Oggi  guardiamo la fine, ma sempre consapevoli del nostro vero inizio

Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni  (Gv 1, 1-18)

In principio era il Verbo,
e il Verbo era presso Dio
e il Verbo era Dio.
Egli era, in principio, presso Dio:
tutto è stato fatto per mezzo di lui
e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste.
In lui era la vita
e la vita era la luce degli uomini;
la luce splende nelle tenebre
e le tenebre non l’hanno vinta.
Venne un uomo mandato da Dio:
il suo nome era Giovanni.
Egli venne come testimone
per dare testimonianza alla luce,
perché tutti credessero per mezzo di lui.
Non era lui la luce,
ma doveva dare testimonianza alla luce.
Veniva nel mondo la luce vera,
quella che illumina ogni uomo.
Era nel mondo
e il mondo è stato fatto per mezzo di lui;
eppure il mondo non lo ha riconosciuto.
Venne fra i suoi,
e i suoi non lo hanno accolto.
A quanti però lo hanno accolto
ha dato potere di diventare figli di Dio:
a quelli che credono nel suo nome,
i quali, non da sangue
né da volere di carne
né da volere di uomo,
ma da Dio sono stati generati.
E il Verbo si fece carne
e venne ad abitare in mezzo a noi;
e noi abbiamo contemplato la sua gloria,
gloria come del Figlio unigenito
che viene dal Padre,
pieno di grazia e di verità.
Giovanni gli dà testimonianza e proclama:
«Era di lui che io dissi:
Colui che viene dopo di me
è avanti a me,
perché era prima di me».
Dalla sua pienezza
noi tutti abbiamo ricevuto:
grazia su grazia.
Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè,
la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.
Dio, nessuno lo ha mai visto:
il Figlio unigenito, che è Dio
ed è nel seno del Padre,
è lui che lo ha rivelato.

Audio della riflessione

Ogni giorno abbiamo bisogno di riti per capire chi siamo, che esistiamo, che il tempo passa, che la vita ha un senso: è un rito il bacetto prima di uscire di casa, è un rito la preghiera, lo è la telefonata o l’sms, il mazzo di fiori, il “buongiorno” anche se detto qualche volta tra i denti … è un rito il regalo di Natale anche se rischia di essere un ricatto o un legaccio …

Oggi che è l’ultimo giorno dell’anno è un rito lo scatenarsi dei botti, dei brindisi, del lancio degli oggetti vecchi, della cena con gli amici, del cambio del calendario: è il tempo che passa inesorabile e forse si fa baldoria perché noi adulti che lo vediamo fuggire vorremmo fermarlo e i giovani vorrebbero scavalcarlo perché non vedono l’ora di essere autosufficienti e padroni della propria vita.

Il Vangelo – invece – per farci capire dove siamo e che cosa significa il passare del tempo ci rimanda al principio anziché alla fine: ci ricorda che all’inizio di tutto c’era la Parola. Non esisteva nulla, c’era il caos forse, esisteva solo Dio nella sua vocazione fondamentale: comunicatore.

Dio era ed è Parola: uno che fa consistere il suo essere nel comunicarsi, nel farsi dono, nel proiettarsi verso, nel far essere.

Il tempo è cominciato proprio lì: dalla sua volontà di far essere l’uomo per dialogare con una libertà. Proprio per portare questo dialogo alla sua massima possibilità, questo Dio-Parola, questo Dio comunicativo, s’è fatto uomo: s’è dato una vita tra noi per aumentare al massimo il dialogo.

La comunicazione tra due persone è al massimo quando più grande è quello che si ha in comune: Dio ha voluto aver in comune la vita intera!

E noi ci avviamo a chiudere il 2022, un anno che è stato pieno di crisi e di fatiche, di speranze e delusioni, di sorprese e di stanchezze da routine.

Ciascuno avrà un momento per pensare a dove sta andando la sua vita, per fare un bilancio, per rendersi conto di tanti doni, di tutte le persone che la condividono con lui, per ricucire torti, per ritornare saggiamente indietro da vie sbagliate che ha preso.

Insomma: la notte di S. Silvestro non è baldoria per dimenticare, ma festa per ringraziare e forza per cambiare. E’ diventare più vecchi di un anno, è celebrare con un rito il tempo che passa, ma seminare ancora e sempre nuova speranza e soprattutto continuare a sperare nella pace e nella fine di questa guerra europea.

Che Dio ci doni la pace.

31 Dicembre 2022
+Domenico

La santa Famiglia è costretta ad emigrare

Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 2,13-15.19-23)

I Magi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo».
Egli si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode, perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Dall’Egitto ho chiamato mio figlio».
Morto Erode, ecco, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto e gli disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre e va’ nella terra d’Israele; sono morti infatti quelli che cercavano di uccidere il bambino».
Egli si alzò, prese il bambino e sua madre ed entrò nella terra d’Israele. Ma, quando venne a sapere che nella Giudea regnava Archelao al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi. Avvertito poi in sogno, si ritirò nella regione della Galilea e andò ad abitare in una città chiamata Nàzaret, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo dei profeti: «Sarà chiamato Nazareno».

