Vivere di attesa e vegliare è la vita del cristiano

Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 24, 42-51)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Vegliate, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo.
Chi è dunque il servo fidato e prudente, che il padrone ha messo a capo dei suoi domestici per dare loro il cibo a tempo debito? Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così! Davvero io vi dico: lo metterà a capo di tutti i suoi beni.
Ma se quel servo malvagio dicesse in cuor suo: “Il mio padrone tarda”, e cominciasse a percuotere i suoi compagni e a mangiare e a bere con gli ubriaconi, il padrone di quel servo arriverà un giorno in cui non se l’aspetta e a un’ora che non sa, lo punirà severamente e gli infliggerà la sorte che meritano gli ipocriti: là sarà pianto e stridore di denti».

Audio della riflessione.

La vita dell’uomo è fatta di tante attese,  non tutte  vere, non tutte capaci di tenere l’animo sveglio e attento al bene, alla manifestazione di Dio. Attende la mamma il suo bambino nella lunga gestazione, attende il ragazzo la sua ragazza all’uscita dalla scuola, attende il malato i risultati delle analisi, attende il giovane l’esito dell’ennesimo colloquio di lavoro, attendono i genitori che cigoli la porta di casa alle cinque del mattino per tirare un sospiro di sollievo: è tornato vivo! Attende il bambino il sorriso del papà al suo ritorno da scuola, attendono gli immigrati il permesso di soggiorno in fila fin dalle prime luci del mattino, attende l’anziano nella casa di riposo la visita di qualcuno che gli ricordi di essere vivo; attendono gli affamati un pane, gli esiliati la patria, tanti bambini la pace e non la sanno nemmeno immaginare tanto sono abituati a vivere sotto i colpi dei mortai.   

Non è attesa invece quella del terrorista che ha già la mano sulla cintura esplosiva o sul telecomando del detonatore, non è attesa quella del pedofilo che sta tirando le maglie dei suoi ricatti, non è attesa la lunga coda di automobili che dobbiamo subire ogni giorno per andare e tornare dal lavoro; non è attesa l’aria greve che prende la piazza per l’arrivo dello spacciatore o l’appostamento lungo la strada per comperare il corpo di qualcuna o di qualcuno; non è attesa la solitudine di chi dopo tante tergiversazioni prende la finestra di corsa; e nemmeno quella dell’usuraio che ogni giorno torna a misurare il sangue succhiato ai poveri… 

E’ attesa la tensione verso la vita, quella degli altri, la mia, quella del mondo; non è attesa la velocità dissennata per le strade, che disprezza la vita degli altri e la propria, quella percezione o orientamento alla  morte che spesso abita le nostre esistenze. L’attesa vera di una meta alta, dello stesso Signore che viene, ha la capacità di tirarti dentro tutto, di trasformarti, di ridefinire la tua stessa identità, di farti crescere e di rimodulare la tua esistenza su quello che attendi. E’ una forza potente per concentrare energie, per dare organicità ai nostri molteplici impulsi, per canalizzare le qualità personali e di gruppo. Questo ci dice Gesù quando ci invita a vegliare ad attendere il Signore che passa sicuramente nella vita di ogni uomo, perché Lui non ci abbandona mai. Questo vegliate in un tempo ancora di ferie la dice lunga sul nostro esserci addormentai nello spirito in questo mese che termina. Ci stimola a riprendere la cura della vita spirituale a tener desto sempre lo spirito e l’attenzione agli altri. 

31 Agosto
+Domenico

Dio ci guarda dentro, non s’accontenta della facciata

Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 23, 27-32)

In quel tempo, Gesù parlò dicendo: «Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che assomigliate a sepolcri imbiancati: all’esterno appaiono belli, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni marciume. Così anche voi: all’esterno apparite giusti davanti alla gente, ma dentro siete pieni di ipocrisia e di iniquità. 
Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che costruite le tombe dei profeti e adornate i sepolcri dei giusti, e dite: “Se fossimo vissuti al tempo dei nostri padri, non saremmo stati loro complici nel versare il sangue dei profeti”. Così testimoniate, contro voi stessi, di essere figli di chi uccise i profeti. Ebbene, voi colmate la misura dei vostri padri».

Audio della riflessione.

La nostra è una società dell’apparire, dell’immagine, degli occhi e non del cuore e dell’intelligenza. Forse è un tributo che dobbiamo pagare alla invasione di immagini nella nostra comunicazione. Infatti non c’è mai stato un tempo in cui i rapporti tra le persone, gli eventi, le cose fossero così legati alle immagini, tanto che se non appari non esisti, se non sei visto non conti, se non traduci il tuo pensiero in immagini non sei capito. Sono innovazioni cariche di tante promesse per l’umanità e come tutte hanno bisogno che l’uomo maturi un rapporto veramente umano che non gli tolga la dignità di cui deve essere sempre custode.   

