Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 20,1-9)
Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: “Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!”. Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte. Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti.
Audio della riflessione.
Vi sarà capitato qualche volta di alzarvi presto la mattina della domenica. Sembra un altro mondo: tutto tace, non c’è traffico le saracinesche dei bar sono ancora abbassate, anzi fai fatica a trovarti un caffè da bere. La notte prima s’è fatto tardi, è festa si può riposare di più, si interrompe il lavoro, si respira un’altra aria. Doveva essere una mattina strana anche quel primo giorno dopo il sabato, ancora feriale per lo sparuto numero di seguaci di Cristo che si erano rifugiati senza speranze, delusi e tristi dopo il dramma dell’esecuzione efferata di Gesù.
Ricominciava la settimana, ma non per loro. Per loro continuava la disperazione ma non ancora per molto: presto quel primo giorno dopo il sabato cambierà nome, si chiamerà domenica; da giorno del pianto diventerà giorno di festa. Capiterà qualcosa che avrà la forza straordinaria di spostare nella comunità degli uomini il giorno stesso della festa settimanale, cambierà una tradizione di secoli, proprio in un popolo che per conservare la tradizione si faceva perfino ammazzare.
Ebbene quel mattino è caratterizzato da gente che corre. Corre Maria di Magdala sconvolta, dopo che con calma si era recata al sepolcro continuando la tradizione di vestale del pianto, di custode del dolore e di ultimo grembo di un cadavere. Non c’è più da piangere, da dolersi, da imbalsamare, da fissare pietosamente nella morte nessun corpo martoriato. Lui non c’è più, la tomba è vuota.
Corrono nel senso opposto Pietro e Giovanni. Pietro appesantito dagli anni e forse più dal dolore e dalla disperazione, Giovanni più giovane più agile, più cocciuto, più ingenuo, innamorato perso.
La constatazione è uguale, anzi ancora più meticolosa. Non solo è ribaltata la grossa pietra, ma il sudario, il lenzuolo, le bende che avevano frettolosamente ricoperto quel corpo dilaniato in maniera efferata sono adagiate in forma strana, come se il corpo che contenevano se ne sia sottratto e il lenzuolo sia ricaduto su sé stesso, vuoto.
È vuota la tomba, sono svuotate le bende. È la prima impressione di Pietro, che se ne esce ancora confuso, ma la prima fotografia di Giovanni ha un titolo: Vide e credette, dice il Vangelo. La tomba vuota era solo un segno, non è la constatazione scientifica di un evento. Giovanni il giovane, ha capito subito il segno e ha dato la sua adesione di fede, che verrà riconfermata la sera alla vista dello stesso Gesù risorto. Se ne aggiungeranno presto tanti altri di segni, ma questo giorno di Pasqua ci basta questo per guardare alla vita con lo stupore di una speranza. La morte non è l’ultima parola su ogni nostra esistenza umana.
Una riflessione sul Vangelo secondo Marco (Mc 16, 1-7)
Passato il sabato, Maria di Màgdala, Maria di Giacomo e Salome comprarono oli aromatici per andare ad ungerlo. Di buon mattino, il primo giorno della settimana, vennero al sepolcro al levare del sole. Dicevano tra loro: «Chi ci farà rotolare via la pietra dall’ingresso del sepolcro?». Alzando lo sguardo, osservarono che la pietra era già stata fatta rotolare, benché fosse molto grande. Entrate nel sepolcro, videro un giovane, seduto sulla destra, vestito d’una veste bianca, ed ebbero paura. Ma egli disse loro: «Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l’avevano posto. Ma andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro: “Egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto».
Audio della riflessione.
Abbiamo vissuto una settimana all’insegna dei ricordi, delle tradizioni, delle usanze ereditate dai nostri genitori, ci siamo improvvisati attori, registi, sceneggiatori di fatti più grandi di noi e siamo potuti risalire alla nostra infanzia, all’incanto di ogni fanciullezza. Abbiamo visto giovani interpretare Gesù Cristo, uomini maturi fare Pilato, anziani fare i sommi sacerdoti, il solito, segnato a dito, fare Giuda. Poi ci siamo fatti passare di mano in mano quella croce. Potevamo essere tentati solo di esprimere tradizioni, folklore, appuntamenti con la storia. Abbiamo potuto fare a anche a scuola qualche gesto. Stasera la cosa cambia di netto: ieri era possibile stare indifferenti, stare sulle nostre, non scomodarci troppo; oggi non è più possibile, dobbiamo fare il salto della fede.
