Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 4, 21-22) dal Vangelo del giorno (Mt 4, 18-22)
Andando oltre, vide altri due fratelli, Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni suo fratello, che nella barca, insieme a Zebedèo loro padre, riparavano le loro reti, e li chiamò. Ed essi subito lasciarono la barca e il loro padre e lo seguirono.
Siamo buttati nel mondo a caso oppure c’è qualcuno che ci pensa? C’è un destino cieco che determina la nostra vita o possiamo deciderla noi come meglio ci aggrada? Ci industriamo in mille modi per dare alla nostra esistenza la piega che vogliamo noi oppure siamo come il cane legato a un palo che non può andare oltre il cerchio descritto dalla sua catena?
Ci sono momenti in cui ci sentiamo liberi quasi di volare e altri in cui ci sembra di essere perseguitati da un cieco destino: in alcuni momenti ci sembra di essere noi che definiamo la rotta della nostra vita, in altri ci sembra di essere elegantemente ingannati o forse anche obbligati.
Abbiamo a disposizione intelligenza, volontà, cuore, affetti, amici, amore materno e paterno, amore di coppia: sono tutte energie che ci aiutano a definire la nostra vita; ci sono anche agenzie specializzate che ci orientano dove piace a loro, vedi per esempio la pubblicità che sta imperversando forse troppo.
Siamo di fronte a molte opportunità, spesso troppe per cui non sappiamo da che parte voltarci, quale scegliere.
Gesù si colloca in questa vicenda e ci apre una nuova prospettiva dicendo che la vita dell’uomo è risposta a una chiamata: non c’è nessun destino cieco nella vita, non c’è nessuna fortuna o sfortuna, ma la risposta a una chiamata libera.
Gesù era ormai di casa tra quel gruppo di pescatori che ogni giorno incontrava sul lago: giovani, adulti, sposati, garzoni, padroni di una barca … una vita faticosa, il lago non regalava niente a nessuno, molte notti a gettare reti e a ritirare solo acqua e sassi; il pomeriggio a ricucire gli strappi, a immaginare il futuro … era diventato loro amico: aveva visto nel loro cuore sete di verità, voglia di futuro diverso, desiderio di giustizia, aspirazione alla bontà … e li chiama! E loro all’istante – dice il Vangelo – abbandonano barca, reti, progetti, padre e madre e lo seguono.
Sentirsi chiamati a qualcosa di bello, di grande, di pulito … è ciò che tutti sogniamo: solo che siamo distratti e non ci sentiamo interpellati da niente.
C’è in tutti una chiamata nella vita! Non siamo fatti con lo stampino, ma in maniera originale; nessuno è generico: non siamo clonati, possiamo sperare di intravedere ciò per cui siamo nati, costruire la nostra risposta originale.
Questa è una grande speranza per ogni vita, che noi tutti vogliamo tutti vivere.
Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 10, 21-24)
In quella stessa ora Gesù esultò di gioia nello Spirito Santo e disse: “Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio e nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo”. E, rivolto ai discepoli, in disparte, disse: “Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete. Io vi dico che molti profeti e re hanno voluto vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono”.
Il privilegio di conoscere Dio non è dei sapienti, che sanno come vanno le cose, degli intelligenti che le dirigono come vogliono, di coloro che negano tutto ciò che non possono produrre da se stessi, che non cade sotto il vaglio della loro visione e esperienza.
La possibilità è riservata agli ultimi: non è l’elogio dell’ignoranza, ma della sapienza, di quella forma di conoscenza che non è fatta dalla cultura colta – che può sempre essere utile nelle cose di Dio – ma dalla saggezza della donna o dell’uomo di fede, la sapienza silenziosa propria del povero, la dotta ignoranza del puro di cuore, ben diversa dalla sapienza ignorante del furbo.
Il Signore non è oggetto di rapina di nessuna intelligenza: bussa alla porta del cuore! Lui si coglie solo nella semplicità, non nella doppiezza, nell’inganno, in una vita sofisticata.