Il progresso non è mai per definizione contro l’uomo, occorre però che l’uomo a mano a mano che amplia le sue capacità comunicative cresca interiormente e solidifichi i valori fondamentali del suo vivere.   E’ talmente vero tutto questo che anche in tempi non sospetti, tempi in cui di immagini  non si parlava, né si usavano, Gesù dovette mettere in guardia dall’apparire, dal dare importanza solo a quello che si vuol far vedere. C’è una interiorità della persona che è assolutamente prima di ogni immagine di essa. Il sepolcro può essere bello fuori, ma dentro è pieno di ossa.   

 E’ l’interiorità che conta davanti a Dio, è la coscienza, è l’immagine interiore che ciascuno si costruisce nel segreto del suo rapporto con Dio. E’ questione ancora di apparenza quando ci si riferisce al passato e si prendono le distanze dalle responsabilità di chi ci ha preceduto e si pensa che gli errori fatti da loro non possano essere anche i nostri. Occorre un giudizio vero, ma sempre capace di cogliere che anche noi spesso non saremmo stati migliori di chi ci ha preceduto.  

E’ sempre Dio che ci dà la grazia di vivere bene; se fosse solo per noi il mondo sarebbe già caduto in rovina. E’ tipico della nostra ipocrisia far fuori la gente e dopo pochi anni fare loro un monumento. Certo la colpa non è stata nostra, ma di chi ci ha preceduto, ma forse abbiamo ancora lo stesso cuore, la stessa cattiveria, e non siamo disposti a convertirci e così ritornano guerre, ingiustizie, perché non abbiamo il coraggio di imparare la lezione della storia, cambiando il nostro cuore.  

Nessuno si può chiamare fuori dalla storia dell’umanità. importante è capire che dobbiamo sempre seguire Gesù che ci aiuta a costruirne una nuova nel suo amore e nella sua giustizia.

30 Agosto
+Domenico

Noi adulti spesso giochiamo sulla pelle dei giovani   

Una riflessione sul Vangelo secondo Marco (Mc 6,17-29)

In quel tempo, Erode aveva mandato ad arrestare Giovanni e lo aveva messo in prigione a causa di Erodìade, moglie di suo fratello Filippo, perché l’aveva sposata. Giovanni infatti diceva a Erode: «Non ti è lecito tenere con te la moglie di tuo fratello». Per questo Erodìade lo odiava e voleva farlo uccidere, ma non poteva, perché Erode temeva Giovanni, sapendolo uomo giusto e santo, e vigilava su di lui; nell’ascoltarlo restava molto perplesso, tuttavia lo ascoltava volentieri.
Venne però il giorno propizio, quando Erode, per il suo compleanno, fece un banchetto per i più alti funzionari della sua corte, gli ufficiali dell’esercito e i notabili della Galilea. Entrata la figlia della stessa Erodìade, danzò e piacque a Erode e ai commensali. Allora il re disse alla fanciulla: «Chiedimi quello che vuoi e io te lo darò». E le giurò più volte: «Qualsiasi cosa mi chiederai, te la darò, fosse anche la metà del mio regno». Ella uscì e disse alla madre: «Che cosa devo chiedere?». Quella rispose: «La testa di Giovanni il Battista». E subito, entrata di corsa dal re, fece la richiesta, dicendo: «Voglio che tu mi dia adesso, su un vassoio, la testa di Giovanni il Battista». Il re, fattosi molto triste, a motivo del giuramento e dei commensali non volle opporle un rifiuto.
E subito il re mandò una guardia e ordinò che gli fosse portata la testa di Giovanni. La guardia andò, lo decapitò in prigione e ne portò la testa su un vassoio, la diede alla fanciulla e la fanciulla la diede a sua madre. I discepoli di Giovanni, saputo il fatto, vennero, ne presero il cadavere e lo posero in un sepolcro.

Audio della riflessione.

Almeno tre o quattro volte all’anno leggiamo nella liturgia questo episodio della decapitazione di Giovanni il Battista. Oggi vogliamo riflettere su questo fatto a partire dalla nostra responsabilità di adulti.  

Ogni martire è testimone che Dio ci ama alla follia. Giovanni Battista ancor di più. Era stato un dito puntato verso Gesù. L’uomo di Nazareth era apparso sulla scena del mondo e lui doveva scomparire. Era stato severo con se stesso, con la religione del tempio, con chi lo voleva seguire e la sua predicazione era molto severa: 

Chi ha ingessato il Signore. Avete in cuore una profonda sete di Dio, sentite urgere dentro una aspirazione insopprimibile e la spegnete con la droga, con l’ecstasi, con i compromessi! Avete una sete insaziabile di pace e la cercate con armi e tritolo! Sentite desiderio di interiorità e sperate di trovarla nei talk show! Giovanni non aveva mezze misure. Avete desideri di affetto pulito e profondo e vi prendete i mariti o le mogli degli altri? Poi è venuto Gesù. Non credeva ai suoi occhi e ha ceduto il passo.  