Audio della riflessione

Teniamo fisso ancora lo sguardo sul presepio, anche se è tutto pronto per i botti di domani notte, per concludere un altro anno, stavolta pure di guerra.

Se per presepio intendiamo quella bella atmosfera serena con musiche, canti, bei sentimenti, regali, dolci segni di affetto, di cui nessuno si deve vergognare, Giuseppe e Maria sono stati costretti a disfarlo subito: hanno – per così dire – inscatolato subito stelle e statue per fuggire.

Giuseppe che aveva espresso il massimo di docilità al piano esigente di Dio, sapeva che la strada imboccata era in salita: una decisione drammatica di pensare an una sua famiglia in maniera del tutto inaspettata, una nascita del figlio in un mare di  difficoltà, scardinato dal suo paese in una concentrazione di povertà in quell’anfratto per pastori, che a casa sua sarebbe stata meno ossessiva: povertà ancora, ma più vivibile.

E ora la fuga: indesiderato, ricercato, scomodo, fragile, indifeso e pericoloso.

È la prima pagina di diario che Giuseppe deve scrivere di Gesù: è l’atmosfera che caratterizza la festa per il suo figlio primogenito al ritorno della madre dalla clinica – diremmo noi.

Si deve fuggire … e Giuseppe, il capofamiglia, docile, forte si assume le sue responsabilità: emigra; non prende una carretta del mare, ma affronta un mare di sabbia.

Sarà sempre un immigrato, uno in fuga per poter vivere; il suo percorso è contrario a quelli di oggi, ma sempre un immigrato sarà! Anche questa esperienza Gesù non si è risparmiato nel farsi uomo … e noi non l’abbiamo ancora capita con i nostri facili respingimenti! Non può non farci pensare a quei bambini morti nel deserto con le loro madri per fuggire da altri Erodi – sempre purtroppo presenti sulla faccia della terra

Ormai sono una famiglia: in Gesù resteranno indelebili la dedizione del papà Giuseppe, la sua cura, il suo cuore in tumulto, la sua obbedienza al piano di Dio; lo preparano al suo deserto, al suo orto del Getsemani, al suo abbandono nelle braccia del Padre.

Anche Gesù ha avuto una famiglia che gli ha segnato la vita e gli ha dato la forza di spendersi fino alla morte.

Giuseppe e Maria hanno preparato e custodito un immigrato per salvare il mondo.

30 Dicembre 2022
+Domenico

Il vecchio Simeone:  una sentinella anche a ottant’anni  

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 2, 22-35)

Lettura del Vangelo secondo Luca

Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, [Maria e Giuseppe] portarono il bambino [Gesù] a Gerusalemme per presentarlo al Signore – come è scritto nella legge del Signore: «Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore» – e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore.
Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore. Mosso dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo, anch’egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio, dicendo:
«Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo
vada in pace, secondo la tua parola,
perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza,
preparata da te davanti a tutti i popoli:
luce per rivelarti alle genti
e gloria del tuo popolo, Israele».
Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. Simeone li benedisse e a Maria, sua madre, disse: «Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione – e anche a te una spada trafiggerà l’anima -, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori».

Audio della riflessione

E’ bello essere giovani, avere un’età che ti permette di essere al massimo della salute, al massimo della voglia di vivere, al massimo dei sogni. Scoprire sempre qualcosa di nuovo dentro di te e nel mondo, non avere ricordi che ti pesano, tendere la vita come un arco verso il futuro.

E un vecchio? È da buttare? Non ha più niente per cui vivere? Aspetta solo la morte?

C’era un vecchio un giorno nel grande Tempio di Gerusalemme: si aggirava tra i candelabri, conosceva tutti gli orari delle preghiere, teneva dietro a tutti i cortei della gente che portava offerte. Soprattutto da un po’ lo incuriosiva quella piccola processione di genitori che portavano davanti all’Altissimo il loro primogenito. Vedere un bambino, un nuovo ebreo gli ridava fiducia.

Il Signore continua a benedire il suo popolo. Ma lui aspettava qualcuno; gliene dava il sangue, glielo aveva fatto capire la vita, la sua saggezza; gliene davano sentore i tempi in cui viveva: il popolo senza capo, senza gloria, adattato al ribasso.

“Non può più tardare chi darà una svolta a questo popolo seduto e ingessato. Dio l’onnipotente non può averci dimenticato!” … leggeva con attenzione i segni della vita, posava l’orecchio sulla terra e ne intuiva i dolori del parto. Un sussurro gli era arrivato da Betlemme. E lo Spirito gliene aveva dato la certezza: non sarebbe morto prima di vedere il Messia … e ogni giorno come una sentinella che annuncia l’aurora la sua vita era tesa come l’arco da cui scocca una freccia.