Tante volte rendiamo il cristianesimo un premio per i buoni o per i colti, anziché la salvezza per tutti, soprattutto per i semplici … e noi sappiamo che in ogni uomo c’è la sapienza del fanciullo, il desiderio di affidamento a un papà, l’attesa di un abbraccio, e Dio lo garantisce a chi ha il cuore semplice!
Siamo contenti perché il Figlio vuole rivelare questi affascinanti segreti alle vite dei piccoli, alle semplicità dei poveri, ai sospiri che per il suo regno affliggono i suoi amici, ai tenaci che non mollano mai di fronte a tutte le difficoltà, solo per fedeltà alla sua Parola, a quelli che andando controcorrente non sono stimati, ai poveri che non hanno udienza presso nessuno.
Spesso purtroppo la nostra dimestichezza con Dio non ce lo fa più stimare: ci abituiamo a Lui come a un soprammobile! Molti lo cercano, ma non riescono a trovarlo; desiderano udire la sua Parola di conforto, di grazia, di serenità e sono sempre e solo immersi nella banalità.
Mi diceva un penitente: “quando vengo in chiesa quel Vangelo, quella preghiera, quel pane consacrato, mi fanno provare una serenità che non trovo più in nessun luogo: mi ridanno voglia di vivere, mi collocano in un mondo di pace.”
Il Dio di Gesù che ama i semplici è sempre più grande di ogni nostra attesa, e questa nuova attesa vogliamo vivere anche nell’Avvento appena iniziato.
Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 8, 5-11)
In quel tempo, entrato Gesù in Cafàrnao, gli venne incontro un centurione che lo scongiurava e diceva: “Signore, il mio servo è in casa, a letto, paralizzato e soffre terribilmente”. Gli disse: “Verrò e lo guarirò”. Ma il centurione rispose: “Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma di’ soltanto una parola e il mio servo sarà guarito. Pur essendo anch’io un subalterno, ho dei soldati sotto di me e dico a uno: “Va’!”, ed egli va; e a un altro: “Vieni!”, ed egli viene; e al mio servo: “Fa’ questo!”, ed egli lo fa”. Ascoltandolo, Gesù si meravigliò e disse a quelli che lo seguivano: “In verità io vi dico, in Israele non ho trovato nessuno con una fede così grande! Ora io vi dico che molti verranno dall’oriente e dall’occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli”.
Concreto, preciso, organizzato, programmato: è la vita di un militare addestrato a intervenire in ogni situazione, con l’occhio del pericolo da sventare, della sommossa da spegnere, dell’ordine da ristabilire. Quella volta invece il centurione, il capitano di un drappello di uomini obbedienti e efficienti, aveva un servo gravemente ammalato, che non solo non poteva più disporre di sé, ma era tormentato da dolori lancinanti.
Il centurione va da Gesù e lo prega per il suo servo.
Gesù gli dice: “vengo a casa tua e lo curerò”.
“Gesù, io non oso tanto: la mia casa è una caserma; ci puoi venire anche tu, ma io non sono all’altezza della tua visita. Se tu venissi a casa mia mi parrebbe di usarti per me, di metterti sul mio piano, non vorrei che mi monti la testa pensando di averti a disposizione per me. Tu hai una Parola potente, molto più della mia: da te dipende tutto, da me solo qualcuno e credo di essere importante, tu invece sei Signore del cielo e della terra, sei la pienezza della vita, sei balsamo per ogni dolore, sei la pace nella tempesta. Ho sentito di te che comandi al mare, che plachi i venti, che scacci i demoni. La tua parola non torna a te se non ottiene ciò che le affidi di fare. Tu sei la Parola che salva. Io vengo da un paese dove crediamo di avere in mano gli dei, di tenerceli buoni per ogni occasione, qui da te c’è un Dio vivente che tu ci dici che è tuo Padre, fammi godere di questa tua famiglia. Mi basta la tua parola e il mio servo guarirà!”.
