Per Gesù i discepoli e le discepole sono sullo stesso piano

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 8, 1-3)

In quel tempo, Gesù se ne andava per città e villaggi, predicando e annunciando la buona notizia del regno di Dio.
C’erano con lui i Dodici e alcune donne che erano state guarite da spiriti cattivi e da infermità: Maria, chiamata Maddalena, dalla quale erano usciti sette demòni; Giovanna, moglie di Cuza, amministratore di Erode; Susanna e molte altre, che li servivano con i loro beni.

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Si fa sempre tanto parlare di femminismo, di maschilismo e sembra che nella chiesa solo perché le donne non possono diventare presbiteri o vescovi, ci sia disprezzo o sottovalutazione della donna. Gesù non è proprio di questo avviso, anche perché già nei suoi percorsi per la Palestina ad annunciare il vangelo è attorniato anche da donne oltre che dal gruppo degli apostoli. L’evangelista Luca è molto attento a mettere in evidenza questa speciale attenzione di Gesù verso le donne, e pone i discepoli e le discepole sullo stesso piano. Ci sono anche i loro nomi: Maria Maddalena, nata nella città di Magdala, detta erroneamente la peccatrice e di cui si è tanto inventato e romanzato, dimenticando che è stata la prima annunciatrice della Risurrezione di Gesù. 

Lui l’ha guarita da sette demoni. Giovanna, moglie di Cusa, procuratore di Erode Antipa, che era governatore della Galilea. Susanna e diverse altre. Di queste si dice che “servono Gesù con i loro beni”. Gesù permette che un gruppo di donne lo “segua” . Alla morte di Gesù Marco informa che c’erano anche alcune donne, che stavano sotto la croce e poi ad osservare da lontano, tra le quali Maria di Màgdala, Maria madre di Giacomo il minore e di Giuseppe, e Salomé, che lo seguivano e servivano quando era ancora in Galilea, e molte altre che erano salite con lui a Gerusalemme. Di esse si dice che seguivano Gesù, lo servivano e con Lui salirono a Gerusalemme, dove il verbo “ salivano” ha un significato più profondo del fare una strada in salita; è la condivisione del percorso verso il dono supremo di sé di Gesù che vive il salire a Gerusalemme, dove fu crocifisso, dando la vita per l’umanità come l’apice della sua vocazione. 

Altre donne incontrate da Gesù sono: Marta e Maria, le sorelle di Lazzaro, Maria, madre di Giacomo, ed Anna, la profetessa di 84 anni di età. Purtroppo la tradizione ecclesiastica immediatamente seguente ai tempi del vangelo non ha dato sufficiente valore a questo discepolato delle donne con lo stesso peso con cui dà valore alla sequela di Gesù da parte degli uomini, non dico solo degli apostoli. L’importanza di questa relazione di Gesù con le donne è una novità, non solo per la presenza delle donne attorno a Gesù, ma anche e soprattutto per l’atteggiamento di Gesù in rapporto a tutte quelle che incontra nella sua predicazione. Ricordo come la forza liberatrice di Dio, che agisce in Gesù, fa sì che la donna si alzi ed assuma la sua dignità. Gesù è sensibile alla sofferenza della vedova e solidarizza con il suo dolore. 

Il lavoro della donna che prepara il cibo è considerato da Gesù come un segnale del Regno. La vedova tenace e decisa che lotta per i suoi diritti è considerata modello di preghiera e quella vedova povera che butta nel tesoro del tempio tutto il necessario che ha per vivere è modello di dedizione e di dono senza riserve e di umiltà. Nella sua epoca che non prendeva molto in considerazione le donne, Gesù le accoglie e le sceglie come testimoni della sua morte, della sua sepoltura e della risurrezione. Un atteggiamento veramente rivoluzionario e profetico, che noi oggi non possiamo non mettere in risalto, non solo contro i femminicidi che stanno imbarbarendo la nostra convivenza civile, ma anche per tutte le disuguaglianze di diritti che ancora non sono riconosciuti per tutti: uomini e donne.