A qualcuno avrà certo fatto compassione: “Eccolo qui il vecchio pazzo che aspetta ancora il messia. Non s’accorge che i Romani ci hanno tolto tutto, non capisce che Erode vede nemici dappertutto e fa trucidare anche i suoi figli pur di stare a galla. Non importa più niente a nessuno di noi. Siamo stati abbandonati. Se Dio una volta c’è stato ora non c’è più. Si è stancato pure Lui di questa Palestina.”

E’ una storia che si ripete sempre: la sentinella è beffata, chi sogna il futuro è ritenuto illuso, prevalgono le speranze spente dell’adattamento e le consolazioni del sentirci tutti nella fogna. Invece di puntellare chi potrebbe uscire dalla fossa, chi ha la vista più lunga lo si scoraggia e deprime. La stagione del tenere i piedi per terra non finisce mai, la speranza è al massimo una previsione. Ma lui il vecchio Simeone ogni giorno anche zoppicando va all’appuntamento con la speranza.

Qualcuno che apprezza le sentinelle c’è sempre: in quel tempio, davanti a quel vecchio molti si facevano domande, ricordavano le cose imparate in sinagoga, ripensavano alle profezie, rinasceva nel loro cuore la speranza. Era un piccolo resto, ma chi ha detto che le cose belle della vita sono solo quelle che hanno uno share televisivo alto? E finalmente l’attesa si compie; è un batuffolo di carne, un bambino, per di più povero; la processione che lo accompagna è misera: la mamma e il papà, due giovani di campagna, con due piccioni e lui, il re l’onnipotente con loro.

Simeone ha la vista lunga: vede la salvezza, vede la luce che illumina le genti, vede la gloria del popolo d’Israele. Vede un seme, ma gli si staglia davanti già la pianta. Intuisce anche la pianta del dolore perché a sua mamma non fa troppi complimenti: “Dolore e fatica saranno compagnia del messia, ma la salvezza è qui. Ora posso morire in pace. Tu Signore sii benedetto perché l’attesa è giunta a compimento!”.

Avessimo tutti nella vita un vecchio che ci tiene aperta la speranza, che non smette di alzarci lo sguardo troppo ripiegato sul presente!

29 Dicembre 2022
+Domenico

L’avvoltoio con i suoi artigli cala sul presepio

Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 2, 13-18)

I Magi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo».
Egli si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode, perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Dall’Egitto ho chiamato mio figlio».
Quando Erode si accorse che i Magi si erano presi gioco di lui, si infuriò e mandò a uccidere tutti i bambini che stavano a Betlemme e in tutto il suo territorio e che avevano da due anni in giù, secondo il tempo che aveva appreso con esattezza dai Magi. Allora si compì ciò che era stato detto per mezzo del profeta Geremìa:
«Un grido è stato udito in Rama, un pianto e un lamento grande: Rachele piange i suoi figli e non vuole essere consolata, perché non sono più».

Audio della riflessione

Capita a tutti che nel bello di una festa il diavolo ci metta la coda: abbiamo in mente un abito nuovo con uno strappo devastante nel momento più importante di una cerimonia, o un vestito bianco con una macchia orribile che lo rende inservibile … un momento di grande ridere e un fatto improvviso che ti spegne il riso in bocca.

Spesso però è una disgrazia che chi ti scombina una vita serena, una offesa che cambia in veleno un rapporto d’amore.

Il candore del Natale oggi è investito da una macchia di sangue, la serenità del presepio è distrutta da un grido di terrore, la dolcissima intimità di una nascita è sconvolta da urla di dolore: non sono più pastori quelli che popolano il presepio, ma soldati efferati che uccidono e dilaniano.

La vita di Gesù è già in salita sin dagli primi giorni: Maria e Giuseppe devono fuggire, l’avvoltoio dispiega le sue ali pronte a calare i suoi artigli su vite innocenti. E’ Erode che si è sentito ingannato dai Magi, che sono tornati alle loro terre per un’altra strada: avevano adorato il bambino, non potevano più vendersi a Erode, volevano dare un altro segno alla loro vita; avevano cercato, avevano viaggiato, si erano messi in discussione, avevano finalmente trovato la meta in Gesù e non potevano ritornare alla vita di prima.

È esperienza purtroppo frequente in molte nostre vite, quella di non lasciarci cambiare da niente, di far passare come acqua sulla pietra tante belle esperienze che ci potrebbero dare un altro tono.

Mi viene in mente quel milione di giovani che all’inizio del pontificato di papa Benedetto, alla sua prima Giornata Mondiale della Gioventù sulle orme dei re Magi sono andati a Colonia, nota per la venerazione ai santi Magi, per seguire una nuova stella, per farsi additare la strada della vita.