E’ una semplicissima preghiera che ancora oggi in tutte le chiese del mondo diciamo prima di ricevere l’Eucaristia, prima di aprire il cuore all’accoglienza di Gesù, consapevoli che non ne siamo mai all’altezza, sempre però nel bisogno: “Signore io non son degno che tu entri nel mio petto, ma di soltanto una parola e io sarò salvato”.
A noi che siamo abituati a credere di avere Dio in tasca, di avere tanta familiarità da offenderlo con le nostre parole, di usarlo per camuffare i nostri sporchi affari, a noi che crediamo di manipolare le persone nel nome di Dio, questa fede è limpidezza, timore, rispetto, consapevolezza della propria natura, stare al posto giusto di uno che chiede e che da Dio sia aspetta tutto, perché Lui è sempre più grande di ogni nostra attesa … e la riempie al massimo.
Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 24, 37-44)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Come furono i giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti: così sarà anche la venuta del Figlio dell’uomo. Allora due uomini saranno nel campo: uno verrà portato via e l’altro lasciato. Due donne macineranno alla mola: una verrà portata via e l’altra lasciata. Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo».
Che cosa distingue un cristiano da un non credente? Che cosa caratterizza il nostro essere credenti in Dio, l’avere dialogo con un trascendente che va oltre la nostra percezione dei sensi? Che significa credere? Per lo meno significa non appiattirsi sulle cose che capitano e che vengono lette solo con gli occhi materiali di un interesse, un guadagno, una ricerca egoistica, una fotografia impietosa.
La Parola di Dio ci provoca a una visione che ha tutte le caratteristiche dell’impossibile: Gerusalemme, luogo cui convergono tutte le esperienze di pace: ma che cosa sta capitando da sempre in Israele? Che tipo di pace c’è tra ebrei e palestinesi, tra ebrei e mondo arabo? Che serenità si respira da una parte e dall’altra del muro di Betlemme? Sembra una beffa: proprio da quei luoghi che oggi sono i più carichi di tensione e di guerra, dovrebbe apparire la pace del Signore? Ma anche qui in Europa …. che senso ha la guerra tra Russia e Ucraina? Si risolvono ancora oggi le controversie con le guerre?
Proprio di fronte a questo paradosso l’uomo è chiamato non a illudersi da sognatore, ma a forgiarsi come credente: Dio ha un’altra visione della realtà!
Questo mondo di guerre è destinato a diventare regno di pace: la vita dell’uomo non si deve mai “adattare” al male, alle cose cattive che capitano.
La meta è un mondo di pace, guardiamo la storia a partire dalla sua conclusione, che sicuramente verrà … e se la conclusione bella di Dio è la nostra meta, allora avremo forza per aspettarla, operosamente.
C’è un sonno assurdo in cui stiamo accomodando le nostre vite: la nostra salvezza è più vicina ora di quando diventammo credenti.
Dire che il giorno è vicino non significa che la fine dei tempi è prossima, ma che la salvezza è alla nostra porta: è lì che urge, che bussa, che chiama … vuole una risposta circa il nostro impegno per accoglierla.
Uno dei pericoli più grossi per la nostra fede è di appiattirci sulle strade della nostra alienazione quotidiana, sui nostri proverbi, sulle nostre fatalità, sui nostri musi lunghi e disperati … ci adattiamo a vivere di piccole attese, esauriamo la nostra speranza in una partita, in uno spettacolo, in una bella mangiata, in una avventura.
Le verità della fede non possono essere percepite con i criteri del mondo: svegliarsi dal sonno significa riconquistarsi la capacità di leggere la vita con gli occhi della fede, con la consapevolezza che Dio non abbandona gli uomini, che viene continuamente in mezzo a noi, che non ci lascia in balia del male, sia nella vita personale, che in quella della nostra famiglia, della coppia, delle relazioni familiari e sociali.
