Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 10,1-10)
In quel tempo, Gesù disse: «In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore.
Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei».
Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro.
Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo.
Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza».
Nella nostra intimità di persone ci sperimentiamo come esseri che hanno bisogno di amare e di essere amati nello stesso tempo. È la definizione della nostra condizione umana, la nostra condizione di fondo in cui si inseriscono e si qualificano tutte le esperienze di amore. Abbiamo un padre e una madre, abbiamo anche fratelli, siamo vissuti tutti in una famiglia o la auguriamo a tutti. I sentimenti che ci hanno definito e costituito come uomini e donne sono soprattutto riconducibile all’amore. E Gesù si presenta a noi entro questa condizione umana.
Nel vangelo lo fa anche con energia stigmatizzando il comportamento dei farisei il cui Dio non aveva a che fare con questo volto segreto dell’uomo, dell’umanità, che rimaneva come un volto di orfano. Il loro cielo era quello della giustizia, i loro contatti erano quelli della legge, della sanzione. Era una giustizia costruita sulla propria misura, per legittimare la propria onestà, che loro credevano di vivere, e per colpire con un medesimo segno di condanna, i peccatori, i pagani, e soprattutto i più bisognosi di misericordia.
Con Dio si comportavano con precetti e imposizioni ben calcolate e dominavano gli uomini e le donne con il criterio di questo loro Dio che si erano costruito per soggiogarli alle proprie leggi con la paura; incapaci di concepire Dio come amore e quindi incapaci di accogliere e offrire alla gente amore. Si erano costruiti un Dio a loro immagine e ne restavano prigionieri.
Questo modo di pensare doveva per forza arrivare a uccidere Gesù; il suo processo e la sua condanna alla croce non è stata un incidente giudiziario, ma lo scontro tra una istituzione, quella dei farisei, la cui logica era l’uccisione dell’uomo e la presenza di Gesù che riconduceva al vero Dio dei profeti, con amore verso i poveri, liberarli dalla paura di un Dio vendicativo, che invece è soprattutto Padre.
L’immagine del buon pastore, che per noi è difficile immaginare nel suo vero significato, perché le greggi di pecore più non le vediamo, non deve trarci in inganno quasi che la vita del pastore e del suo gregge sia un quadretto idilliaco, poetico, facile. Gesù è stato proprio sacrificato come un agnello del gregge. Lui è l’unica porta che ci permette di far parte del popolo di Dio Padre, il vero gregge dell’amore e della misericordia. “Io metto la mia vita per le pecore e la consegno di mia volontà.” Io sono venuto perché voi oggi e sempre, voi uomini e donne di ogni tempo e di questo vostro tempo, difficile, complesso, che sembra allontanarsi sempre di più da Dio, mio Padre abbiate la vita e l’abbiate in abbondanza.
E noi questo pastore, questo Gesù, questo Padre e il suo Spirito volgiamo seguire.
30 Aprile
+Domenico