Gesù non era solo un comunissimo giovane

Riflessione sul Vangelo del giorno (Mc 6,1-6)

In quel tempo, Gesù venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono.
Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?». Ed era per loro motivo di scandalo.
Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità.
Gesù percorreva i villaggi d’intorno, insegnando.

Audio della riflessione

L’esperienza nella fede in Gesù deve sempre sentirsi provocata al cambiamento. Ti credi di essere riuscito a inquadrare la figura di Gesù nel tuo corretto modo di pensare, in uno schema di comprensione che a tutti è necessario per capire la realtà e invece ti sei fatto un’immagine tutta tua, comoda, in difesa, acquietante.

I concittadini di Gesù, gli abitanti di Nazareth vivono questa provocazione. Hanno sentito che Gesù sta spopolando nelle contrade vicine. È partito dal loro paese con una decisione radicale, si è spostato sulle vie del lago dove la gente sviluppa i suoi affari, la sua vita sociale, i suoi lavori artigianali. Ha predicato, ha fatto miracoli, ha trascinato nella sua avventura gente matura, giovani, persone per bene. Ora ritorna a Nazareth. Ma non è il carpentiere? non è il figlio di Maria? la sua famiglia non è quella che incrociamo tutti i giorni in sinagoga, per la spesa, al mercato? Non è quello che sta fuori alla sera con i nostri figli?

E si scandalizzavano di lui, dice il Vangelo. La sua umanità, la sua popolarità, la sua quotidianità era un ostacolo. C’era in lui una sapienza, una forza, una consuetudine al meraviglioso che è tipico di Dio; c’era in lui l’evocazione di una speranza che richiamava invocazioni profonde verso l’Altissimo, ma era un comunissimo giovane di cui si sapeva tutto, completamente posseduto da sguardi, informazioni, relazioni quotidiane. Se Dio si deve manifestare non sarà certo in questa normalità e debolezza. Come sempre, come anche per noi, Dio, pur immaginato come indicibile, sorprendente, è inscatolato nei nostri schemi.

Ma la cosa che sorprende ancor di più è la umanissima sorta di “crisi” che assale Gesù: si meravigliava della loro incredulità, della loro incapacità a forare la crosta dell’umano, del quotidiano per vederci spiragli di infinito. Gesù è di fronte al mistero della libertà dell’uomo. Il messaggio del Vangelo non si impone, ma si offre; non può penetrare là dove viene radicalmente rifiutato; neppure Dio può far violenza alla libertà dell’uomo.

Questa meraviglia di Gesù è espressione della logica di Dio che si abbassa al livello dell’uomo. La logica di un Dio “debole” che deve diventare la logica della Chiesa e di ogni credente. La mia potenza, dice S. Paolo, si manifesta pienamente nella debolezza. Questa debolezza ci caratterizza e, se abitata da Gesù, si fa per noi salvezza. Ricordiamo e chiediamo l’intercessione di san Giovanni Bosco che oggi celebriamo, perché ci aiuti come chiesa ad aprirsi di più ai giovani consapevoli che temono di più la mediocrità che il sacrificio; il nostro non sentire di niente, piuttosto che una dedizione generosa.

31 Gennaio – Memoria di San Giovanni Bosco
+Domenico

Gesù prendici per mano, ci è sfuggita la vita

Riflessione sul Vangelo del giorno (Mc 5,21-43)

In quel tempo, essendo Gesù passato di nuovo in barca all’altra riva, gli si radunò attorno molta folla ed egli stava lungo il mare. E venne uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, come lo vide, gli si gettò ai piedi e lo supplicò con insistenza: «La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva». Andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno.
Ora una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza nessun vantaggio, anzi piuttosto peggiorando, udito parlare di Gesù, venne tra la folla e da dietro toccò il suo mantello. Diceva infatti: «Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata». E subito le si fermò il flusso di sangue e sentì nel suo corpo che era guarita dal male.
E subito Gesù, essendosi reso conto della forza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: «Chi ha toccato le mie vesti?». I suoi discepoli gli dissero: «Tu vedi la folla che si stringe intorno a te e dici: “Chi mi ha toccato?”». Egli guardava attorno, per vedere colei che aveva fatto questo. E la donna, impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. Ed egli le disse: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male».
Stava ancora parlando, quando dalla casa del capo della sinagoga vennero a dire: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?». Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: «Non temere, soltanto abbi fede!». E non permise a nessuno di seguirlo, fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo.
Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava forte. Entrato, disse loro: «Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme». E lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della bambina e quelli che erano con lui ed entrò dove era la bambina. Prese la mano della bambina e le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico: àlzati!». E subito la fanciulla si alzò e camminava; aveva infatti dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. E raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e disse di darle da mangiare.

Audio della riflessione

Le mani che Dio ci ha dato sono per aiutare, per lavorare, per chiamare, per gestire la nostra corporeità, ma soprattutto per stringere quelle degli altri e per accettare il loro aiuto. Se cadi in acqua, dice un vecchio guru, non puoi uscirne con le tue mani, stringendotele attorno ai fianchi per tirarti fuori, ma hai bisogno che qualcuno ti prenda per mano e ti tiri fuori.

