gesù che sta avviandosi alla morte, c’è gente che non s’accorge che disprezza la sofferenza di un morente, passa sopra alla sofferenza di Gesù, alla consapevolezza della sua morte imminente e sta a rivendicare che è meglio organizzare una raccolta di fondi per le proprie attività dette caritative, ma senza aver dentro un minimo di amore per Gesù.

31 Ottobre 2021
+Domenico

Il cristiano è uno che invita sempre e sa aspettarsi solo il rifiuto al suo invito

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 14,1.7-11)

Un sabato Gesù si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi stavano a osservarlo. Diceva agli invitati una parabola, notando come sceglievano i primi posti: «Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te, e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: “Cédigli il posto!”. Allora dovrai con vergogna occupare l’ultimo posto. Invece, quando sei invitato, va’ a metterti all’ultimo posto, perché quando viene colui che ti ha invitato ti dica: “Amico, vieni più avanti!”. Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali. Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato».

Audio della riflessione

Come sempre Gesù nel suo parlare, che è sempre Vangelo, buona notizia, prende spunto da una normale esperienza del nostro vivere: il sedersi a tavola per consumare un pasto.

La mensa è una immagine della vita: in una famiglia a seconda di come si sta a tavola, capisci che vita di famiglia è, capisci chi è disponibile o chi si fa solo i fatti suoi; se c’è rispetto per i nonni, se sei in pace con tutti, se vuoi dialogare, se pretendi soltanto … in tante famiglie oggi non si mangia mai assieme: sono diventate un ristorante.

Se fate parte di un consiglio di amministrazione, a tavola sarete schierati come al lavoro, preoccupati dei posti, dei vicini … infatti sono due le cose che Gesù prende ad esempio per darci i suoi insegnamenti: il posto e gli invitati.

Gesù ha spesso usato il momento del consumare un pasto, proprio perché è immagine della vita, per insegnarci a vivere e per donarci la sua stessa vita.

Il posto. Non scegliere i primi posti, quando sei invitato! E’ sempre imbarazzante trovare il posto giusto; ci gioca delicatezza, buon senso, pretesa, darsi importanza … tanto che per evitare fastidi e caricarli tutti sull’ospite si scrivono nomi su bigliettini collocati al posto giusto.

Il Vangelo di Gesù però non è un testo di galateo è sempre vita buona, bella, beata. Il cristiano non prende i primi posti perché è uno che serve; il fondamento del suo vivere non ce l’ha in se stesso, nelle cose che fa, in quel che pensa la gente di lui, ma soltanto in Dio.

Tutto quello che noi siamo è per grazia, anche eventuali autorità che rivestiamo, sono doni che Dio ci dà per servire il suo Regno: i suoi doni di cui colma ogni vita non possono essere usati per fare la differenza, ma per cementare una comunione.

Il posto che prendiamo alla mensa della vita indica il cumulo di responsabilità di cui dobbiamo rispondere davanti a Dio: non si negano le qualità, i doni che Dio ci ha dato, ma si deve avere la coscienza chiara che più doni abbiamo, più Dio si aspetta da noi, più amore dobbiamo esprimere.

Gli invitati. Chi inviti a pranzo? Quelli che ti saranno utili, quelli che ti danno soddisfazione, quelli che vengono coi regali, quelli che ti servono per sentirti importante? Chi apprezzi nella vita? Chi fa parte del tuo giro? Il tuo amore – ed è questa la domanda di fondo – è un vero amore? Se inviti sempre solo persone che poi vorrai che ti invitino a loro volta, non stai certo esprimendo il massimo di amore. Invita chi non potrà mai ricambiarti! Già l’invitare è un atto buono: Dio ha sempre fatto così e purtroppo siamo noi che non abbiamo mai voluto accogliere questo invito. Chi invita rischia sempre il rifiuto, ma proprio per questo ama lo stesso. Ma tu comincia a invitare “poveri, storpi, ciechi e miserabili”, gente che non ha mai ricevuto un invito da qualcuno e che non ti potrà mai invitare … e spera che accolgano il tuo invito che non farai mai per pietà, ma per puro amore.

30 Ottobre 2021
+Domenico

Esiste ancora l’obiezione di coscienza per chi la vive come sacrario infrangibile

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 14,1-6)

Un sabato Gesù si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi stavano a osservarlo. Ed ecco, davanti a lui vi era un uomo malato di idropisìa.
Rivolgendosi ai dottori della Legge e ai farisei, Gesù disse: «È lecito o no guarire di sabato?». Ma essi tacquero. Egli lo prese per mano, lo guarì e lo congedò.
Poi disse loro: «Chi di voi, se un figlio o un bue gli cade nel pozzo, non lo tirerà fuori subito in giorno di sabato?». E non potevano rispondere nulla a queste parole.