La lotta tra il bene e il male, tra la luce e le tenebre non è tra buoni e cattivi: magari i buoni siamo noi e i cattivi gli altri, evidentemente, ma dentro di noi dove sperimentiamo bontà e cattiveria e dove siamo quindi chiamati a stare all’erta e a combattere le nostre inclinazioni cattive.
Non si può vivere come se il Signore non dovesse mai … venire! L’uomo non deve farsi mai cogliere come impreparato.
L’idea del ladro interpreta bene tanta nostra sonnolenza nell’attendere la presenza di Dio: ecco allora la saggezza della Chiesa che ci mette in stato di attesa, ci chiede di fare la sentinella, di precedere l’aurora, di guardare oltre, di alzare lo sguardo, di non adattarci al ribasso, di ripensare la nostra vita alla luce della fede.
Avvento non è prepararsi al Natale soltanto, ma mettersi in stato di attesa del Dio della vita, ogni giorno per ogni tempo.
La venuta del Signore non sarà indolore, ma esigerà di fare verità nella nostra esistenza: a tutti possiamo raccontare quel che vogliamo, a tutti possiamo presentare maschere ben fatte, che sembrano vere, che presentano un’altra immagine di noi, ma davanti a Dio tutte le maschere cadono e saremo visti nella nostra unica verità.
E’ meglio impegnarsi a cercare la verità di noi ogni giorno che trovarci a fare i conti alla fine dopo aver buttato una vita e aver perso l’appuntamento con la felicità.
San Bernardo ci consola dicendo che tra la venuta di Gesù iniziale e la venuta finale c’è una venuta intermedia, che sarebbe la seconda venuta: essa – dice – “è come la via che conduce dalla prima all’ultima. Nella prima Cristo è stato la nostra redenzione; nell’ultima apparirà come la nostra vita; nella venuta intermedia è nostro riposo e consolazione”.
Così ogni giorno della nostra vita, anche di questo avvento, ha la sua grande, luminosa e confortante compagnia.
Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 21, 34-36)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso all’improvviso; come un laccio infatti esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra. Vegliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere e di comparire davanti al Figlio dell’uomo».
Sveglio è il contrario di addormentato evidentemente, ma anche l’opposto di rassegnato, di persona che non si attiva per niente: sicuro nel suo posto, protetto, esecutore senza fantasia, “adattato” … quel lavoratore che nessuno più vorrebbe in nessun posto. Perché? Perché non è un vero uomo, ma un automa, un pacco postale su cui sta scritta la destinazione, collocato su un nastro trasportatore; crede che la vita abbia un destino inesorabile e lui si adatta: non riesce più a trarre da sé nessuno slancio, nessun guizzo, nessuna prospettiva. Ha perso la caratteristica più bella della sua umanità: la gioia di vivere.
Ecco, questa persona che nessuno vorrebbe in una squadra o nella propria compagnia o nella propria scuola dovrebbe star bene nella vita cristiana? Sì, perché la vita di fede ormai è diventata una routine senza sorprese, senza prospettive, del tutto insignificante per la vita: una messa ogni tanto, dove non succede niente di nuovo; un matrimonio cui devi partecipare per far piacere agli amici; purtroppo anche un funerale, che si spera non tocchi proprio i tuoi direttamente; una qualche bella festa, ma la vita è tutta un’altra: nel lavoro devo inventarne una tutti i giorni, devo stare allerta per parare i colpi bassi di un licenziamento senza speranza; nel fidanzamento cerco di essere sempre una sorpresa, sono tutto teso a rendere felice e a conquistare; nello sport mi alleno con determinazione perché occorre essere sempre pronti.
Gesù aveva davanti agli occhi questa scena di amore alla vita quotidiana, questi atteggiamenti di vivacità quando ha detto a tutti: “vigilate, state pronti”, la vita non è una risulta, è un dono da ottenere da prefigurarsi, da inventare, da stanare … a maggior ragione la vita eterna, quella senza fine.
