Il gregge di cui facciamo parte è la famiglia di Dio che è Padre, Figlio e Spirito Santo

Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 10,1-10)

In quel tempo, Gesù disse: «In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore.
Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei».
Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro.
Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo.
Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza».

Audio della riflessione

Nella nostra intimità di persone ci sperimentiamo come esseri che hanno bisogno di amare e di essere amati nello stesso tempo. È la definizione della nostra condizione umana, la nostra condizione di fondo in cui si inseriscono e si qualificano tutte le esperienze di amore. Abbiamo un padre e una madre, abbiamo anche fratelli, siamo vissuti tutti in una famiglia o la auguriamo a tutti. I sentimenti che ci hanno definito e costituito come uomini e donne sono soprattutto riconducibile all’amore. E Gesù si presenta a noi entro questa condizione umana.  

Nel vangelo lo fa anche con energia stigmatizzando il comportamento dei farisei il cui Dio non aveva a che fare con questo volto segreto dell’uomo, dell’umanità, che rimaneva come un volto di orfano. Il loro cielo era quello della giustizia, i loro contatti erano quelli della legge, della sanzione. Era una giustizia costruita sulla propria misura, per legittimare la propria onestà, che loro credevano di vivere, e per colpire con un medesimo segno di condanna, i peccatori, i pagani, e soprattutto i più bisognosi di misericordia.  

Con Dio si comportavano con precetti e imposizioni ben calcolate e dominavano gli uomini e le donne con il criterio di questo loro Dio che si erano costruito per soggiogarli alle proprie leggi con la paura; incapaci di concepire Dio come amore e quindi incapaci di accogliere e offrire alla gente amore. Si erano costruiti un Dio a loro immagine e ne restavano prigionieri.  

Questo modo di pensare doveva per forza arrivare a uccidere Gesù; il suo processo e la sua condanna alla croce non è stata un incidente giudiziario, ma lo scontro tra una istituzione, quella dei farisei, la cui logica era l’uccisione dell’uomo e la presenza di Gesù che riconduceva al vero Dio dei profeti, con amore verso i poveri, liberarli dalla paura di un Dio vendicativo, che invece è soprattutto Padre.  

L’immagine del buon pastore, che per noi è difficile immaginare nel suo vero significato, perché le greggi di pecore più non le vediamo, non deve trarci in inganno quasi che la vita del pastore e del suo gregge sia un quadretto idilliaco, poetico, facile. Gesù è stato proprio sacrificato come un agnello del gregge. Lui è l’unica porta che ci permette di far parte del popolo di Dio Padre, il vero gregge dell’amore e della misericordia. “Io metto la mia vita per le pecore e la consegno di mia volontà.” Io sono venuto perché voi oggi e sempre, voi uomini e donne di ogni tempo e di questo vostro tempo, difficile, complesso, che sembra allontanarsi sempre di più da Dio, mio Padre abbiate la vita e l’abbiate in abbondanza. 

E noi questo pastore, questo Gesù, questo Padre e il suo Spirito volgiamo seguire.

30 Aprile
+Domenico

Non saremo mai abbastanza contenti di avere un Padre come Dio

Una riflessione sul vangelo secondo Matteo (Mt, 11,25-30)

In quel tempo Gesù disse:
«Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo.
Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».

Audio della riflessione

Padre è paternità, papà, babbo, una forza, un affetto, una sicurezza, una pace. È il nome che sempre Gesù dà a Dio. Nella religione ebraica non lo si poteva mai nominare per evitare ogni pericolo di renderlo simile agli idoli, e Gesù strappa l’immagine di Dio e la sua presenza dal regno della paura e del timore e lo colloca nel mondo degli affetti e dell’amore.  

C’è un rapporto ineffabile che si stabilisce tra Padre e Figlio, che non si può conoscere per ipotesi e tesi, per ricerche o teoremi, ma che solo ci è comunicato dall’amore filiale di Gesù. Il Signore del cielo e della terra è il nostro papà, Lui, l’onnipotente è vicino pur essendo altissimo, è tenero nella sua onnipotenza, è misericordioso nella sua giustizia. 