22 Settembre
+Domenico

Gesù punta su di lui il dito e dice: Seguimi, pianta tutto

Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 9, 9-13)

In quel tempo, mentre andava via, Gesù vide un uomo, chiamato Matteo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi». Ed egli si alzò e lo seguì.
Mentre sedeva a tavola nella casa, sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e se ne stavano a tavola con Gesù e con i suoi discepoli. Vedendo ciò, i farisei dicevano ai suoi discepoli: «Come mai il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori?».
Udito questo, disse: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate a imparare che cosa vuol dire: “Misericordia io voglio e non sacrifici”. Io non sono venuto infatti a chiamare i giusti, ma i peccatori».

Audio della riflessione.

Prendere decisioni per la propria vita, il proprio futuro, per quella felicità cui tutti siamo chiamati, consapevoli di dare un senso bello e pieno alla vita è sempre molto difficile. Si procede spesso per tentativi, dentro incertezza e rischio. Quale è la mia vera strada? C’è qualcuno che mi aiuta a trovare la strada giusta? C’è un satellitare infallibile? Spesso forse siamo in attesa che sia qualcun altro che decide per noi. Non è bello non caricarci della responsabilità della scelta, e nemmeno pensare di scaricare su altri i nostri fallimenti. 

Qualcuno invece sembra abbia deciso bene, se ne sta tranquillo a fare i fatti suoi, a un certo punto però si accorge che c’è qualcosa che non quadra nella vita oppure viene posto di fronte con evidenza a una luce, a una intuizione, a una verità, mai finora percepita, che gli fa cambiare radicalmente strada, gli si aprono gli occhi, si sente dentro una voce, una spinta che non lo lascia tranquillo. 

Matteo era uno di questi. Pacifico, stava a contare i suoi soldi in banca, aveva un lavoro fisso, disprezzato da tutti perché se la intendeva per forza di cose con i romani, potenza occupante della Palestina; un avvenire sicuro, una cerchia di amici della stessa risma che gli faceva da cortina di fumo per non vedere i problemi, qualche bella cena, qualche buona avventura e guadagno sicuro. 

Ma un giorno gli capita al banco dove sta contando euro a non finire Gesù. E Gesù punta su di lui lo sguardo, il dito, la sua persona, la sua voce perentoria, tutto il suo fascino e gli dice: Seguimi! e lui alzatosi, messosi dritto davanti a Gesù, davanti alla vita, davanti a un nuovo futuro, nella dignità di tutta la sua umanità, messa in discussione da questo invito, lo seguì. 

Continua ancora la sua vita di relazione, ha ancora i suoi amici, sicuramente deve giustificare loro perché abbandona la sua ricca posizione sociale per correre dietro a un predicatore che non si sa quanto raccomandabile sia; sta di fatto che vuole che Gesù incontri questa sua potente fasciatura, tutto il mondo di pubblicani che lo accerchia. 

E Gesù va con grande scandalo dei benpensanti a sradicare certezze e a portare la sua speranza. Gesù non disdegna nessuna delle nostre mense, si fa compagno di tutti, non ha paura, vuole solo la nostra felicità.

21 Settembre
+Domenico

Hai sempre una scusa pronta!

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 7, 31-35)

In quel tempo, il Signore disse:
«A chi posso paragonare la gente di questa generazione? A chi è simile? È simile a bambini che, seduti in piazza, gridano gli uni agli altri così:
“Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato,
abbiamo cantato un lamento e non avete pianto!”.
È venuto infatti Giovanni il Battista, che non mangia pane e non beve vino, e voi dite: “È indemoniato”. È venuto il Figlio dell’uomo, che mangia e beve, e voi dite: “Ecco un mangione e un beone, un amico di pubblicani e di peccatori!”.
Ma la Sapienza è stata riconosciuta giusta da tutti i suoi figli».

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Ci sono giornate in cui ci si mette tutto di traverso. Non te ne va bene una. Disperato, ti rifugi nell’oroscopo, e così aumenta l’illusione e, a tempo giusto, la depressione. Ma ci sono giornate, e sono le peggiori, in cui sei tu che hai sempre una scusa pronta di fronte a tutto e a tutti, perché vuoi stare nella tua comodità. Fingi di cercare qualcosa che vale per la tua vita, ma applichi a tutto ciò che ti mettono davanti e a tutti i risultati delle tue ricerche un netto rifiuto. Esiste un torpore della vita, un egoismo camuffato da serietà, un immobilismo conservatore delle proprie posizioni e dei propri privilegi, che sa spegnere ogni entusiasmo. 