Incrocia la vita di Giovanni, una ragazzina, bella, agile, elegante, armoniosa. Vuole sfondare con la sua bellezza e la sua leggiadria. Si allena e finalmente arriva la sua grande occasione. Non si tratta del solito saggio col papà, la mamma, gli zii, i nonni alla festa di compleanno, ma oggi c’è tutto il governo, i notabili. E danza. Se la mangiano tutti con gli occhi. Erode stravede, i giovani sono sempre sorprendenti, ti incantano, meritano tutto: la metà del mio regno è tua. La ragazza è saggia, i complimenti non le danno alla testa. La sua danza è una sfida con se stessa, non con gli adulti. Sa di aver bisogno di tutti per crescere, per decidere e va da sua madre. 

“Mamma è il momento più bello della mia vita”. Sono riuscita a superarmi; ti ricordi quanti allenamenti, quante volte volevo smettere e tu mi hai aiutato? Se non ci fossi stata tu starei ancora a divertirmi con l’orsacchiotto di pelouche. Il re è disposto a darmi la luna. Ho un avvenire sicuro, non sono in casa sua solo perchè vuole bene a te. Ho un  posto anch’io”. Non si sente più una vita da scarto, come capita a tanti giovani, quasi destinati alla discarica, ma le si è aperta nella vita una strada. Non vuoi che sia questa anche l’aspirazione degli adulti che le vogliono bene, di colei cui tra una coccola e l’altra si confida? 

E la madre, l’adulta, il maturo, quella che vede bene, che calcola, che è navigata nella vita, colei che si è lasciata indurire il cuore dall’interesse, che non sa più sognare e cambia i sogni dei giovani in incubi, dice tutto il suo odio per la vita, e per il futuro dei figli: la testa di Giovanni Battista. Una sentenza che prima di ammazzare Giovanni, distrugge speranza e uccide l’anima di sua figlia che non ha ancora il coraggio di ribellarsi, è ancora soffocata dall’affetto predatore di sua madre, dell’adulto senza scrupoli, che non le ha insegnato di avere sempre la vista più lunga dei sentimenti. Noi adulti saremo capaci di smettere di giocare all’eterna giovinezza e assumerci verso di loro le nostre responsabilità? di mostrarci come adulti cristiani contenti della nostra fede in Gesù ? 

29 Agosto
+Domenico

Ci sentiamo un poco tutti farisei e Gesù ce ne avverte  

Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 23, 13-22)

In quel tempo, Gesù parlò dicendo:
«Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che chiudete il regno dei cieli davanti alla gente; di fatto non entrate voi, e non lasciate entrare nemmeno quelli che vogliono entrare. 
Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che percorrete il mare e la terra per fare un solo prosèlito e, quando lo è divenuto, lo rendete degno della Geènna due volte più di voi.
Guai a voi, guide cieche, che dite: “Se uno giura per il tempio, non conta nulla; se invece uno giura per l’oro del tempio, resta obbligato”. Stolti e ciechi! Che cosa è più grande: l’oro o il tempio che rende sacro l’oro? E dite ancora: “Se uno giura per l’altare, non conta nulla; se invece uno giura per l’offerta che vi sta sopra, resta obbligato”. Ciechi! Che cosa è più grande: l’offerta o l’altare che rende sacra l’offerta? Ebbene, chi giura per l’altare, giura per l’altare e per quanto vi sta sopra; e chi giura per il tempio, giura per il tempio e per Colui che lo abita. E chi giura per il cielo, giura per il trono di Dio e per Colui che vi è assiso».

Audio della riflessione.

Si sente spesso nel vangelo Gesù che si rivolge a una particolare categoria di connazionali che lo interpellano, lo insidiano, lo disturbano: i farisei. Erano una categoria di persone molto ligie alla legge, molto osservanti, spesso anche esageratamente formali; sostanzialmente però persone che conoscevano bene la Legge di Dio e che si davano da fare per aiutare gli uomini a osservarla. Spesso però si rivolgevano a Gesù presentando il loro lato più negativo: quello di essere ingessatori della religione, legulei, preoccupati della forma a scapito della sostanza, sicuri di se stessi, e per questo incapaci di cogliere la novità che è Gesù.  

E’ un difetto non solo della religione ebraica, ma una tentazione che inquina ogni religione organizzata. Anche noi cristiani di oggi abbiamo una buona dose di fariseismo, quando appunto non ci facciamo più provocare dalla Parola di Dio, ma la carichiamo delle nostre mire, dei nostri modi di pensare, del nostro stesso egoismo.  E noi siamo doppiamente colpevoli, perché abbiamo lo Spirito che difende la persona di Gesù in noi dalle nostre deformazioni comode. 

