La forza sperimentabile dell’invisibile, come un seme o il lievito   

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 13, 18-21)

In quel tempo, diceva Gesù: «A che cosa è simile il regno di Dio, e a che cosa lo posso paragonare? È simile a un granello di senape, che un uomo prese e gettò nel suo giardino; crebbe, divenne un albero e gli uccelli del cielo vennero a fare il nido fra i suoi rami».
E disse ancora: «A che cosa posso paragonare il regno di Dio? È simile al lievito, che una donna prese e mescolò in tre misure di farina, finché non fu tutta lievitata».

Audio della riflessione.

Oggi i grandi paesi, le potenze evidenti e mostrate con i pugni, gli eserciti imbattibili delle cui bombe ogni tanto si fanno le prove, le distanze enormi e sorprendenti che i missili possono coprire in poco tempo, con grande capacità di distruzione, la quantità di mercati che si possono controllare imponendo dazi dalla mattina alla sera, le atomiche in continua proliferazione… sono le grandeur che si confrontano continuamente e che grandi leaders continuamente ingrossano per creare tensioni, paure, deterrenze. 

I brevissimi versetti del vangelo di Luca invece ci parlano di due realtà quasi invisibili: una, il granello di senapa, che si fa fatica a vedere nel palmo di una mano e l’altra ha poca consistenza e non si vede perché la massaia la nasconde addirittura nella pasta: è il lievito. Non sono missili, né bombe, ma hanno una forza invincibile che si può opporre a tutti i regni della terra. 

 Al tempo di Gesù c’era una bella differenza nell’ordine di grandezza materiale tra il piccolo Gesù che nasce in una grotta a Betlemme, e l’imperatore Augusto che nasce a Roma, tra il regno di Dio predicato dal Nazzareno e l’impero che reggerà l’imperatore Augusto. Il primo vive ancora, e siamo orgogliosi di appartenervi, del secondo si trovano tracce solo scavando sotto terra e sabbia e portando alla luce ruderi, che danno il segno della grandezza, ma ruderi sono. 

Queste due piccolezze e quasi nullità ci danno l’idea invece della rilevanza, importanze, definitività del Regno di Dio, che all’apparenza sembra un nulla, ma che alla fine mostra tutta la sua potenza interiore, e quindi racchiude per noi uno straordinario annuncio di speranza, che non è un vago presentimento, ma la forza di  un senso che siamo certi di dare ad ogni nostra vita e fatica. 

Siamo allora contenti di accogliere in noi il regno di Dio, la Parola del Signore, che è solo una Parola, che non ha gittata oltre gli oceani per colpire ovunque come i missili, ma forza interiore misteriosa di trasformare le vite di ogni persona e di mandare testimoni coraggiosi ovunque. 

 Certo la mentalità di oggi che vorrebbe tutto e subito chiede immediatamente conferme, manifestazioni che si possono provare, vedere, toccare, filmare, invece granello di senapa e pugno di lievito si mostrano solo a una attesa paziente e a un affidamento incrollabile per tutta la nostra esistenza, a ginocchia che pregano come ha fatto Gesù prima di scegliere e di mandare a due e due i suoi discepoli ad annunciare. Sono tornati con le pive nel sacco, ma hanno ridetto la loro fiducia nel Signore e hanno cambiato il mondo.  

Oggi a chi tocca ? Certo a ciascuno di noi. Sapendo che non siamo noi che fa crescere e che produce speranza, ma solo Dio e noi ci fidiamo di lui e attendiamo vigili, con le lucerne della vita in mano, consapevoli che Dio viene quando meno te l’aspetti, quando hai finito di fare calcoli e ti metti in contemplazione di Lui che viene e non ci lascia mai soli. 

31 Ottobre
+Domenico

Non mi strumentalizzare, io sono per la felicità

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 13, 10-17

In quel tempo, Gesù stava insegnando in una sinagoga in giorno di sabato. C’era là una donna che uno spirito teneva inferma da diciotto anni; era curva e non riusciva in alcun modo a stare diritta.
Gesù la vide, la chiamò a sé e le disse: «Donna, sei liberata dalla tua malattia». Impose le mani su di lei e subito quella si raddrizzò e glorificava Dio.
Ma il capo della sinagoga, sdegnato perché Gesù aveva operato quella guarigione di sabato, prese la parola e disse alla folla: «Ci sono sei giorni in cui si deve lavorare; in quelli dunque venite a farvi guarire e non in giorno di sabato».
Il Signore gli replicò: «Ipocriti, non è forse vero che, di sabato, ciascuno di voi slega il suo bue o l’asino dalla mangiatoia, per condurlo ad abbeverarsi? E questa figlia di Abramo, che Satana ha tenuto prigioniera per ben diciotto anni, non doveva essere liberata da questo legame nel giorno di sabato?».
Quando egli diceva queste cose, tutti i suoi avversari si vergognavano, mentre la folla intera esultava per tutte le meraviglie da lui compiute.