Molte volte Gesù prende per mano le persone che incontra: prende per mano il cieco di Betsaida e lo conduce fuori, prende per mano i bambini, che vuole lascino liberi di stare con lui, prende per mano una ragazza dodicenne, distesa cadavere, pronta per la sepoltura nel dolore disperato di una madre: la prese per mano e le disse: ragazza, alzati. La stretta di mano di Gesù non è mai un rito convenzionale, ma la chiamata a vivere

La mano potente di Gesù è la salvezza dell’umanità. Lui ci prende per mano, lui sa far passare la forza della vita nel corpo di quella ragazza tramite la sua mano. Anche noi abbiamo bisogno che Gesù ci prenda per mano,  che ci faccia passare dalle nostre morti quotidiane alla vita, che solo lui ci può donare.

Era tornata alla vita, ma aveva ancora il pallore della morte e Gesù stesso dice alla mamma di darle da mangiare. Le dona la vita, la possibilità di gestirla e di condurla, di farla crescere e di continuarla e ha bisogno prima di tutto di cibo per riprendere a vivere

Questo fatto crea scalpore nella gente, il rischio, che lo scambino per un guaritore e che non ne vedano invece l’intenzione profonda di guarire l’anima, sempre si annida sul suo cammino. Per questo spesso si ritira in disparte a pregare. Vuole ritrovare la dolce intimità con Dio Padre, vuol scrivere nei suoi occhi il suo amore e la sua fiducia.

Ma l’insegnamento di Gesù non si ferma qui; se fa risorgere è perché ci decidiamo per la vera fede, perché teniamo alto lo sguardo su ciò che avverrà, quando tutti lo piangeranno cadavere e solo alcuni pochi crederanno e lo vedranno risorto.

Il capo della sinagoga, che era papà di questa ragazzina, avrà lodato Dio anche per questo dono, immeritato, ma dolcemente orientato. Gesù compie spesso segni e prodigi; sono tutti annuncio di quello che sta avvenendo, cioè che Dio inaugura il suo regno che è vita e pace e sta sempre con noi.

30 Gennaio
+Domenico

Gesù rimette la persona nella pienezza della sua dignità

Riflessione sul Vangelo del giorno (Mc 5,1-20)

In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli giunsero all’altra riva del mare, nel paese dei Gerasèni. Sceso dalla barca, subito dai sepolcri gli venne incontro un uomo posseduto da uno spirito impuro.
Costui aveva la sua dimora fra le tombe e nessuno riusciva a tenerlo legato, neanche con catene, perché più volte era stato legato con ceppi e catene, ma aveva spezzato le catene e spaccato i ceppi, e nessuno riusciva più a domarlo. Continuamente, notte e giorno, fra le tombe e sui monti, gridava e si percuoteva con pietre.
Visto Gesù da lontano, accorse, gli si gettò ai piedi e, urlando a gran voce, disse: «Che vuoi da me, Gesù, Figlio del Dio altissimo? Ti scongiuro, in nome di Dio, non tormentarmi!». Gli diceva infatti: «Esci, spirito impuro, da quest’uomo!». E gli domandò: «Qual è il tuo nome?». «Il mio nome è Legione – gli rispose – perché siamo in molti». E lo scongiurava con insistenza perché non li cacciasse fuori dal paese.
C’era là, sul monte, una numerosa mandria di porci al pascolo. E lo scongiurarono: «Mandaci da quei porci, perché entriamo in essi». Glielo permise. E gli spiriti impuri, dopo essere usciti, entrarono nei porci e la mandria si precipitò giù dalla rupe nel mare; erano circa duemila e affogarono nel mare.
I loro mandriani allora fuggirono, portarono la notizia nella città e nelle campagne e la gente venne a vedere che cosa fosse accaduto. Giunsero da Gesù, videro l’indemoniato seduto, vestito e sano di mente, lui che era stato posseduto dalla Legione, ed ebbero paura. Quelli che avevano visto, spiegarono loro che cosa era accaduto all’indemoniato e il fatto dei porci. Ed essi si misero a pregarlo di andarsene dal loro territorio.
Mentre risaliva nella barca, colui che era stato indemoniato lo supplicava di poter restare con lui. Non glielo permise, ma gli disse: «Va’ nella tua casa, dai tuoi, annuncia loro ciò che il Signore ti ha fatto e la misericordia che ha avuto per te». Egli se ne andò e si mise a proclamare per la Decàpoli quello che Gesù aveva fatto per lui e tutti erano meravigliati.

Audio della riflessione

Non sempre siamo uomini e donne che camminano diritte in piedi nella nostra grande dignità, spesso siamo mezze cartucce, rantoli di umanità, cattivi dentro e fuori di noi, incapaci di stimarci e di stimare e amare.

C’è nel vangelo la figura di un indemoniato. La descrizione di quest’uomo si concentra nel suo isolamento, nella sua dimora fra le tombe e i monti. E’ una persona incontenibile che non ha più niente di umano, vagava fra le tombe e non aveva rapporti umani con nessuno. Gesù lo accosta, ingaggia con il demone una battaglia senza sconti e alla fine del racconto vediamo lo stesso uomo seduto, vestito e sano di mente.