Tutti si sono detti che avrebbero dovuto tornare da un’altra strada: sapevano tutti che al loro ritorno erano appostati tanti Erode pronti a cancellare l’esperienza di Dio che avevano fatto.

Così capitò al tempo di Gesù: Erode, noto per le sue efferatezze, fece ammazzare tutti i bambini al di sotto di due anni nati in quella regione: la strage degli innocenti, che oggi la comunità cristiana ricorda.

Gesù diventa segno di contraddizione: è venuto per salvare l’uomo e qualcuno comincia a usarlo come pretesto per i suoi disegni criminali.

Il dramma del dolore innocente ci opprime da quando Caino uccise Abele: è il mistero del male che si abbatterà anche su Gesù. Lui innocente verrà messo a morte. Ma Dio cambierà presto questa morte in vita!

Non riusciamo a capire perché un innocente deve soffrire, la nostra fede è messa a dura prova: solo la speranza aperta dalla risurrezione ce ne scioglierà l’enigma.

28 Dicembre 2022
+Domenico

Entrò, vide e credette

Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 20, 2-8)

Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala corse e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!».
Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò.
Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario –  che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte.
Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette.

Audio della riflessione

I giovani corrono, i giovani sono scattanti, i giovani si entusiasmano subito … bruciano le tappe, i giovani vogliono spremere il massimo dalla vita, i giovani sono impazienti di sapere e di vedere, di provare e di scoprire …

… noi adulti invece siamo calmi, siamo riflessivi, le abbiamo già provate tutte e procediamo con cautela: non abbocchiamo al primo che parla … noi adulti quindi siamo lenti, spesso smorziamo tutto, soppesiamo tutto, ma … forse sappiamo dare ancora consigli saggi.

Erano un giovane e un adulto quei due che la mattina di quel famoso primo giorno dopo il sabato si sono incamminati correndo verso un posto già visto per Giovanni, un luogo nuovo per Pietro; il posto era il Golgota nei pressi del quale c’era il sepolcro nuovo in cui era stato ricomposto in fretta il cadavere di Gesù.

Hanno udito notizie sorprendenti: vociare di donne, correre di informazioni, meraviglie, domande, esclamazioni, dubbi … “Nella tomba non c’è più. Siamo andate di buon mattino perché volevamo imbalsamarlo, ma là il corpo non c’è più!”.

Questi due erano Giovanni il giovane, quello che aveva assistito fino all’ultimo momento, all’ultimo spasimo, Gesù che moriva, per sostenere sua madre e l’altro Pietro, quello che aveva dato il colpo di grazia del tradimento a Gesù, quello che, mentre Gesù veniva sbeffeggiato e insultato da tutti, non aveva avuto il coraggio di stare dalla sua parte.

Due vite incantate da Gesù, due apostoli, due storie si rimettono in corsa col cuore in gola per poter sperare ancora, per potersi dire che non è vero che tutto è finito, per farsi sorprendere dalla potenza di Dio! Giovanni è giovane, è innamorato perso e corre di più; Pietro è adulto, si porta dentro anche il peso del tradimento e arranca.

Giovanni lo precede: arriva prima, ma si ferma davanti al sepolcro, aspetta Pietro. Il giovane è entusiasta, è veloce, ma sa di avere bisogno della saggezza di Pietro.

È sempre così anche nella vita: giovani e adulti stanno bene insieme, hanno bisogno gli uni degli altri.

La scoperta che assieme fanno è di grande importanza, e sarà determinante per i secoli futuri. Anche loro constatano che Gesù non c’è più: il suo corpo che Giovanni aveva visto esalare l’ultimo respiro non c’è più … e descrivono il lenzuolo, la sindone, le bende che avevano avuto … che avevano avvolto Gesù afflosciate su di sé, come se da sotto ne fosse sparito il corpo.

E’ Giovanni di cui si dice esplicitamente: “entrò, vide e credette!”; constatò che il sepolcro era vuoto, ma continuò il suo percorso verso Gesù che dall’amore lo porta definitivamente alla fede.

Non basta vedere un sepolcro vuoto: occorre che il Signore si presenti.

Il Natale che abbiamo appena festeggiato già si rimanda alla Pasqua: quel bambino che abbiamo contemplato nella sua nascita è quel Gesù che sarebbe stato ucciso, ma che avrebbe vinto la morte con la risurrezione, dando al mondo una speranza definitiva.

27 Dicembre 2022
+Domenico

Stefano: un giovane martire

Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 10,17-22)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi apostoli:
«Guardatevi dagli uomini, perché vi consegneranno ai tribunali e vi flagelleranno nelle loro sinagoghe; e sarete condotti davanti a governatori e re per causa mia, per dare testimonianza a loro e ai pagani.
Ma, quando vi consegneranno, non preoccupatevi di come o di che cosa direte, perché vi sarà dato in quell’ora ciò che dovrete dire: infatti non siete voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi.
Il fratello farà morire il fratello e il padre il figlio, e i figli si alzeranno ad accusare i genitori e li uccideranno. Sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato».