Audio della riflessione.

C’è sempre qualcuno che vuol salvare Dio con le sue intransigenze, quasi che Dio abbia bisogno di lui per esistere o per operare nel mondo. Capita così che qualcuno inventa una guerra in nome di Dio, sancisce condanne di persone in nome di Lui, perpetra torture, fa leggi che tolgono la libertà e la dignità alle persone, mantiene nella sofferenza anziché offrire gioia e libertà. Certo è difficile riuscire a far maturare la propria coscienza e quella dell’umanità che oscilla sempre tra la negazione di Dio e l’assolutizzazione dell’idea che noi abbiamo di Lui.  

Oggi nel nostro occidente è più facile vedere una esclusione di Dio dalla vita, mentre in Oriente sembra che prevalga il talebanesimo, cioè una imposizione su tutti di una irrazionalità assoluta nei riguardi delle esperienze religiose.  

Il responsabile del culto che ha incontrato Gesù quel giorno nella sinagoga era di questo secondo tipo. Gesù ha davanti a sé una donna piegata da un male, che da troppo tempo la teneva nell’infelicità, di sabato la guarisce e la restituisce alla gioia di vivere.  

Il sabato è un giorno sacro, dice il capo della sinagoga; la sinagoga non è un ambulatorio, non è di sicuro il luogo in cui si può andare contro la legge di Dio. Ma tu Gesù che tanto tieni a che il nome di Dio sia lodato e benedetto, tu che vedi quanto la gente si stia allontanando da Dio, anche tu vieni a mescolare il profano col sacro, vieni a far crescere la magia, a far correre la gente in sinagoga a trasformare la religione in un placebo per disperati. Dio va lodato e benedetto, non servito con medicine e chirurgie.  

Quello che Gesù invece vuol far capire guarendo questa donna, ammalata da 18 anni, è di tenere in grande dignità e considerazione la vita umana. Non ci può essere contrasto tra la vita e la legge di Dio, non ci può essere subordinazione della persona  alla legge, né contrapposizione tra  i precetti e la sete di felicità vera che ha l’uomo. Sarà Lui con la sua morte in croce a rimettere al centro della vita dell’uomo la vera libertà e il vero culto a Dio: comunione con Lui e solidarietà con i fratelli. 

 Assolutizzando Dio ideologicamente, noi lo allontaniamo dalla nostra umanità, che è stata costruita a sua immagine. Ai nostri giorni forse non c’è questo pericolo perché è da tempo che abbiamo tolto Dio dai nostri pensieri, dal nostro mondo di relazioni. Non lo si adora veramente però se lo si colloca come nemico della nostra umanità, della corporeità, della voglia di vivere, della libertà perché Lui è la verità, la vera libertà e quell’amore verso cui tutti aspiriamo. 

30 Ottobre
+Domenico

Nella vita Cristiana occorre vivere un’attesa

Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 22,34-40)  

In quel tempo, i farisei, avendo udito che Gesù aveva chiuso la bocca ai sadducèi, si riunirono insieme e uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova: «Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?». Gli rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il grande e primo comandamento. Il secondo poi è simile a quello: Amerai il tuo prossimo come te stesso. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti».

Audio della riflessione.

Ci sono dei periodi nella vita in cui le uniche cose che ti interessano sono quelle concrete, quelle che vedi, che tocchi, che possiedi. Rischi di farti ingoiare dal fare, dalle cose, dal denaro, dalle realizzazioni. Tutto quello che ha senso nella vita è qui dentro ben percepibile, palpabile. È immanente.  

In altri periodi invece hai bisogno di aria fresca, di poesia; hai sete di cose che non finiscono, di spiritualità; vedi fino all’evidenza che il senso non sta nelle cose, che quattro soldi non possono decidere tutto, che la tua vita è portata sulle mani di qualcuno che sta oltre. Hai bisogno di un trascendente. O ti schiacci su un orizzonte o ti astrai in una fuga.  