Se aspetti che il bene ti caschi addosso come se tu fossi al centro dell’universo resterai sempre solo e a mani vuote. Capita così anche nella vita di coppia: “Perché a un certo punto non dice più niente? Perché ti sei adattato, l’hai fatta diventare un possesso invece che una ricerca. Ti ci sei seduto sopra da padrone invece di conquistarla sempre come un dono!”.
Così è della fine della vita, della fine dei tempi: non ti deve capitare addosso come una disperazione, non ti deve sorprendere nell’errata consapevolezza di non avere nessuno cui rispondere, ma devi aspettarla come un premio, come un ultimo grande dono.
Sei una sentinella del mattino e non il becchino di un cimitero!
E’ da aspettare con speranza, non da temere come una condanna.
Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 21, 29-33)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli una parabola: «Osservate la pianta di fico e tutti gli alberi: quando già germogliano, capite voi stessi, guardandoli, che ormai l’estate è vicina. Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che il regno di Dio è vicino. In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto avvenga. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno».
La nostra vita è affidata ai segni: ne hai bisogno quando giri per le strade per sapere la direzione giusta, ti occorrono per intenderti con qualcuno sul da farsi, sono necessari per tradurre i tuoi pensieri in uno scritto e comunicarli agli altri, diventano utili a un imprenditore per capire come orientare i suoi capitali, stai ad ascoltare le previsioni del tempo prima di metterti in viaggio … qualcuno ti manda segni sbagliati per imbrogliarti e devi imparare a difenderti e a farti da solo una tua lettura; aguzzi l’intelligenza, fai confronti, metti in sequenza vari indizi e poi rischi una decisione.
Avessimo conoscenza di alcuni segni inequivocabili per prevenire un terremoto! Potessimo leggere in tempo i segni premonitori di tutte le malattie! Fosse possibile sapere sempre quando la morte è alle porte!
Gesù ci dice che esiste una serie di segni, anche spirituali, per orientare la nostra esistenza alla pienezza che Lui sogna per noi: ci invita a leggere i segni dei tempi della salvezza, cioè a guardare che cosa nel mondo viene alla luce come segno della sua presenza salvatrice, a vedere la direzione da prendere entro le complicazioni della vita umana per sviluppare e contribuire all’avvento di un mondo più giusto.
Cambiano le stagioni della natura; si avverte l’avvicinarsi della primavera o dell’autunno e ci si attrezza di conseguenza; la vita degli uomini esprime una sete di salvezza e in quella sete il cristiano deve collocare le sue energie.
Oggi più di ieri si è sensibili alla libertà, oggi più di ieri si ha bisogno di speranza. Il cristiano allora lavora per la libertà vera, offre la speranza viva che gli mette a disposizione il vangelo.
I segni dei tempi sono una sorta di chiamata di Dio a orientare tutte le nostre energie nella direzione dello sviluppo del suo regno che solo Lui determina e orienta.
Anche in ogni vita Dio distribuisce dei segni per far capire la direzione giusta della felicità di ciascuno: ogni uomo e donna deve intercettare questi segni per decidere come orientare la sua vita, come rispondere a questa chiamata personale.
Essere capaci di leggere i segni giusti e non farsi incantare da quelli sbagliati è una virtù da acquistare e da chiedere con insistenza e da perseguire con speranza.
Oggi è grande attesa per tutto il mondo la pace tra Russia e Ucraina e in tutti gli altri luoghi di guerre infinite, di oppressioni ingiuste, è attesa la fine di questa pandemia che ci ha rubato tante vite e privato tutti noi di anni di normalità ; è atteso lo stesso Gesù perché ci dia la sua forza e la docilità al suo Vangelo.
Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 21, 27-28) dal Vangelo del giorno (Lc 21, 20-28)
Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria. Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina.
La vostra liberazione è vicina: è la certezza che Gesù dice per l’uomo che attende la fine dei tempi.