Stasera ci viene chiesta la fede. Non possiamo appendere nelle scuole o negli edifici pubblici il risorto, ci vuole un atto di fede; appendiamo solo un crocifisso, che richiama solo storia e pietà, anche se molti ci negano anche quella. Stasera facciamo il salto nell’oltre. Riconosciamo che l’uomo della debolezza e della croce, l’immagine dei nostri infiniti dolori è il Dio della risurrezione, è il nostro liberatore, è la vita piena e senza fine. Colui che è morto così miseramente senza nessun stoico coraggio è il Figlio di Dio.Dice uno dei quattro vangeli nel racconto di questa giornata memorabile: Passato il sabato, all’alba del primo giorno della settimana, Maria di Magdala e l’altra Maria andarono a visitare il sepolcro. Ed ecco che vi fu un gran terremoto: un angelo del Signore, sceso dal cielo, si accostò, rotolò la pietra e si pose a sedere su di essa
È un discorso difficile, perché occorre affidarsi; occorre avere il coraggio di leggere il terremoto di cui si parla nel vangelo come definitivo, come quello che ci toglie da ogni disperazione. Questo terremoto ci consola, questo terremoto vogliamo chiedere a Dio. È il terremoto della vita che dà inizio alla costruzione di un nuovo mondo.
È il cambiamento radicale del nostro modo di pensare, degli stili della nostra esistenza, della speranza oltre ogni paura e dolore. Non è il terremoto che ci fa paura e che ogni tanto colpisce il nostro mondo e soprattutto l’Italia. È questo terremoto di Pasqua, il terremoto della vittoria sul male e sulla morte, il terremoto che ha fatto saltare i macigni dalle tombe e dal cuore. “Ognuno di noi ha il suo macigno. Una pietra enorme messa all’imboccatura dell’anima che non lascia filtrare l’ossigeno, che opprime in una morsa di gelo; che blocca ogni lama di luce, che impedisce la comunicazione con l’altro. È il macigno della solitudine, della miseria, della malattia, dell’odio, della disperazione, del peccato”
È questo terremoto che noi vogliamo augurare a tutti, che imploreremo con forza da Dio per tutti i martiri. Non posso dimenticare quei ragazzi copti sgozzati e crocifissi solo perché cristiani, ricordati da papa Francesco in questi giorni, ma nemmeno quei giovani incontrati in una scuola che a fatica hanno fatto un segno di croce, per non farsi tirare in giro dopo dai compagni. Questo spesso è il coraggio della nostra fede, il nostro coraggio quando siamo nella movida o nelle nostre vite private, la nostra fede per mestiere, il nostro forzato credere per non creare problemi dove siamo.
Ma Dio è grande e ci dimostra continuamente il suo amore e la sua misericordia. Risurrezione è sapere che abbiamo un futuro più grande di ogni nostra attesa, più forte delle nostre miserie, più autentico dei nostri giuramenti. Resurrezione è non permetterci in nessuna situazione di dire la parolaccia “ormai”. Perché risurrezione significa che c’è sempre più futuro che passato, perché la vita non è la quantità di giorni che ci rimangono, ma la qualità dell’esistenza che viviamo e che si prolungherà senza fine nelle braccia di Dio. Resurrezione è uno spazio di futuro che ci garantisce da ogni morte definitiva e questo ce lo ha regalato Gesù, il Nazzareno, il condannato a morte, sepolto e risuscitato.
Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 18, 1-19, 42)
In quel tempo, Gesù uscì con i suoi discepoli al di là del torrente Cèdron, dove c’era un giardino, nel quale entrò con i suoi discepoli. Anche Giuda, il traditore, conosceva quel luogo, perché Gesù spesso si era trovato là con i suoi discepoli. Giuda dunque vi andò, dopo aver preso un gruppo di soldati e alcune guardie fornite dai capi dei sacerdoti e dai farisei, con lanterne, fiaccole e armi. Gesù allora, sapendo tutto quello che doveva accadergli, si fece innanzi e disse loro: «Chi cercate?». Gli risposero: «Gesù, il Nazareno». Disse loro Gesù: «Sono io!». Vi era con loro anche Giuda, il traditore. Appena disse loro «Sono io», indietreggiarono e caddero a terra. Domandò loro di nuovo: «Chi cercate?». Risposero: «Gesù, il Nazareno». Gesù replicò: «Vi ho detto: sono io. Se dunque cercate me, lasciate che questi se ne vadano», perché si compisse la parola che egli aveva detto: «Non ho perduto nessuno di quelli che mi hai dato». Allora Simon Pietro, che aveva una spada, la trasse fuori, colpì il servo del sommo sacerdote e gli tagliò l’orecchio destro. Quel servo si chiamava Malco. Gesù allora disse a Pietro: «Rimetti la spada nel fodero: il calice che il Padre mi ha dato, non dovrò berlo?». Allora i soldati, con il comandante e le guardie dei Giudei, catturarono Gesù, lo legarono e lo condussero prima da Anna: egli infatti era suocero di Caifa, che era sommo sacerdote quell’anno. Caifa era quello che aveva consigliato ai Giudei: «È conveniente che un solo uomo muoia per il popolo». Intanto Simon Pietro seguiva Gesù insieme a un altro discepolo. Questo discepolo era conosciuto dal sommo sacerdote ed entrò con Gesù nel cortile del sommo sacerdote. Pietro invece si fermò fuori, vicino alla porta. Allora quell’altro discepolo, noto al sommo sacerdote, tornò fuori, parlò alla portinaia e fece entrare Pietro. E la giovane portinaia disse a Pietro: «Non sei anche tu uno dei discepoli di quest’uomo?». Egli rispose: «Non lo sono». Intanto i servi e le guardie avevano acceso un fuoco, perché faceva freddo, e si scaldavano; anche Pietro stava con loro e si scaldava. Il sommo sacerdote, dunque, interrogò Gesù riguardo ai suoi discepoli e al suo insegnamento. Gesù gli rispose: «Io ho parlato al mondo apertamente; ho sempre insegnato nella sinagoga e nel tempio, dove tutti i Giudei si riuniscono, e non ho mai detto nulla di nascosto. Perché interroghi me? Interroga quelli che hanno udito ciò che ho detto loro; ecco, essi sanno che cosa ho detto». Appena detto questo, una delle guardie presenti diede uno schiaffo a Gesù, dicendo: «Così rispondi al sommo sacerdote?». Gli rispose Gesù: «Se ho parlato male, dimostrami dov’è il male. Ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?». Allora Anna lo mandò, con le mani legate, a Caifa, il sommo sacerdote. Non sei anche tu uno dei suoi discepoli? Non lo sono! Intanto Simon Pietro stava lì a scaldarsi. Gli dissero: «Non sei anche tu uno dei suoi discepoli?». Egli lo negò e disse: «Non lo sono». Ma uno dei servi del sommo sacerdote, parente di quello a cui Pietro aveva tagliato l’orecchio, disse: «Non ti ho forse visto con lui nel giardino?». Pietro negò di nuovo, e subito un gallo cantò. Condussero poi Gesù dalla casa di Caifa nel pretorio. Era l’alba ed essi non vollero entrare nel pretorio, per non contaminarsi e poter mangiare la Pasqua. Pilato dunque uscì verso di loro e domandò: «Che accusa portate contro quest’uomo?». Gli risposero: «Se costui non fosse un malfattore, non te l’avremmo consegnato». Allora Pilato disse loro: «Prendetelo voi e giudicatelo secondo la vostra legge!». Gli risposero i Giudei: «A noi non è consentito mettere a morte nessuno». Così si compivano le parole che Gesù aveva detto, indicando di quale morte doveva morire. Pilato allora rientrò nel pretorio, fece chiamare Gesù e gli disse: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?». Pilato disse: «Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?». Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù». Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce». Gli dice Pilato: «Che cos’è la verità?». E, detto questo, uscì di nuovo verso i Giudei e disse loro: «Io non trovo in lui colpa alcuna. Vi è tra voi l’usanza che, in occasione della Pasqua, io rimetta uno in libertà per voi: volete dunque che io rimetta in libertà per voi il re dei Giudei?». Allora essi gridarono di nuovo: «Non costui, ma Barabba!». Barabba era un brigante. Allora Pilato fece prendere Gesù e lo fece flagellare. E i soldati, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero addosso un mantello di porpora. Poi gli si avvicinavano e dicevano: «Salve, re dei Giudei!». E gli davano schiaffi. Pilato uscì fuori di nuovo e disse loro: «Ecco, io ve lo conduco fuori, perché sappiate che non trovo in lui colpa alcuna». Allora Gesù uscì, portando la corona di spine e il mantello di porpora. E Pilato disse loro: «Ecco l’uomo!». Come lo videro, i capi dei sacerdoti e le guardie gridarono: «Crocifiggilo! Crocifiggilo!». Disse loro Pilato: «Prendetelo voi e crocifiggetelo; io in lui non trovo colpa». Gli risposero i Giudei: «Noi abbiamo una Legge e secondo la Legge deve morire, perché si è fatto Figlio di Dio». All’udire queste parole, Pilato ebbe ancor più paura. Entrò di nuovo nel pretorio e disse a Gesù: «Di dove sei tu?». Ma Gesù non gli diede risposta. Gli disse allora Pilato: «Non mi parli? Non sai che ho il potere di metterti in libertà e il potere di metterti in croce?». Gli rispose Gesù: «Tu non avresti alcun potere su di me, se ciò non ti fosse stato dato dall’alto. Per questo chi mi ha consegnato a te ha un peccato più grande». Da quel momento Pilato cercava di metterlo in libertà. Ma i Giudei gridarono: «Se liberi costui, non sei amico di Cesare! Chiunque si fa re si mette contro Cesare». Udite queste parole, Pilato fece condurre fuori Gesù e sedette in tribunale, nel luogo chiamato Litòstroto, in ebraico Gabbatà. Era la Parascève della Pasqua, verso mezzogiorno. Pilato disse ai Giudei: «Ecco il vostro re!». Ma quelli gridarono: «Via! Via! Crocifiggilo!». Disse loro Pilato: «Metterò in croce il vostro re?». Risposero i capi dei sacerdoti: «Non abbiamo altro re che Cesare». Allora lo consegnò loro perché fosse crocifisso. Essi presero Gesù ed egli, portando la croce, si avviò verso il luogo detto del Cranio, in ebraico Gòlgota, dove lo crocifissero e con lui altri due, uno da una parte e uno dall’altra, e Gesù in mezzo. Pilato compose anche l’iscrizione e la fece porre sulla croce; vi era scritto: «Gesù il Nazareno, il re dei Giudei». Molti Giudei lessero questa iscrizione, perché il luogo dove Gesù fu crocifisso era vicino alla città; era scritta in ebraico, in latino e in greco. I capi dei sacerdoti dei Giudei dissero allora a Pilato: «Non scrivere: “Il re dei Giudei”, ma: “Costui ha detto: Io sono il re dei Giudei”». Rispose Pilato: «Quel che ho scritto, ho scritto». I soldati poi, quando ebbero crocifisso Gesù, presero le sue vesti, ne fecero quattro parti – una per ciascun soldato –, e la tunica. Ma quella tunica era senza cuciture, tessuta tutta d’un pezzo da cima a fondo. Perciò dissero tra loro: «Non stracciamola, ma tiriamo a sorte a chi tocca». Così si compiva la Scrittura, che dice: “Si sono divisi tra loro le mie vesti e sulla mia tunica hanno gettato la sorte”. E i soldati fecero così. Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Clèopa e Maria di Màgdala. Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco tuo figlio!». Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre!». E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé. Dopo questo, Gesù, sapendo che ormai tutto era compiuto, affinché si compisse la Scrittura, disse: «Ho sete». Vi era lì un vaso pieno di aceto; posero perciò una spugna, imbevuta di aceto, in cima a una canna e gliela accostarono alla bocca. Dopo aver preso l’aceto, Gesù disse: «È compiuto!». E, chinato il capo, consegnò lo spirito. E subito ne uscì sangue e acqua Era il giorno della Parascève e i Giudei, perché i corpi non rimanessero sulla croce durante il sabato – era infatti un giorno solenne quel sabato –, chiesero a Pilato che fossero spezzate loro le gambe e fossero portati via. Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe all’uno e all’altro che erano stati crocifissi insieme con lui. Venuti però da Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue e acqua. Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera; egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate. Questo infatti avvenne perché si compisse la Scrittura: “Non gli sarà spezzato alcun osso”. E un altro passo della Scrittura dice ancora: “Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto”. Presero il corpo di Gesù e lo avvolsero con teli insieme ad aromi Dopo questi fatti Giuseppe di Arimatèa, che era discepolo di Gesù, ma di nascosto, per timore dei Giudei, chiese a Pilato di prendere il corpo di Gesù. Pilato lo concesse. Allora egli andò e prese il corpo di Gesù. Vi andò anche Nicodèmo – quello che in precedenza era andato da lui di notte – e portò circa trenta chili di una mistura di mirra e di áloe. Essi presero allora il corpo di Gesù e lo avvolsero con teli, insieme ad aromi, come usano fare i Giudei per preparare la sepoltura. Ora, nel luogo dove era stato crocifisso, vi era un giardino e nel giardino un sepolcro nuovo, nel quale nessuno era stato ancora posto. Là dunque, poiché era il giorno della Parascève dei Giudei e dato che il sepolcro era vicino, posero Gesù.