Era anche questa la domanda che la gente faceva a Gesù. Tu che te ne intendi, che dici parole che vanno dritte al cuore, ci aiuti a trovare la strada vera della vita? Siamo condannati a restare divisi in cerca di fragili equilibri che non ci lasciano mai soddisfatti o ci puoi indicare la strada vera della vita? Sono le cose che ci misurano o è possibile una fuga almeno consolatoria? 

E Gesù: amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente… Amerai il prossimo tuo come te stesso. Se hanno un senso le vostre tradizioni, se ha un senso quella legge che tanto venerate, se ha un significato per noi quanto ci hanno detto i Profeti è solo perché vi dicono questo.  

Né trascendenza, né immanenza, ma trasparenza. A Dio devi giungere, ma lo incontri se passi dall’uomo! L’uomo devi servire, ma non ti puoi fermare, lui è trasparenza di Dio, immagine, continuo rimando a lui. L’uomo vivente è gloria di Dio e vita dell’uomo è la visione di Dio, diceva S. Ireneo.  

È un modo originale di pensare Dio, di pensare la vita, di vivere atteggiamenti religiosi. Nel cristianesimo non c’è spazio per la fuga dalla vita né timore di restarne imprigionati, c’è sempre una trasparenza da guadagnare, un Dio da incontrare nell’uomo e un uomo da vedere in filigrana in Dio. Per questo il segreto della vita è l’amore, l’azione più alta in cui possiamo identificarci, sicuri che se è vero amore non è né una fuga, né una prigione ma la vita stessa di Dio, che ogni persona può sperimentare già oggi. 

29 Ottobre
+Domenico

Siamo tutti chiamati da Gesù, a uno a uno

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 6, 12-19

In quei giorni, Gesù se ne andò sul monte a pregare e passò tutta la notte pregando Dio. Quando fu giorno, chiamò a sé i suoi discepoli e ne scelse dodici, ai quali diede anche il nome di apostoli: Simone, al quale diede anche il nome di Pietro; Andrea, suo fratello; Giacomo, Giovanni, Filippo, Bartolomeo, Matteo, Tommaso; Giacomo, figlio di Alfeo; Simone, detto Zelota; Giuda, figlio di Giacomo; e Giuda Iscariota, che divenne il traditore.
Disceso con loro, si fermò in un luogo pianeggiante. C’era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidòne, che erano venuti per ascoltarlo ed essere guariti dalle loro malattie; anche quelli che erano tormentati da spiriti impuri venivano guariti. Tutta la folla cercava di toccarlo, perché da lui usciva una forza che guariva tutti.

Audio della riflessione.

Ogni scelta nella vita oggi diventa sempre più difficile, anche perché oggi si può sempre scegliere in una esasperazione dei beni godibili, tutti che ti sembrano necessari e ti tentano. Se poi devi scegliere persone che ti devono aiutare a governare è ancora peggio. 

Ecco, anche Gesù aveva da scegliere un gruppo di uomini decisi a tutto, a fare da nucleo di predicatori del vangelo, della bella notizia. E che ha fatto? Si è messo in orazione tutta notte. Si è messo in dialogo col Padre, in contemplazione della profondità dell’amore che sgorga dal cuore della Trinità per leggere in essa le vite di questi dodici uomini, le loro libertà, i loro sogni, i desideri di spendersi per gli altri. Immagino la preghiera per Pietro, per tutti i suoi slanci e le sue debolezze, la preghiera per Giovanni, il ragazzo entusiasta e fragile, deciso e bisognoso di cura, di sostegno, di fiducia come tutti i giovani, penso alla decisione di assumersi il rischio di scegliere Giuda. Lo vedeva entusiasta per una causa, lo sapeva legato a una visione di mondo violento, ma ha voluto rischiare nel dialogo profondo con Dio di puntare sulla sua libertà. Li ha scelti, ma non li ha forzati, li ha amati in Dio Padre e non li ha plagiati. Ciascuno ha presentato a Gesù la sua vita aperta al suo messaggio e nella propria libertà ha risposto. 