Ebbene Gesù  affronta i farisei, e noi con loro, con una serie di “guai a voi” da far accapponare la pelle. Guai a voi che predicate bene e razzolate male, guai a voi che fate di tutto per accalappiare persone al vostro modo di pregare e rendere culto a Dio e le schiavizzate ai vostri gusti. Guai a voi che fate da guida, non v’accorgete che siete ciechi e così portate a rovina anche quelli che vi ascoltano. 

Sono rimproveri, guai senza tempo; vanno bene anche oggi sulle nostre vite superficiali, sui nostri attaccamenti alla religione che non hanno niente di fede, ma sono solo tradizioni che fanno comodo a noi, senza anima, che vogliamo mantenere per paura di invecchiare. Vanno bene pensati come diretti anche a noi che magari proprio per non apparire farisei abbiamo abbandonato la religione, ma ne abbiamo costruita un’altra per i nostri comodi. Ci sono alcuni sindaci per esempio che fanno i matrimoni civili in vecchie chiese sconsacrate con tanto di predica e di simbologia liturgica. Questa sarebbe sana laicità o cattiva coscienza che una fede buttata fuori dalla porta entra dalla finestra? Ascoltare i rimproveri di Gesù alla nostra vita ingessata ci fa bene, è speranza di vita pulita e bella, come Lui ce la sa dare! 

Ricordiamo oggi sant’Agostino di Ippona, grande vescovo, convertito a Milano da sant’Ambrogio e grande predicatore della fede in Gesù dopo tutte le sue ricerche filosofiche e religiose e una vita irregolare, aiutato sicuramente dalle preghiere insistenti di sua mamma santa Monica. Sarebbero utile da leggere per la nostra vita di fede il suo libro autobiografico Le confessioni, di cui leggo una sua preghiera  

Tardi ti ho amato, 
bellezza così antica e così nuova, 
tardi ti ho amato. 
Tu eri dentro di me, e io fuori. 
E là ti cercavo. 
Deforme, mi gettavo 
sulle belle forme delle tue creature. 
Tu eri con me, ma io non ero con te. 
Mi tenevano lontano da te 
quelle creature che non esisterebbero 
se non esistessero in te. 
Mi hai chiamato, 
e il tuo grido ha squarciato la mia sordità. 
Hai mandato un baleno, 
e il tuo splendore 
ha dissipato la mia cecità. 
Hai effuso il tuo profumo; 
l’ho aspirato e ora anelo a te. 
Ti ho gustato, 
e ora ho fame e sete di te. 
Mi hai toccato, 
e ora ardo dal desiderio della tua pace. 

28 Agosto
+Domenico

Chi sei Gesù per me, per la  mia famiglia, per i miei amici?

Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 16, 13-20

In quel tempo, Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». Risposero: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elìa, altri Geremìa o qualcuno dei profeti».
Disse loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente».
E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli».
Allora ordinò ai discepoli di non dire ad alcuno che egli era il Cristo.

Audio della riflessione.

Chi sono io per te? È la domanda che una ragazza fa al suo ragazzo per capire che rapporto si sta instaurando, quando magari si deteriora in routine o avventura. È la domanda che fa un figlio ai suoi genitori quando non si sente valutato per quello che è. Chi sono io per te? chiede il padre al figlio che lo tratta come un portiere d’albergo. Chi sono io per te? chiede un lavoratore al suo datore di lavoro per capire se ha qualche diritto oltre che dei doveri. È la domanda che fa Gesù ai suoi discepoli. È passato un po’ di tempo dall’inizio entusiasta dell’avventura, quando li aveva chiamati a uno, a due, insieme e aveva scatenato in loro entusiasmo, decisione, radicalità. Da allora li aveva curati, amati, coccolati, aiutati a guardare alla vita in un altro modo.  

Aveva insegnato loro a chiamare Dio con il dolce nome di Padre, li aveva istruiti e aiutati a sognare un modo diverso di Dio di stare con gli uomini, li aveva innamorati del Regno. Il mondo non andrà sempre avanti così: non è vero che Dio si è dimenticato di voi, non è vero che vincerà sempre il prepotente, il falso, colui che mette sotto i piedi il debole. Il buono soffrirà, ma alla fine sarà con me nel paradiso. Il cattivo sembra che prosperi, che riesca a mantenere maschere di perbenismo, ma cadrà, come una foglia secca ai primi venti di autunno. 