Audio della riflessione

Non si parla più tanto oggi di obiezione di coscienza: non c’è più la coscrizione per il servizio militare obbligatoria, oggi chi non vuol fare il militare non vi è obbligato e quindi il rifiuto di imbracciare le armi è una possibilità, non l’opposizione a una … costrizione.

Ci sono però oltre al rifiuto della guerra che permane sempre, anche tante altre leggi  cui una persona ha diritto di non sottostare con l’obiezione di coscienza, per esempio rifiutarsi di fare pratiche abortive.

A questo proposito papa Francesco, rispondendo a braccio ai farmacisti ospedalieri ebbe a dire “sull’aborto sono molto chiaro; si tratta di omicidio e non è lecito diventarne complici”.

Si vorrebbe abolire l’obiezione di coscienza … questa è l’intimità etica di ogni professionista della salute e questo non va negoziato mai! Un medico sente in sé la vocazione a servire la vita sempre, come è nel suo statuto deontologico! Si può rifiutare di togliere la vita a un futuro nascituro? Non si può! Certo è disposto a pagare le conseguenze per la sua carriera, non certo a subire discriminazioni.

“La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli si trova solo con Dio…” (Gaudium et Spes 16): è il rapporto con questo Dio, Signore dell’esistenza, con la sua voce; è il momento in cui Dio istituisce la persona e il suo mistero, la sua consistenza, la formula del suo vivere felice.

Gli uomini anziché un istinto hanno una coscienza: è il luogo in cui si esprime davanti a me e su di me la legge divina, e l’obiezione di coscienza che io faccio è l’espressione esterna dell’obiezione che la coscienza fa a me. In un certo senso non è il massimo di libertà, intesa come far quel che meno impegna o più piace, ma il massimo di “costrizione”.

L’obiezione di coscienza che io faccio alla società o alla legge è l’espressione esterna dell’obiezione che la coscienza fa a me: ho il diritto di trasgredire la legge, perché ho il dovere di seguire la mia coscienza! La mia disobbedienza non solo è possibile, ma necessaria.

“La coscienza è una legge del nostro spirito, ma che lo supera, che ci dà degli ordini, che indica responsabilità e dovere, timore e speranza… è la messaggera di Colui che, nel mondo della natura come in quello della Grazia, ci parla velatamente, ci istruisce e ci guida. La coscienza è il primo di tutti i vicari di Cristo.” (Catechismo della Chiesa Cattolica, punto 1778)

Gesù spesso è tornato ad educare i suoi seguaci su questo punto, a stimolare la propria responsabilità nell’obbedire alle leggi, mettendo in crisi l’assolutezza della stessa legge del sabato che passava sopra le infelicità delle persone.

Ma Dio è per la felicità, per questo la dona anche di sabato: fa nascere così speranze nuove nella bontà di Dio. 

29 Ottobre 2021
+Domenico

Simone il cananeo e Giuda Taddeo, apostoli, diversi e uniti

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 6, 12-13) dal Vangelo del giorno (Lc 6, 12-19)

In quei giorni, Gesù se ne andò sul monte a pregare e passò tutta la notte pregando Dio. Quando fu giorno, chiamò a sé i suoi discepoli e ne scelse dodici, ai quali diede anche il nome di apostoli

Audio della riflessione

Come sempre quando si tratta di scegliere collaboratori, soprattutto se sono persone che debbono sostenere, condividere ideali, metterci pure la vita oltre che il proprio tempo, la propria passione, ci si pone tutta l’attenzione possibile: ecco perché quando la liturgia ci presenta la festa di qualche apostolo spesso ci fa riflettere su questo brano di Vangelo, che mette in risalto la preghiera di Gesù tutta la notte prima di scegliere e annunciare chi avrebbe composto la sua squadra di collaboratori e di continuatori della sua opera di salvezza, i 12 apostoli. In particolare oggi celebriamo i santi apostoli Simone e Giuda.

Riprendo quasi alla lettera quanto ebbe a dire papa Benedetto XVI in una sua catechesi dell’udienze del mercoledì.

Simone è chiamato sia cananeo  che zelota. In realtà, le due qualifiche si equivalgono, poiché significano la stessa cosa: il verbo qanà’ significa “essere geloso, appassionato” e può essere detto sia di Dio, in quanto è geloso del popolo da lui scelto (cfr Es 20,5), sia di uomini che ardono di zelo nel servire il Dio unico con piena dedizione, come Elia (cfr 1 Re 19,10).