Mi immagino un papà di fronte a un figlio: non c’è nessuna proposta che lo smuove, ma mi immagino anche un giovane di fronte a qualche prospettiva di lasciare il branco, di prendersi in mano la vita, di darle una svolta di autenticità; niente: il mio pub, la mia latta con cui scarrozzo per tutti i centri commerciali i miei amici, le mie abitudini piccole, piccole. Io sto bene così. 

A Gesù capitava spesso di trovarsi di fronte a muri di gomma, a gente incapace di spostarsi di una virgola, incapace di dare slancio alla propria vita. Prima di lui calcava la scena Giovanni, un fustigatore di costumi, un uomo rude, scomodo, provocatore. Figurati se io mi lascio incantare da questo spiritato! Non fa ‘l fanatico. 

Arriva Gesù: la dolcezza in persona, l’uomo di compagnia che non crea distanze nè col buono né col delinquente. “Per chi mi hai preso? per un sentimentale? ci vuole altro per me nella vita! E anche di fronte a Gesù ha trovato la scusa per farsi sempre e solo i fatti suoi. 

E rimani solo nel tuo brodo, nelle tue false sicurezze, nella tua mediocrità felice e la vita ti si spegne ora lentamente, ora in fretta come una sigaretta che fumi sulla porta di casa. Decidi una vita senza speranza. 

Chi invece è capace di scegliere viene subito sostenuto da quello che fa. La speranza non è mai senza concretezza, i fatti la dimostrano. I martiri della nostra fede non hanno tergiversato mai, non si sono fatti portare una margherita per strappare, i petali e decidere che fare; non hanno giocato a dadi se seguire o no Cristo; hanno dato la vita a Cristo, non solo qualche momento o non hanno detto qualche preghierina soltanto a sera o fatto qualche buon gesto. Oggi chiediamo ai santi martiri coreani Andrea e Paolo cui ne sono associati 101 con i loro nomi precisi e purtroppo le persecuzioni in Corea ne uccisero ancora più di 10.000) di intercederci da Dio sempre il coraggio della loro fede.

20 Settembre
+Domenico

I nostri cortei di giovani e di meno giovani

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 7,11-17)

In quel tempo, Gesù si recò in una città chiamata Nain, e con lui camminavano i suoi discepoli e una grande folla.
Quando fu vicino alla porta della città, ecco, veniva portato alla tomba un morto, unico figlio di una madre rimasta vedova; e molta gente della città era con lei.
Vedendola, il Signore fu preso da grande compassione per lei e le disse: «Non piangere!». Si avvicinò e toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. Poi disse: «Ragazzo, dico a te, àlzati!». Il morto si mise seduto e cominciò a parlare. Ed egli lo restituì a sua madre.
Tutti furono presi da timore e glorificavano Dio, dicendo: «Un grande profeta è sorto tra noi», e: «Dio ha visitato il suo popolo». Questa fama di lui si diffuse per tutta quanta la Giudea e in tutta la regione circostante.

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Sotto gli occhi di chi passava per Nain una località della Palestina un giorno si incrociano due cortei: da una parte il funerale di un ragazzo, accompagnato da sua madre vedova, uno sguardo forse fatale sulla vita e dall’altra una accozzaglia di gente: la tanta gente che è rimasta incantata da Gesù; da una parte una mesta e continua solidarietà fatta di commiserazione e forse anche di domande, Dio non voglia, di bestemmie contro un Dio che non vede, non sente, non ha cuore; dall’altra un popolo ancora disordinato, curioso, appena svegliato da un letargo di secoli, che comincia a sperare. Anche loro si fanno domande, quelle che i discepoli di Giovanni avranno il coraggio di esternare. Sei tu quello che aspettiamo? 

Si incrociano una conclusione e un inizio, la realtà e il sogno: lo spartiacque è Gesù. E Gesù scompone, altera, cambia la realtà, e dà gambe ai sogni. Dice perentorio, autorevole, deciso: Ragazzo alzati. La morte di fronte a lui è impotente. Si ritira. La meraviglia è grande. I due cortei si sciolgono e si confondono, la disperazione e la speranza si ricompongono in una nuova realtà, sono uniti da una certezza: Dio ha visitato il suo popolo. Non è vero che siamo di nessuno. Non siamo abbandonati in una landa di ululati solitari. 