Con questa squadra si è messo subito all’opera, li ha coinvolti nella sua avventura, ha voluto aver bisogno di loro e ha affidato nelle loro mani il tesoro del suo corpo e del suo sangue, il futuro del suo messaggio. Lo Spirito Santo li avrebbe giorno dopo giorno forgiati e  temprati, avrebbe delineato in loro i tratti stessi di Gesù  

Così ha scelto anche gli apostoli Simone e Giuda, che oggi ricordiamo. Nel martirologio romano si legge : il 28 ottobre “In Persia il natale dei beati Apostoli Simone Cananeo e Taddeo detto anche Giuda. Di essi Simone predicò il Vangelo nell’Egitto, Taddeo nella Mesopotamia, poi, entrati insieme nella Persia, avendovi convertito a Cristo una innumerevole moltitudine di quel popolo, compirono il martirio” 

Tutti noi siamo chiamati così da Dio, nessun cristiano  è generico. Non siamo nel mondo a caso, ma soprattutto non siamo cristiani a caso, siamo sempre oggetto di una scelta personale di  Gesù. Per noi c’è un piano suo, una vocazione, una vita da vivere in un certo modo. Lui ci ha pensati per la nostra missione in una notte di preghiera, sempre, con quel Dio che non ci abbandona mai. 

Ogni annunciatore del vangelo, ogni cristiano, è stato e viene scelto così. Abbiamo fatto parte tutti delle preghiere di Gesù. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi. 

28 Ottobre
+Domenico

Non solo previsioni o emergenze, ma nuove speranze

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 12, 54-59

In quel tempo, Gesù diceva alle folle:
«Quando vedete una nuvola salire da ponente, subito dite: “Arriva la pioggia”, e così accade. E quando soffia lo scirocco, dite: “Farà caldo”, e così accade. Ipocriti! Sapete valutare l’aspetto della terra e del cielo; come mai questo tempo non sapete valutarlo? E perché non giudicate voi stessi ciò che è giusto?
Quando vai con il tuo avversario davanti al magistrato, lungo la strada cerca di trovare un accordo con lui, per evitare che ti trascini davanti al giudice e il giudice ti consegni all’esattore dei debiti e costui ti getti in prigione. Io ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fino all’ultimo spicciolo».

Audio della riflessione.

Dove stiamo andando, che direzione prende la nostra vita, i giovani che futuro potranno godere, che cosa capiterà nei prossimi anni al nostro modo di vivere? Sono domande che ogni tanto mettono ansia a un papà e a una mamma di famiglia che pensa ai suoi figli, o a qualsiasi persona che vuol sentirsi responsabile della sua vita.  

Se guardiamo indietro agli anni che ci hanno preceduto e li confrontiamo con l’oggi registriamo cambiamenti impensabili del nostro modo di vivere. Penso alla rivoluzione nelle comunicazioni, nel lavoro, nella vita di famiglia, nella immigrazione. E siamo spesso impreparati ad affrontare i problemi. Gesù nel vangelo ci dice che dobbiamo scrutare con più attenzione i segni dei tempi. Purtroppo, dice,  tutta la vostra intelligenza la mettete nel fare previsioni. Utili anche quelle. Avessimo potuto prevenire lo tsunami! Potessimo prevedere i terremoti!  

C’è anche da avere una capacità di cogliere la presenza di Dio nella storia e i segnali di conversione che ci manda. Il futuro non sta nelle previsione, ma nella speranza e occorre soprattutto in questi tempi leggere i segni di speranza che nascono nel mondo per accoglierli, svilupparli, orientare il mondo alla sua naturale direzione che è il Regno di Dio. Il Concilio Ecumenico vaticano II ci aveva aiutati a questo esercizio di lettura dei segni dei tempi, dei luoghi, cioè, in cui si manifesta maggiormente la presenza di Dio, la sua storia di salvezza. Sono indicazioni di apertura a nuovi fatti che caratterizzano il cammino della nostra storia e in essi il cristiano deve seminare la Parola di Dio, li deve orientare nella direzione giusta. 

 

Esistono oggi tanti segni di speranza che vanno sviluppati: la valorizzazione della persona concreta, l’apprezzare le differenze, l’originalità, il pluralismo, la tolleranza, il crescente e diffuso interesse per la creatività, il simbolo, i riti, la dimensione estetica della vita; la particolare e generalizzata sensibilità alla festa e alla componente ludica del vivere umano; l’attenzione alla vita quotidiana, intesa come spazio minimo vitale che consente alle persone di costruire concretamente la propria esistenza; la nuova sensibilità verso la pace, la provocazione della migrazione dei popoli che non è più una emergenza, ma una situazione certa quotidiana, da affrontare assieme come mondo e, io dico, come chiesa universale, una certa nostalgia del sacro…  Non c’è che da farsi prendere da questa speranza che sale dalla vita. 