Simone era sicuramente caratterizzato  da un ardente zelo per l’identità giudaica, quindi per Dio, per il suo popolo e per la Legge divina: è ben possibile, dunque, che questo Simone, se non appartenne propriamente al movimento nazionalista degli Zeloti, fosse almeno segnato da questa posizione.

Un poco il contrario di Matteo che in quanto pubblicano, proveniva da un’attività considerata del tutto impura, segno evidente che Gesù chiama i suoi discepoli e collaboratori dagli strati sociali e religiosi più diversi, senza alcuna preclusione: a Lui interessano le persone, non le categorie sociali o le etichette! E la cosa bella è che nel gruppo dei suoi seguaci, tutti, benché diversi, coesistevano insieme, superando le immaginabili difficoltà: era Gesù stesso, infatti, il motivo di coesione, nel quale tutti si ritrovavano uniti.

Questo costituisce chiaramente una lezione per noi, spesso inclini a sottolineare le differenze e magari le contrapposizioni, dimenticando che in Gesù Cristo ci è data la forza per comporre le nostre conflittualità. Nella scelta dei 12 poi Gesù dava spazio a tutti i carismi, i popoli, le razze, tutte le qualità umane, che trovano la loro composizione e la loro unità nella comunione con Gesù.

Giuda Taddeo, è così denominato dalla tradizione, per distinguerlo da Giuda Iscariota. Solo Giovanni segnala una sua richiesta fatta a Gesù durante l’Ultima Cena. Dice Taddeo al Signore: «Signore, come è accaduto che devi manifestarti a noi e non al mondo?»”. E’ una questione di grande attualità, che anche noi poniamo al Signore: perché il Risorto non si è manifestato in tutta la sua gloria ai suoi avversari per mostrare che il vincitore è Dio? Perché si è manifestato solo ai suoi discepoli? La risposta di Gesù è misteriosa e profonda, come viene riportata da Giuda … il Signore dice: “Se uno mi ama osserverà la mia parola, e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui” (Gv 14,22-23).

Questo vuol dire che il Risorto dev’essere visto, percepito anche con il cuore, in modo che Dio possa prendere dimora in noi! Il Signore non appare come una cosa: vuole entrare nella nostra vita e perciò la sua manifestazione è una manifestazione che implica e presuppone il cuore aperto.

Solo così vediamo il Risorto!

A  Giuda Taddeo è stata attribuita la paternità di una delle Lettere del Nuovo Testamento che vengono dette ‘cattoliche’ in quanto indirizzate non ad una determinata chiesa locale, ma ad una cerchia molto ampia di destinatari: essa infatti è diretta “agli eletti che vivono nell’amore di Dio Padre e sono stati preservati per Gesù Cristo” (Gd 1).

Preoccupazione centrale di questo scritto è di mettere in guardia i cristiani da tutti coloro che prendono pretesto dalla grazia di Dio per scusare la propria dissolutezza e per traviare altri fratelli con insegnamenti inaccettabili, introducendo divisioni all’interno della Chiesa “sotto la spinta dei loro sogni” (Gd 8), così definisce Giuda queste loro dottrine e idee speciali.

Egli li paragona addirittura agli angeli decaduti, e con termini forti dice che “si sono incamminati per la strada di Caino” (Gd 11). Inoltre li bolla senza reticenze “come nuvole senza pioggia portate via dai venti o alberi di fine stagione senza frutti, due volte morti, sradicati; come onde selvagge del mare, che schiumano le loro brutture; come astri erranti, ai quali è riservata la caligine della tenebra in eterno” (Gd 12-13).

28 Ottobre 2021
+Domenico

La porta si può allargare solo se non con l’amore e il cuore staccato dalle cose

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 13,22-24) dal Vangelo del giorno (Lc 13,22-30)

In quel tempo, Gesù passava insegnando per città e villaggi, mentre era in cammino verso Gerusalemme. Un tale gli chiese: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?». Disse loro: «Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno.

Audio della riflessione

Alla fine della vita che cosa ci sarà? Questo uomo o donna che siamo sono … che siamo noi … ha un futuro oltre la vita terrena? Siamo destinati a scomparire nel nulla o c’è qualcosa dopo la morte? Sono domande che ogni tanto ci facciamo. Siamo abili a metterci un silenziatore, perché sono domande imbarazzanti, sia per noi che ci disperiamo di fronte alla morte, sia per la fede che dovremmo dimostrare nei confronti di chi vive con noi. Abbiamo paura del dileggio dei benpensanti, degli ideologi che sanno tutto, che conoscono per filo e per segno anche il nostro futuro, magari si affidano di più agli oroscopi che a qualche uso dell’intelligenza più consono alla dignità umana.