Nella mia esperienza di vescovo ho visto tanti cortei di giovani, sempre molto lieti, cercatori, curiosi e pieni di domande. Penso alla GMG di Lisbona. penso ai pellegrinaggi a Fatima, a Lourdes o a Medjugorie, dove ho confessato non poche volte la marea di giovani che con la morte dentro, vogliono sentirsi dire: ragazzo alzati. Anche nella festosa GMG molti giovani hanno udito questo invito di Gesù: ragazzo alzati, riprendi a vivere una vita bella, felice, sana. E’ una domanda che nasce nel cuore di tutti anche di noi anziani. E’ possibile riprendere la vita cristiana sempre; Gesù ci fa sentire la sua voce: alzati. 

Perché c’è stato ancora un altro corteo solo di dolore, un corteo peggiore di un funerale, un corteo di odio, di cattiveria, di sopraffazione, di vendetta, il corteo del Calvario, solo che quello crederà di aver vinto, di essere definitivo, di aver affossato definitivamente le speranze: ma quel Cristo che crederà di eliminare con la morte, Dio lo risusciterà e farà a tutti in ogni corteo della storia il suo comando: alzati.

19 Settembre
+Domenico

La fede è una vita vera, decisa, sicura

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 7, 1-10)

In quel tempo, Gesù, quando ebbe terminato di rivolgere tutte le sue parole al popolo che stava in ascolto, entrò in Cafàrnao.
Il servo di un centurione era ammalato e stava per morire. Il centurione l’aveva molto caro. Perciò, avendo udito parlare di Gesù, gli mandò alcuni anziani dei Giudei a pregarlo di venire e di salvare il suo servo. Costoro, giunti da Gesù, lo supplicavano con insistenza: «Egli merita che tu gli conceda quello che chiede – dicevano –, perché ama il nostro popolo ed è stato lui a costruirci la sinagoga».
Gesù si incamminò con loro. Non era ormai molto distante dalla casa, quando il centurione mandò alcuni amici a dirgli: «Signore, non disturbarti! Io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto; per questo io stesso non mi sono ritenuto degno di venire da te; ma di’ una parola e il mio servo sarà guarito. Anch’io infatti sono nella condizione di subalterno e ho dei soldati sotto di me e dico a uno: “Va’!”, ed egli va; e a un altro: “Vieni!”, ed egli viene; e al mio servo: “Fa’ questo!”, ed egli lo fa».
All’udire questo, Gesù lo ammirò e, volgendosi alla folla che lo seguiva, disse: «Io vi dico che neanche in Israele ho trovato una fede così grande!». E gli inviati, quando tornarono a casa, trovarono il servo guarito.

Audio della riflessione.

Non è raro anche ai nostri giorni incontrare gente che ha una fede incrollabile. Quando si parla del loro futuro, della loro esperienza, della vita di famiglia, dei progetti della propria vita vanno avanti con una decisione invidiabile. Ci sentiamo sicuri nelle mani di Dio. Affidiamoci a Dio che sicuramente ci aiuterà; se siamo nelle mani di Dio, non ci capiterà niente di male… Noi invece spesso siamo titubanti, viviamo di se e di ma, di forse e di verbi al condizionale: sarebbe bello se… certo ci potrebbe capitare che… almeno mi rendesse qualcosa credere in Dio?! 

Un uomo invece tutto di un pezzo è questo pagano, questo capitano che ha a casa un servo che sta male e gli interessa vederlo tornare sano. Lui è un militare. È abituato a comandare, ha idee chiare, sa di chi può disporre e come disporne, non ammette tergiversazioni. Fa questo, fa quell’altro, sbrigati, prendi questa posizione.. abbiamo tutti in mente come sono determinati e come non ammettano eccezioni tutti i militari di questo mondo. 

Ebbene il centurione paragona la sua vita a quella di Gesù. Se Gesù viene a offrire agli uomini una parola di salvezza e dice di essere in contatto con Dio tanto da dichiararsi suo Figlio deve essere assolutamente risoluto e capace di ottenere quello che vuole. Che figlio di Dio sarebbe se dovesse anche lui vivere di congetture, aspettarsi qualche decisione di maggioranza per fare qualcosa? 

