La notte di Gesù

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 4, 38-44)

In quel tempo, Gesù, uscito dalla sinagòga, entrò nella casa di Simone. La suocera di Simone era in preda a una grande febbre e lo pregarono per lei. Si chinò su di lei, comandò alla febbre e la febbre la lasciò. E subito si alzò in piedi e li serviva.
Al calar del sole, tutti quelli che avevano infermi affetti da varie malattie li condussero a lui. Ed egli, imponendo su ciascuno le mani, li guariva. Da molti uscivano anche demòni, gridando: «Tu sei il Figlio di Dio!». Ma egli li minacciava e non li lasciava parlare, perché sapevano che era lui il Cristo. Sul far del giorno uscì e si recò in un luogo deserto. Ma le folle lo cercavano, lo raggiunsero e tentarono di trattenerlo perché non se ne andasse via. Egli però disse loro: «È necessario che io annunci la buona notizia del regno di Dio anche alle altre città; per questo sono stato mandato». E andava predicando nelle sinagòghe della Giudea.

Audio della riflessione

E’ da parecchio tempo che i giovani abitano più volentieri la notte che il giorno. Ce ne eravamo fatti un problema da affrontare alcuni decenni fa, perché ci ha un poco destabilizzati il loro abitare la notte con vivacità, creatività, musica, discoteche, complessi musicali e concerti; purtroppo qualcuno gli ha avvelenato anche la notte con droga e violenza. Abbiamo fatto i compagni di strada anche in queste ore  notturne e abbiamo trovato  in questa notte di Gesù di cui ci parla il vangelo, la decisione e la spinta a dare significato a tutte le notti dell’uomo

Infatti dice il vangelo … sul calar del sole.. viene invaso da una moltitudine di malati e immerso in un mare di sofferenze. Lui che già di giorno era stato con la gente ritiene importante la sera operare miracoli di umana pietà e di divina elevazione  per tutte queste sofferenze. Di giorno lo vediamo lanciato nell’annuncio della sua novità, il vangelo, la buona notizia, a sera completa la sua umanissima fraternità guarendo sofferenze e ridando speranza, di notte si abbevera alla sua grande sorgente, con la dolcissima preghiera al Padre e il mattino dopo dilagherà ancora in altre regioni.

La sua sera e notte ci aiutano a capire che la sera della croce non è il fallimento, ma la pienezza di tutta la sua opera di salvezza che dà gioia; ci aiuta a capire e gustare la notte, perchè  la notte della morte  non è l’annullamento di tutto, ma comunione col Padre, con la sorgente della sua vita che poi dilagherà in un nuovo giorno.

 Il buio della notte è la cornice del diario della sua opera di salvezza, dal calar del sole al sorgere della luce. La notte è simbolo della morte, notte definitiva, tempo da riscattare, anche Gesù lo conoscerà quando il sole si oscurerà il venerdi di Pasqua e tornerà a brillare il mattino dopo il sabato. La sua azione si fa piena proprio al buio ed è in favore di tutti, prendendosi cura di ciascuno. Gesù ci salva dalla nostra notte con la sua notte, ci visita nel nostro male con la sua croce.

La notte è lo spazio della coscienza della verità che ogni uomo si deve dare, è il luogo in cui si fa chiara alla nostra ragione il nostro essere nulla, che è proprio il luogo da cui Dio trae con la sua potenza tutte le cose. Egli ha fatto dal nulla ogni cosa. Anche la creazione squarciò le tenebre, così la risurrezione di Gesù sconfisse definitivamente le tenebre.

Ci deve poter riempire di gioia il sapere che ad ogni calar del sole Gesù si fa luce per i nostri passi,  forza per portare le nostre croci, preghiera al Padre, perché ci guardi sempre come suoi figli all’ iniziare  di ogni giorno.

31 Agosto 2022
+Domenico

Signore Gesù, abbiamo sempre bisogno di te: non ci abbandonare

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc4, 31-37)

Lettura del Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù scese a Cafàrnao, città della Galilea, e in giorno di sabato insegnava alla gente. Erano stupiti del suo insegnamento perché la sua parola aveva autorità. Nella sinagoga c’era un uomo che era posseduto da un demonio impuro; cominciò a gridare forte: «Basta! Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!». Gesù gli ordinò severamente: «Taci! Esci da lui!». E il demonio lo gettò a terra in mezzo alla gente e uscì da lui, senza fargli alcun male. Tutti furono presi da timore e si dicevano l’un l’altro: «Che parola è mai questa, che comanda con autorità e potenza agli spiriti impuri ed essi se ne vanno?». E la sua fama si diffondeva in ogni luogo della regione circostante.

