Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 8, 8-9) dal Vangelo del giorno
Ma il centurione rispose: “Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma di’ soltanto una parola e il mio servo sarà guarito. Pur essendo anch’io un subalterno, ho dei soldati sotto di me e dico a uno: “Va’!”, ed egli va; e a un altro: “Vieni!”, ed egli viene; e al mio servo: “Fa’ questo!”, ed egli lo fa”.
È sempre bello poter ospitare a casa nostra qualche persona, poterla accogliere nell’intimità di un rapporto informale: i rapporti di società spesso sono di ruolo, un po’ distaccati, ma tutti hanno un cuore e non c’è come il clima di una famiglia in una casa che permette di godere dell’amicizia, della familiarità, della distensione, delle confidenze e del rapporto alla pari, senza distanza.
Non è purtroppo sempre così, perché talvolta si invita a casa qualcuno per tendergli un tranello, per renderlo meno libero di fronte alle decisioni, per raccomandarsi, per strumentalizzare o forse anche per umiliare e per creargli imbarazzo di fronte alla nostra ostinazione.
Qualcosa di simile stava sullo sfondo quando Gesù si sente fare un’accorata richiesta da un capitano dell’esercito di occupazione romana, un centurione: “Mi sta male un servo, gli voglio troppo bene per vederlo scomparire dalla vita e per vedermelo soffrire tanto. Tu lo puoi guarire” … e Gesù, immediatamente lo mette alla prova: “Verrò a casa tua e lo guarirò”. Poteva essere un’ottima occasione per il capitano per farsi un nome, Gesù stava spopolando per tutti i successi che aveva con la gente, creava invidia nei potenti … averlo a casa era sicuramente meglio di una promozione! Il centurione però si guarda addosso e vede quanto è grande la differenza tra lui, uomo di forza e Gesù, uomo di pace, tra la sua vita di pagano e la nostalgia di Dio che ogni gesto di Gesù innescava anche in lui; sa stare al suo posto, ha ancora da fare tanta strada per entrare in amicizia con Gesù ed esce in quella bellissima preghiera: “Signore non sono degno che tu entri nella mia casa, ma di’ solo una parola è il mio servo guarirà”. Da allora, in ogni Messa la si ripete sempre, forse distrattamente, forse solo formalmente, spesso senza verità dell’essere, perché poi andiamo a fare la comunione senza badare a quanto siamo sbagliati dentro, magari per farci vedere e così strumentalizzeremo l’amicizia sincera di Gesù.
In quel contingente di soldati romani, c’erano senz’altro giovani delle nostre regioni del centro Italia, sotto l’impero romano, e mi piace pensare che il centurione sia uno dei nostri: uno che ha capito di non usare Gesù per i suoi comodi, ma di desiderarlo come speranza vera della sua vita e dei suoi figli.
E’ questo atteggiamento che dobbiamo maturare nella attesa che ci proponiamo di approfondire di fronte alla accoglienza che dobbiamo a Gesù nella nostra condizione umana.
29 Novembre 2021
+Domenico