Avere fede è un vago sospiro di chi alza gli occhi al cielo più rassegnato che convinto o è un investimento serio sulla nostra vita che ci apre orizzonti nuovi possibilità impensate, dialogo confidente con il Signore? Ecco, lui si immagina che la fede sia una forza, una certezza, non certo matematica, ma capace di ribaltare una vita e di farla crescere e renderla più bella e più vera. Gesù lo loda. Dice il vangelo che Gesù restò ammirato e disse che una fede così non la vedeva nemmeno tra i credenti. 

Il problema è che tante volte ci abituiamo alla fede senza renderci conto della novità e della forza che ha, non la valorizziamo e talvolta ci sembra un peso. Abbiamo bisogno di imparare da chi non crede per vedere quanto siamo fortunati ad essere credenti. 

La fede è una cosa seria, non è un optional o un altro tentativo di tirare a campare; è una vita bella, felice e piena di speranza.

18 Settembre
+Domenico

Per essere capaci di perdono occorre riconoscere che siamo perdonati da Dio

Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 18, 21-35)

In quel tempo, Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette.
Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi.
Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa”. Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito.
Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: “Restituisci quello che devi!”. Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò”. Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito.
Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?”. Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto.Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello».

Audio della riflessione.

Ci rappresenta un po’ tutti quella parabola che narra di quel servitore perdonato alla grande dal suo creditore, che fa lo strozzino con un suo debitore che in confronto gli deve solo quattro miseri spiccioli. Vagonate di oro era il suo debito, pochi soldi il suo credito. Questa è la nostra fotografia di fronte a Dio. Il nostro debito verso di Lui è senza misura e Lui se lo carica sulle spalle e ce lo cancella. Siamo stati perdonati, ma non abbiamo ancora capito che cosa è il perdono, non lo abbiamo ancora accolto, ci è rimasta dentro una mentalità da schiavo, calchiamo sempre con i nostri passi il perimetro della prigione che ci siamo fatti allontanandoci da Dio. Siamo abituati a vivere in una pozzanghera e non sappiamo renderci conto del mare aperto. Giochiamo ancora con le barchette di carta. 

Chi ci permette di accettare la pienezza del perdono è lo Spirito. Dio ci fa liberi, noi a mala pena ci sentiamo liberati, abbiamo ancora addosso tutta la fasciatura del male, tutta la nostra mentalità da galeotti, da gente che deve sfruttare le occasioni, deve calcolare, deve farsi rincrescere la bontà. Siamo ancora ammalati di delirio di onnipotenza, il modello di ragionamento non è affatto cambiato. Quello che lo strozzino descritto nel vangelo fa al suo debitore è ancora legato al suo falso “ti restituirò tutto” detto al padrone, a Dio, una falsità consapevole, con la pretesa di imbrogliare il Signore, che è tanto buono da far finta di niente, sapendo che purtroppo si sta rovinando con le sue stesse falsità. 

Il suo comportamento con il suo piccolo debitore è evidentemente crudele, ma è più sottile e infido di quanto pensiamo. Ha considerato il condono ottenuto, una sua furbizia, un suo merito dovuto alla sua richiesta e non assolutamente un invito a cambiare il suo cuore. Crede di essere lui il salvatore, ma non ha ancora capito di essere un salvato, un comprensivo e non ha capito di essere un perdonato, uno che accoglie e non ha capito di essere stato accolto, un giusto e non ha capito di essere stato giustificato, uno che può esprimere amore, ma non ha capito che è stato tanto amato. Ma salvatore, comprensivo, accogliente, giusto, amabile è Dio, non Lui. Non ci passa nemmeno per la testa che queste qualità devono essere d’ora in avanti le nostre, che il dono più grande del perdono è il cambiamento del cuore. 

Proprio per questo il perdono di Dio è legato al nostro perdonare, è quel gesto di Dio che è legato indissolubilmente alla nostra libertà; Dio non riesce a perdonare se nella nostra libertà non ci lasciamo cambiare dal suo perdono. Il perdono torna indietro. 

Toccherà ancora a Dio riprenderci perché Lui non ci abbandona mai.

17 Settembre
+Domenico

Cerchiamo sicurezze, che costano, ma che ci danno garanzia di futuro

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 6, 43-49)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Non vi è albero buono che produca un frutto cattivo, né vi è d’altronde albero cattivo che produca un frutto buono. Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dagli spini, né si vendemmia uva da un rovo.
L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda.
Perché mi invocate: “Signore, Signore!” e non fate quello che dico?
Chiunque viene a me e ascolta le mie parole e le mette in pratica, vi mostrerò a chi è simile: è simile a un uomo che, costruendo una casa, ha scavato molto profondo e ha posto le fondamenta sulla roccia. Venuta la piena, il fiume investì quella casa, ma non riuscì a smuoverla perché era costruita bene.
Chi invece ascolta e non mette in pratica, è simile a un uomo che ha costruito una casa sulla terra, senza fondamenta. Il fiume la investì e subito crollò; e la distruzione di quella casa fu grande».