Audio della riflessione

Che la nostra  fede abbia bisogno di essere rigenerata per essere disponibile alle domande degli uomini e delle donne di oggi, è una convinzione di cui ci rendiamo conto anche noi della messa feriale o dell’incontro quotidiano con il vangelo. Le giovani generazioni sono altrove: facciamo fatica a dialogare con loro, a renderle sensibili alla voce dello Spirito … noi che bene o male frequentiamo la chiesa ci vogliamo bene, ma non siamo capaci di aiutare noi stessi e la gente a fare una scelta di fede adatta ai tempi in cui viviamo.  Noi preti siamo mangiati dalla vita ordinaria, dal compito pure necessario di offrire i sacramenti, che spesso giungono su un popolo che forse non li accoglie con fede, ma per tradizione

Ma la cosa che ci sorprende, e anche ci scoraggia, è che la società sta sempre di più  facendo a meno  del cristianesimo, di Dio, della fede, del vangelo e il nostro compito deve essere  quello di rendere i nostri paesi, la gente delle nostre parrocchie di nuovo disponibili per esso, come se lo scoprisse daccapo.

Noi siamo convinti che per capire la vita ci vuole molta intelligenza, molta ricerca, molta pazienza, ma soprattutto occorre avere fede. Non è possibile capire la vita se non abbiamo un punto di vista non nostro, ma regalato che ci aiuta a guardare all’esistenza oltre le nostre forze. L’esistenza umana viene da Dio e se viene da Lui è solo Lui che ce ne può dare la chiave. Abbiamo ricevuto lo Spirito di Dio per conoscere tutto ciò che Dio ci ha donato.

Se poi in questa ricerca, che è fatta di piccole domande, di crisi inaspettate, di momenti di applicazione dell’intelligenza, di momenti di buio, riusciamo a incontrare qualcuno che ha autorevolezza nell’indicarci la via della vita, allora possiamo sperare di trovare la serenità e la fiducia che ci sono necessarie per continuare a svolgere il nostro lavoro, ad accettare quello che la vita ci offre.

Gesù è colui che parla con autorità. Ai suoi tempi la religione era arrivata a un punto di non ritorno. Occorreva tornare a sperare e la speranza non poteva nascere dalla routine, dalla ripetitività come tante volte pensiamo noi, dal rimpiangere i tempi passati, dal sentito dire. Spesso la nostra testimonianza di cristiani per molta gente dà l’impressione di chi inizia un discorso con “mi dicono di dire”, siamo anche tenaci nelle nostre convinzioni.

Sicuramente molto fedeli, ma senza autorità. L’unica autorità cui ci dobbiamo rifare è quella di Gesù. E lo vediamo davanti a un indemoniato, senza usare formule e scongiuri,  spesso di sapore magico, con cui si tentava ai suoi tempi di liberare gli ossessi. Al demonio non dice per favore lascialo in pace, ma esprime un comando perentorio: taci, esci da quest’uomo! Non ammette discussioni e Satana sopraffatto non osa resistere. Anzi i demoni hanno paura. Gesù parlava con autorità, non vendeva speranze a buon mercato, era lui la speranza; non cercava mediazioni, ma offriva soluzioni. Per chi cerca ragioni di vita questa è l’unica strada possibile e noi con Gesù la possiamo percorrere. Parlare con autorità è il parlare della chiesa, perché parla a nome di Dio, è il parlare del presbitero, è il parlare di chi ha fede e crede al vangelo.

Parlare con autorità significa parlare in modo che chi ti ascolta desideri non tanto argomentare, ma incontrare la persona del Maestro e affidarsi a Lui.

30 Agosto 2022
+Domenico

L’assist di Giovanni il Battista culmina nel suo martirio

Una riflessione sul Vangelo secondo Marco (Mc 6, 17-29)

In quel tempo, Erode aveva mandato ad arrestare Giovanni e lo aveva messo in prigione a causa di Erodìade, moglie di suo fratello Filippo, perché l’aveva sposata. Giovanni infatti diceva a Erode: «Non ti è lecito tenere con te la moglie di tuo fratello». Per questo Erodìade lo odiava e voleva farlo uccidere, ma non poteva, perché Erode temeva Giovanni, sapendolo uomo giusto e santo, e vigilava su di lui; nell’ascoltarlo restava molto perplesso, tuttavia lo ascoltava volentieri.
Venne però il giorno propizio, quando Erode, per il suo compleanno, fece un banchetto per i più alti funzionari della sua corte, gli ufficiali dell’esercito e i notabili della Galilea. Entrata la figlia della stessa Erodìade, danzò e piacque a Erode e ai commensali. Allora il re disse alla fanciulla: «Chiedimi quello che vuoi e io te lo darò». E le giurò più volte: «Qualsiasi cosa mi chiederai, te la darò, fosse anche la metà del mio regno». Ella uscì e disse alla madre: «Che cosa devo chiedere?». Quella rispose: «La testa di Giovanni il Battista». E subito, entrata di corsa dal re, fece la richiesta, dicendo: «Voglio che tu mi dia adesso, su un vassoio, la testa di Giovanni il Battista». Il re, fattosi molto triste, a motivo del giuramento e dei commensali non volle opporle un rifiuto. E subito il re mandò una guardia e ordinò che gli fosse portata la testa di Giovanni. La guardia andò, lo decapitò in prigione e ne portò la testa su un vassoio, la diede alla fanciulla e la fanciulla la diede a sua madre. I discepoli di Giovanni, saputo il fatto, vennero, ne presero il cadavere e lo posero in un sepolcro.