La guarigione si conclude con l’invito a tornare nella propria casa, cioè nel reinserimento di sé come persona nella pienezza della sua dignità nella casa, nella famiglia e fra i suoi. Non solo ma Gesù, come suo ultimo comando gli dice di andare e annunciare che cosa gli ha fatto la misericordia di Dio. Forse il comando per noi era un poco azzardato, visto il comportamento che aveva qualche minuto prima; ma questo dimostra che l’uomo guarito da Cristo vive bene tutte le relazioni, quella con se stesso, infatti è seduto e vestito; quella con gli altri, infatti torna a casa e quella con Dio, infatti diventa annunciatore della sua misericordia.

Questa è l’umanità di un cristiano: una persona che vive e si esprime in queste tre relazioni fondamentali; l’idea di uomo reintegrato nella sua dignità è quella di una persona in pieno equilibrio, non è sbilanciato. Non deve pensare a Dio e dimenticarsi degli altri, come pure vorrebbe fare chiedendo di salire sulla barca con Cristo, ma deve recuperare la relazione con i suoi; nemmeno deve solo ritornare a essere una persona socialmente a posto, deve anche essere missionario. La relazione con se stesso è quella che più di ogni altra è recuperata, non solo perché ha ritrovato il senno e si lava e si veste, ma anche perché si scopre come un prodigio di Dio.

Una persona è tutto ciò che la fa definire tale; soccorrerla è rimetterla in condizione di essere quella che è chiamata ad essere, come sanno bene quelli che si impegnano per il recupero delle persone, che, per vari motivi, hanno perso qualcuna o tutte queste relazioni. E’ un racconto di vita che ci fa scoprire tutto questo, non è un insieme di teorie, di elucubrazioni, di affermazioni di principio.

Proprio perché è un racconto è riproducibile, permette di vedere se per caso non ci siano anche nella nostra vita persone che possono somigliare a quell’indemoniato, permette di riflettere che un uomo si recupera alla vita se si recupera alla relazione. Soprattutto consente di scoprire un fatto su cui non si riflette mai sufficientemente e cioè che per Gesù l’uomo vale molto. Gesù nel suo cammino incontra ogni tipo di umanità, e non ha una visione irreale della condizione umana, nelle parabole dipinge ogni tipo di persona, non solo esempi positivi, ma spesso negativi; nemmeno una negatività inconsapevole, ma una negatività scelta.

29 Gennaio
+Domenico

Taci, esci: non ti chiedo per favore

Riflessione sul Vangelo del giorno (Mc 1,21-28)

In quel tempo, Gesù, entrato di sabato nella sinagoga, [a Cafàrnao,] insegnava. Ed erano stupiti del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come gli scribi. Ed ecco, nella loro sinagoga vi era un uomo posseduto da uno spirito impuro e cominciò a gridare, dicendo: «Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!». E Gesù gli ordinò severamente: «Taci! Esci da lui!». E lo spirito impuro, straziandolo e gridando forte, uscì da lui. Tutti furono presi da timore, tanto che si chiedevano a vicenda: «Che è mai questo? Un insegnamento nuovo, dato con autorità. Comanda persino agli spiriti impuri e gli obbediscono!». La sua fama si diffuse subito dovunque, in tutta la regione della Galilea.

Audio della riflessione

E’ esperienza di noi tutti andare per uffici a chiedere qualche permesso. Dobbiamo fare dei lavori di allargamento della casa, oppure dobbiamo ristrutturare o rimettere a norma, dobbiamo fare una scala. Che si fa? Si vanno a chiedere permessi. Modulo, spiegazione, compilazione, raccolta di documenti, spedizione, raccomandata, consegna. Poi si aspetta. Certi uffici sono eterni. Soprattutto quando devi ritirare un permesso. Le carte sono tutte a posto, ma vede signora, c’è una nuova disposizione che prevede l’autorizzazione dell’ufficio che trova lì nella seconda porta a sinistra. Vai alla seconda porta a sinistra e ti rimandano a quella del piano di sotto; al piano di sotto ti dicono che devi ripassare perché quello riceve solo il martedì e tu sei andato il lunedì. Insomma vai da questo, ti manda da un altro, esponi il caso a quest’altro, occorre una istanza superiore. Vai dal superiore e ti accorgi che ne ha altri sopra di sé. E’ mai possibile poter parlare con chi ha piena autorità o ci si deve adattare sempre a strappare raccomandazioni, mezzi consensi, pareri? Se questo poi capita per la tua salute o per la tua stessa vita, il problema è ancora più serio. C’è qualcuno che può dire sulla mia vita qualche parola definitiva?

Capitava così anche agli ebrei. La religione era arrivata a un punto di non ritorno. I riti erano freddi, la gente andava in sinagoga, in chiesa diremmo noi, ascoltava la Parola di Dio, ma pareva una parola spenta, ingessata. Occorreva tornare a sperare e la speranza non poteva nascere dalla routine, dalla ripetitività, dal sentito dire.  Ormai quando parlavano gli scribi davano l’impressione di chi inizia un discorso con “mi dicono di dire”. Come il presentatore televisivo, che sarà molto brillante, ma ha sempre in mano una maledetta scaletta in cui altri hanno scritto quello che deve fare, non solo, ma ha una auricolare attraverso cui gli sparano nell’orecchio anche le battute da dire.

Anche gli scribi avevano una sorta di regia che dovevano seguire. Era la regia del riportare fedelmente i versetti della torah, di chiosarli con i pareri autorevoli della scuola rabbinica da cui provenivano, ne riportavano le flessioni, i punti e le virgole, portavano a conoscenza la sapienza concentrata nei commentari.