Audio della riflessione.

Si continua a dire che oggi mancano i valori, mancano i riferimenti, i giovani non hanno nessuna certezza cui aggrapparsi, ciascuno naviga a vista, senza bussola, senza sapere dove sta andando. Mai come oggi si sente la necessità di ancorare l’esistenza a qualcosa di solido, di incrollabile, a qualcosa che ti dà sicurezza. 

Vuoi affrontare la vita di famiglia, vuoi affrontare un nuovo lavoro, ti vuoi impegnare in una attività sociale, ma vuoi sapere su che basi solide. Quando si applicano queste ansie al mondo economico, alla vita fisica, agli interessi della produzione si esce il prima possibile dall’incertezza. Le banche cercano principi solidi di credito, non si possono permettere avventure, anche se qualcuno le tenta ingannando tutti. Nella conduzione delle nostre piccole o grandi economie domestiche si cercano punti solidi, lavori sicuri, impegno di piccoli o grandi capitali con tanta oculatezza e spesso si sperimenta il fallimento, manca il lavoro, vengono meno le solidarietà. Ti capita una siccità e per di più una grandinata, devi comperarti tutta l’acqua da un pozzo e speri che vada tutto bene. 

E nella vita spirituale? Purtroppo ci adattiamo a tutto, seguiamo la moda, ci facciamo ingannare dalle pubblicità, da stili di vita ingannevoli, i classici specchietti per le allodole. Lo spirito è l’ultima cosa a cui penso, la religione l’ho accantonata. Il mondo dei mass media spesso è complice a ragion veduta, distribuisce ricette di felicità insospettabili, ti chiude gli orizzonti sulle cose o sui soldi e alla fine sei a mani vuote. 

Gesù ha una immagine che stigmatizza molto bene questa situazione: stiamo costruendo la casa sulla sabbia. Stiamo costruendo la nostra vita sul niente, sull’effimero, sull’inconsistenza, sui disvalori, sull’inganno. Non regge, non è possibile avere futuro. Puoi stare a galla in tempi normali, forse, ma basta una piccola difficoltà che tutto crolla. E siamo sufficientemente smagati per vedere quanto maggiori sono i tempi di burrasca nella vita che i tempi di tranquillità. Sembriamo gente che si mette in viaggio con un bel cielo sereno e crede che sia sempre così, non si ricorda del vento, della pioggia, del freddo, della bufera. Crede sufficiente la solita maglietta, affronta l’inverno in maniche di camicia. 

La nostra vita va fondata sulla roccia, non può rischiare di franare per il primo colpo di vento. E la roccia, i valori, il riferimento, la sicurezza è Gesù, è la sua parola. Metterla in pratica, averla sempre come riferimento della vita è costruzione su fondamenta solide. È fondare la vita su Gesù. Se facciamo questo stiamo sicuri che la roccia che è Dio non cederà. Il suo amore è per sempre.

16 Settembre
+Domenico

La mamma del Magnificat ha una spada nel petto

Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 19, 25-27)

In quel tempo, stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Clèopa e Maria di Màgdala.
Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco tuo figlio!».
Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre!».
E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé.

Audio della riflessione

Il dolore cercano di nasconderlo tutti, la morte pure, la malattia è una privacy assoluta. E’ anche un vero pudore, perché la sofferenza non è da mettere in piazza, ma spesso è mancanza di coraggio nell’affrontare i nostri mali. Vivere il dolore in compagnia è già una decisione di non soccombere. I cattolici hanno da sempre rappresentato davanti a sé il dolore. Ci hanno messo qualche secolo per poter contemplare il Crocifisso, ma oggi è al centro di ogni chiesa, è obbligatorio in ogni celebrazione eucaristica e le chiese dedicate alla Madonna Addolorata sono tante. Perché è importante contemplare in chi ci ha preceduto la sofferenza sopportata con coraggio e vinta per trovare e invocare forza per sopportare e vincere le nostre. 