Audio della riflessione

Fare l’assist in squadra significa che non devi essere tu il centro, il capo, il conduttore, il realizzatore delle reti, ma colui che gioca tanto bene da mettere sempre a disposizione di chi si trova nella posizione giusta la palla goal. Giovanni ha vissuto tutta la sua vita per preparare la venuta di Gesù e di fronte a Lui, ha puntato il dito su Gesù: ecco l’agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo… e si è ritirato dalla vita pubblica. Il suo ritirarsi è stato deciso da Erode che lo ha incarcerato perché gli ricordava ogni giorno il suo peccato, il suo aver rubato al moglie a suo fratello e la sua morte, avvenne in una festa di palazzo.

Tutti rivediamo quella splendida ragazzina, figlia  di Erodiade e che si era portata in casa perché si era mesa con Erode. Noi pensiamo: avrà sbagliato ad andare da Erode, ma almeno si è preoccupata di non lasciar sola sua figlia. Gli adulti, anche nei loro errori, sono capaci di responsabilità verso i figli. E’ quello che sicuramente sperava e viveva sua figlia che si confidava ogni giorno con sua madre, che anche l’ha aiutata a diventare una splendida ballerina. In quella festa a corte tutti se la mangiavano con gli occhi, Erode ne rimane talmente incantato da promettergli anche metà del suo regno.

 E lei il futuro sia di Erode che di sua madre che fa? Pone tutto il suo futuro nelle mani di Erodiade. Questa adulta continuerà a fare il suo dovere di madre, ha pensare al suo futuro, se ne è preoccupata fino ad ora. Mamma che devo dire a Erode che è entusiasta di me, che finalmente mi ha visto non solo perché sto con te, ma perché si è accorto anche di me.

 E lei, l’adulta, la madre che vuole il bene massimo dei suoi figli sempre le risponde e la raggela con la sua cattiveria, il suo rancore, la sua vendetta: la testa di Giovanni Battista in un vassoio. Il futuro di sua figlia è l’odio che ha nel cuore per quell’uomo di Dio che fa riflettere Erode, il futuro di sua figlia è il suo peccato.

Beata innocenza che si fida di chi le vuol bene e non sa leggere oltre, che si trova al massimo dell’indice di gradimento del re, e dve soddisfare la brutale risposta di sua madre.Tutto avviene come desidera Erodiade, anche se Erode ha un momento di pena, perchè la sua coscienza ha ancora bisogno del Battista.

E la testa viene mozzata all’istante e  il futuro della ragazza stritolato nella cattiveria  della mamma. Ma Giovanni anticipa in cielo l’arrivo di Gesù e sicuramente non ha da faticare per trovargli un posto. Ha finito di fare l’assist e ha giocato al massimo la sua partita della vita.

29 Agosto 2022
+Domenico

Sei beato perché non hanno da ricambiarti

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 14,1.7-14)

Avvenne che un sabato Gesù si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi stavano a osservarlo. Diceva agli invitati una parabola, notando come sceglievano i primi posti: “Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te, e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: “Cèdigli il posto!”. Allora dovrai con vergogna occupare l’ultimo posto. Invece, quando sei invitato, va’ a metterti all’ultimo posto, perché quando viene colui che ti ha invitato ti dica: “Amico, vieni più avanti!”. Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali. Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato”. Disse poi a colui che l’aveva invitato: “Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini, perché a loro volta non ti invitino anch’essi e tu abbia il contraccambio. Al contrario, quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti”.

Sarà capitato anche a voi talvolta di essere invitati a un pranzo ufficiale, in qualche ambasciata o presso qualche amico importante. Quando si va a tavola l’ospite fa di tutto per non mettere a disagio gli invitati. Prepara allora tanti bigliettini con il nome di ciascun invitato, li colloca al posto giusto e per evitarti di fare il giro del salone a cercarti il posto ti fa un altro biglietto con la pianta grafica della tavola, con una crocetta. Ecco là è il tuo posto.

A parte qualche difficoltà di orientamento, per cui giri e rigiri qualche volta il biglietto, alla fine ci sei. Stai tranquillo, sei al tuo posto, non fai figuracce.