Il privilegio di conoscere Dio non è dei sapienti, che sanno come vanno le cose, degli intelligenti che le dirigono come vogliono, di coloro che negano tutto ciò che non possono produrre da sé stessi che non cade sotto il vaglio della loro visione e esperienza. La possibilità è riservata agli ultimi. Non è l’elogio dell’ignoranza, ma della sapienza, di quella forma di conoscenza che non è fatta dalla cultura colta che può sempre essere utile nelle cose di Dio, ma dalla saggezza della donna o dell’uomo di fede, la sapienza silenziosa propria del povero, la dotta ignoranza del puro di cuore, ben diversa dalla sapienza ignorante del furbo. Il Signore non è oggetto di rapina di nessuna intelligenza, bussa alla porta del cuore.  

Siamo contenti perché il Figlio vuole rivelare questi affascinanti segreti alle vite dei piccoli, alle semplicità dei poveri, ai sospiri che per il suo regno affliggono i suoi amici, ai tenaci per il regno, a quelli che andando controcorrente non sono stimati da nessuno, ai poveri che non hanno udienza presso nessuno. 

E noi sappiamo che in ogni uomo c’è la sapienza del fanciullo, il desiderio di affidamento a un papà, l’attesa di un abbraccio. E Dio lo garantisce a chi ha il cuore semplice. 

Abbiamo bisogno di trovare spazi di intimità, momenti in cui si stacca la spina, si tolgono le cuffie, si smettono i toni aspri del contendere, della sopraffazione o della rivincita, della tensione e della superficialità e rimaniamo soli con noi stessi e con Lui, pronto ad ascoltarci, a coccolarci, a ristorarci. 

Il mio peso non pesa, dice Gesù, la legge dell’amore non è un fardello da portare, ma un paio di ali per volare, è un carico che scarica, che rende leggeri. L’amore è una forza interiore divina: è lo stesso Spirito di Dio che ci dà la forza di vivere nella libertà e nella verità ed è la presenza amorevole del Padre.

29 Aprile
+Domenico

Difficile da capire, ma necessario per vivere la fede

Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 6,51-58)

In quel tempo, i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?».
Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».
Gesù disse queste cose, insegnando nella sinagoga a Cafàrnao

Audio della riflessione

Facciamo fatica, noi uomini del terzo millennio a credere che ci sia qualcosa che va oltre le leggi della natura. Noi calcoliamo tutto, misuriamo ogni cosa sappiamo dire tutte le cause, sappiamo prevedere tutti gli effetti, anche se non sappiamo ancora dominare la natura, non conosciamo fino in fondo la stessa nostra umanità, il nostro stesso corpo. Gesù è Figlio di Dio, è con il Padre creatore del cielo e della terra. Lui è il centro dell’universo e pone il mondo al servizio del suo piano d’amore. Le leggi della natura sono per Lui al servizio del grande messaggio di amore di Dio per l’uomo. Per questo ha moltiplicato i pani, per questo un giorno offre all’uomo una proposta sconvolgente: si offre come cibo per la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita piena.  

Gesù sta spiegando ai suoi apostoli la preziosità del dono del suo corpo e del suo sangue che sta offrendo con l’Eucaristia. Il discorso è duro da capire, difficile da immaginare, è provocatorio. Sangue è sinonimo di morte, è riferimento alla sua crocifissione, è necessità di confrontarsi con il suo dono fino all’ultima goccia. Il discorso è duro, ma su questo Gesù non transige. È pronto a restare solo. L’Eucaristia è una esperienza necessaria per la vita del cristiano, sia come modo di comunicare con il Signore, sia come modo di incarnare il suo messaggio. Dirà più tardi ai suoi discepoli che rimanevano esterrefatti come la gente che lo ascoltava: volete andarvene anche voi?  Qui occorre fare quel salto di qualità che spesso viene richiesto a tutti fedeli. 

Quando non sai che strada prendere nella vita: io sono con te; quando hai bisogno di ritrovare senso e gusto nel vivere, io sono con te; quando cerchi una vera speranza, io te la posso far incontrare nel mio essere pane per te, perché speranza vera nasce quando uno si dona all’altro per amore fino in fondo. I suoi apostoli in seguito si rifaranno all’Eucaristia per avere speranza in ogni situazione di vita. 

Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui. Non si può parlare di vita senza parlare del rapporto con Dio vissuto attraverso Gesù e non si può parlare di vita se non in un contesto di dono, il dono fino alla morte che viene sempre rivissuto, offerto, partecipato nel rito, gesto, esperienza del pane spezzato e del sangue versato, nell’esperienza della Messa. I cristiani sono abituati a questo linguaggio, fa parte di ogni iniziazione cristiana. Chi non ricorda la prima comunione, l’entusiasmo che ci abbiamo messo nella preparazione, il candore dell’animo con cui facevamo domande e trovavamo piccole risposte vere per noi e capaci di rendere quel primo incontro una vera esperienza di vita? Oggi forse che per molti il ricordo si è sbiadito torna quella giusta domanda che si sono fatti hanno anche gli ascoltatori di Gesù. Come può costui darci da mangiare la sua carne? Ma che è questo concentrarsi di tanta gente attorno a un pezzo di pane e a un calice di vino? 

Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiamo in abbondanza. Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue, chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita piena. Su queste tre piccole frasi si sviluppa la fede e la vita del cristiano.  Da questo segno è interrogato ogni uomo che cerca vita piena. 

28 Aprile
+Domenico

Il centro della vita cristiana è quotidiano come il pane  

Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 6,45-51)

In quel tempo, disse Gesù alla folla:
«Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno.
Sta scritto nei profeti: “E tutti saranno istruiti da Dio”. Chiunque ha ascoltato il Padre e ha imparato da lui, viene a me. Non perché qualcuno abbia visto il Padre; solo colui che viene da Dio ha visto il Padre. In verità, in verità io vi dico: chi crede ha la vita eterna.
Io sono il pane della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia.
Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»
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Audio della riflessione

C’è un elemento, un simbolo, molto comune nella vita di ogni uomo, capace di rievocare esperienze profonde di umanità, di identità, di comprensione di sé stessi e della nostra storia. È un simbolo che travalica la nostra vita, ci lega alla storia degli uomini. Simboli come questi ce ne sono tanti, non sono riducibili a parole, ma sono parole che squarciano significati, sono parole come casa, acqua, sale, fiore, mamma, babbo, pane. Hanno molte capacità di evocazione dell’esistenza umana. Prendiamo il simbolo: pane. Non è riducibile a nessuna forma di esso, a nessuna contraffazione moderna, a nessuna appropriazione di qualcuno o di qualche industria. 

Ti ricorda la casa, la famiglia, la fame, la semplicità, la terra, la sporta cui ti attaccavi, quando eri bambino, il fuoco, il panettiere, quell’odore fragrante di forno, quelle ore dell’alba, la gente che l’addenta, il calore di un gesto di dono, la semplicità e la naturalezza di un nutrimento, il compagno quotidiano di ogni vita, l’elemento necessario di ogni tavola. 

Può mancare tutto, ma non il pane. E Gesù sulla scia di una lunga tradizione di rapporto, di presenza di Dio tra gli uomini con il dono del pane, si presenta a noi perentoriamente e dice: Io sono il pane della vita. Io sono il pane vivo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno. 

La portata di queste affermazioni è enorme: quel simbolo di vita, quell’elemento che ci definisce, che ci affratella, che ci riconcilia con noi stessi, che abita la nostra semplice vita quotidiana, che ci premette di ritrovare le nostre radici, che ci lega alla natura e al creato, agli uomini nostri fratelli è Lui, è Gesù Cristo. 

Non può mancare nella nostra vita, non può mancare nella nostra casa: senza pane ci pare di non nutrirci. Senza Gesù, manca il gusto, il senso. 

È il pane della vita, è la radice della vita; almeno lo si potesse mangiare! almeno lo si potesse avere nella bisaccia della nostra esistenza! Ma non è forse questo che ci ha promesso e dato proprio prima e nel morire?! Fare la comunione spesso è godere sempre di un nutrimento essenziale. 

27 Aprile
+Domenico

Io ti risusciterò sicuramente nel giorno definitivo della tua vita

Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 6,35-40)

In quel tempo, disse Gesù alla folla:
«Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai! Vi ho detto però che voi mi avete visto, eppure non credete.
Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me: colui che viene a me, io non lo caccerò fuori, perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato.
E questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno. Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno».

Audio della riflessione

Abbiamo spesso riflettuto in questo tempo pasquale sulla risurrezione di Gesù e siamo chiamati ancora a vedervi il nostro futuro che dà luce sempre più nuova al nostro presente. Dobbiamo fare i conti con la parola eternità, che non può far parte ancora della nostra mentalità umana 

Gesù promette a chi gliela domanda la vita eterna, chi crede in lui avrà la vita eterna. Eterno significa pieno, senza limiti, oltre ogni tempo, senza fine. Nella nostra vita facciamo esperienza di realtà che hanno tutte una vita breve, tutte le cose che vediamo sono limitate, di infinito ci sono forse dei pensieri ricorrenti. Tutto è caduco, tutto è finito: Sempre e mai non fanno parte della nostra esistenza o per lo meno sono riferite al tempo della nostra vita che non ha niente di illimitato, di eterno.  