La nostra fede ci dà la certezza che la nostra vita si conclude e continua nelle braccia di un Padre, nella fratellanza di un Figlio che ci ha salvati, nella luce e nel fuoco d’amore dello Spirito Santo che non permette alla nostra vita di afflosciarsi su di sé nel nulla.

Una domanda pressappoco uguale alla nostra la ponevano a Gesù i suoi contemporanei: erano sicuri che ci fosse un futuro, ma non sapevano se la salvezza fosse garantita a tutti. Cercavano forse solo garanzie, quasi che una volta avuta l’assicurazione la vita smettesse di essere in salita e la certezza prendesse il posto della verità, dell’amore da vivere ogni giorno. Credevano che si potessero mettere in atto “automatismi” comodi di salvezza, privilegi -per esempio- per i furbi.

Gesù dice papale papale “la porta è sempre stretta”.

Dio ci salva, ma l’amore è esigente: non c’è nessun privilegio o raccomandazione su cui contare, non c’è nessun automatismo nell’amore, c’è sempre e solo la disponibilità ad accogliere, l’ardore di una volontà decisa a lasciarsi trasformare, la bellezza di un abbandono nelle braccia di Dio, una fraternità da vivere e mostrare ai poveri … insomma un Vangelo da vivere e incarnare.

La porta è stretta non per tirchieria di chi la apre, ma per la crescita  in bontà della coscienza dell’uomo, per l’approfondimento della sua dignità, che è poco meno degli angeli, coronato di onore e grandezza da riconquistare e sempre da implorare.

Per la porta stretta non si fa una selezione, di diritti, ma un discernimento di bontà, una scala di amore, una precedenza di santità. 

Altrove – dice il Vangelo – i ladri e le prostitute vi precederanno nel regno dei cieli, quindi nessuno pensi di avere una assicurazione, ma sempre e solo un invito esigente.

E’ bello sapere comunque che là siamo destinati e il paradiso non può essere che traboccante se è costato la morte di Gesù per aprirlo. La porta però è tanto stretta che per chi pone la sua fiducia solo nei soldi, nella ricchezza diventa perfino la cruna di un ago e non c’è dieta dimagrante che tenga: l’unica è la misericordia di Dio che si acquista con l’amore e non con i soldi.

27 Ottobre 2021
+Domenico

Il regno di Dio cresce sempre e non si vede

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 13, 18-21)

In quel tempo, diceva Gesù: «A che cosa è simile il regno di Dio, e a che cosa lo posso paragonare? È simile a un granello di senape, che un uomo prese e gettò nel suo giardino; crebbe, divenne un albero e gli uccelli del cielo vennero a fare il nido fra i suoi rami». E disse ancora: «A che cosa posso paragonare il regno di Dio? È simile al lievito, che una donna prese e mescolò in tre misure di farina, finché non fu tutta lievitata».

Audio della riflessione

La nostra mentalità moderna punta molto sullo spettacolare, sul grandioso, sulle manifestazioni di potenza e spesso cancella le piccole tracce di umanità e di bontà che sempre resistono nella vita delle persone.

Si vorrebbe che il bene trionfasse con i criteri dei mass media: si pretende di fotografare ogni attimo della vita per mandarlo in diretta, si crede che si esiste solo se ci si può far vedere … invece il mondo non va avanti così: La vita degli uomini è frutto dell’apporto di ogni vita umana, semplice, dedicata; è collocata dentro un tessuto di amore che non ha bisogno di apparire per essere vero, anzi esige interiorità, silenzio, umiltà.

Il regno di Dio, proprio quel progetto profondo di vita vera che deve pulsare nel mondo, è di questo tipo: è un granello di senapa, una manciata di lievito. Non si impone per la maestosità o grandezza della sua consistenza, ma per la forza interiore regalata da Dio, che nessuno può vincere.

Il sogno di Dio sull’umanità si realizza nella debolezza e nella disponibilità alla volontà di Dio. Le nostre megalomanie sono un ostacolo al Regno di Dio. La nostra frenesia di potere non è imparentata con l’avvento del Regno di Dio. Il chiasso, l’esposizione sulla scena che conta, gli apparati … non sono parte del regno di Dio, ne sono spesso un intralcio!

Quante vite belle si sono intrecciate in questa pandemia, quante solidarietà della porta accanto, quante persone non conosciute sono riuscite a fra compagnia, a rendere meno doloro il trapasso di tanti morti per Covid-19!