La mensa è un po’ una immagine della vita. Nel Vangelo spesso la tavola è uno dei luoghi in cui Gesù compie tanti gesti decisivi per la sua vita e per il suo insegnamento e soprattutto svela gli atteggiamenti fondamentali del suo regno. Nella vita è importante il posto e sono importanti i compagni di viaggio. “Quando sei invitato a pranzo non andare al primo posto, ma mettiti all’ultimo”. Non è una concessione al galateo, ma un richiamare che il cristiano deve essere come Lui, uno che serve, uno che non ha in se il fondamento del proprio vivere, ma l’ha in Dio. Non si tratta di deprezzare la nostra vita, le nostre qualità, le cose belle che siamo riusciti a fare, ma di avere netta la convinzione che tutto quel che siamo viene da Dio e per questo va messo a disposizione. Tutto ciò che siamo è per grazia, soprattutto l’essere chiamati a responsabilità e autorità nei confronti di altri. Non si tratta di norme di galateo, ma di capire come Dio ci valuta, nel modo opposto al nostro. Lui ha scelto l’ultimo posto, si è fatto servo di tutti e si è umiliato. Suoi amici sono quelli che fanno altrettanto.

“Quando offri un pranzo, non invitare quelli da cui ti aspetti un contraccambio”. Se regali, regala davvero gratis. La tua vita non può essere ridotta a un giro di affari, di scambi, di investimenti, non è il calcolo strategico di vantaggi. La tua vita non può essere un continuo gioco diplomatico di stabilizzazione del tuo benessere. C’è gente che ha fame e non ti inviterà mai a pranzo, c’è gente che è sola e non ti farà mai compagnia, ci sono figli che hanno bisogno di affetto e non te lo restituiranno mai, ci sono giovani che non si sentono di nessuno, che vogliono uscire dalla solitudine e non potranno mai farti crescere in carriera; ci sono anziani che aspettano di morire in un abbraccio e che ti lasceranno solo. “Sarai beato perché non hanno da ricambiarti”. Questa parabola ci guarisce dal gonfiare il nostro  io  per  vivere di Dio. Ci snebbia dai deliri di onnipotenza: l’ umiltà è la nostra verità. I sette verbi del magnificat fanno di Maria un modello umano da imitare. Ha rovesciato i potenti, ha disperso i superbi, ha esaltato gli umili, ha ricolmato gli affamati, ha rimandato i ricchi, ha soccorso, si è ricordato della sua misericordia.

28 Agosto 2022
+Domenico

I talenti non sono finanze da far fruttare, ma amore da moltiplicare

Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 25, 14-30)

Lettura del Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì. Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”. Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”».

Audio della riflessione

Il mondo delle finanze, dei banchieri, degli operatori finanziari forse leggendo questa parabola di Gesù, si sono sentiti un po’ confortati nella loro autostima, perché non godono sempre di buona fama. Gesù però vuol andare non poco oltre. I talenti , dati chi dieci, chi cinque chi uno, non sono quei grossi pezzi d’oro di un’altra parabola che parla di un debitore di 10.000 talenti, ma l’intensità dell’amore di Dio che riempie ogni creatura del suo amore. Non ci riempie tutti allo stesso modo, perché ciascuno ha una sua originale esistenza, capacità che sviluppa o no, situazioni di vita diverse, non certo in base al merito.

Se si tratta dell’amore di Dio, restituirlo è un  errore: nessuno di noi vorrebbe restituito, rimandato indietro dai figli l’amore che abbiamo dato. Ecco perché sbaglia alla grande chi sotterra e riporta soddisfatto. Che hai fatto del mio amore? Credi che sotterrarlo sia capace di farlo operare nella tua vita e in quella degli altri?

 Il Signore era andato lontano, elevato prima sulla croce, il punto più lontano da Dio e poi in cielo, ma non ci ha lasciati soli, ci ha dato il suo Spirito e aspetta di essere riamato, perché noi amando realizziamo il progetto di Dio su di noi. E’ andato ad abitare tra i poveri e ciò che facciamo per loro, lo facciamo per lui, come vedremo nel brano del vangelo successivo a questo.

Se il talento è il dono di amore ricevuto, il nostro amore per Lui nei poveri è il talento che siamo chiamati a far fruttificare. Il fallimento cui andremmo incontro non facendo fruttificare i talenti è la falsa immagine che ci siamo fatti di Gesù; se lo riteniamo cattivo ed esigente, il nostro rapporto con Lui non è di amore, ma legalistico, pauroso e sterile; è un atteggiamento di paura che ci fa imboccare il vicolo delle tenebre, dove ci sarà pianto e stridore di denti. Il giudizio di Dio non sarà fatto da Lui alla fine, ma siamo noi stessi che lo facciamo qui e ora. Lui alla fine non farà nient’altro di quello che noi scriviamo e ci avvisa in anticipo di quello che stiamo scrivendo perché con le sue parabole impariamo a correggerci finchè c’è tempo.

Gesù è venuto a dare a tutti almeno un talento, il talento del suo amore ed è andato lontano a nascondersi nel forestiero, nell’immigrato, nel senza fissa dimora, nel nulla tenente. E’ presente in ogni altro.

Non si tratta allora di investimenti finanziari, anche di quelli forse, ma nell’amore vero verso i poveri … e questa destinazione dell’amore di Dio la decidiamo noi.