Veniva spesso il dubbio che ci credessero, che si battessero per qualcosa di nuovo, di importante, di inedito. L’elogio migliore che si poteva fare di uno di loro era: “non profferì mai una parola che non avesse imparato dal suo maestro”. Mai una volta “io vi dico che… è stato detto sempre che, ma io… Sicuramente molto fedeli, ma senza autorità.

Quando si presenta Gesù invece è tutta un’altra cosa. Lui è diverso: intanto parla in prima persona, non si mette a dire: mi dicono di dirvi… oppure: secondo i pareri più importanti che sono stati espressi su questo argomento sembra utile, tenendo conto delle varie situazioni che … Gli va qualcuno a chiedere se c’è una speranza nella vita e lui non risponde: vediamo che cosa dicono gli altri. Lui dice: Io sono la via, la verità e la vita; Lui parla in prima persona. A chi ha terrore della morte Lui dice: Io sono la risurrezione e la vita e lo dimostra con la risurrezione di Lazzaro, del figlio unico di quella mamma vedova, soprattutto lo dimostrerà con la sua risurrezione, con la sua vittoria sulla morte. Gesù non ha una autorità di professione anche molto curata, ma sempre imparata: Lui è l’autorità, la sorgente del suo dire e del suo potere.  Dice perentorio: taci, esci da quest’uomo! Esci, non ti chiedo per favore. Non ammette discussioni e Satana sopraffatto non osa resistere. Anzi i demoni hanno paura.

Torniamo al nostro caso che abbiamo detto prima.  Finalmente dopo tanti giri trovi la porta giusta. Resti impressionato quando finalmente sei arrivato per risolvere il tuo problema davanti a chi se ne intende, ha potere e lo risolve senza contorsioni, né rimandi. Non ti fa più girare né di qua né di là, ma ha lui l’autorità di aprire tutte le porte. Questa è stata l’impressione che ne hanno ricavato i primi ascoltatori di Gesù. Lui parlava con autorità, non vendeva speranze a buon mercato, ma era lui la speranza; non cercava mediazioni, ma offriva soluzioni. Lui era ed è la porta della vita, la parola definitiva, assoluta, potente. E’ Lui la sorgente del nostro essere e ha in mano tutti i segreti della nostra felicità. Per chi cerca ragioni di vita questa è l’unica strada possibile e noi con Gesù la possiamo percorrere.

28 Gennaio
+Domenico

La vita incontra tempeste e in noi nasce bisogno di salvezza, di Dio

Riflessione sul Vangelo del giorno (Mc 4,35-41)

In quel medesimo giorno, venuta la sera, Gesù disse ai suoi discepoli: «Passiamo all’altra riva». E, congedata la folla, lo presero con sé, così com’era, nella barca. C’erano anche altre barche con lui.
Ci fu una grande tempesta di vento e le onde si rovesciavano nella barca, tanto che ormai era piena. Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: «Maestro, non t’importa che siamo perduti?».
Si destò, minacciò il vento e disse al mare: «Taci, càlmati!». Il vento cessò e ci fu grande bonaccia. Poi disse loro: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?».
E furono presi da grande timore e si dicevano l’un l’altro: «Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?».

Audio della riflessione

Quando siamo depressi o stritolati dalle difficoltà della vita, come gli apostoli nella tempesta che si scatenò su lago mentre lo attraversavano in barca, andiamo a cercare aiuto, vogliamo trovare qualche riferimento che ci permette di stare in piedi, di capire, di dare un senso a quello che ci capita. Quel Dio che prima ritenevamo un soprammobile ora lo cerchiamo, lo accusi, lo chiamiamo in causa. Ma tu dove sei? Perché mi fai capitare tutto questo? E scopriamo che Dio è assente dalla nostra vita.

Abbiamo sempre vissuto come se non esistesse, lo abbiamo ritenuto ininfluente, abbiamo programmato sempre la vita senza di Lui. Oppure dicevamo ogni giorno le preghiere, ma erano appunto le preghiere, le formule, non la preghiera. Abbiamo giocato soltanto. I discepoli avevano Gesù a disposizione tutti i giorni, vi si erano quasi abituati. Lui doveva risolvere tutti i loro problemi, quasi si sentivano in diritto di restarne protetti. Invece stavolta non se ne cura, sta dormendo beatamente. E’ assente, non risponde, non risolve un bel niente, è solo un peso. Ma che fai? Come ti permetti di giocare sulle nostre vite? Che significa questa tuo assoluto estraniamento? E’ la domanda di molti giovani e non più giovani di fronte al male del mondo, di fronte alle sfortune della vita, di fronte alle morti degli amici, di fronte alle ingiustizie. Molti ragazzi cominciano ad abbandonare la chiesa, la pratica, la parrocchia perché si ribellano all’assenza di Dio, perché credono che Dio dorma sulle loro vite e le loro vicende. Il sonno, il silenzio o l’assenza di Dio suscita in noi paura e disappunto, più che una domanda che va alla radice del problema. Non hanno il coraggio di domandarsi prima: ma io credo in Dio? Ho fede in Lui, ho sperimentato la bellezza dell’abbandono nelle sue braccia? So di stare a cuore a lui? Ci credo davvero? Mi sono mai affidato a Dio con qualche preghiera? Il cero che vado ad accendere per il compito di matematica è scaramanzia, paura o affidamento?