Quanta gente non ha bisogno di televisioni o di selfie per fare il bene, proprio perché è un dono dentro di sé, nel suo spirito e si riversa per strade a noi impossibile sulle vite di tanti bisognosi

Il lievito tende a scomparire per fermentare tutta la pasta; il granello di semente muore per dar vita a qualcosa di impensabile: Dio opera soprattutto entro la nostra inconsistenza. La fionda del ragazzetto Davide – ricordate – portava solo un sasso e il gigante si è schiantato a terra.

Gesù era un uomo buono senza legioni, è stato ucciso come un delinquente: la sua estrema debolezza di fronte al potere è stata la sua forza, perché si gettato nelle braccia del Padre.

Lo sparuto gruppo di apostoli, dispersi e perseguitati, cacciati e sopraffatti, è diventato il seme di un nuovo mondo: la stessa Chiesa ha conosciuto la massima sua diffusione per il sangue dei martiri e degli sconfitti.

E’ più regno di Dio il costruirsi giorno dopo giorno che il dispiegamento di una organizzazione: nella storia, quando la Chiesa si è appoggiata sul potere è sempre stata meno credibile, ha sempre perso. 

Dio opera così, in questo modo si costringe a non lasciarci mai soli, e non abbandonarci mai.

26 Ottobre 2021
+Domenico

Gesù di sabato restituisce la gioia di vivere

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 13, 10-17)

In quel tempo, Gesù stava insegnando in una sinagoga in giorno di sabato. C’era là una donna che uno spirito teneva inferma da diciotto anni; era curva e non riusciva in alcun modo a stare diritta. Gesù la vide, la chiamò a sé e le disse: «Donna, sei liberata dalla tua malattia». Impose le mani su di lei e subito quella si raddrizzò e glorificava Dio. Ma il capo della sinagoga, sdegnato perché Gesù aveva operato quella guarigione di sabato, prese la parola e disse alla folla: «Ci sono sei giorni in cui si deve lavorare; in quelli dunque venite a farvi guarire e non in giorno di sabato». Il Signore gli replicò: «Ipocriti, non è forse vero che, di sabato, ciascuno di voi slega il suo bue o l’asino dalla mangiatoia, per condurlo ad abbeverarsi? E questa figlia di Abramo, che Satana ha tenuto prigioniera per ben diciotto anni, non doveva essere liberata da questo legame nel giorno di sabato?». Quando egli diceva queste cose, tutti i suoi avversari si vergognavano, mentre la folla intera esultava per tutte le meraviglie da lui compiute.

Audio della riflessione

C’è sempre qualcuno che vuol salvare Dio con le sue intransigenze, quasi che Dio abbia bisogno di Lui per esistere o per operare nel mondo: capita così che qualcuno inventa una guerra in nome di Dio, sancisce condanne di persone in nome di Lui, perpetra torture, fa leggi che tolgono la libertà e la dignità alle persone, mantiene nella sofferenza anziché offrire gioia e libertà, sempre nel nome di Dio.

Certo è difficile riuscire a far maturare la propria coscienza e quella dell’umanità che oscilla sempre tra la negazione di Dio e l’assolutizzazione dell’idea che noi abbiamo di Lui: oggi nel nostro occidente è più facile vedere una esclusione di Dio dalla vita, mentre in Oriente – senza esasperare o generalizzare troppo – sembra che prevalga il talebanesimo, cioè una imposizione su tutti di una irrazionalità assoluta nei riguardi delle esperienze religiose.

Il responsabile del culto che ha incontrato Gesù quel giorno nella sinagoga era di questo secondo tipo: Gesù ha davanti a sé una donna piegata da un male, che da troppo tempo la tiene nell’infelicità, di sabato la guarisce e la restituisce alla gioia di vivere.

“Il sabato è un giorno sacro”, dice il capo della sinagoga; “la sinagoga non è un ambulatorio, non è di sicuro il luogo in cui si può andare contro la legge di Dio. Ma tu Gesù che tanto tieni a che il nome di Dio sia lodato e benedetto, tu che vedi quanto la gente si stia allontanando da Dio, anche tu vieni a mescolare il profano col sacro, vieni a far crescere la magia, a far correre la gente in sinagoga a trasformare la religione in un placebo per disperati. Dio va lodato e benedetto, non servito con medicine e chirurgie”.

Quello che Gesù invece vuol far capire guarendo questa donna, ammalata da 18 anni, è di tenere in grande dignità e considerazione la vita umana: non ci può essere contrasto tra la vita, anche senza aggettivi particolari, e la legge di Dio, non ci può essere subordinazione della persona  alla legge, né contrapposizione tra  i precetti e la sete di felicità vera che ha l’umanità.