Audio della riflessione

Stefano è un giovane che viene conquistato dalla vita di Gesù, dal nuovo modo di vivere degli apostoli, dopo i giorni tristi dello smarrimento e per qualcuno del tradimento, dopo la invasione dello Spirito, mandato da Gesù stesso a presidiare nella coscienza delle persone e nella vita della primitiva comunità cristiana, la figura, la presenza, l’intimità di Gesù.

Nella chiesa primitiva è un momento molto delicato: si tratta di passare dall’esperienza della liberazione a uno stato di libertà, dalla gioia di … non sentirsi più addosso il peso del tradimento, dello smacco, del peccato alla costruzione di una nuova vita in libertà.

Un conto è essere liberati, un altro è vivere da liberi: riorganizzare la propria vita, i sentimenti, gli affetti, le decisioni da persone responsabili e nuove.

Ecco, Santo Stefano vive questa bella esperienza: sta passando dal vecchio testamento, dalla religione del tempio alla religione del crocifisso risorto; ha in mente le dure parole che aveva usato Gesù per far prendere coscienza a chi lo vuol seguire che la strada è in salita.

Erano una sferzata al nostro perbenismo, al politicamente corretto: “Sarete trascinati davanti a governatori e re a causa mia, odiati da tutti a causa del mio nome”. Gesù non blandisce mai, non è mai accomodante … dice al cristiano “di che morte deve morire”, se lo vuol seguire.

Le nostre atmosfere allora si rarefanno, i nostri sentimentalismi non reggono, la vita appare tutta nella sua verità.

Se Gesù è accolto da un cuore che ama, sprigionerà forza impensabile: “Non vi preoccupate di come o cosa dovete dire. Io vi darò bocca e sapienza. Non resterete smarriti nelle prove della vita, non vi lascerò soli, non vi capiterà mai di sentirvi abbandonati. Io sarò sempre con voi, una presenza intima, forte, sicura. una difesa attiva: Io sarò spirito di fortezza dentro di voi. La vostra bocca esprimerà una sapienza irresistibile, capace di vincere il male”.

Gesù crocifisso, pure contemplato indifeso, mobilita una forza impensabile nella nostra esistenza: è la forza non della disperazione ma della speranza.

E Stefano con questa forza dentro affronta tutte le difficoltà della nuova vita: è convinto dentro, non lo ferma nessuno, sa perdonare come il maestro; lo Spirito è all’opera per definire nella vita di Stefano i lineamenti della figura di Gesù.

C’è anche un giovane dottore della legge che partecipa al suo martirio: non è ancora molto convinto della pericolosità di questi giovani che si lasciano uccidere e esprimono amore, e sta ancora a guardare: è il giovane studente Saulo.

L’atteggiamento di Stefano gli fa montare dentro rabbia, anziché ammirazione: “Così occorrerebbe ammazzare tutti quelli che vanno contro le nostre tradizioni!”.

Per ora tiene solo i mantelli di quelli che lapidano Stefano … presto sarà lui che andrà a tirar fuori dalle case questi pericolosi cristiani, aveva forze per trascinare tutti anche se era dalla parte sbagliata; finché Dio lo chiamerà a miglior causa a mettere tutta la sua energia, la sua vita al servizio di Gesù.

Quanti giovani hanno energie in corpo da vendere che andrebbero spese per una miglior causa! Se mi permettete di dirvi un tormento che vivo in questi tempi: sento nascere dentro di me tanta “rabbia” per i tanti giovani che vedo buttar via energie enormi che potrebbero dare un volto nuovo, più bello alla nostra società e invece abboccano alle cose più insulse inventate apposta per tenerli in apnea.

E’ sempre meglio guardare il “grande fratello” che prendere coscienza del nostro futuro: lascia che prendano qualche bustina, qualche spinello così resteranno addormentati per tutta la vita!

Stefano sicuramente non è così: la droga del lasciar correre, dello stare a guardare come va a finire, non è certo la sua e con coraggio si decide da che parte stare: dalla parte del Verbo di Dio fatto carne, di questa Parola definitiva che è venuta tra noi.

26 Dicembre 2022
+Domenico

Un Natale che forse riuscirà  far nascere una tregua solo nei cuori di chi fa la guerra, ma con le armi in mano

Una riflessione nel giorno di Natale 2022

Audio della riflessione

Il Natale che si preannuncia come sempre, dentro contraddizioni e cattiverie impensate … è un Natale di guerra, proprio ancora qui in Europa dove abbiamo già fatto tanti altri Natali di guerra … e forse siamo rassegnati perché nemmeno il giorno di Natale i grandi si accorderanno su una tregua.