In questo dolore che si prova Dio è sparito, ma non c’era già più da un pezzo. E’ da una vita che va avanti senza riferirsi veramente a Lui, senza interpellarlo sul suo futuro, sulla sua vocazione. Si è già ridotto a pensare la vita come un destino e spera di essere fortunato. Fortuna si chiama la presenza di Dio, non fede. Siamo tornati ai tempi della dea fortuna, siamo tornati indietro di secoli. Allora a Palestrina un ragazzino Agapito, il giovane martire prenestino, con la sua tenacia, la sua testardaggine, la sua decisione d’amore per Gesù, morto e risorto, aveva cambiato la storia di un popolo, noi la facciamo tornare indietro di diciotto secoli

Lo svegliano e lo rimproverano. No, qui non ci stai a farti i fatti tuoi, ci hai tirato dentro e adesso ti dai da fare con noi. Non ti permettiamo di affogare senza accorgerti, devi vedere anche tu la morte in faccia come la vediamo noi. Non ti importa che moriamo? E’ un grido e un rimprovero, è una disperazione e una rabbia, è una constatazione e una pressante richiesta.

Tu sei un palpito del cuore di Dio e vuoi che a me non importi niente di te?  Io ti ho amato fino a morire per te e tu credi che io abbia abbandonato la mia missione? Tu mi sei stato affidato da Dio, mio Padre e credi che io non sia deciso a fare tutto quello che è necessario per te? Sono io che dormo o sei tu che non hai fede?

27 Gennaio
+Domenico

Produce di più la serenità che l’agitazione

Riflessione sul Vangelo del giorno (Mc 4,26-34)

In quel tempo, Gesù diceva alla folla: “Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura”.
Diceva: “A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielopossono fare il nido alla sua ombra”.
Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa.

Audio della riflessione

Viviamo in un tempo dove occorre programmare tutto, definire i tempi, fare sondaggi, distribuire su scala i passaggi, studiare bene il target, mobilitare tutto in vista del risultato… Non è una sequenza da infarto, ma quasi. C’è di peggio. E’ la nostra vita convulsa degli affari, se vuoi riuscirci. E’ importante però non tirar dentro in questo affanno gli affetti, il compito educativo, l’amicizia, lo stesso amore.

Una vita di famiglia impostata in maniera convulsa prima o poi si sfascia. Il Regno di Dio non è certo una sequenza da cardiopalma, ma è l’abbraccio di una forza nel massimo della serenità della vita. Occorre caricarsi di pazienza e fiducia. E’ Dio che butta dentro la nostra vita il seme della bontà e con la sua grazia lo farà sicuramente maturare. L’importante è accogliere la semina di questo Regno di Dio, poi esso si svilupperà nella persona, nella comunità, nella società per forza propria interiore, fino alla maturazione.

Allora occorre fare esperienza positiva di attesa, non di fretta o di coercizione, tanto meno  di disperazione. Il seme cresce lentamente e silenziosamente, ma con sicurezza, Anche se nell’attesa ti assale il dubbio che tutto dipenda da fortuna o sfortuna, ho fatto bene o dovevo fare diversamente. Un insuccesso umano, nostro, non è valutato allo stesso modo da Dio.  Anzi i santi ci insegnano che la sofferenza dell’attesa, della fatica, del dubbio, della solitudine è segno del lavoro di Dio, una garanzia di autenticità.

Gli atteggiamenti di un vero apostolo o di ogni educatore non sono l’agitazione, ma la serenità; non il disinteresse, ma l’impegno; non lo scoraggiamento, ma la certezza della fede. Venga il tuo regno… viene anche senza la nostra preghiera, anche se pregando supplichiamo Dio che questo regno si compia anche da noi, affinché noi non ne veniamo esclusi.

La povertà dei nostri mezzi in rapporto al compito immenso di annunciare il regno a tutti gli uomini fa meglio risaltare l’azione di Dio. Nessun apostolo, nessun educatore è autorizzato a mettere la firma su una qualsiasi  realizzazione del regno di Dio; come del resto nessuno la può mettere sulla vita sua o quella degli altri. Siamo soltanto servi, siamo felici che Dio abbia voluto aver bisogno di noi, ma noi giochiamo sempre e solo il ruolo di mediani, facciamo l’assist, se Dio ce ne dà la forza e la gioia e si intesta la fede di ogni popolo.

I santi Timoteo e Tito, che oggi celebriamo cresciuti e battezzati da Paolo, sono stati tra i primi non provenienti dal popolo ebreo a ricevere il battesimo di Gesù aiutando a superare la grossa difficoltà di accoglierli nella comunità cristiana, senza passare dalla religione ebraica, senza quindi essere circoncisi.

26 Gennaio – Memoria dei Santi Timoteo e Tito
+Domenico

Il vangelo deve correre per tutte le strade del mondo

Riflessione sul Vangelo del giorno (Mc 16,15-18)

In quel tempo, [Gesù apparve agli Undici] e disse loro:
«Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato.
Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno».