27 Ottobre
+Domenico

 

La fede in Gesù non è un galateo

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 12,49-53

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso! Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto!
Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione. D’ora innanzi, se in una famiglia vi sono cinque persone, saranno divisi tre contro due e due contro tre; si divideranno padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera».

Audio della riflessione.

Eccettuato qualche fanatico, in genere chi imposta la vita secondo una religione è un tipo calmo, tranquillo, è uno che sta dalla parte dell’ordine, non offende nessuno, è trattabile, fa parte del sistema.  

Non doveva essere proprio così Gesù. Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; come vorrei che fosse già acceso. E tutti ricordiamo, noi adulti, come proprio nella GMG del 2000 il Papa congedava i giovani di Tor Vergata con le parole di S. Caterina da Siena: Se sarete quello che dovete essere metterete fuoco in tutto il mondo. Allora il cristianesimo non è un tranquillante, non è la codificazione del politicante corretto, non è un galateo, non è buonismo.  

Non sono venuto a portare la pace, ma la spada… Allora è tutta rivoluzione, trasgressione, ribaltamento dell’ordine costituito? Anche nel mondo degli affetti, che è per eccellenza il luogo della pace, Gesù entra con forza e porta scompiglio.  

Come sempre Gesù non lo si comprende con le nostre semplificazioni ideologiche, stringendolo nei nostri schemi di destra o di sinistra, di restaurazione o di rivoluzione. 

Quando Lui c’è, la sua presenza non si somma, non si confonde, ma determina, cambia, porta a verità, colora, dà sapore, crea anche crisi perché la pace che Lui dona non è frutto di accomodamenti o di falsità. Per accogliere la sua pace, perché questa è il grande dono di Gesù agli uomini, è necessario a volte prendere delle decisioni dolorose. 

Spesso sotto la copertura degli affetti anche all’interno della vita di coppia, della vita di famiglia si instaurano rapporti falsi, opprimenti, ingiusti. 

Gesù porta alla verità di te stesso, alla verità delle relazioni, per questo porta scompiglio, fuoco che brucia il male, l’ingiustizia, i soprusi. Gli uomini e le donne con lui acquistano dignità. E’ un acquisto sempre a caro prezzo. Chi paga e ha pagato per primo è Lui e il cristiano è un “trasgressivo” che porta su di sé la croce e non la impone agli altri. 

26 Ottobre
+Domenico

Nel nostro cuore è inscritta un’attesa impagabile  

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 12,39-48)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. Anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo».
Allora Pietro disse: «Signore, questa parabola la dici per noi o anche per tutti?».
Il Signore rispose: «Chi è dunque l’amministratore fidato e prudente, che il padrone metterà a capo della sua servitù per dare la razione di cibo a tempo debito? Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così. Davvero io vi dico che lo metterà a capo di tutti i suoi averi.
Ma se quel servo dicesse in cuor suo: “Il mio padrone tarda a venire”, e cominciasse a percuotere i servi e le serve, a mangiare, a bere e a ubriacarsi, il padrone di quel servo arriverà un giorno in cui non se l’aspetta e a un’ora che non sa, lo punirà severamente e gli infliggerà la sorte che meritano gli infedeli.
Il servo che, conoscendo la volontà del padrone, non avrà disposto o agito secondo la sua volontà, riceverà molte percosse; quello invece che, non conoscendola, avrà fatto cose meritevoli di percosse, ne riceverà poche.
A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più».

Audio della riflessione.

Attendere un compimento, una completezza è la caratteristica più comune della nostra vita umana. Siamo crepacci assetati di infinito, inquietudini in attesa di appagamento, terre assetate in attesa di una sorgente, notti che attendono l’alba, nebbie che invocano il sole.  