Ma di lui, di Gesù che cosa pensavano? Lui, Gesù, non poteva essere scambiato per un profeta tra i tanti: giusto, bravo, superiore alla media, vero interprete di Dio, deciso, tutto d’un pezzo, autorevole… ma pur sempre un profeta. È questo che va dicendo in giro la gente. Non ci sono dubbi sulla vita rischiosa che sta facendo. Se lo paragonano a Giovanni il Battista, hanno ben in mente la fine che ha fatto e Gesù vi si sta incamminando senza paura Ma non è quello che Gesù è. Voi chi dite che io sia? Chi sono per voi? Da quell’intimità con cui ci siamo legati avete capito il segreto intimo della mia vita? 

È Pietro che, senza pensarci troppo afferma “Tu sei il mandato da Dio, sei suo figlio”. È una verità che non è risultato di congetture. È una fede che si trova dentro come dono, è solo la luce che viene da Dio che è in grado di far comprendere il mistero profondo di Gesù. Gesù è per noi il salvatore, è Dio onnipotente che ci perdona, che va oltre ogni nostra meschinità e ci salva, conosce il nostro dolore e lo allevia; Gesù è il Figlio di Dio benedetto, è la Parola definitiva sulla nostra vita. Gli uomini passeranno tutti, ma Lui rimane. Gli imperatori romani, i faraoni egizi, Hitler, Stalin, Napoleone credevano di avere in mano il mondo, hanno seminato di terrore l’umanità, poi sono passati come polvere. Lui Gesù, maltrattato e umiliato sulla croce ha vinto e ancora oggi è al centro del cuore dell’umanità. 

E per noi, per noi uomini e donne di oggi, per noi che ogni tanto ci sintonizziamo sul Vangelo, troppo raramente da percepirlo come una eco di altri mondi, chi è Gesù per noi? Ci avessimo la luce che ha illuminato Pietro! 

Anche noi dobbiamo stamane fare un atto solenne di fede: Gesù tu sei la mia vita, tu sei la verità della mia esistenza, tu sei la vita che voglio piena, bella, buona, pulita per me, per i miei figli, per i nostri giovani, per gli ammalati, per tutti.

27 Agosto
+Domenico

Mi occorre un maestro che si appassiona a me

Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 23, 1-12)

In quel tempo, Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo:
«Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito.
Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati “rabbì” dalla gente.
Ma voi non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate “padre” nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. E non fatevi chiamare “guide”, perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo.
Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato».

Audio della riflessione.

Siamo tutti stufi di sentire mille parole, mille promesse, mille esortazioni da chi ha in mano i canali di comunicazione o i pulpiti nostrani delle nostre città e paesi. Parole in continuazione per dire esporre, spaccare il capello in due e forse ingannare e vendere felicità a buon mercato. Ancora peggio quando si sente qualcuno che fa da maestro e offre visioni di vita infallibili, ricette di onestà, insegna comportamenti, morale e modi di pensare, che non hanno niente di buono. Maestri si chiamano quelli che insegnano soprattutto a vivere. Oggi però sappiamo che ci sono molti cattivi maestri. Non tutti i giovani possono contare su qualcuno che li aiuta ad affrontare la vita, molti se ne approfittano e sono costretti solo ad imitare gli spacconi in ricerca solo di followers.  

Uno solo è il vostro maestro, Cristo. Lui, Gesù è colui che ci insegna, Lui è la via, la verità e la vita, lui ci indica la strada da percorrere, il percorso della felicità, Lui si sa prendere cura con pazienza delle nostre ansie di bontà, dei nostri desideri di abbandono, della nostra vita intera, dello spirito e del corpo, del rapporto con noi stessi e con Dio, il Padre amatissimo, che riempie le sue giornate, il suo cuore. Ha una assoluta capacità di penetrare il nostro intimo con la sua Parola che arriva fino là dove la coscienza si apre al vero e al bene e decide della sua felicità.  

Gesù percorre le strade della Palestina per insegnare agli uomini la strada che conduce a Dio, per aprirli e disporli alla buona notizia definitiva. Il maestro sa fare i passi dell’allievo, ma non si ferma al suo ritmo, continua a spingerlo sempre più avanti, senza forzare, ma senza adagiare, senza costringere, ma senza accontentare al ribasso, senza  plagiare, ma senza abbandonare nella solitudine. Illumina, sorregge, sprona, sostiene, stimola, invita, rafforza e lancia verso una vita piena, libera, autentica, donata. 

Mi vengono in mente tanti giocatori esordienti nel calcio, che hanno avuto la fortuna di trovare o un allenatore o un compagno di gioco famoso che ha fatto di tutto per lanciare l’esordiente con passione alle sue stesse vette e superarlo. 

Il discepolo presto camminerà da solo, potremo ciascuno prendere la nostra strada originale e fedele e vedremo aprirsi un cielo sopra di noi abitato dalla sua presenza che illumina le strade della nostra vita confusa e fragile.  Ogni cristiano cammina con le sue gambe, ma sa che Gesù con il suo Spirito sempre lo sorregge per le nostre periferie spaesate. 