Invece Gesù ci dice che chi crede in Lui ha la vita eterna, la pienezza, l’infinito, la perennità. C’è una vita che è stata guadagnata a noi dalla sua croce che sarà il massimo di felicità e che non tramonterà mai. Lui solo è capace di donarcela, di farcela vivere, di renderci degni di goderla. Questo dono è anticipato e trasmesso attraverso Gesù che è il pane vero con il dono del suo corpo e del suo sangue. È la sua vocazione, è il compito che Dio Padre gli ha affidato. La sua volontà, da sempre stabilita sul mondo, è che non perda nulla di quanto egli mi ha dato. Dio è Padre e se ama, ama per sempre. C’è una vocazione per ogni uomo, un DNA che non tramonta e che caratterizza la vita: essere per sempre nella sua felicità. Sono pensieri che ci danno le vertigini, perché vanno al di là di ogni esperienza, ci inondano di stupore e ci immergono in una vita che non è quella che sperimentiamo, ma sicuramente quella che desideriamo e sogniamo.  

E per non farci solo sognare o siamo tentati di rimandare continuamente i nostri sogni di futuro ci dona anche i mezzi per poterlo impostare, attuare, contemplare: il cibo dell’eternità, il suo pane, il pane eucaristico. È come se iniziassimo a trasformare le nostre caducità in anticipazioni di eternità, mezzi infallibili per raggiungere la nostra meta finale. Il beato Carlo Acutis soleva dire che l’Eucaristia è una autostrada per il Paradiso, per la vita risuscitata felice e eterna 

E Gesù è incaricato solennemente da Dio Padre di non perdere nessuno di noi. Capiamo allora ancora di più quella sua decisione irrevocabile e sofferta di prendere la croce: Voleva bucare il cielo e farci tutti salire ad abitarlo per sempre e nell’ultima cena ce ne ha aperto l’autostrada., dandoci come nutrimento il suo corpo e il suo sangue, già collocati nell’eternità. 

26 Aprile
+Domenico

Il segreto di ogni bellezza della vita umana è il Vangelo 

Una riflessione sul Vangelo secondo Marco (Mc 16,15-20)

In quel tempo, [Gesù apparve agli Undici] e disse loro: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato. Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno».
Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio.
Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano.

Audio della riflessione

Le parole che caratterizzano un venditore di ogni tipo sono: venite che qui trovate tutto quello che vi serve. Mi voglio rovinare, se passate di qua ne uscirete felici; donne, uomini è qui la fine del mondo, venite che troverete tutto quello che vi serve e anche molto di più. Non occorre essere venditori di cose per chiamare la gente, si può essere anche venditori di idee, propugnatori di ideali. Venite, mettiamoci assieme, diventiamo forti e conquisteremo il posto per governare. La battaglia elettorale è una battaglia per mettere assieme all’insegna del verbo venire.  

Gesù invece nel momento conclusivo della sua vita dice perentorio a tutti: andate. La vostra casa è il mondo. La gente di ogni razza si attende di incontrare la salvezza che voi avete incontrato, la mia persona. C’è un avvenimento sconvolgente che deve essere vissuto da tutti: il vangelo è una speranza per ogni uomo. 

Nella intensità di un serio lavoro di ricostruzione della interiorità di ogni cristiano, in ogni cammino di conversione si deve inscrivere un movimento missionario, una andata nel mondo ad annunciare, proprio perché è Gesù che vogliamo imitare.   

Per seguire il comando di Gesù: andate, occorre vita interiore, preghiera prolungata, affidamento totale alla misericordia di Dio, contemplazione di Gesù, conversione profonda che aiuta ad avere fiducia solo in Dio, che permette di approfondire le ragioni della propria fede, trovare la sorgente di speranze decisive per la vita di tutti.  

Noi crediamo nella risurrezione, per questo non temiamo la morte; noi sappiamo che Dio è somma giustizia, per questo amiamo gli ultimi; noi osiamo non spaventarci della croce, per questo sappiamo anche soffrire per una causa o una vita.  