27 Agosto 2022
+Domenico

Una attesa stanca e sopportata non attende nessuno: è assenza di ideali

Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 25, 1-13)

Lettura del Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «Il regno dei cieli sarà simile a dieci vergini che presero le loro lampade e uscirono incontro allo sposo. Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; le stolte presero le loro lampade, ma non presero con sé l’olio; le sagge invece, insieme alle loro lampade, presero anche l’olio in piccoli vasi. Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e si addormentarono.
A mezzanotte si alzò un grido: “Ecco lo sposo! Andategli incontro!”. Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade. Le stolte dissero alle sagge: “Dateci un po’ del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono”. Le sagge risposero: “No, perché non venga a mancare a noi e a voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene”. Ora, mentre quelle andavano a comprare l’olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa. Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: “Signore, signore, aprici!”. Ma egli rispose: “In verità io vi dico: non vi conosco”. Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora».

Video della riflessione

La tendenza culturale del nostro tempo, caratterizzato dal pervasivo modello televisivo, dalla facilità con cui riusciamo a fare e spedire fotografie, dalla molteplicità di immagini senza di cui quasi non possiamo vivere, è quella della facciata, del farsi vedere, dell’apparire: se vai in televisione allora esisti, altrimenti nessuno sa di te e se nessuno ti ha visto non ci sei!

Le immagini hanno raccorciato le distanze: permettono di vivere in diretta fatti lontani, prendere coscienza di quello che avviene in ogni parte del mondo, aiuta la fantasia a galoppare, rende tutti capaci di immaginazione oltre le strettezze del luogo in cui si vive.

Il pericolo però, non troppo calcolato, è quello di dare importanza all’apparire e non all’essere, all’esteriorità e non all’interiorità.

Il Vangelo parla di dieci ragazze, dedicate a fare corona a una festa di nozze: tutte belle, tutte preparate, tutte ben vestite, ma solo cinque di esse vivono l’attesa come una molla della loro vita … si preparano, sanno che lo sposo conta su di loro, le vuol coinvolgere nella sua festa, s’aspetta da loro non sorrisi di facciata, ma coinvolgimento nella sua festa e si preparano; sanno che devono fare una coreografia di luci e provano e riprovano le fiaccole; le altre cinque invece si accontentano di esserci, di apparire, di fare coreografia … non pensano a vivere l’attesa dello sposo con intensità, con partecipazione, con occhio vigile: “a noi basta che ci siamo”, nemmeno si preoccupano di essere quella fila di fiaccola che da sole possono sopperire alla loro insensibilità .. non si preparano, danno tutto per scontato, è un mestiere come un altro … e al momento giusto neppure si accendono le loro luci, vanno in panne, cercano i rimedi dell’ultima ora, la dabbenaggine di qualche amica che abbocca … ma lo sposo le lascia fuori!

E’ fin troppo facile cogliere l’insegnamento di Gesù … non capita così della nostra fede? E’ terribile pensare che sovente la facciata è salva, diciamo di essere credenti, cattolici pure, ma dentro l’amore è finito e con esso vivere o per puntiglio, per tradizione o per contrapposizione, ma manca dall’interno l’attesa vigilante e operosa dell’incontro con lo sposo, dell’incontro con Gesù.

La vita di fede è un invito a nozze, ma non ci interessa più niente dello sposo: siamo come una coppia che non trova più motivi per stupirsi l’uno dell’altra.

La religione è diventata una abitudine di facciata.

Le parole di Gesù a queste cinque vergini sono tremende: “non vi conosco”, “non mi interessa la facciata”.

Dio guarda il cuore e al posto del cuore c’è un sasso, l’immagine tragica della loro vita, del loro affetto per lo sposo: erano solo mestieranti e tali restano!

Occorre riattivare la vita, il sentimento, occorre tornare sempre a sperare, Dio la forza ce la dà sempre.

26 Agosto 2022
+Domenico

Una vera attesa è nuova apertura alla vita

Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 24, 42-51)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Vegliate, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo. Chi è dunque il servo fidato e prudente, che il padrone ha messo a capo dei suoi domestici per dare loro il cibo a tempo debito? Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così! Davvero io vi dico: lo metterà a capo di tutti i suoi beni. Ma se quel servo malvagio dicesse in cuor suo: “Il mio padrone tarda”, e cominciasse a percuotere i suoi compagni e a mangiare e a bere con gli ubriaconi, il padrone di quel servo arriverà un giorno in cui non se l’aspetta e a un’ora che non sa, lo punirà severamente e gli infliggerà la sorte che meritano gli ipocriti: là sarà pianto e stridore di denti».