Il Vangelo ha una sezione dedicata ai “tempi definitivi”: una descrizione piuttosto terrificante degli sconvolgimenti finali, tipica di un genere letterario, il genere apocalittico, che ai tempi di Gesù era molto diffuso.
Ogni tanto anche nelle nostre culture si fanno vivi atteggiamenti “millenaristici”: li abbiamo sentiti nell’avvicinarsi dell’anno 2000, lo vediamo descritto dai giornali quando nel mondo avviene qualche catastrofe climatica.
Il Vangelo ci aiuta ad alzare lo sguardo e a vivere di attesa: c’è nel cuore dell’uomo una attesa di felicità e di salvezza, di senso e di speranza … spesso la inganniamo con gli oggetti, con i regali, con le piccole sorprese tra amici, ma è necessario andare oltre per ritrovare la bellezza della nostra umanità e della ricerca esistenziale che la caratterizza.
Tutti cerchiamo felicità, pienezza, appagamento, serenità e pace … il nostro mondo continuamente in guerra crede di essere condannato a una perenne conflittualità mortale. Il triste inganno del venditore di almanacchi che illude gli uomini che l’anno prossimo sia migliore del precedente sta sospeso come una spada di Damocle sulle nostre vite: la nostra esistenza è un continuo ritorno? È un supplizio di Tantalo che si vede sempre allontanare la risposta ai suoi bisogni soprattutto quando sembra di averla raggiunta?
Questa attesa scritta nelle nostre vite, da sempre, raccontata dalle aspirazioni di popoli e profeti, di poeti e filosofi ha sempre una risposta: il bambino di Betlemme, il figlio di Maria, Gesù di Nazaret, il crocifisso e risorto, una vera alternativa a come e dove si erano attardate le attese della gente, che ancora aspettava la soluzione dei problemi nella potenza, nella ricchezza, nel potere, nella liberazione dai Romani.
Ci avviciniamo a grandi passi a un periodo particolarmente carico di attesa nella nostra cultura: è il periodo del Natale, dell’attesa di quella piccola luce che scalda il cuore di tutti.
Gesù è la nostra attesa: è Lui che riempie il cuore degli uomini, è Lui il Dio che non ci abbandona mai, e quindi cominceremo, ancora di più, e presto, a sviluppare nella nostra coscienza questi atteggiamenti.
Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 21, 12-19)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e governatori, a causa del mio nome. Avrete allora occasione di dare testimonianza. Mettetevi dunque in mente di non preparare prima la vostra difesa; io vi darò parola e sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere. Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto. Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita».
I molteplici segnali di un non più lento scivolare del nostro mondo verso una possibile fine ci alimenta le classiche paure apocalittiche, che sempre nella liturgia dell’ultima parte dell’anno liturgico, in Novembre, ci vengono proposte nella lettura quotidiana dei Vangeli nella messa.
Sullo sfondo dell’insicurezza cosmica, sul rischio dell’inquietudine politica, che in certi momenti impazzisce letteralmente, sulla durezza della guerra, dell’odio nella famiglia o sulla durezza di una vita che pare di aver perduto ogni senso chi segue Cristo e si fa suo discepolo può sempre rimanere saldo.
Noi fondiamo la nostra stabilità su Gesù Cristo stesso.
Gesù ci dice: “State tranquilli”, perché, per quanto possa apparire disastroso l’andamento delle cose terrene, non ci sarà mai niente di definitivo, nessuna distruzione irreparabile, perché solo Gesù è definitivo.
Decisivo è sempre e solo Cristo.
Questo significa che dobbiamo sempre rispettare la natura e non essere noi coloro che ci affossiamo, coi nostri sfruttamenti e distruzioni del creato.
Chi segue Gesù in mezzo all’insicurezza di un mondo che traballa , all’interno di una società che si ribella, può sempre restare saldo! Gesù infatti, pur dalla croce, ci invita a stare saldi in Lui.