Sarà Lui, Gesù, con la sua morte in croce a rimettere al centro della vita dell’uomo la vera libertà e il vero culto a Dio: comunione con Lui e solidarietà con i fratelli.

Certo, la nostra società che non è più capace di vivere la domenica, che ormai non distingue giorni feriali da giorni festivi, che monetizza soltanto ogni festa e non sa dare a Dio un tempo di riposo, di meditazione, di riflessione, di sana convivenza familiare e – e io sottolineerei, di adorazione esplicita al Dio della vita, che si celebra col suo Corpo e il suo sangue versato per noi- ci fa pensare.

A noi cristiani è la data la vocazione di aiutare a ricuperare e sviluppare non tanto un dettame di legge, ma un desiderio della persona, che con la domenica vuol vivere una esperienza che fa la vita più bella e apre a tutti una finestra sull’eternità.

25 Ottobre 2021
+Domenico

Non si deve mai tornare come prima, ma sempre meglio

Una riflessione sul Vangelo secondo Marco (Mc 10,46-52)

In quel tempo, mentre Gesù partiva da Gèrico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timèo, Bartimèo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!». Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!». Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». Chiamarono il cieco, dicendogli: «Coraggio! Àlzati, ti chiama!». Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. Allora Gesù gli disse: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». E il cieco gli rispose: «Rabbunì, che io veda di nuovo!». E Gesù gli disse: «Va’, la tua fede ti ha salvato». E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada.

Audio della riflessione

Ciechi lo siamo un po’ tutti … o perché non vogliamo vedere tante cose o perché siamo superficiali, distratti, autocentrati: con molte persone annaspiamo nel buio, di fronte ai bisogni voltiamo le spalle.

Il cieco che Gesù deve per forza udire, perché urla a più non posso la sua disperazione, è un vero cieco: non vede, ha bisogno di tutti, ha una vita in grigio, studia tutti i piccoli rumori e tutti i passi della gente perché la sua vita dipende in tutto  dal loro accorgersi di lui.

Arriva Gesù, sente un vociare di persone, sente nell’aria la sua presenza benedicente e si mette a gridare nonostante tutti cerchino di farlo tacere … e Gesù lo fa chiamare.

Bellissimo, finalmente, per lui sentirsi dire “coraggio, alzati, ti chiama”. La forza della disperazione che aveva in corpo, la condanna al buio che da sempre lo possedeva riesce a fargli godere un contatto.

Tre verbi dicono la sua gioia, la sua soddisfazione, il suo slancio, la sua speranza, la fine della sua disperazione: gettato via il mantello, balzò in piedi, venne da Gesù.

Avesse anche la nostra vita questo slancio, questa decisione, questo obiettivo, quando il male ci ammorba, quando le tenebre del male ci opprimono, ci condannano al buio! Le nostre sicurezze false le potremmo buttare, i nostri balzi nella vita, quella vera, li potremmo mostrare e finalmente saremmo ai piedi di Gesù.

E Gesù gli ridona la vista. Ma la cosa più bella che chiude la sventura del cieco di Gerico e lo apre a una decisiva avventura nella vita, è che “prese a seguire Gesù”: aveva avuto la vista, era stato guarito, ma aveva anche capito che la sua esistenza non poteva ritornare alla strada dell’accattonaggio che aveva sempre fatto, ma alla strada di Gesù, alla strada della vita che è Gesù! Poteva tornare a viversi la sua vita dopo averla vissuta e persa in tanto buio, poteva cavarsi la voglia di vedere quel che aveva sempre immaginato e sognato nella cecità, ma l’esperienza di Gesù lo ha fatto nascere di nuovo: ha provato non solo a vedere Gesù, ma ad intuire e lasciarsi incantare dal suo sguardo d’amore, dal suo progetto di una nuova impensabile vita.

Questo cieco rappresenta tutti noi: è l’immagine della nostra comunità cristiana, della nostra parrocchia o chiesa! Il miracolo è quello di aprire a tutti noi gli occhi, in modo che possiamo smettere di farci possedere da questa pandemia, da questi nostri continui calcoli di sopravvivenza e lanciarci in un nuovo vivere fatto di fratellanza, di accoglienza, di nuova socialità intrisa di affetti e di amore, di gioia e di capacità di consolare.

Che possiamo vedere finalmente come il cieco guarito, il cammino di Gesù e lo possiamo seguire: vedere significa credere, significa essere salvi, se come il centurione guardando a Gesù Crocifisso che muore sapremo dire veramente costui è il figlio di Dio.

24 Ottobre 2021
+Domenico

La conversione

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 13, 1-9)

In quel tempo, si presentarono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subìto tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo».
Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Tàglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”».