Siamo proiettati verso qualcosa che ci viene incontro e non siamo felici finché non è avvenuto il contatto. Salvo a vedere che non c’è niente che ci appaga definitivamente. Ogni attesa ne ha in grembo un’altra, ogni desiderio è stato fatto per scavarne un altro; ogni aspettativa ne nasconde una successiva. E la nostra vita si snoda di attesa in attesa. Quando sarà compiuta l’attesa? E’ il supplizio senza fine di Tantalo, assetato e affamato, che vede giungere alla sua bocca l’acqua e il cibo e allontanarsene appena prima di toccargli le labbra in un eterno continuo inganno oppure c’è qualcuno che appaga i nostri desideri? Perché nel nostro cuore è inscritta una attesa inappagabile, perché arrivati a un orizzonte, se ne aprono davanti sempre di nuovi, raggiunti i quali se ne aprono ancora? “Siamo fatti per te e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te!”  

L’attesa non sarà mai una delusione o un inganno se saprà veramente orientarsi al nuovo, al sorprendente;  il compimento non è turare un tombino con una botola, metterci sopra una pietra per non pensarci più, ma una nuova apertura della vita, una sfida, una impensabile prospettiva. Chi attende veramente è pronto a lasciarsi sorprendere, a predisporsi a una nuova configurazione di sé. Se il papà o la mamma aspettassero il loro figlio come un ingranaggio di una loro ruota già predeterminata e finita, lo soffocherebbero. Ma se lo aspettano come una sorpresa, come un dono, ribalta loro l’esistenza. Questo è il significato dell’essere vigilanti. Noi subito pensiamo che bisogna star svegli altrimenti ti fregano, ti sorprendono. Abbiamo il senso della vigilanza ridotto allo stare attenti per evitare l’autovelox. Essere vigilanti significa invece essere sentinelle del mattino e non becchini di un cimitero. Quando non c’è vigilanza viene a mancare una dimensione importante della fede: la capacità costante di passare da uno stato di provvisorietà a un altro. Immaginate quanto è necessario questo atteggiamento nelle precarietà cui siamo costretti a vivere oggi, soprattutto se giovani. 

Tutte le nostre più belle attese non ci hanno appagato, ma ci hanno ribaltato, ci hanno aiutato a dare alla nostra vita un’altra prospettiva, proprio perché le abbiamo accolte come un dono, come una vita. Anche i cimiteri sono pieni di loculi che attendono di essere colmati. Ma lì ci metteranno cadaveri. Noi spesso nella vita attendiamo come i loculi. Incaselliamo le persone, le vicende, le professioni, le speranze per cambiare tutto in delusioni, oggetti, scheletri. Ci sarà nella vita qualche altro modo di attendere? Come si può attendere Dio? Come Erode con la spada per ucciderlo? Come il potere per combatterlo, come il miscredente per metterlo alla prova o come Maria che ha messo a disposizione tutto: vita, pensieri, affetti, progetti, sogni, amore? 

25 Ottobre
+Domenico

La vita non è un sonnifero

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 12, 35-38

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito.
Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli.
E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro!».

Audio della riflessione.

C’è un’arte pervasiva nel mondo di oggi, di cui sono cultori soprattutto i mezzi di comunicazione sociale, che è quella del far addormentare le coscienze, imbonire le persone, orientare senza far pensare, influenzare, togliere grinta alla vita. La televisione ne è maestra; il resto lo fa la pubblicità, la carta stampata, i call center, le radio commerciali, i cellulari. Il vangelo invece ci dice che bisogna stare sempre svegli. La vita non è un sonnifero, la fede ancor meno; la vita cristiana è una continua accoglienza di uno che viene, in mezzo alla notte della vita o prima dell’alba di un futuro sicuro. Dio verrà, il Signore ha promesso di non lasciarci soli.  

Essere svegli significa saper attendere, guardare continuamente oltre, non accontentarsi degli equilibri raggiunti, non sedersi tranquilli pensando che la vita te la facciano gli altri, avere grinta in ogni difficoltà, essere consapevoli di un compito affidato, puntare sul futuro sempre. Quanto invece è diversa la vita di chi è sfiduciato, di chi non spera più niente, di chi vive come un pacco sballottato da ogni parte, senza meta, navigando a vista! Qualcuno sembra vivo, ma solo perché si fa di cocaina, ha l’impressione di essere potente, di dominare gli eventi, di tenere tutto sotto controllo, poi si affloscia miseramente e diventa un pericolo pubblico per la vita degli altri, per esempio quando guida una automobile in questo stato. Da schiavo vive soggiogato e non decide più di niente. Non è più sveglio se non per continuare ad essere usato. Non hai le manette ai polsi, ma hai la mente spenta e la vita privata di ideali. 