26 Agosto
+Domenico

Chi devo essere per vivere da Cristiano?

Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 22, 34-40)

In quel tempo, i farisei, avendo udito che Gesù aveva chiuso la bocca ai sadducèi, si riunirono insieme e uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova: «Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?».
Gli rispose: «”Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”. Questo è il grande e primo comandamento. Il secondo poi è simile a quello: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti».

Audio della riflessione.

Ci viene spesso spontanea la domanda: quale è il punto più importante della vita cristiana? Chi è il vero cristiano? E’ chi va a messa? È chi paga le tasse? È chi si comporta bene? Chi non ruba? Chi fa il suo dovere? La tentazione di semplificare è tanta, anche se è giusto puntare sempre all’essenziale. Vorremmo forse un cristianesimo in pillole per potercelo sistemare una volta per tutte. Della serie: la mia vita è un’altra, ho tante preoccupazioni, tanti interessi, programmi, ideali. Non posso correre dietro ai preti, però è giusto avere qualche principio proprio per mettere a posto anche questo. Nella vita ci vuole una sorta di ordine.  

La fede è vista come uno dei tanti tasselli della vita, dei tanti obblighi, delle tante cose che purtroppo occorre mettere in conto perché prima o poi ci devi incappare: o i sacramenti dei figli, o il matrimonio, o qualche malattia, o la morte dei nonni, o qualche confraternita in cui hai amici o perché sei imparentato con qualche frate o suora…C’è qualcosa che posso fare senza troppo impegno e che mi mette il cuore in pace? 

Gesù è molto preciso, ma come sempre destabilizzante: il centro della vita cristiana non è qualcosa da fare, ma un modo di essere, per cui non è un gesto da compiere una volta per tutte così che ti sei messo a posto, ma è una vita di amore. E’ amare Dio. Amare Dio non è una preghierina del mattino, non è un soprammobile sul comodino, non è una scaramanzia da fare ogni giorno prima di salire in automobile. E’ mettere Dio al centro della vita. 

Ma ancora di più dice Gesù: essere cristiani è amare allo stesso modo anche il prossimo. Sapere che gli altri fanno parte della nostra vita e non posso vivere senza stabilire con loro rapporti di amore, di dono, di amicizia, di convivenza positiva e generosa.  

Chi voleva la formuletta mordi e fuggi, prendi e sigilla se la deve scordare. Essere cristiani è semplice, non è un insieme di adempimenti complicati, ma è vivere in modo completamente diverso da quanto ci suggerisce il mondo. E’ essere responsabili nei confronti di tutta la terra, l’umanità, la dignità umana, la bellezza e l’importanza di essere umani in pienezza in questo nuovo mondo che tenta di trasformarci in  numeri che contano solo perché consumano. 

Per questo la vita cristiana è una vita di speranza, perché sa puntare al cuore della costituzione di un modo di vivere: l’amore.

25 Agosto
+Domenico

 

Ciascuno di noi è stato scelto e chiamato da Dio alla vita e alla fede  

Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 1, 45-51)

In quel tempo, Filippo trovò Natanaèle e gli disse: «Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè, nella Legge, e i Profeti: Gesù, il figlio di Giuseppe, di Nàzaret». Natanaèle gli disse: «Da Nàzaret può venire qualcosa di buono?». Filippo gli rispose: «Vieni e vedi».
Gesù intanto, visto Natanaèle che gli veniva incontro, disse di lui: «Ecco davvero un Israelita in cui non c’è falsità». Natanaèle gli domandò: «Come mi conosci?». Gli rispose Gesù: «Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto l’albero di fichi». Gli replicò Natanaèle: «Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d’Israele!». Gli rispose Gesù: «Perché ti ho detto che ti avevo visto sotto l’albero di fichi, tu credi? Vedrai cose più grandi di queste!».
Poi gli disse: «In verità, in verità io vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sopra il Figlio dell’uomo».

Audio della riflessione.

Ognuno di noi risponde nella vita a una chiamata di Dio, nessuno è a questo mondo a caso. Pensiamo di essere frutto di questo o quel rapporto tra papà e mamma, qualcuno forse è frutto di violenza…altri non erano aspettati e sono nati lo stesso. Intanto siamo sicuri di esserci, ci è cresciuta la consapevolezza che abbiamo una vita da vivere e ne siamo stati subito contenti; poi forse sono arrivati dispiaceri, sfortune o malanni. Noi sappiamo però che  la vita di ciascuno è un dono di Dio fatto a noi personalmente. Siamo stati pensati da Dio. Oggi il vangelo ci pone di fronte alla chiamata di un apostolo e questo ci invita a fare della nostra vita ancora di più una risposta di amore non solo ai nostri genitori, ma soprattutto a Dio. 