Audio della riflessione

L’uomo è per sua natura un pellegrino, un viaggiatore, lo è stato nei secoli più antichi, quando c’era solo il cavallo o la barca, lo è oggi con tutti i mezzi di trasporto più moderni. Fa parte della sua natura essere cercatore, scopritore, contemplatore del creato, della natura. Soprattutto è viandante perché ha dentro di sé una forza incoercibile che è quella di far sapere, di comunicare, di rendere partecipe l’altro della gioia che vive. L’uomo non è fatto per tenere per sé, ma per offrire e trova la sua gioia nel  condividere.

Per questo alla fine del vangelo di Marco c’è un comando perentorio di Gesù, un comando che destabilizza, che non permette di stare chiusi nel proprio egoismo, ma apre all’inedito di Dio, alla sua novità assoluta: andate. Non si può star fermi quando hai visto che è giunta la pienezza dei tempi.

Gli apostoli hanno fatto molta fatica a entrare in questo ordine di idee. Già era sembrata di averla scampata bella quando hanno saputo che Gesù era vivo, che il Sinedrio non aveva detto l’ultima parola su di Lui; grazie a Dio lo avevano incontrato risorto, dopo i giorni bui della passione e morte.

Ecco, si dicono i discepoli,  adesso le cose sono state ben sistemate. Si sa chi ha colpa, si sa che Gesù è risorto e questo ci dà una grande serenità. Il male non vince, gli inferi sono spalancati. Questo Gesù ci ha veramente riconciliati con le nostre radici e ci ha anche aiutato a dare alla nostra vita la sua serenità. In questo stato d’animo si sarebbero adagiati i discepoli se non avessero avuto questo comando perentorio: andate. Non sono venuto al mondo solo per aggiornare la vostra vita religiosa, sono venuto a portare un fuoco e voglio che divampi. I confini del popolo di Israele sono troppo angusti, occorre prendere il largo; la mia casa è il mondo, la Parola  deve correre ovunque, la salvezza è per tutti.

Gli apostoli capiranno come obbedire a questo comando dalla vita, dalle persecuzioni. Paolo, di cui oggi celebriamo la conversione, lo capisce quando in un processo che volevano intentargli i giudei si dichiara cittadino romano e per questo ha diritto di essere giudicato a Roma dall’imperatore e parte per Roma, dove annuncia Gesù, dove il vangelo prende  casa, nel cuore del mondo di allora. Il mandato di andare è la scelta di Dio di abitare il mondo, dimostrando di non abbandonare nessun popolo, nessuna nazione. E Paolo da persecutore di Gesù, da severo accusatore dei primi cristiani,  diventa il primo grande apostolo dei non ebrei, delle nuove nazioni, a partire da quella Roma che era il centro del vastissimo impero Romano.

25 Gennaio – Festa della Conversione di San Paolo
+Domenico

Gesù semina a larghe mani ed è sicuro che qualcosa spunterà sempre

Riflessione sul Vangelo del giorno (Mc 4,1-20)

In quel tempo, Gesù cominciò di nuovo a insegnare lungo il mare. Si riunì attorno a lui una folla enorme, tanto che egli, salito su una barca, si mise a sedere stando in mare, mentre tutta la folla era a terra lungo la riva.
Insegnava loro molte cose con parabole e diceva loro nel suo insegnamento: «Ascoltate. Ecco, il seminatore uscì a seminare. Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada; vennero gli uccelli e la mangiarono. Un’altra parte cadde sul terreno sassoso, dove non c’era molta terra; e subito germogliò perché il terreno non era profondo, ma quando spuntò il sole, fu bruciata e, non avendo radici, seccò. Un’altra parte cadde tra i rovi, e i rovi crebbero, la soffocarono e non diede frutto. Altre parti caddero sul terreno buono e diedero frutto: spuntarono, crebbero e resero il trenta, il sessanta, il cento per uno». E diceva: «Chi ha orecchi per ascoltare, ascolti!».
Quando poi furono da soli, quelli che erano intorno a lui insieme ai Dodici lo interrogavano sulle parabole. Ed egli diceva loro: «A voi è stato dato il mistero del regno di Dio; per quelli che sono fuori invece tutto avviene in parabole, affinché guardino, sì, ma non vedano, ascoltino, sì, ma non comprendano, perché non si convertano e venga loro perdonato».
E disse loro: «Non capite questa parabola, e come potrete comprendere tutte le parabole? Il seminatore semina la Parola. Quelli lungo la strada sono coloro nei quali viene seminata la Parola, ma, quando l’ascoltano, subito viene Satana e porta via la Parola seminata in loro. Quelli seminati sul terreno sassoso sono coloro che, quando ascoltano la Parola, subito l’accolgono con gioia, ma non hanno radice in se stessi, sono incostanti e quindi, al sopraggiungere di qualche tribolazione o persecuzione a causa della Parola, subito vengono meno. Altri sono quelli seminati tra i rovi: questi sono coloro che hanno ascoltato la Parola, ma sopraggiungono le preoccupazioni del mondo e la seduzione della ricchezza e tutte le altre passioni, soffocano la Parola e questa rimane senza frutto. Altri ancora sono quelli seminati sul terreno buono: sono coloro che ascoltano la Parola, l’accolgono e portano frutto: il trenta, il sessanta, il cento per uno».