Audio della riflessione

Non ci vuole molto a vedere che la nostra vita è piena di errori, di carognate, di sbagli, di cattiverie anche gratuite … siamo sicuramente anche capaci di bontà: compiamo gesti puliti e sinceri di amore e di dedizione, ma nessuno ci esime dal dover fare spesso i conti con il male.

Sembra quasi più grande di noi: ci siamo applicati spesso ad estirpare le malvagità, ci siamo anche allenati ad avere buona educazione, a frenare le passioni, a mantenere un equilibrio, ma torniamo spesso ai nostri vizi, i nostri peccati si sono inveterati in noi.

Se poi guardiamo la storia del mondo, la storia che ci ha preceduto, ma anche il cumulo di male che stiamo compiendo oggi con guerre, terrorismi, ingiustizie, imbrogli, sopraffazioni, infedeltà, femminicidi, morti sul lavoro, incoscienza nella pandemia… ecco … se guardiamo la storia di questo tempo non possiamo negare che le prospettive di un futuro di bontà e di pace si stanno sempre più allontanando.

C’è, ad onor del vero, lo sforzo di tante persone che pagano con la loro stessa vita per dare al mondo una prospettiva diversa, ma questo male non sembra avere fine.

C’è una frase del Vangelo che Gesù ci ripete: “Se non vi convertirete, morirete tutti allo stesso modo”: mette in relazione conversione e vita, adattamento al male e morte.

Non si può certo pensare di risolvere il mistero del dolore credendo che tutto il male che c’è è un castigo di Dio per i nostri comportamenti malvagi: e il dolore innocente? E le sofferenze di tanti bambini? Proprio per questa applicazione “automatica” tra disgrazia che capita e colpa che l’ha meritata, Gesù richiama alla conversione, e richiama a cambiare vita.

“Voi credete che mio Padre stia a tendervi un agguato per sorprendervi quando sbagliate e punirvi? Credete che Dio, mio Padre, sia un freddo calcolatore di meriti e colpe e che sta a far pareggiare i conti: tanto hai sballato, tanto devi pagare? Saremmo proprio fuori di testa!”

Convertirsi è cambiare testa, modi di pensare: è uscire dalla logica di un dio-commerciante che ci siamo costruiti a nostra immagine e somiglianza, invece è prima di tutto sentirsi sempre tra le braccia del Padre. Lui, che ti vede non combinare niente di buono, che sa di quanti doni ti ha caricato, che conosce il valore della tua umanità; Lui che dandoti la vita ti ha fatto poco meno degli angeli, di gloria e di onore ti ha coronato, come dice il salmo 8, Lui che ci vede impigriti in continui errori, Lui che fa, Lui che dice? “E’ una vita che ti sto dietro, che sto ad aspettare ogni minimo cenno di bontà, ma non riesco a percepire niente…. Vuoi che ti lasci al tuo destino? Neanche a parlarne! Non c’è nessun destino, ma solo libera scelta”.

L’Incarnazione di Dio in Gesù è una scommessa sulla libertà degli uomini e delle donne, dell’umanità: ha scommesso sulla libertà di Maria di accettare di diventare la mamma di Gesù, ha scommesso sulla libertà di Giuseppe di caricarsi di un figlio non suo, ha scommesso sulla libertà di tutti coloro che lo hanno seguito di fidarsi di un regno che a mano a mano che si avvicinava la fine, la pasqua diventava una disfatta; ha pazientato infinitamente con gli apostoli, ma però non ha loro tolto la fatica del decidersi per il Regno di Dio, e anche a noi tocca avere questa capacità di decisione.

Tutte le persone che sono state travolte dalla sua parola ora dura, ora consolante non sono stati ammaliati: hanno dovuto decidersi, giocare in libertà piena, non costretti da eventi favolosi o da irretimenti sottili.

Sì! Gesù invita a convertirsi, ma …. vedete, lui dice così perché è un carattere deciso, per noi poi nella vita si trova sempre un modo di comportarsi che accontenta tutti.

Insomma … abbiamo l’arte di avvolgere nella melassa tutta la radicalità del Vangelo … Convertirsi è esaltare l’uso della nostra libertà a confronto con la persona di Gesù. Contro questa nostra libertà Dio non può andare e se qualcuno nella sua cattiveria ci toglie ogni libertà perché decide di toglierci la vita, come tanto spesso capita nel nostro mondo violento, Lui ce la ridona in pienezza!

E Dio si paragona al contadino, non più al padrone, si fa uno di noi in Gesù e consuma la sua vita a zappare e mettere concime attorno a questa nostra esistenza inaridita: la mette in condizione di giocarsi in pienezza e libertà.