Video della riflessione

Attendere un compimento, una completezza è la caratteristica più comune della nostra vita umana: siamo crepacci assetati di infinito, inquietudini in attesa di appagamento, terre assetate in attesa di una sorgente, notti che attendono l’alba, nebbie che invocano il sole … attendono i genitori la crescita e l’esplosione della vita dei figli, attendono i prigionieri la libertà, attende il giovane la persona cui donare il suo amore, attende il bambino il ritorno della mamma e del papà, attendono gli esuli e i profughi di tornare in patria, attendono i soldati che finisca questa stupida guerra, che tacciano le armi e gli odi inveterati!

Sulle carrette del mare, vittime dei predoni di speranza, si attende l’approdo per una vita almeno possibile; nei letti dell’ospedale si cerca di intuire nei tratti del volto del medico una soddisfazione, almeno di non vederlo rassegnato; attende giustizia chi si vede continuamente defraudato dei suoi diritti, e attende un salario più giusto chi lavora, e si aspetta gratitudine e compagnia l’anziano che ha speso la vita per i suoi; è in attesa di una giusta pensione chi ha lavorato una vita, e attendete tutti voi di prendervi in mano il vostro futuro e che si realizzino i vostri sogni, …

Siamo proiettati verso qualcosa che ci viene incontro e non siamo felici finché non è avvenuto il contatto. Salvo a vedere che non c’è niente che ci appaga definitivamente: ogni attesa ne ha in grembo un’altra, ogni desiderio è stato fatto per scavarne un altro; ogni aspettativa ne nasconde una successiva. E la nostra vita si snoda di attesa in attesa …

… allora ci domandiamo: “Quando sarà compiuta l’attesa?”

“Siamo fatti per te e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te!” – diceva Sant’Agostino.

L’attesa non sarà mai una delusione o un inganno se saprà veramente orientarsi al nuovo, al sorprendente! Il compimento non è una botola su un tombino, una pietra per chiudere una buca, ma una nuova apertura della vita!

Chi attende veramente è pronto a lasciarsi sorprendere, a predisporsi a una nuova configurazione di sé! Se il papà o la mamma aspettassero il loro figlio come un ingranaggio di una loro ruota, già predeterminata e finita, lo soffocherebbero … ma se lo aspettano come una sorpresa, come un dono, ribalta loro l’esistenza!

Questo è il significato dell’essere vigilanti: noi subito pensiamo che bisogna star svegli altrimenti ti fregano, ti sorprendono … abbiamo il senso della vigilanza ridotto allo stare attenti per evitare l’autovelox! Essere vigilanti significa invece essere sentinelle del mattino e non becchini di un cimitero.

Quando non c’è vigilanza viene a mancare una dimensione importante della nostra fede: la capacità costante di passare da uno stato di provvisorietà a un altro.

Immaginate quanto è necessario questo atteggiamento nelle precarietà cui siamo costretti a vivere oggi, soprattutto se giovani.

Tutte le nostre più belle attese non ci hanno appagato, ma ci hanno ribaltato, ci hanno aiutato a dare alla nostra vita un’altra prospettiva, proprio perché le abbiamo accolte come un dono, come una vita!

Anche i cimiteri sono pieni di loculi che attendono di essere colmati … ma lì ci metteranno cadaveri! Noi spesso nella vita attendiamo come i loculi: Incaselliamo le persone, le vicende, le professioni, le speranze per cambiare tutto in delusioni, oggetti, scheletri.

Ci sarà nella vita qualche altro modo di attendere? Come si può attendere Dio? Come Erode con la spada per ucciderlo? Come il potere per combatterlo, come il miscredente per metterlo alla prova o come Maria che ha messo a disposizione tutto: vita, pensieri, affetti, progetti, sogni, amore?

25 Agosto 2022
+Domenico

La chiamata c’è sempre … la risposta ridefinisce la persona!

Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 1, 45- 51)

In quel tempo, Filippo trovò Natanaèle e gli disse: «Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè, nella Legge, e i Profeti: Gesù, il figlio di Giuseppe, di Nàzaret». Natanaèle gli disse: «Da Nàzaret può venire qualcosa di buono?». Filippo gli rispose: «Vieni e vedi». Gesù intanto, visto Natanaèle che gli veniva incontro, disse di lui: «Ecco davvero un Israelita in cui non c’è falsità». Natanaèle gli domandò: «Come mi conosci?». Gli rispose Gesù: «Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto l’albero di fichi». Gli replicò Natanaèle: «Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d’Israele!». Gli rispose Gesù: «Perché ti ho detto che ti avevo visto sotto l’albero di fichi, tu credi? Vedrai cose più grandi di queste!». Poi gli disse: «In verità, in verità io vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sopra il Figlio dell’uomo».

Audio della riflessione

Nessuno è al mondo a caso: tutti abbiamo una chiamata alla vita!

Qualcuno ci ha desiderato, ci ha voluto, ci ha atteso, ha trepidato per noi … magari all’inizio non ci ha voluto per paura, per egoismo, per indifferenza; poi un po’ alla volta la chiamata alla vita ha vinto!