Audio della riflessione

La semina oggi si fa con le macchine, il seminatore scompare. Si calcola tutto al computer, si vedono gli effetti degli anni precedenti, si fanno delle previsioni e si mettono in moto gli attrezzi: quantità, solchi, suolo, raggio di azione, stagione adatta. Non va perso niente. Il seminatore del regno dei cieli, della Parola di Dio invece è un po’ atipico. E’ all’antica, cammina per il mondo e sparge a piene mani. Non gli interessa dove va a cadere il seme, ha fiducia anche nelle pietre. Lui i suoi figli li va a stanare ovunque. Li sbalza da una gru, li chiama dalla consolle di una band, gli manda un flash sulla pedana da disk jockey, li ricupera da un after hour, li acceca sulla via di Damasco, li sorprende nei progetti d’amore, nelle noie interminabili delle vacanze. Là dove la più intelligente pastorale pensa di arrivare, Lui è là che aspetta da sempre.

All’inizio del Regno e di ogni vita che ne farà parte c’è una Parola, la parola del Regno, e un seminatore, Gesù. E’ Lui il centro della vita del mondo, è lui il Signore dei tempi e degli spazi, è Lui l’immagine del Dio invisibile. E’ Lui che si prende cura di come sviluppare la vita nel mondo, è lui che sceglie i semi, è lui che con larghezza li sparge ovunque. Sa che terreno incontrerà, conosce le capacità di produzione del campo. Ha chiamato anche Giuda, ha chiamato Pietro, ha chiamato Giovanni. Tutti avevano libertà di rispondere alla Parola.

Getta il seme a larghe mani, con grande generosità, vuol provocare ogni porzione di terreno a dare una risposta. Se dovesse controllare dove cade ogni seme, alla fine mieterebbe solo le sue ansie. Passerà poi con il chiodo ad arare e a coprire il seme con la terra perché attecchisca, ma ora abbonda nel seminare. La certezza che il guardare a Gesù ci infonde è che l’esito positivo della semina è sicuro.

Dice il Vangelo che il terreno in cui cade è spesso più duro dell’asfalto, è impermeabile non ne vuol sapere, si sente completo in sé, non ha bisogno di nessun seme e resterà nella sua aridità; il terreno, questa nostra vita, altre volte è sassosa: si ascolta bene, mi fa anche piacere qualche volta ragionare di Dio, cercare il senso della vita, ascoltare una parola buona, ma non le permetto mai di radicarsi. Incostante, superficiale. Produce fuochi di paglia. Sono come gli osanna gridati a Gerusalemme che si cambiano nel giro di pochi giorni in “crocifiggilo”.

Talvolta, mi faccio prendere dalle preoccupazioni; lavoro, soldi, amici, avventure, posizione, cose, ferie, automobili, tablet, cellulari…; dice il Vangelo le preoccupazioni del mondo e l’inganno della ricchezza soffocano la Parola, ti spengono la vita. E’ la potenza del rovo. Sono quattro versetti disperati con cui il seminatore mette in evidenza le difficoltà. Quattro trappole o difese o debolezze costellano la nostra vita e vanno stanate, le false speranze vanno frantumate per far spazio alla speranza unicamente nel Signore. Ma il Signore non si arrende sparge il seme in abbondanza. C’è anche per te, nelle tue carognate e fughe. Non ti molla.

24 Gennaio – Memoria di San Francesco di Sales
+Domenico

Maria è grande per la sua fede nella Parola che è Gesù.

Riflessione sul Vangelo del giorno (Mc 3,31-35)

In quel tempo, giunsero la madre di Gesù e i suoi fratelli e, stando fuori, mandarono a chiamarlo.
Attorno a lui era seduta una folla, e gli dissero: «Ecco, tua madre, i tuoi fratelli e le tue sorelle stanno fuori e ti cercano».
Ma egli rispose loro: «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?». Girando lo sguardo su quelli che erano seduti attorno a lui, disse: «Ecco mia madre e i miei fratelli! Perché chi fa la volontà di Dio, costui per me è fratello, sorella e madre».

Audio della riflessione

In maniera del tutto spontanea, nei nostri sentimenti molto e giustamente umani, avremmo immediatamente fatto festa e complimenti alla madre di Gesù, che finalmente si faceva viva laddove Gesù annunciava il vangelo. Saremmo sicuramente stati tanto contenti di godere della presenza di sua Madre. L’avremmo voluta avere tutti noi una mamma così. Gesù qui, a noi mammoni sembra che quasi tratti con non curanza, se non con sufficienza il suo arrivo. E fa capire che la grandezza di Maria non è prima di tutto la sua consanguineità con Gesù, ma la sua profonda e completa accoglienza e fiducia, dedizione a lui stesso e alla sua causa.

Per  Gesù i legami naturali perdono di significato per quelli che, come dice Giovanni, “non dalla carne e dal sangue, ma da Dio sono nati”. Essi sono il nuovo popolo di Dio che non fa più riferimento alla comune origine da Abramo, ma alla comune fede nella Parola fatta carne, l’uomo Gesù, il figlio di Dio.  Non si tratta per Gesù, come lo sarà per ogni cristiano di un capovolgimento che rinneghi o trascuri le proprie radici culturali. E’ invece obbedienza a un principio superiore, è una libera adesione a un progetto più grande di noi.