Auguriamo ai soldati in guerra che la facciano loro contro ogni comando senza cuore o con nel cuore troppo odio. Di qua e di là dal fronte sono tutti uomini e donne, tutti fratelli e sorelle.

Noi vogliamo avere fede e alzare lo sguardo al vero Natale, migliore di ogni Natale commerciale, e supplichiamo il santo Bambino che ci cambi il cuore e ci regali la pace.

Siamo amati dal Signore: questa è la vera, grande notizia del Natale! Non è appena un po’ di buonismo che ci mettiamo addosso per l’occasione: noi facciamo festa perché Dio Padre ci ha dimostrato tutt’intera la sua buona volontà di salvarci e ci ha dato senza condizioni e senza calcoli la sua grazia – il suo amore gratuito – con la nascita di suo Figlio in mezzo a noi.

Saperci scelti, chiamati, benedetti… dunque non siamo stati gettati sulla terra da un destino cieco e dispotico … No, siamo stati pensati, voluti, e perciò amati!

Certo, tu, io, tua moglie, tuo marito, i tuoi figli, tuo fratello, tua sorella, ogni uomo che viene al mondo è un essere debole e tragico, ma ha un valore infinito: vale quanto questo Bambino.

Ma c’è di più: il mistero del Natale oltrepassa ogni possibile immaginazione e ogni aspirazione più audace. Quel bambino, il Figlio di Dio, è tra noi per sempre, è ormai definitivamente nostro, e noi siamo suoi! E’ un mistero che dà le vertigini: la fede cristiana ci comunica l’appartenenza incrociata di Dio che si fa figlio dell’uomo e dell’uomo che diventa con il battesimo figlio di Dio.

Ormai niente e nessuno può più separare ciò che Dio ha congiunto, e mai più saremo condannati a disperarci di essere di terra, se la terra è diventata la casa dell’Emmanuele, il Dio-con-noi.

E così ci è non solo consentito il sogno, ma ci viene effettivamente garantita la certezza più impensabile: che anche il dolore più atroce può diventare luogo dell’amore, e anche l’abisso della nostra miseria può accogliere la misericordia, e anche la disperazione più nera può tramutarsi nella speranza più viva e ardita.

Questo natale, Signore, concedici.

25 Dicembre 2022
+Domenico

In cerca di un rifugio nella notte

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 2, 1-14)

In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria. Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria città.
Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nàzaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide. Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta.
Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio.
C’erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore, ma l’angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia».
E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva:
«Gloria a Dio nel più alto dei cieli
e sulla terra pace agli uomini, che egli ama».

Audio della riflessione

Gesù non viene a noi  per metterci al sicuro in una roccaforte, ma per aprirci un cammino di conversione incessante, un cammino di lotta decisa per la conquista della vera pace, che consiste nel ristabilire un rapporto di realtà e di amore con Dio, con noi stessi, con gli uomini e le donne, con le cose.

Quel tenero bambino Gesù ci mette in mano la chiave per aprirci le braccia misericordiose di Dio. Infatti dirà presto a tutti “Beati i misericordiosi perché otterranno misericordia”, che significa proprio che il nostro perdono agli altri è la chiave che apre a noi e al mondo le braccia della misericordia di Dio.

Maria è con Giuseppe in cerca di un rifugio per la notte … non c’è posto in nessun albergo … lo trovano in un campo di pastori e lì nasce Gesù: la campagna, gli spuntoni di  roccia, gli anfratti per ripararsi dal vento, la gente più insignificante, in un giorno qualunque, entro un evento caotico e destabilizzante come poteva essere l’insieme di spostamenti di persone, animali, merci e cose che caratterizzavano i censimenti … sono il paesaggio che ci descrive il Vangelo. Per le cronache del mondo è un giorno qualunque e la nascita alla vita di un bambino qualunque: fa sempre tenerezza una mamma che partorisce, tutti hanno sentimenti di gioia da esprimere, auguri da fare, piccoli regali da portare … una scena di vita quotidiana che vorremmo il Signore ci garantisse di poter avere sempre.

Quanto sono desolati e desolanti i nostri paesi quando non nasce più nessuno, quando ci si riduce ad essere noi adulti o anziani a percorrere le vie dei nostri antichi borghi! Le migrazioni di tanti popoli verso le nostre terre non sono forse un portare la vita dove non c’è più voglia di farla crescere? Le mamme e la gente semplice che abita sulle rotte dei Balcani, gli stessi poliziotti che non riescono ad obbedire nel respingere bambini affamati e infreddoliti e i giovani volontari sulle rotte del nostro egoismo sono consapevoli che la nascita di Gesù non ci permette nessuna alternativa: ci aiuta a sconfiggere i nostri panorami, stretti e chiusi.

Quella notte, che stiamo rivivendo è l’esplosione della vita, della continuità del nostro genere umano, ed è già un dono grande di Dio saper apprezzare la vita con tutto il carico di sofferenze, di dolori, di travagli che comporta.