Nel raccontare la vita di Gesù l’evangelista Giovanni lo deve presentare  come il Figlio di Dio a gente che non lo conosceva, che lo riteneva una persona insignificante nativa di Nazaret, paesino sconosciuto e mai citato nelle sacre scritture. Gesù si presenta come testimoniato da Giovanni il Battista prima di tutti, e in seguito da tutti gli  apostoli  e da ultimo, proprio da Natanaele. In seguito tutti i vangeli dopo la sua ignominiosa morte si dedicheranno a far conoscere chi era Gesù con tutti i miracoli e la sua vita. Giovanni inizierà subito dopo col   grande segno dell’acqua cambiata in vino a Cana, il paese dove è nato Natanaele e che sicuramene era tra gli invitati a nozze. 

Gesù sa che Natanaele è un ebreo fedele all’AT e sincero; non si comporta come tanti ebrei del suo tempo, molto fedeli alle Scritture, ma imprigionati nei significati dati loro dalle tradizioni, incancreniti nella loro opposizione alla grande novità che è Gesù. Sappiamo come si sono comportati i suoi compaesani di Nazaret che hanno tentato di buttarlo giù dal monte per ammazzarlo. Natanaele vuol pensare con la sua testa; nessun predicatore lo strapperà dalle scritture dell’Antico Testamento, senza un richiamo profondo alle stesse scritture e Gesù gliene suggerisce una: In verità, in verità vi dico che vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sopra il Figliuol dell’uomo.  

Questa nell’AT era stata una investitura di Giacobbe, con la visione della scala su cui salivano e scendevano gli angeli da Dio a lui, come di un vero rappresentante di Dio per il suo popolo. Ora questi angeli faranno scala su Gesù che è quindi veramente il Figlio di Dio. Gesù quindi conferma a Natanaele, che se lui vive veramente la fede di Israele, la fede degli ebrei, degli scribi, dei leviti non potrà non sfociare sullo stesso Gesù, se  sa presto superare le sue idee a confronto con una nuova parola, quella di Gesù. E così Natanaele ha proprio fatto. Noi oggi siamo invitati da San Bartolomeo ad essere fedeli al vangelo, anche di questi tempi in cui hanno ragione tutti, fuorché quelli che credono in Dio, di fronte a chi usa Dio per promuovere se stesso, di fronte a chi usa il segno di croce o la stessa croce per accreditare il suo pensiero e non quello di Dio, ma soprattutto di fronte a chi ci ritiene inutili come cristiani alla vita del mondo di oggi, alla pace contro la guerra insensata, alla responsabilità di fronte allo  sfruttamento della terra come bene privato, alla ricerca di prospettiva nel progettare la nostra vita dentro una umanità di fratelli e non di nemici. San Bartolomeo ce ne dia la forza, l’intelligenza e la costanza. 

24 Agosto
+Domenico

La felicità è sempre pienezza per tutti senza differenze

Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 20,1-16

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:
«Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Si accordò con loro per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna. Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano in piazza, disoccupati, e disse loro: “Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto ve lo darò”. Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno, e verso le tre, e fece altrettanto. Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano lì e disse loro: “Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far niente?”. Gli risposero: “Perché nessuno ci ha presi a giornata”. Ed egli disse loro: “Andate anche voi nella vigna”.
Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: “Chiama i lavoratori e da’ loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi”. Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più. Ma anch’essi ricevettero ciascuno un denaro. Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone dicendo: “Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo”.
Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: “Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?”.
Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi».

Audio della riflessione.

C’è una parabola di Gesù che è proprio tutta da raccontare perché ci ha sempre fatto arrabbiare tutte le volte che l’abbiamo ascoltata. Immaginate di essere assunto inaspettatamente al lavoro. Trattate con il datore condizioni, ruolo, orario e stabilite pure il compenso equo con tanto di trattamento per la pensione, assicurazione e quant’altro. Vi applicate con serietà, intelligenza, creatività. È proprio un bel rapporto di lavoro. Accanto a voi dopo un po’ di tempo ne viene un altro e lavora: bravo anche lui, ma io è un po’ che sono assunto. Ne viene un terzo, poi un quarto; uno arriva che il lavoro è quasi finito, ci dà dentro, ma io è una vita che sto in azienda. Arriva il giorno della paga. Comincia l’ultimo e riceve quello che ho pattuito anch’io. Grande questo datore di lavoro, gli vanno proprio bene gli affari! Sa dare anche i premi di consolazione. Chissà che cosa aggiungerà al mio stipendio se quest’ultimo prende tanto.  

Una piccola avvisaglia che c’è qualcosa di insospettato gli viene dal fatto che anche gli altri prendono come quest’ultimo. Ma io sono qui dall’inizio, io ho impostato il lavoro, io ho patito ore e ore di fatica, di caldo, di stress. Sicuramente prenderò di più. No: la paga pattuita, e niente più. Torti non me ne ha fatti è vero, ma che giustizia è questa? Non posso neanche aprire una vertenza sindacale. 