Il vangelo ce ne dice solo una previsione, espressa da un vecchio saggio, il Calvario la riproduce dal vero. Quella lancia che avrebbe trafitto il cuore di Maria è già nella sua carne Il nostro sguardo al Calvario è sempre pieno di domande: Dove è che Dio ha spiegato potenza, disperso superbi, rovesciato potenti, innalzato umili, rimandato ricchi? Qui sta avvenendo tutto il contrario. E la Madonna del magnificat è lì. C’era la madre di Gesù come a Cana, come sempre nei momenti cruciali della storia della salvezza. Ne era passato di tempo, ne avevano macinato di kilometri Gesù e il suo gruppo. Ora sembra tutto sia finito. Lì sul Calvario ci sono tre sofferenze, tre cuori che si cercano tra due criminali e qualche militare: sono l’ultima casa impossibile che è rimasta alla speranza. Gesù sa che la mamma vien trafitta di dolore; non è da lui consolarla, perché Lui è la consolazione in persona e Maria con Lui sta alla croce per dire l’immenso amore di Dio per ciascuno di noi e ce la dona come mamma, perché quel dolore al suo cuore verrà continuamente riprodotto da tutte le nostre ingratitudini e tradimenti di figli E’ questo il testamento di Gesù, è questo che motiva la nostra festa. Noi siamo presi in affido da Maria, e la vogliamo custodire perché Gesù ce l’ha donata proprio nel momento della morte, nell’offerta di sé fino all’ultima goccia di sangue. E siccome in ogni messa si rinnova quel dono supremo, noi sappiamo che ai piedi di questo altare anche oggi c’è Maria che si sente dire da Gesù: sono tuoi figli e noi siamo confortati perché Gesù ci ripete: qui c’è tua madre. E qui anche per Lei si rinnova il prodigio della vittoria di Gesù sul male. Il demonio, dice San Giovanni Crisostomo, ha perso con le sue stesse armi: la vergine, il legno e la morte. La vergine, era Eva, perché non si era ancora unita all’uomo ; il legno, era l’albero ; e la morte, la pena in cui era incorso Adamo. Ma ecco, in compenso, la vergine, il legno e la morte, quei simboli della disfatta, diventare i simboli della vittoria. Invece di Eva, Maria ; invece del legno della conoscenza del bene e del male, il legno della Croce ; invece della morte di Adamo, la morte di Cristo. Che si è trasformata in risurrezione.

15 Settembre
+Domenico

Il vero laser della nostra notte

Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 3,13-17)

In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo:
«Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo. E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.
Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna.
Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui».

Audio della riflessione.

Mi piace pensare a Nicodemo come a un giovane che ama la notte. Ce ne sono tanti oggi che cominciano a vivere solo di notte. Il giorno è troppo pieno di compromessi, è troppo regolato da altri. Dal giorno bisogna difendersi, mettersi le cuffie, durante il giorno fare l’indispensabile, inserire il pilota automatico. Di notte invece sono io che vive, che sente le emozioni, che decide di fare quello che voglio. Non ho impegni, non ho compiti, non ho orari. Posso stare con gli amici da cui mi ha separato la settimana, posso sognare in libertà, far uscire quello che devo continuamente tenermi dentro per difendermi. Proprio per questo di notte nasce anche il bisogno di bontà, il bisogno di Dio. 

Nicodemo non riesce più a tenersi dentro tutto; è stufo marcio non ce la fa più a vivere da solo e va da Gesù. 

Dove sta il segreto della vita? Come posso avere vita piena? C’è ancora una possibilità di non lasciarci languire e cancellare ogni sogno? A chi posso alzare lo sguardo per avere davanti qualcosa, qualcuno per cui vivere? La vita è proprio fatta di continui adattamenti? Sono domande che ci facciamo anche noi adulti in pieno giorno. Mi hai messo in cuore un desiderio così grande e non mi posso adattare alle luci artificiali. I laser che vedo penetrano la notte, indicano con precisione una direzione, ma si perdono nel nulla. C’è qualcuno che sa puntare il laser nella direzione giusta? 

E Gesù, che ama la notte di Nicodemo gli dice e dice ancora a chiunque sta cercando: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio Unigenito, perché chiunque crede in Lui non morirà, ma abbia vita piena, senza fine, al massimo”. Ma che direzione indica il laser di Cristo? Indica la croce. Sembra un controsenso, ma se guardi alla croce trovi la strada della vita. Se nei tuoi sogni appare la croce, non cancellarli stanno diventando realtà. 