Vogliamo tutti in questa notte ringraziare Dio di averci dato la vita e promettere che la rispetteremo al massimo, con tutte le forze, che la ameremo sempre quale che essa sia perché ha dentro la sua forza, la sua grazia, la sua promessa, perché la vita non si può mai spegnere!

Se la spegniamo noi, la tiene viva Dio: farà migrare tutti i popoli là dove ci sono possibilità di vita, e vengono spente nell’egoismo …

Si è fatto piccolo per liberarci da quell’umana pretesa di grandezza che scaturisce dalla superbia; si è liberamente incarnato per rendere noi veramente liberi, liberi di amarlo … e qui davanti a questo presepio, passa tutta la nostra umanità.

Un santo poeta del IV secolo ebbe a scrivere:

Benedetto il bimbo, che oggi ha fatto esultare Betlemme.
Benedetto l’infante, che oggi ha ringiovanito l’umanità.
Benedetto il frutto, che ha chinato se stesso verso la nostra fame.
Benedetto il Buono, che in un istante ha arricchito tutta la nostra povertà e ha colmato la nostra indigenza.
Benedetto colui che è stato piegato dalla sua misericordia a prendersi cura della nostra infermità.

Ecco … anche noi ti benediciamo Signore: tu sei pronto a darci il tuo perdono, a farci giocare la partita della nostra vita, di nuovo, cancellando il nostro passato.

Torneremo a questo presepio, possibilmente senza farci vedere da nessuno, di notte, se necessario … torneremo in un giorno qualunque in un giorno dimesso, perché la porta della nostra coscienza è nelle mani della nostra libertà; torneremo a dirti grazie, a imparare di nuovo ad amare la vita.

24 Dicembre 2022 nella Veglia del Santo Natale
+Domenico

Un canto di certezza

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 1, 67-79)

In quel tempo, Zaccarìa, padre di Giovanni, fu colmato di Spirito Santo e profetò dicendo:
«Benedetto il Signore, Dio d’Israele,
perché ha visitato e redento il suo popolo,
e ha suscitato per noi un Salvatore potente
nella casa di Davide, suo servo,
come aveva detto
per bocca dei suoi santi profeti d’un tempo:
salvezza dai nostri nemici,
e dalle mani di quanti ci odiano.
Così egli ha concesso misericordia ai nostri padri
e si è ricordato della sua santa alleanza,
del giuramento fatto ad Abramo, nostro padre,
di concederci, liberati dalle mani dei nemici,
di servirlo senza timore, in santità e giustizia
al suo cospetto, per tutti i nostri giorni.
E tu, bambino, sarai chiamato profeta dell’Altissimo
perché andrai innanzi al Signore a preparargli le strade,
per dare al suo popolo la conoscenza della salvezza
nella remissione dei suoi peccati.
Grazie alla tenerezza e misericordia del nostro Dio,
ci visiterà un sole che sorge dall’alto,
per risplendere su quelli che stanno nelle tenebre
e nell’ombra di morte,
e dirigere i nostri passi
sulla via della pace».

Audio della riflessione

C’è speranza ancora nel nostro mondo? La nostra tendenza al catastrofismo, pure motivata, la linea su cui ci stiamo incamminando, è la linea di Dio? Dio che vede l’uomo dall’alto, è disposto ancora a tenerci per mano per trovare nuove strade di vita? Il cantico di Zaccaria, di un vecchio prete, che dalla depressione era passato alla speranza e dalla speranza alla certezza di una promessa di Dio avverata, è il riconoscimento della presenza di Dio nella storia.

Il segno è un bambino appena nato, è il figlio suo, di questo prete, Giovanni: è lui il nuovo profeta dell’Altissimo.

Possiamo sperimentare tenebre, ma la luce di Dio le rischiara e le vince; possiamo essere immersi in ombre di morte, perché ci è venuta meno la fiducia nella vita, un minimo di discernimento del bene, una lucidità nell’affrontare i nostri smarrimenti, ma la vita di Dio trionfa.

Possiamo essere avvolti dal male, avvinghiati nella catena del peccato, incapaci di liberarci dai nostri vizi, dalle abitudini sbagliate che rovinano i nostri affetti, le nostre famiglie, la nostra società, ma Lui, Dio, il bene sommo ci aspetta, ci libera e decide di stare con noi.

Lo possiamo servire senza paura. Lui ha deciso di rinnovare unilateralmente promesse e patti, impegni e dedizione. Dio permette che nella confusione dei nostri giorni troviamo la strada della verità; di fronte a tanti abbagli ci indica la via; dentro l’incursione dei nemici della felicità, ci permette la conoscenza della salvezza.

La storia può essere storia di male, di tradimenti, di peccato, ma Lui è sempre il Dio misericordioso che allontana da noi le nostre colpe come dista l’oriente dall’occidente: Lui è il pastore che si cura della pecorella che tenta avventure e finisce fuori strada, incappa in briganti che la uccidono e la fanno scomparire.