Sei invidioso perché io sono buono? Sei tu la misura di tutti o è la mia magnanimità, la mia generosità? La maniera di agire di Dio non va contro la giustizia, ma la trascende. Quando imposti i tuoi rapporti sull’amore devi far saltare il contratto commerciale. Non è forse così anche in una famiglia? I figli che sono arrivati alla vita in tempi successivi non possono godere tutti dello stesso amore? Dipende da te essere nato prima? O qualcuno ti ha chiamato sempre per amore?  

Dio non ti salva perché lo meriti; ma perché ti vuole bene, un bene che copre ogni tua miseria. Il suo regno è unicamente dono e grazia. Noi non ci guadagniamo il paradiso, ma lo accogliamo come dono esorbitante ogni nostra doverosa risposta d’amore.  

Dio nessuno lo può “catturare” nei suoi schemi. Va sempre oltre. Per lui gli ultimi saranno i primi, li accoglierà con amore sorprendente. Non sei contento di essere nel pieno della tua felicità? O te la stavi costruendo solo se trovavi qualcuno più in basso di te? 

23 Agosto
+Domenico

Essere ricchi, per perdere la pace in noi e fuori di noi? No! Mai!

Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 19, 23-30

In quel tempo, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te».
A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».
Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio».
Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da lei.

Audio della riflessione.

Essere ricchi, si dice, è una fortuna. Non hai problemi quando devi comperare qualcosa, hai il cibo assicurato, non rischi di rimanere senza casa, non ti prende l’assillo delle scadenze delle bollette, degli affitti, del mutuo. Ti puoi divertire di più, puoi permetterti qualche avventura, puoi viaggiare, ma non ti puoi comperare né il tempo, né la vita. Anzi, dice il vangelo, se sei ricco non passi per la porta stretta della felicità senza fine, del paradiso. Un cammello non passa per la cruna di un ago. Abbiamo tentato con tante belle interpretazioni di allargare questa cruna dell’ago, immaginando che fosse una porta stretta e bassa, ma non così minima.  

Al vangelo non si possono fare sconti. La ricchezza può essere un dono di Dio, ma anche una tremenda fasciatura. Il discorso che fa Gesù non è di tipo marxista, non ce l’ha a morte con i ricchi, che vede solo come ingiusti e ladri, non lotta per la dittatura del proletariato, ma guarda dentro la coscienza delle persone che si affidano a quello che hanno, continuano ad accumulare, se lo tengono ben stretto e non si accorgono che perdono la pace interiore, muoiono dentro e proprio perché muoiono dentro fanno morire anche fisicamente altri di fame, diventano ingiusti.  

Sappiamo tutti che i soldi non fanno la felicità, ma tutti li cerchiamo come se fossero la soluzione dei nostri problemi. Sappiamo tutti che i mali più grandi della società, le nostre semplici e tranquille amicizie, le nostre stesse relazioni parentali spesso sono rovinate per quei quattro soldi, per cui litighiamo e che tra l’altro non ci sono necessari per vivere, eppure la tentazione è sempre grande. 

 Come ci possiamo liberare da tutto ciò? Come si può invertire questa corsa sfrenata? Dice candidamente il vangelo, se non è possibile agli uomini, è possibile a Dio. E’ da un nuovo rapporto di fede con Dio che si può vincere l’incanto della ricchezza, è la contemplazione di lui povero che ci può far cambiare vita e aiutare a dare al denaro il suo semplice e giusto posto, solo per vivere e fare dono come Dio ha fatto di sé con noi.  

Oggi a 7 giorni della festa dell’Assunta la chiesa celebra la festa di Maria Regina. E’ certo regina non dei soldi, non della ricchezza, non del sopruso o di un qualche regno che tiene sotto tutti con la corruzione, ma regina del mondo del vangelo, del mondo di Gesù, di una terra che sa farsi accoglienza di tutti e soprattutto dei più poveri. E’ regina del mediterraneo, dove troppa gente annega in cerca del necessario per vivere e vuol essere regina anche dell’ Europa se si apre all’accoglienza generosa; è regina della famiglia se i genitori quando si sono sposati l’hanno invitata a nozze perché non avevano più vino o oggi si ricordano di fare tutto quello che Gesù loro chiede. E’ regina della pace se siamo capaci di perdono, di accordo, di giustizia e di carità. E’ regina del cielo e della terra lassù in corpo e anima come l’abbiamo celebrata all’Assunta e là ci ha preparato non solo un posto, ma un mondo di pace per tutti. Se suo figlio Gesù è re del cielo e della terra e non si presenta se non sul legno della croce, così Maria non ha bisogno di incoronazioni, ma di corone del Rosario con cui tenere in preghiera e in pace tutta l’umanità.

22 Agosto
+Domenico