E il suo gesto di maggior amore è l’essere finito in croce. Oggi ricordiamo la gloria della Croce che è sempre uno strumento di morte, ma che per noi indica il grande amore di Dio per tutta l’umanità.

14 Settembre
+Domenico

Le Beatitudini si possono comprendere solo sapendo che Dio è amore per tutti

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 6,20-26)

In quel tempo, Gesù, alzàti gli occhi verso i suoi discepoli, diceva:
 
«Beati voi, poveri,
perché vostro è il regno di Dio.
Beati voi, che ora avete fame,
perché sarete saziati.
Beati voi, che ora piangete,
perché riderete.
Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell’uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i profeti. 
Ma guai a voi, ricchi,
perché avete già ricevuto la vostra consolazione.
Guai a voi, che ora siete sazi,
perché avrete fame.
Guai a voi, che ora ridete,
perché sarete nel dolore e piangerete.
Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti».

Audio della riflessione.

Siamo sempre in cerca di giudizi morali sulla vita di tutti e pensiamo che il vangelo sia un ottimo prontuario per aiutarci a giudicare soprattutto gli altri. Occorre anche sapere che cosa è bene e che cosa è male, ma per comportarci bene non ci basta un prontuario che ci aiuti a dire; questo si, questo no, abbiamo invece bisogno di conoscere di più Dio e Gesù perché dalla contemplazione del volto che ci viene proposto scaturisce non un giudizio, ma un invito ad essere santi come il Signore è Santo, Ecco le beatitudini, prima di essere una serie di cose da fare sono il volto di Dio sulla nostra vita. Ci lasciamo allora affascinare da Lui che essendo la nostra salvezza capovolge la scala dei valori dell’uomo e annuncia il modo con il quale Dio salva e vedremo che la vita cristiana diventa una gioia non solo per noi, ma per tutti. 

Luca quando presenta le beatitudini le associa anche ai “guai a voi”, non ci dicono che cosa è bene e che cosa è male, manifestano e rivelano come agisce Dio nella storia umana. Sono non poco diverse dalle leggi che Mosè consegnò agli ebrei alla sua discesa dal monte Sinai, che perentoriamente dicevano agli uomini e alle donne che cosa dovevano fare, Gesù invece ci dice che cosa fa Lui, chi è Lui per noi. Ci rivela il volto di Dio. Le beatitudini si possono comprendere solo conoscendo che Dio è amore per tutti. La prima beatitudine in Luca e il primo guai ci vogliono far capire che il regno di Dio è già ora dei poveri e che già ora i ricchi se ne escludono consolandosi con le cose. La povertà che qui si presenta è da leggere all’interno della coscienza dell’uomo. La distinzione poveri-ricchi è di facile attribuzione all’esterno, ma di difficilissima lettura all’interno della coscienza dell’uomo. Solo la parola di Dio che penetra nel profondo dell’uomo ci fa capire se siamo dei poveri-beati o dei ricchi-infelici. 

Gesù proclama felici i poveri non perché sono bravi o hanno dei meriti speciali, ma perché Dio ama ciascuno secondo il suo bisogno, e il povero è colui che ha più bisogno. Il cristiano deve impegnarsi a favore dei poveri per imitare Gesù. La storia e la cronaca del mondo attuale, piena di miserie, di fame, di pianto e di ogni genere di mali è lo spazio d’azione del credente, se vuole imitare Gesù. 

I “guai a voi” non sono un grido di vendetta o di minaccia, ma un estremo grido di compianto, di compassione e di lamento che Gesù rivolge ai ricchi perché mettono le cose al posto di Dio e non hanno ancora sperimentato la gioia di colui che vende tutto per acquistare il tesoro che è Cristo (cfr Mt 13,44). A chi è sazio, a chi si dà alla pazza gioia perché non sanno di aver consumato tutta la felicità, che invece sta solo in Dio, va ricordato che deve chiedersi e agire di conseguenza se la povertà, la mancanza di patria in cui vivere dignitosamente per molte persone non dipenda dalla sua sazietà o dal suo egoismo nel costruire muri anziché ponti.

13 Settembre
+Domenico