Per chi crede è ancora più vero che noi siamo stati amati, desiderati, voluti a uno a uno da Dio, che Gesù ha sempre chiamato Papà, Padre, e così vuole che lo chiamiamo tutti noi.

Di essere chiamati a uno a uno è capitato anche agli apostoli, la squadra di Gesù, che si è scelto dopo notti di preghiera al Padre: uno di essi è Bartolomeo o Natanaele che oggi festeggiamo; è un uomo concreto, ragiona secondo i canoni della tradizione, conosce benissimo Nazareth: per lui quell’insignificante agglomerato di casupole che si trova a pochi chilometri da casa sua .. e gli pare incredibile che un posto simile, mai menzionato nell’Antico Testamento, possa aver dato i natali al Messia, il liberatore di Israele che tutti attendono.

Natanaele ha uno sguardo, concreto, intuitivo, forse un poco pessimista e troppo sicuro di sé, legato al suo mondo piuttosto chiuso e piccolo … sarà disposto poi a ripensare bene a come ha fotografato la persona di Gesù … mentre Gesù lo ha scrutato, a fondo, e ne è uscito subito con «Ecco davvero un Israelita in cui non c’è falsità»: è una straordinaria attestazione di fiducia che non ha uguali in tutti i Vangeli! Lui, infatti, ne resta spiazzato: «Donde mi conosci?», domanda … e Gesù: «Prima che Filippo ti chiamasse ti vidi mentre eri sotto il fico».

Questa frase tocca nel profondo il cuore di Bartolomeo: coglie forse una domanda inespressa, un pensiero nascosto, testimoniando come Gesù sappia leggere nelle pieghe più segrete dell’interiorità … fatto sta che l’ex-scettico si trasforma nel volgere di un istante in un fervente seguace di Cristo: «Rabbi, tu sei il Figlio di Dio. Tu sei il re d’Israele!» afferma convinto.

Ma ora è il maestro a smorzare i toni: «Perché ti ho detto che ti ho visto sotto il fico, tu credi? Vedrai cose ben più grandi di queste».

Lo ritroviamo – infatti – a Gerusalemme, dopo la Pentecoste, tra coloro che – come riferiscono gli Atti degli Apostoli – sono «assidui e concordi nella preghiera». 

Alcune fonti parlano di una sua predicazione in India e poi in Armenia, dove avrebbe convertito anche il re, attirandosi però le ire dei sacerdoti pagani attivi nella zona: per questo, sempre secondo la tradizione, avrebbe subito un atroce martirio, condannato a essere scuoiato vivo e poi decapitato: ecco perché molta dell’iconografia relativa a san Bartolomeo ce lo mostra con in mano la sua stessa pelle, della quale è stato “svestito” dagli aguzzini.

Se ricordate una delle raffigurazioni più celebri si trova a Roma, nella cappella Sistina: nella maschera di volto, sfigurata dalla sofferenza, che appare su questa pelle pare che Michelangelo abbia voluto tracciare – addirittura – il suo autoritratto.    

24 Agosto 2022
+Domenico

Giù le maschere, per un profondo dialogo con Dio sempre

Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 23, 25-26) dal Vangelo del giorno (Mt 23, 23-26)

In quel tempo, Gesù parlò dicendo:
«Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pulite l’esterno del bicchiere e del piatto, ma all’interno sono pieni di avidità e d’intemperanza. Fariseo cieco, pulisci prima l’interno del bicchiere, perché anche l’esterno diventi pulito!».

Audio (Video) della riflessione

La nostra è la civiltà della fotografia, del montaggio, del virtuale, della trasformazione della realtà attraverso le immagini. Le immagini ti creano belle emozioni, ti permettono di godere a lungo di momenti che sarebbero fuggenti ricordi, puoi analizzare i particolari, fermare un sorriso, uno sguardo, un sentimento.

Siamo stupiti di vedere certe fotografie che ti rendono vicino chi non potresti mai accostare, che ti portano in casa avvenimenti che non potresti mai sapere che esistono, ti fanno partecipare a un dolore e a una gioia che definiscono il tuo essere fratello universale. Serie di immagini costruite ad arte però possono portare all’inganno.

Le chiamano appunto fiction, finzioni, rappresentazioni mirate della realtà o della fantasia, simboli del reale, spesso creati per trarre in inganno, non per comunicare, ma per soggiogare, per vendere. E nel gioco entra anche la vita delle persone che fanno consistere l’esistenza nell’apparire e non più nell’essere. Quello che conta è l’immagine, non più la coscienza. Ne sanno qualcosa i ragazzi e le ragazze nell’esposizione ai cellulari, nella ricerca spasmodica di una immagine che conquista followers, noi adulti che vediamo sempre prima in fotografia e poi la realtà…

Gesù nel vangelo lancia una serie di “guai” a gente proprio come questa, che guarda alla forma esteriore, cura l’immagine, e nasconde una interiorità di peccato, di ingiustizia, di male.  La vita è un bicchiere pulito ed elegante all’esterno, un piatto sfavillante, che dentro si porta rapina e intemperanza. E’ un invito a dare il posto decisivo all’interiorità, alla sorgente del misterioso, ma vero, necessario, intenso rapporto con Dio che è la coscienza.