Nella attuazione di questo grande disegno che viene rappresentato dalla Parola fatta carne che è Gesù, troviamo la nostra pienezza esistenziale anche se esso comporta il distacco e la rinuncia a ciò che è più caro e perfino la morte come sacrificio supremo. E Maria era già stata resa cosciente dalle parole vere, ma crude del vecchio Simeone: “a te una lancia trafiggerà l’anima”.

Siamo certo sempre figli di Maria, anche perché è stato proprio Gesù sulla croce a darcela come mamma, siamo anche noi nella stessa famiglia. Prima però dobbiamo ascoltare la Parola, accoglierla dentro di noi, ascoltarla, viverla, annunciarla. Questo deciderà la piena accoglienza di Gesù, che possiamo ancora oggi accogliere nella  celebrazione eucaristica:  vera ed efficace espressione simbolica

I due noti discepoli di Emmaus, sono tornati da Maria dopo aver accolto le parole di Gesù e Lui stesso nella parola fatta carne nell’Eucarestia: si potevano dire consanguinei di Lui proprio perché avevano fatto esperienza di profonda fede, avevano partecipato anche nel sacramento dell’Eucaristia, come possiamo fare noi, alla sua morte e risurrezione, non solo o soprattutto perchè erano stati tre anni con Lui.

23 Gennaio
+Domenico

Gesù è scambiato pure per demonio, ma ci fa le proposte vere della vita

Riflessione sul Vangelo del giorno (Mc 3,22-30)

In quel tempo, gli scribi, che erano scesi da Gerusalemme, dicevano: «Costui è posseduto da Beelzebùl e scaccia i demòni per mezzo del capo dei demòni».
Ma egli li chiamò e con parabole diceva loro: «Come può Satana scacciare Satana? Se un regno è diviso in se stesso, quel regno non potrà restare in piedi; se una casa è divisa in se stessa, quella casa non potrà restare in piedi. Anche Satana, se si ribella contro se stesso ed è diviso, non può restare in piedi, ma è finito.
Nessuno può entrare nella casa di un uomo forte e rapire i suoi beni, se prima non lo lega. Soltanto allora potrà saccheggiargli la casa.
In verità io vi dico: tutto sarà perdonato ai figli degli uomini, i peccati e anche tutte le bestemmie che diranno; ma chi avrà bestemmiato contro lo Spirito Santo non sarà perdonato in eterno: è reo di colpa eterna».
Poiché dicevano: «È posseduto da uno spirito impuro».

Audio della riflessione

Siamo sempre di fronte a delle scelte da fare. L’età giovanile è forse quella più provocata da prospettive nuove di vita, da nuove sintesi del modo di vivere, da intuizioni di possibili sbocchi al loro operare. Non sei attaccato a niente, magari vivi ancora di rendita e quindi puoi tentare qualche strada nuova. Meglio ancora se qualcuno sa osare farti proposte. Accetti e se trovi difficoltà ti scateni contro chi ti ha orientato in quella direzione.

Gesù è uno di quelli che fa proposte decise di cambiamento, di ingaggio, per usare i termini del nostro mondo o delle nostre spedizioni. Non ti dice: se ti può interessare ci sarebbe questa cosa da fare o da essere. E’ perentorio: vieni e seguimi e di fronte a questa chiarezza devi ridefinirti. Spesso invece buttiamo tutto su chi ci fa la proposta invece di vedere se può essere la nostra scelta.

I contemporanei di Gesù di fronte alla figura di Gesù, per molti simpatica, per altri entusiasta e per altri ancora assurda lo definiscono diversamente: I suoi lo chiamano pazzo, altri invece dicono che è il principe stesso dei demoni in persona. Questi hanno più dimestichezza con il mondo religioso e collocano subito Gesù dalla parte opposta della vita religiosa, dalla parte del nemico di Dio, dell’angelo decaduto, dello spirito del male. Loro sono sapienti e intelligenti, restano in una cecità maligna, e si sono fatti tutti le proprie deduzioni, senza ascoltare la persona.

Guardano, ma non vedono; ascoltano bene, ma non intendono; nei loro occhi si sono già fatti tutte le immagini possibili della realtà e imputano a Satana ciò che viene da Dio. Più tardi accuseranno Gesù e lo condanneranno per bestemmia.

Di fronte a questi esiti di rapporto degli uomini con Gesù, occorre avere occhi limpidi e orecchi bene aperti, essere liberi dalla schiavitù del buon senso, dell’approssimazione, della stessa cattiveria che spesso ci prende, per vedere con chiarezza il mistero del regno di Dio nelle realtà sempre difficili da interpretare che ci si presentano.

Siamo deboli, ci si para davanti la stoltezza-sapienza della croce, Gesù ci dice che le cose più vere della vita sono al di fuori della sicumera dell’uomo, della sua stessa sapienza in cui si imprigiona; si manifestano ai piccoli, ai semplici, agli umili, a chi sa aprirsi alla novità che lo Spirito suggerisce. E forse con queste qualità riusciamo a scorgere la sapienza e la forza di Dio. Altrimenti rischiamo proprio di bestemmiare lo Spirito, di attribuire al demonio la stessa opera di Gesù. In un mondo di fake news, di intelligenza artificiale, non è difficile essere manipolati e ingannati. Noi abbiamo sempre la Parola di Dio da ascoltare e l’insegnamento del papa da seguire.

22 Gennaio
+Domenico