Beati tutti quelli che sanno prendere posizione per me: sarete insultati, messi fuori giro, davanti a voi spegneranno le dirette televisive, non sarete trend, dovrete sempre ricominciare da capo. Ma sappiate che io sarò sempre lì con voi, Io nella mia vita ho sempre fatto così e voglio essere la vostra felicità. Io, non le mie cose, o i miei pensieri, io nel massimo dell’intimità della vita. 

 Sappiate che nel vostro andare c’è sempre la mia presenza, il cielo non è mai vuoto è sempre aperto sui vostri cammini in tutto il mondo. San Marco, che oggi festeggiamo, è stato un acuto e appassionato comunicatore della persona di Gesù, del suo messaggio, della sua vita, delle sue parabole. Ha usato uno stile e un vocabolario adatto al mondo occidentale, al popolo romano che allora era il più potente e diffuso e che aveva bisogno di andare oltre il potere, la conquista, la sottomissione di popoli. Ha presentato una figura di Gesù convincente, deciso, capace di far alzare lo sguardo dalla terra al cielo, dalla vita umana alla sua destinazione divina, dalla conquista al diritto e alla stima della persona umana. 

25 Aprile
+Domenico

Domande umane e risposte di Gesù

Una riflessione sul vangelo secondo Giovanni (Gv 6,22-29)

Il giorno dopo, la folla, rimasta dall’altra parte del mare, vide che c’era soltanto una barca e che Gesù non era salito con i suoi discepoli sulla barca, ma i suoi discepoli erano partiti da soli. Altre barche erano giunte da Tiberìade, vicino al luogo dove avevano mangiato il pane, dopo che il Signore aveva reso grazie.
Quando dunque la folla vide che Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafàrnao alla ricerca di Gesù. Lo trovarono di là dal mare e gli dissero: «Rabbì, quando sei venuto qua?».
Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo».
Gli dissero allora: «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?». Gesù rispose loro: «Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato».

Audio della riflessione

Ogni persona nella vita si fa tante domande a partire da quelle più materiali di cibo, di bevanda, di persone che si cercano, di bisogni che nascono dalla vita fino alle domande più esistenziali: perché vivo? Che male ho fatto? C’è qualcuno che mi vuole bene? Le domande in noi creano un bisogno che va soddisfatto, una sorta di buco che va coperto con una risposta. Se chiedo un pane, chi me lo dà compie la domanda con una risposta. Ma ogni domanda si porta dentro altri bisogni più profondi, è una specie di scavo nella vita a cercare ragioni per crescere, cambiare, approfondire, trovare qualcosa che soddisfa fino in fondo.  

Gesù di solito di fronte alle domande che gli fanno ha sempre una grande considerazione di chi le fa e vuole andare più in profondità possibile. La gente gli chiede dopo averlo cercato invano: maestro quando sei venuto qui? Gesù sa che quelli erano stati da lui la sera prima e avevano fame. Lui li aveva sfamati con la moltiplicazione dei pani e quindi di rimando dice loro: voi mi cercate perché avete mangiato il pane; guardate però che c’è un cibo che voi non v’accorgete di cercare che vi toglie un’altra fame più profonda quella di una vita che non finisce mai, la vita eterna.  E loro: se ci fai capire bene che cosa vuoi da noi, siamo pronti a farlo. E Lui: Dio vuole solo che voi crediate che io sono colui che Dio ha mandato. 

Il pane che io vi darò è il pane che viene dal cielo, è il Padre mio che vi dà questo pane e ha dato a me il potere darlo a voi. Bellissima la risposta della gente. Signore dacci sempre di questo pane. Lo stesso metodo, e lo stesso discorso lo aveva fatto per l’acqua che chiese alla Samaritana. La sete di quella donna era una sete di molto altro, di un’acqua di vita eterna che solo lui poteva dare. Anch’essa disse: dammi sempre di quest’acqua, anche se non aveva ben capito che Gesù stesso si definiva essere quest’acqua.  

Siamo nel tempo dopo Pasqua stiamo imparando ad avere occhi di Pasqua, occhi che guardano sempre più in profondità nella nostra vita e nelle nostre domande, perché dobbiamo imparare a vivere da risorti, a pensare da risorti, a testimoniare che la vera vita piena ci viene donata da Gesù proprio perché ce l’ha guadagnata con la croce e si è configurata per ogni persona credente nel suo futuro di risurrezione. 

Abbiamo ancora molto da camminare e il cammino andrà sostenuto da un cibo di risorti e questo cibo è l’Eucaristia, che scandisce ogni giorno i passi verso la vita vera e ci fa tutti fratelli in questo lungo cammino. 