Ecco … conversione è sentire su di noi queste cure, questo amore che ci toglie dalla nostra sterilità. Il rumore dei colpi insistenti, cadenzati, ostinati del contadino che zappa attorno alla nostra vita è musica e ritmo della nostra conversione.

23 Ottobre 2021
+Domenico

Non solo previsioni, ma speranze

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 12, 54-59)

In quel tempo, Gesù diceva alle folle: «Quando vedete una nuvola salire da ponente, subito dite: “Arriva la pioggia”, e così accade. E quando soffia lo scirocco, dite: “Farà caldo”, e così accade. Ipocriti! Sapete valutare l’aspetto della terra e del cielo; come mai questo tempo non sapete valutarlo? E perché non giudicate voi stessi ciò che è giusto? Quando vai con il tuo avversario davanti al magistrato, lungo la strada cerca di trovare un accordo con lui, per evitare che ti trascini davanti al giudice e il giudice ti consegni all’esattore dei debiti e costui ti getti in prigione. Io ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fino all’ultimo spicciolo».

Audio della riflessione

Dove stiamo andando, che direzione prende la nostra vita, i giovani che futuro potranno godere, che cosa capiterà nei prossimi anni al nostro modo di vivere? Sono domande che ogni tanto mettono ansia a un papà e a una mamma di famiglia che pensa ai suoi figli, o a qualsiasi persona che vuol sentirsi responsabile della sua vita … anche nei giovani, anche nei ragazzi mettono ansia!

Se guardiamo indietro agli anni che ci hanno preceduto e li confrontiamo con l’oggi, registriamo cambiamenti impensabili del nostro modo di vivere: penso alla rivoluzione nelle comunicazioni, nel lavoro, nella vita di famiglia, nello spostamento di tanti emigranti … e siamo spesso impreparati ad affrontare i problemi.

Gesù nel Vangelo ci dice che dobbiamo scrutare con più attenzione i segni dei tempi: “purtroppo – dice – tutta la vostra intelligenza la mettete nel fare previsioni!”

Utili anche quelle: avessimo potuto prevenire lo tsunami! Potessimo prevedere i terremoti!

C’è anche da avere una capacità di cogliere la presenza di Dio nella storia e i segnali di “conversione” che ci manda: il futuro non sta nelle previsioni, ma nella speranza e occorre soprattutto in questi tempi leggere i segni di speranza che nascono nel mondo per accoglierli, svilupparli, orientare il mondo alla sua naturale direzione che è il Regno di Dio.

Il Concilio Ecumenico Vaticano II ci aveva aiutati a questo esercizio di lettura dei segni dei tempi, dei luoghi, cioè, in cui si manifesta maggiormente la presenza di Dio, e quindi si concretizza la storia della salvezza: sono indicazioni di apertura a nuovi fatti che caratterizzano il cammino della nostra storia e in essi il cristiano deve seminare la Parola di Dio, li deve orientare nella direzione giusta.

E’ ancora più importante oggi leggere ciò che la pandemia ci fa capire, come dobbiamo cambiare il nostro modo di vivere, la consapevolezza di essere fratelli, di vivere in un mondo che si sta autodistruggendo.

Papa Francesco ci ha offerto non solo un metodo adatto alle nuove sfide, ma anche chi dobbiamo essere: Laudato si e Fratelli Tutti sono due encicliche che aprono panorami amplissimi in tutti, ai cattolici, ma anche a tutta l’umanità.

Esistono oggi tanti segni di speranza che vanno sviluppati: la valorizzazione della persona concreta, l’apprezzare le differenze, l’originalità, il pluralismo, la tol­leranza, il crescente e diffuso interesse per la creatività, il simbolo, i riti, la dimensione estetica del­la vita; la particolare e generalizzata sensibilità al­la comunità internazionale, alla festa e al­la componente ludica del vivere umano; l’attenzione al­la vita quotidiana, intesa come spazio minimo vitale che consente al­le persone di costruire concretamente la propria esistenza; la nuova sensibilità verso la pace, una certa nostalgia del sacro, l’avvertire che ti si fanno dei buchi nella vita che non riesci a colmare con il buon senso… I femminicidi, i troppi morti sul lavoro, la scelta di non procreare, il declino della gioia di vivere…devono interrogare ogni persona umana e soprattutto ogni famiglia.

E’ Dio che ci è Padre che non ci abbandona e ci si presenta sempre come casa abitabile da tutta l’umanità.

Non c’è che da farsi prendere da questa speranza che sale dalla vita.

22 Ottobre 2021
+Domenico