Questa vittoria di Gesù non si confonde con il lieto fine dei film western o delle storielle edificanti a fine sempre bello e facile … sicuramente secondo una prospettiva terrena, la fine sarà un insuccesso, e il giusto sopporterà ogni contrarietà e pena, ci alleniamo ad essere sconfitti, a perdere ogni via di scampo … i poteri di questo mondo faranno guerra a queste piccole, ma stabili sicurezze.
Resterà sempre la sicurezza della parola di Gesù: “Nemmeno un capello del vostro capo perirà”.
Gesù con la Pasqua non perse nulla e il cristiano non può perdere nulla sulla via della Croce e del suo insuccesso, perché la Pasqua ci restituisce tutto vittorioso e trasformato, il mondo, l’eternità, la gioia con Gesù.
Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 21, 5-11)
In quel tempo, mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi, Gesù disse: «Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta». Gli domandarono: «Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?». Rispose: «Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: “Sono io”, e: “Il tempo è vicino”. Non andate dietro a loro! Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine». Poi diceva loro: «Si solleverà nazione contro nazione e regno contro regno, e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo.
Fa parte anche dei nostri tempi farci domande sul futuro del mondo: sappiamo che finirà, ma quando sarà la fine, come sarà? Si può prevenire? Come si può lenire questa angoscia? Non è certo solo curiosità, ma è timore di fronte alla vita, mancanza di fiducia – forse – di fronte al fatidico destino, che per noi non è un fato maligno, ma è sempre un gesto divino che assume i lineamenti di un Dio che è Padre.
Il Vangelo non ci dà soluzioni già fatte o risposte che chiudono l’attesa, ma ci dice che occorre restare radicati nella verità di Gesù! Proveremo la durezza delle guerre, l’odio tra le famiglie, la durezza di aver perso ogni senso … ci sarà una battaglia decisiva, una agonia di tempi che si chiuderanno, sconvolgimenti, ma, dice Gesù, di stare tranquilli, perché per quanti eventi disastrosi ci possano essere, l’andamento delle realtà terrestri non andrà mai verso una rovina e una distruzione definitiva.
Decisivo, e definitivo, è soltanto Cristo! Solo in Gesù Cristo troveremo la meta e la guida.
Non è nelle nostre possibilità sapere giorno e ora, ma nella nostra coscienza vivere una attesa operosa del Signore che verrà. Una verità cristiana indiscussa è che Gesù alla fine dei tempi tornerà su questa terra e i primi cristiani continuavano a invocarlo: vieni Signore Gesù, Maranatà: Non era voglia di farla finita, desiderio di fuggire dalle difficoltà presenti, ma orientamento di tutta la storia a Dio, al fine ultimo, al compimento.
Non siamo a questo mondo a caso: la vita non è una ruota che gira sempre su se stessa. Vivere significa essere pellegrini verso una meta e occorre sempre averla davanti per correggere la direzione del cammino, per dare slancio e forza per superare le fatiche, per motivare la solidarietà di tutti coloro che sono incamminati.
Una qualità che non bisogna mai perdere è quella dell’occhio vigile, dell’attesa, del riferimento al futuro e non del ritorno al passato.
Dio ci sta davanti e noi ci prepariamo all’incontro con Lui: la vita ha un fine e spesso occorre serrare i pugni per non perdere il desiderio di una meta.
Siamo come in una corsa verso un traguardo che esige un colpo di reni: la vita è sempre così, non ci si può adagiare mai … è così per il lavoro, è così per la famiglia, è così per la vita di coppia.
Spesso roviniamo le cose più belle della vita perché crediamo di possederle, invece vanno sempre conquistate.
La fede è un dono, ma va sempre accolto come nuovo.
Non lasciamoci incantare dalle sirene, altrimenti non arriviamo da nessuna parte; non crediamo a tutte le semplificazioni e a tutte le scorciatoie della vita: la strada è Gesù, lui dobbiamo seguire perché Dio in Lui non ci abbandona mai.
Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 21, 1-4)
Alzati gli occhi, vide alcuni ricchi che gettavano le loro offerte nel tesoro. Vide anche una vedova povera che vi gettava due spiccioli e disse: «In verità vi dico: questa vedova, povera, ha messo più di tutti. Tutti costoro, infatti, han deposto come offerta del loro superfluo, questa invece nella sua miseria ha dato tutto quanto aveva per vivere»
La vita è proprio un fiume lento che scorre: al centro ci siamo noi, una barca portata dalla corrente; non è detto che vada automaticamente verso il porto della felicità, anche se la direzione è quella. Ogni barca segna con la sua stazza le onde, colora il fiume, gli obbedisce, ricama con originalità il suo percorso, si aggrega, si accompagna o cozza contro le altre … è una festa o una battaglia, una regata o un ingorgo a seconda della volontà di convivere o di dominare.
A Gerusalemme, Gesù un giorno siede a guardare un fiume di persone che passano davanti al tesoro del tempio; è un punto obbligato: quando vai alla presenza di Dio non puoi andare a mani vuote! Certo porti te stesso, ti vai ad affidare a Lui … sai che la tua vita è nelle sue mani, hai un cuore, una intelligenza, un progetto: lo metti lì perché lui ne sia il custode, ma vuoi esprimere questo dono, questo amore con un segno.
Davanti al tesoro passa il ricco commerciante di pecore: ha guadagnato molto e non può non far cadere nei grandi vassoi monete d’oro, sonanti; è una sorta di investimento per i prossimi commerci o contratti.
Arriva l’esattore delle imposte, firma un assegno e lascia cadere in maniera visibile: tutti devono vedere ondeggiare questa ricca “piuma” di soldi che va ad arricchire il tempio; arriva l’agricoltore che ha da poco venduto il raccolto e fa risuonare anche lui le sue monete; arriva l’industriale, ha un codazzo di televisioni, che lo riprendono …
Nel trambusto spunta una vecchietta … le televisioni spengono i riflettori, fa due o tre passi incerti e lascia cadere due spiccioli: non si vedono, non fanno rumore, nessuno li nota: per lei sono tutto quello che ha e lo mette a disposizione di Dio. È povera, è sola, non ha futuro: il suo solo futuro è Dio, la sua vita è tutta in Lui e per Lui. Domani? È nelle Sue mani: Dio non le farà mancare niente.
Gesù è li che guarda: non s’è lasciato incantare dalle televisioni, dal numero di zeri, dalle cifre dei ricchi, dal suono ammaliante dell’oro – di fronte a Dio non ci si fa rappresentare dal superfluo, ma solo dal necessario; non vuole stabilire un contatto con le tue cose, ma con Te: non devi fare offerte, ma essere una offerta.
Questi due spiccioli Gesù li valuta come “tutta la vita che aveva”, la sua consistenza. E’ importante che le monetine siano due, perché poteva anche tenersene una … invece dona tutto: libera dall’ansia del possesso è di Dio e vive per Dio, è figlia della Resurrezione, che riconosce su di sé e sulle sue monete l’autorità della parola di colui che è fedele.
Ai tempi di Gesù c’erano almeno tredici sacerdoti, uno davanti ad ogni cesto, che controllavano il valore delle monete e dicevano a voce alta l’entità e l’intenzione delle offerte; Dopo il tredicesimo cesto ce n’era un altro in cui si gettavano liberamente le monete che si volevano offrire; davanti a questo cesto non c’era nessun sacerdote, ma non mancò di andarci Gesù: solo Lui si metteva a leggere nei cuori e a leggere nella povertà la profondità non la quantità del dono.
Al posto del sacerdote, Gesù stesso guarda, valuta, stima e dichiara il valore, l’entità e l’intenzione di quanto questa povera vecchia, in silenzio, ha gettato nell’ultima cassetta.
Dio ci conceda di fare del necessario il nostro amore vero a Lui e perciò ai poveri.