24 Aprile
+Domenico

Cancella sempre nella tua vita la parolaccia “ormai”

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 24,13-35)

Ed ecco, in quello stesso giorno [il primo della settimana] due dei [discepoli] erano in cammino per un villaggio di nome Èmmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme, e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto. Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo.
Ed egli disse loro: «Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?». Si fermarono, col volto triste; uno di loro, di nome Clèopa, gli rispose: «Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?». Domandò loro: «Che cosa?». Gli risposero: «Ciò che riguarda Gesù, il Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; come i capi dei sacerdoti e le nostre autorità lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e lo hanno crocifisso. Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele; con tutto ciò, sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; si sono recate al mattino alla tomba e, non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l’hanno visto».
Disse loro: «Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui.
Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: «Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto». Egli entrò per rimanere con loro. Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista. Ed essi dissero l’un l’altro: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?».
Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!». Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane.

Audio della riflessione

I due giovani diventati noti come quelli di Emmaus avevano registrato tutto quello che aveva detto Gesù quando erano con Lui. C’erano alcuni file in testa indelebili, secretati, ma non avevano fatto molto caso a tutto quello che avevano sentito. Credevano ingenuamente che dopo aver scoperto Gesù, dopo aver provato entusiasmo per Lui, la strada sarebbe stata in discesa. “Invece Lui l’han fatto fuori come tutti i nostri sogni –si dicono delusi mentre se ne vanno da Gerusalemme, sfiduciati, anche arrabbiati con le mani in tasca dando calci ai sassi- Noi sappiamo solo sognare, per noi è una condizione essenziale per rendere sempre più umano il mondo in cui viviamo. In una società disillusa e scettica che non crede ai sentimenti, che educa al narcisismo, che punta tutto sul successo e sulla carriera, noi ci ostiniamo a credere ancora all’amore, al voler bene”.  

Hanno con sé telefonini con cui si mettono in contatto con tutti gli amici lasciati a Gerusalemme. Ogni tanto lanciano un sms a Giovanni, il più giovane degli apostoli, che li informa di tutte le novità che compaiono in Internet, alla TV, in WhatsApp. Il Tweet più ripetuto continua a rimandare lo stesso messaggio: nella tomba non c’è più, le donne insistono nel dire che l’hanno visto, ma chi ci crede? 

Tra un messaggio e l’altro si aggiunge al loro cammino un pellegrino un po’ strano. Colto, comunicativo, attento, curioso. Hanno le cuffie e il walkman, uno smartphone di ultima generazione, stanno ascoltando tutto quello che avevano registrato di Gesù e fanno ascoltare anche a questo pellegrino le parole che li avevano entusiasmati. Lui a sua volta si toglie le cuffie, ascolta, loro spengono il cellulare e si appassionano alla sua pazienza nell’aiutarli a capire il significato della vita. Si scalda loro il cuore.  

La parolaccia più brutta, che non avevano mai voluto dire e che ora continuano a ripetere, brucia dentro le loro anime. Non si deve più dire “ormai”. Basta usare l’imperfetto. Che è questo speravamo?  

Invitano il curioso pellegrino a fermarsi a cena con loro. E quando spezza il pane si aprono loro gli occhi e il pellegrino si dà a vedere per il Gesù di cui loro avevano grande nostalgia. È sempre Gesù che si mostra, non sono loro che lo vedono di loro iniziativa. Si riempie loro il cuore di gioia e Gesù, dice il vangelo, sparì dalla loro vista, non si allontanò, non li lasciò soli, come non fa mai con noi; soltanto non lo vedevano più.  

Avranno ancora l’impressione che il male, la prepotenza e la stupidità possano soffocare la verità, l’amore e la giustizia, ma non potranno dimenticare che qualcosa di simile è già accaduto nei confronti di Gesù. La malvagità degli uomini lo ha inchiodato alla croce, pensando in tal modo di toglierlo di mezzo; ma Dio lo ha risuscitato e da allora a cominciare da questi due giovani pellegrini e sfiduciati il cristiano racconta a tutti di Gesù che continua a salvare l’uomo, a parlare al presente e al futuro non più al passato, perché è risorto e vive con noi.  