Per Lui nessun male è senza ritorno: Lui è il Signore della vita e nessuna morte lo può fermare.

Se il mondo è ancora tormentato da guerre Lui sa dirigere i nostri passi su vie di pace. Occorre che ogni cristiano si faccia portatore di questo messaggio con la sua vita, che non tema per la sua debolezza, che non si preoccupi di avere a disposizione strumenti potenti.

Dio nasce in una grotta, nessuno lo accoglie se non l’amore puro di una famiglia, che spera soltanto in Dio.

Il Natale che aspettiamo è sempre e solo una grazia, un regalo, una presenza immeritata. 

Vieni Gesù, ti aspettiamo!

24 Dicembre 2022
+Domenico

Ma che vuole Dio da noi?

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 1, 57-66)

In quei giorni, per Elisabetta si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio. I vicini e i parenti udirono che il Signore aveva manifestato in lei la sua grande misericordia, e si rallegravano con lei.
Otto giorni dopo vennero per circoncidere il bambino e volevano chiamarlo con il nome di suo padre, Zaccarìa. Ma sua madre intervenne: «No, si chiamerà Giovanni». Le dissero: «Non c’è nessuno della tua parentela che si chiami con questo nome».
Allora domandavano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse. Egli chiese una tavoletta e scrisse: «Giovanni è il suo nome». Tutti furono meravigliati. All’istante gli si aprì la bocca e gli si sciolse la lingua, e parlava benedicendo Dio.
Tutti i loro vicini furono presi da timore, e per tutta la regione montuosa della Giudea si discorreva di tutte queste cose. Tutti coloro che le udivano, le custodivano in cuor loro, dicendo: «Che sarà mai questo bambino?». E davvero la mano del Signore era con lui.

Audio della riflessione

Quando vivi degli avvenimenti intensi sembra che il tempo … sembra che il tempo si fermi: l’attesa si fa spasmodica, conti i giorni, le ore, i minuti, poi ti guardi un attimo indietro e vedi che il tempo è passato, che gli avvenimenti procedono con una certa inesorabilità … la vita che è iniziata si radica,  continua, ha i suoi ritmi che paiono lenti, ma che procedono inesorabili.

E così avvenne anche per Elisabetta: la sorpresa, la vergogna di vedersi incinta alla sua età, la consolazione di avere Maria a farle compagnia, il grande evento che in Lei si sta compiendo…

Tutto continua e nessuno più ferma la nuova storia e viene il giorno in cui questo Giovanni nasce: le meraviglie, le incredulità, la sorpresa che pure ciascuno viveva nella sua interiorità prendono fuoco, perché ora Giovanni è lì, il suo pianto è vero, il suo corpo se lo coccola sua madre, se lo mangiano con gli occhi tutti … ma Zaccaria è muto: è un padre ancora senza parole! Gli ripassa nella mente tutta la sequenza del Tempio, della promessa, tutte le attenzioni di questi nove mesi; Elisabetta si fa aiutare.

Maria dopo tre mesi ritorna a casa sua: ora la storia di Dio continua in Lei, anch’essa ha bisogno di rientrare nella sua intimità a custodire il futuro dell’umanità.

Il bambino di Elisabetta è nato e arriva anche il giorno della Legge, il giorno della circoncisione: Questo figlio fa parte di un popolo, non nasce in un deserto di relazioni e di storia: è dentro un nobile casato sia per parte di Zaccaria che di Elisabetta; di nomi da ereditare ce n’è tanti e tutti nobili, tutti capaci di rievocare gesta, ruoli elevati, funzioni eminenti … a cominciare dai capostipiti Abia, per Zaccaria e Aronne per Elisabetta.

Ma il bambino è destinato a far scoppiare il futuro, non a clonare il passato.

“Chiedevano con cenni a suo padre” – dice il Vangelo – muti ora sono tutti, come si fa di solito con chi non parla, con chi deve esprimersi a cenni. Pensano forse che Zaccaria sia sordo e lo seppelliscono nell’isolamento, lo privano di qualsiasi normalità.

Zaccaria esprime ancora per l’ultima volta la sua tensione di non essere capace di dire e scrive: Giovanni sarà il suo nome! Lui deve annunciare la novità assoluta, definitiva per l’umanità, non sarà cultore del tempio, non si metterà in fila come tutti a ripetere un passato anche glorioso, non farà come suo padre i turni settimanali dell’offerta dell’incenso, intuirà invece e indicherà con forza la venuta del Salvatore, brucerà di ardore per l’attesa del compimento.

E allora Zaccaria torna a parlare e la gente, noi, a riflettere a domandarci: “ma Dio che vuole da noi? Che vuole da noi Lui che non ci abbandona mai?”.

Vieni Signore, ti aspettiamo

23 Dicembre 2022
+Domenico