Essere svegli è accorgersi degli altri, è tendere l’orecchio per percepire il sussurro dell’umanità che ci circonda e che chiede aiuto, solidarietà, offerta di ideali.. Essere svegli è sapere che la vita non dipende da noi, che ne dobbiamo rispondere a chi ce l’ha donata, è sapere che la nostra esistenza è nelle mani di Dio e che è continuamente guardata con amore. Essere svegli allora è rispondere a questo amore, offrire la propria vita perché se ne realizzi quella parte che il Signore ha affidato a noi di comunicare. Essere svegli è non temere la morte, perché abbiamo sempre il cuore aperto all’attesa e niente ci fa paura perché Dio non ci abbandona mai.  

24 Ottobre
+Domenico

Ce l’abbiamo fatta e possiamo vivere di rendita  

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 12, 13-21)

In quel tempo, uno della folla disse a Gesù: «Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità». Ma egli rispose: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?».
E disse loro: «Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede».
Poi disse loro una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante. Egli ragionava tra sé: “Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti? Farò così – disse –: demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!”. Ma Dio gli disse: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?”. Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio».

Audio della riflessione.

C’è nel Vangelo la descrizione dell’insana soddisfazione di un uomo che ha lottato tutta la vita per farsi un nome, per costruire una azienda, per alzare il fatturato, per imporsi sul mercato. Un uomo riuscito che si è allargato sempre di più e che ha il dono di sedersi a contemplare e a sentirsi soddisfatto. Fermarsi a guardare ciò che si è raggiunto è già un fatto positivo rispetto a quell’affanno dell’avere che a molti avvelena tutta la vita per conquistare sempre di più.  

Ebbene quest’uomo si siede, contempla e pone la sua fiducia in quello che ha. Anima mia godi, hai fatto tutto quello che potevi per star bene, oggi hai il premio delle tue fatiche. E’ stata dura, abbiamo dovuto far fuori tante altre persone che ci facevano concorrenza, non siamo sempre stati del tutto leali, ma il mondo è così: se non mangi tu gli altri, sono loro che mangiano te.   

I suoi sogni si sono realizzati, ma stanno diventando un incubo. Infatti sente sullo sfondo un mormorio: stolto stanotte dopo il consiglio di amministrazione in cui hai spostato capitali, hai investito in nuovi mondi, hai contrattato compere fortunate, hai comperato appoggi politici… questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. Dovrai rendere conto di tutto e resterai nudo come quando sei nato, le uniche cose che ti porterai con te sono il tuo cuore e la tua capacità di amare. Devi lasciare tutto, resti nudo con te stesso, con la tua anima, senza portafoglio, senza libretto degli assegni. Ogni bancomat è scaduto, le carte di credito annullate. Cento sono già pronti ad occupare il tuo posto, a recitare la commedia dell’immenso dolore, ad affrettare un nuovo assetto, a criticare quel che sei stato. Dice papa Francesco: non ho mai visto dietro un funerale un camion dei traslochi. 

Anche se uno è nell’abbondanza la sua vita non dipende dai suoi beni. E’ più che una constatazione, è l’insegnamento di Gesù che ci mette in guardia dall’attaccamento al denaro, ai soldi, agli euro, alle operazioni finanziarie, ai giochi d’azzardo, all’accumulo. E’ sempre alle porte la tentazione di affidare il nostro futuro alle cose: il drogato lo affida alle sostanze, la star al successo, il giocatore agli ingaggi, l’uomo televisivo all’audience. E purtroppo spesso diventiamo mezze persone, fantocci in balia delle situazioni, buttiamo l’anima credendo di salvarci al vita. E’ quello che capita a quasi tutti coloro che vincono somme favolose alle lotterie: non hanno finito di soffrire, ma di vivere. 

E’ a Dio che occorre affidarsi,  è questa speranza che è Lui che deve sempre stare davanti a tutti i nostri pensieri. Una parola stiamo dimenticando: Provvidenza. Eppure i santi hanno costruito le loro opere più grandi fidandosi solo proprio di Dio    

Avere in mano la vita non significa poter conquistare benessere. Le cose, i soldi, gli affetti, le ideologie, gli amici, la casa non sono una assicurazione. 

E’ solo Dio che ha in mano la vita.  