23 Agosto 2022
+Domenico

E’ lì nel profondo di un dialogo dell’anima con Dio che nasce la dignità e la nobiltà dell’uomo, la disponibilità alla sua Parola che è come spada a doppio taglio che penetra nell’intimo e dirime il bene dal male. La coscienza non è una piazza, non è una fiction è la tua identità di fronte a Dio e deve diventare la tua vera faccia di fronte a tutti gli uomini. Non è rifugio nell’intimità, ma coraggio di partire dall’interno di giustizia e di pace per diffondere ovunque, soprattutto all’esterno, anche nelle immagini, anche nelle fiction ciò che veramente abita nel cuore dell’uomo.

Ci fosse più attenzione alla coscienza, cambierebbe anche tutto il mondo comunicativo con le immagini, che sono una faccia dell’anima, non la maschera del cuore e della verità. Qui nel profondo della coscienza c’è sempre quel Dio che non ci abbandona mai

Ingessatori della religione o collaboratori del Regno di Dio con Maria?

Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 23, 13-22)

In quel tempo, Gesù parlò dicendo: «Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che chiudete il regno dei cieli davanti alla gente; di fatto non entrate voi, e non lasciate entrare nemmeno quelli che vogliono entrare. Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che percorrete il mare e la terra per fare un solo prosèlito e, quando lo è divenuto, lo rendete degno della Geènna due volte più di voi. Guai a voi, guide cieche, che dite: “Se uno giura per il tempio, non conta nulla; se invece uno giura per l’oro del tempio, resta obbligato”. Stolti e ciechi! Che cosa è più grande: l’oro o il tempio che rende sacro l’oro? E dite ancora: “Se uno giura per l’altare, non conta nulla; se invece uno giura per l’offerta che vi sta sopra, resta obbligato”. Ciechi! Che cosa è più grande: l’offerta o l’altare che rende sacra l’offerta? Ebbene, chi giura per l’altare, giura per l’altare e per quanto vi sta sopra; e chi giura per il tempio, giura per il tempio e per Colui che lo abita. E chi giura per il cielo, giura per il trono di Dio e per Colui che vi è assiso».

Video (Audio) della riflessione

Si sente spesso nel vangelo Gesù che si rivolge a una particolare categoria di connazionali che lo interpellano, lo insidiano, lo disturbano: i farisei. Erano una categoria di persone molto ligie alla legge, molto osservanti, spesso anche esageratamente formali; sostanzialmente però persone che conoscevano bene la Legge di Dio e che si davano da fare per aiutare gli uomini a osservarla. Spesso però si rivolgevano a Gesù presentando il loro lato più negativo: quello di essere ingessatori della religione, legulei, preoccupati della forma a scapito della sostanza, sicuri di se stessi, e per questo incapaci di cogliere la novità che è Gesù.

E’ un difetto non solo della religione ebraica, ma una tentazione che inquina ogni religione organizzata. Anche noi cristiani di oggi abbiamo una buona dose di fariseismo, quando appunto non ci facciamo più provocare dalla Parola di Dio, ma la carichiamo delle nostre mire, dei nostri modi di pensare, del nostro stesso egoismo.  E noi siamo doppiamente colpevoli, perché abbiamo lo Spirito che difende la persona di Gesù in noi dalle nostre deformazioni comode.

Ebbene Gesù li affronta con una serie di “guai a voi” da far accapponare la pelle. Guai a voi che predicate bene e razzolate male, guai a voi che fate di tutto per accalappiare persone al vostro modo di pregare e rendere culto a Dio e le schiavizzate ai vostri gusti. Guai a voi che fate da guida, non v’accorgete che siete ciechi e così portate a rovina anche quelli che vi ascoltano.

Sono rimproveri, guai senza tempo; vanno bene anche oggi sulle nostre vite superficiali, sui nostri attaccamenti alla religione che non hanno niente di fede, ma sono solo tradizioni che fanno comodo a noi, senza anima, che vogliamo mantenere per paura di invecchiare. Vanno bene pensati come diretti anche a noi che magari proprio per non apparire farisei abbiamo abbandonato la religione, ma ne abbiamo costruita un’altra per i nostri comodi.

La chiesa oggi otto giorni dopo la festa dell’Assunta ci ripresenta la figura di Maria Regina; sicuramente una figura materna che ci aiuta a dare limpidezza alla nostra fede, che ci cambia i molteplici guai, che ci meritiamo in invocazioni di perdono, in decisioni di nuova sequela del Figlio Gesù, in tenerezza di madre per lenire le ferite dei nostri percorsi sbagliati e in forza per accogliere e lavorare a costruire con lei il nuovo definitivo regno di Dio di cui è Regina.

22 Agosto 2022
+Domenico