Tornano a casa che è notte inoltrata, la porta di casa cigola, i passi sono felpati. Sembrano a tanti giovani che fanno notte in giro, che mamma e papà aspettano; quando sentono cigolare la porta fanno un sospiro, grazie a Dio è ancora vivo ed è rientrato con le sue gambe. I due di Emmaus non badano al rumore che fanno perché hanno il cuore pieno di gioia. La mamma di Gesù li attende e le dicono che hanno visto Gesù. La mamma lo sa già, era con gli apostoli quando è venuto a farsi vedere, a incoraggiarli, non certo a regolare i conti della loro fuga dal Calvario, ma a dare loro forza per essere annunciatori coraggiosi in tutto il mondo della sua risurrezione. 

23 Aprile
+Domenico

Siamo sempre in una barca alla deriva  

Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 6,16-21)

Venuta la sera, i discepoli di Gesù scesero al mare, salirono in barca e si avviarono verso l’altra riva del mare in direzione di Cafàrnao.
Era ormai buio e Gesù non li aveva ancora raggiunti; il mare era agitato, perché soffiava un forte vento.
Dopo aver remato per circa tre o quattro miglia, videro Gesù che camminava sul mare e si avvicinava alla barca, ed ebbero paura. Ma egli disse loro: «Sono io, non abbiate paura!».
Allora vollero prenderlo sulla barca, e subito la barca toccò la riva alla quale erano diretti.

Audio della riflessione

Paragonare la nostra vita a una barca che solca i mari, che naviga a vista, che incontra difficoltà, che non sa bene orientarsi a una meta, che si sente spesso in balia delle onde, che cerca un porto sicuro per attraccare è una esperienza che viviamo ogni giorno e varie volte colora la nostra esistenza.  

Avere io navigato anche varie volte sul lago di Gennèsaret in Palestina pensando alla vita degli apostoli e soprattutto alla presenza con loro di Gesù, paziente, che conversa con loro, che dorme e che ne viene svegliato perché gli apostoli si sentono in pericolo, popola anche la mia fede. Trovare questo episodio inserito nel capitolo sesto di Giovanni che ci fa rivivere il dono del pane che è Gesù in tanti significati fino a quello sperimentabile in ogni Eucaristia e incontrabile come per i discepoli di Emmaus allo spezzare il pane, riempie la nostra vita di momenti decisivi della nostra esperienza di Gesù. Gli apostoli sono in barca in ricerca di Lui e lo siamo anche noi, ma non lo troviamo e, come sempre, è Lui che si fa trovare. 

 Nella nostra vita è sempre così: crediamo di essere sempre noi gli attori, i soggetti, le persone di riferimento, quelli che se vogliono, possono; invece è sempre Gesù che ci legge nel cuore e che ci precede; per noi cammina sempre sulle acque perché spesso gli facciamo terra bruciata attorno. 

Il lago per noi è quasi sempre in tempesta perché abbiamo la triste possibilità di fidarci solo di noi, di sentirci indispensabili, di non essere ancora in grado di vedere prima le tentazioni e ci accontentiamo sempre di farci trovare inadempienti. Sappiamo che senza Gesù non abbiamo la mentalità lucida e soprattutto un cuore che vede, che lo ama, che se si attarda è solo perché c’è un povero da soccorrere e ci ricordiamo troppo tardi che invece è lo stesso Gesù che ci cerca, che ha il volto di chi incontriamo nel bisogno, di chi desidera da noi che passiamo per gente che conosce Gesù, una parola di vangelo e noi gli propiniamo sempre le nostre parole di convenienza, insulse e spesso pure cattive. 

Chiediamo a Gesù che ci apra gli occhi sulle bufere della vita non solo nostra, ma anche della nostra società, della nostra chiesa, dei nostri fallimenti e pure dei nostri tentativi onesti e ingenui, che hanno sempre bisogno della sua presenza, del suo salire sulla nostra barca della vita e della nostra solare e grata accoglienza di Lui, Gesù, in qualunque persona si presenti. 

22 Aprile
+Domenico

Nella bisaccia di un ragazzo il segno del pane della vita

Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 6,1-15)

In quel tempo, Gesù passò all’altra riva del mare di Galilea, cioè di Tiberìade, e lo seguiva una grande folla, perché vedeva i segni che compiva sugli infermi. Gesù salì sul monte e là si pose a sedere con i suoi discepoli. Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei.
Allora Gesù, alzàti gli occhi, vide che una grande folla veniva da lui e disse a Filippo: «Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?». Diceva così per metterlo alla prova; egli infatti sapeva quello che stava per compiere. Gli rispose Filippo: «Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo».
Gli disse allora uno dei discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro: «C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?». Rispose Gesù: «Fateli sedere». C’era molta erba in quel luogo. Si misero dunque a sedere ed erano circa cinquemila uomini.
Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, quanto ne volevano. E quando furono saziati, disse ai suoi discepoli: «Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto». Li raccolsero e riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d’orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato.
Allora la gente, visto il segno che egli aveva compiuto, diceva: «Questi è davvero il profeta, colui che viene nel mondo!». Ma Gesù, sapendo che venivano a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sul monte, lui da solo.