La tua vita riprende il senso definitivo che ha cercato di costruire, se l’ha costruito, altrimenti resta vuota. Resta la tua coscienza ricca di quei momenti di forza che si è data in quel dialogo personalissimo con Dio, lontano da ogni telecamera che giorno per giorno ti sei mantenuto. Quel Dio della cui presenza ogni giorno vivevi e a cui facevi posto nella tua vita, te lo ritrovi in pienezza. A Lui ti accompagneranno solo le persone cui avrai fatto del bene e il bene che a loro avrai fatto. 

Maria ha sempre messo tutta la sua fiducia in Dio; per questo non l’ha spaventata nemmeno la profezia di Simeone: una spada trafiggerà la tua anima… 

Per questo la invochiamo regina della pace, perché Lei si è sempre affidata a Dio e a nessun altro possibile potere. 

Noi ch siamo pieni di preoccupazioni, certo dobbiamo soffrire soprattutto per quelli che dobbiamo mantenere, servire, cui dobbiamo garantire un futuro. Ma siamo sicuri che ci guadagniamo di più se li affidiamo e li aiutiamo ad affidarsi a Dio piuttosto che affidarli alla fortuna o al possesso di cose, all’amore piuttosto che all’interesse personale. 

23 Ottobre
+Domenico

Il cristiano sa di dover essere sempre un cittadino onesto

Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 22,15-21)

In quel tempo, i farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere come cogliere in fallo Gesù nei suoi discorsi. Mandarono dunque da lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno. Dunque, di’ a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?». Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. Egli domandò loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». Gli risposero: «Di Cesare». Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio».

Audio della riflessione.

Ci domandiamo spesso in questi tempi che funzione ha la religione nella vita dell’uomo. Per qualcuno è una debolezza della capacità di ragionare, per altri è una sensazione insopprimibile cui dare un volto; per molti è una abitudine sociale creata ad arte per attutire le passioni. Per molti invece è ancora una dimensione della vita con una sua dignità. Forse oggi un certo positivismo materialista, che non ritiene degno dell’uomo accettare quello che non si può dimostrare quello che non è falsificabile si dice per chi se ne intende, lascia spazio a una ricerca meno ideologica, intellettualmente onesta e umanamente sensata.  

Una domanda ineludibile però è: come gioca la scelta di una fede con la vita di uno stato, con le leggi di una nazione Era forse una domanda sopita, perché troppo sbrigativamente si era liquidata la religione come un rimasuglio di ignoranza e la si era relegata a faccenda del tutto privata. Al massimo poteva essere vista solo come funzionale all’ordine costituito e per questo ancora più snaturata. Oggi invece è una domanda attuale per le altre religioni che si affacciano sulla nostra Europa con tutte queste emigrazioni non facilmente ospitabili. 

A Gesù un giorno sono proprio andati a chiedere: ma che c’entra la religione con le nostre leggi? che dici di questa schiavitù cui ci sottomettono i romani? Continui a predicare belle cose, ma alla prova dei fatti o si è talebani o la religione è un soprammobile, o serve a far la guerra a chi ci toglie libertà, o ci aiuta a liquidare i terroristi oppure che ci sta a fare? Usano una moneta per riassumere la diatriba e l’inganno. È lecito pagare il tributo a Cesare? E Gesù: dopo aver coinvolto chi gli domandava nel farsi dire di chi era l’effigie stampata sulla moneta, riconoscendola tutti come l’effigie dell’imperatore romano disse: date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio. 

Riconosce Gesù che ci sono i diritti dello Stato e quando lo Stato rimane nel suo ambito i suoi diritti diventano doveri di coscienza anche per il credente, e non occorre che lo Stato sia governato da cristiani per far scattare l’obbligo. I cristiani non giocano nello Stato, ma lo servono. Non ci sono mai scuse per chi non paga le tasse o ruba allo stato.   

Ma lo Stato non può arrogarsi i diritti che competono a Dio, non può assorbire tutto l’uomo, non può sostituirsi alla coscienza, che ha il diritto di essere riconosciuta al di sopra delle leggi. Spesso lo Stato, meglio ancora la finanza, diventa l’assoluto, crede di essere una vecchia religione onnicomprensiva e si crea i suoi talebani. 

La radice della libertà di coscienza è il riconoscimento del primato di Dio. 

22 Ottobre
+Domenico