Audio della riflessione

Possiamo farci aiutare a riflettere dalla fede di un giovane sconosciuto, ma importante del vangelo di oggi: spontaneo, concreto, generoso, mescolato alla gente con una bisaccia piena di pane e qualche pesce.  

È un ragazzo che, come tutti, ha una vita davanti: va tutti i sabati in sinagoga a ripetere e cantare versetti, qualcuno ogni tanto lo prende e lo molla con qualche lavoro. Ma ha sentito parlare di Gesù. È uno che parla chiaro, che va giù duro, che non fa le solite raccomandazioni di galateo. Lo voglio sentire anch’io, voglio vederlo anch’io, voglio partecipare alla festa dell’esserci. E va, diremmo noi oggi, se non fosse irriverente, al suo grande concerto rock, all’incontro con qualcuno che lo infiamma, che lo fa sentire vivo. La quotidianità ritornerà ancora, non c’è dubbio: la ricerca di lavoro, il tirare a campare, lo stare a raccontarsi, il sentirsi addosso gli adulti con le loro infinite raccomandazioni… ma lasciatemi andare. 

E parte. Ma nella sua concretezza, poi dicono che i giovani sono sbadati, si prende una scorta di pane e due pesci seccati. Sa che gli viene una fame da morire certe volte, soprattutto quando la vita va a cento. 

Ascolta Gesù che parla, si mescola alla gente e gli viene fame; apre la sua bisaccia: è il momento in cui tra gli apostoli si diffonde il panico. Gesù li provoca: occorre dare da mangiare a questa gente. Sì! e noi che ci facciamo. L’unico che sta bene è questo ragazzetto qui, più saggio di tanti adulti. 

Il vangelo non racconta che cosa è successo in quel momento. Sta di fatto che quei cinque pani e quelle sardine arrivano a Gesù: il ragazzo nella sua concretezza, semplicità e generosità mette a disposizione. E tutti mangiano, e tutti si saziano, e tutti si scatenano e si scaldano. Erano solo la scorta di un ragazzo per la sua avventura in cerca di vita diventano il segno di un pane insaziabile, che è Gesù. Erano una debolezza, di fronte al problema, sono diventati per Gesù la forza. 

Quel pane eucaristico per noi oggi è la dolcissima presenza dello Spirito Santo. Siamo davanti a Dio come quel ragazzo che porta i suoi semplici pani e le sue secche sardine. Noi siamo questo, se l’opera è tua, noi ti mettiamo a disposizione il poco che abbiamo per la tua gloria. L’uomo di oggi ha bisogno di spirito e soprattutto di Spirito Santo. È il pane della speranza, della libertà, della santità che vogliamo chiedere anche oggi a Gesù.  

Il nostro pane è Gesù. È Lui che ci nutre, che fa rinascere speranza, che permette alle nostre deboli forze di sostenere le difficoltà della vita. Il pane è la Parola, è l’Eucaristia. Ma il pane ha bisogno dello Spirito per sfamarci, per farci crescere nella libertà. Si può mangiare un pane in schiavitù, un pane bagnato dalle lacrime della nostra cattiveria, delle guerre, dei soprusi degli uomini. Noi vogliamo che sia lo Spirito a santificare il nostro pane. Di fatto è con l’invocazione dello Spirito che il pane e il vino diventano corpo e sangue di Cristo. 

Avere bisogno di pane significa avere fame. Forse noi oggi non abbiamo fame di Dio, ma di tante altre cose che non ci danno soddisfazione. Certa nostra infelicità non ha origine fisiologica, è bisogno di Dio. Occorre avere il coraggio di cercarlo e mettere la nostra semplicità davanti a Lui, lui sa moltiplicare non le nostre miserie, ma le nostre disponibilità. Sa cambiare la debolezza in forza, purché lo cerchiamo con sincerità. Lo Spirito ci guiderà a compiere l’opera e soprattutto a lodarlo per la sua immensa grandezza e amore. 

21 Aprile
+Domenico