Audio della riflessione.
Ti capita ancora se abiti in qualche bel paese di campagna o di periferia di sentire ogni tanto dei rintocchi gravi di campana, quel rimbombo lento, talvolta straziante perché ti ricorda che vai a seppellire un amico, un familiare, Dio non voglia, un figlio. E attorno si fa silenzio. Il paese si ferma, la gente si stringe attorno per darti quel poco di solidarietà che può. Si crea quell’atmosfera surreale, ma vera, di bisogno di superare lo smarrimento, che fa parte della nostra vita. Noi veniamo al mondo a suon di campane di allegria per il battesimo e siamo portati a sepoltura da rintocco di tristezza.
Oggi ci dovrebbe essere questo silenzio: ancora in tante fabbriche, in tanti studi commerciali, in tanti luoghi istituzionali, si usa fare un momento di silenzio: ricordiamo la morte di Gesù. Possiamo essere credenti o no, ma tutti possiamo ricordare chi ha dato una svolta decisiva alla storia del mondo. Oggi per Lui c’è silenzio forse, non rintocco di campane. Non è morto come tutti e non è ricordato cadavere.
Vogliamo risentirci per l’ennesima volta la sua passione, la vogliamo vedere rappresentata, noi stessi ci mettiamo ad assumere una parte in questa storia: c’è chi fa Giuda e rappresenta tutti i nostri tradimenti, chi fa Maria e rappresenta tutte le nostre mamme che soffrono per la morte dei figli, chi fa il soldato o la canaglia che rappresenta le nostre violenze quotidiane, chi fa il traditore, per dare un volto a tutti i tradimenti della vita e della storia. Lì tutti andiamo a farci rappresentare, per farci giudicare.
È una catarsi necessaria, non è una fiction, lì ci andiamo con il cuore pentito, almeno una volta nella vita. Chissà che proprio a questi sentimenti di stasera sia legata la nostra felicità definitiva, quella vera. I sentimenti sono passeggeri, ma se hanno sotto un cuore che ama, sono tappe di una vita nuova.
Andiamo sotto quella croce a farci nascere speranza; perché quello che vediamo piagato e disprezzato non resta cadavere, ma trionfa sulla morte e dona vita piena; quella croce è segno di speranza e sconfigge ogni altra croce della nostra vita e ogni violenza sui giusti che rappresenta. Non siamo disperati per la morte del nostro fondatore defunto, ma coscienti che l’abbiamo fatto morire noi e sicuri che il suo perdono, la sua bontà non ce la farà mai mancare, travalicano i tempi, gli spazi, gli odi e le nostre continue cattiverie. Questa croce la vogliamo scrivere nella nostra carne perché scompaia dalla vita di ogni creatura.
Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 13, 1-15)
Prima della festa di Pasqua, Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine. Durante la cena, quando il diavolo aveva già messo in cuore a Giuda, figlio di Simone Iscariota, di tradirlo, Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugamano di cui si era cinto. Venne dunque da Simon Pietro e questi gli disse: «Signore, tu lavi i piedi a me?». Rispose Gesù: «Quello che io faccio, tu ora non lo capisci; lo capirai dopo». Gli disse Pietro: «Tu non mi laverai i piedi in eterno!». Gli rispose Gesù: «Se non ti laverò, non avrai parte con me». Gli disse Simon Pietro: «Signore, non solo i miei piedi, ma anche le mani e il capo!». Soggiunse Gesù: «Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto puro; e voi siete puri, ma non tutti». Sapeva infatti chi lo tradiva; per questo disse: «Non tutti siete puri». Quando ebbe lavato loro i piedi, riprese le sue vesti, sedette di nuovo e disse loro: «Capite quello che ho fatto per voi? Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi».
Audio della riflessione.
È sempre bello poter rifarsi a qualcosa che ti incanta e ti incatena nello stesso tempo. È l’amore, per esempio, tra un uomo e una donna, tra un ragazzo e una ragazza: sei passato per caso, s’è accesa una passione, uno spasimo, una gioia che non puoi più contenere, hai fatto pazzie per capire, per incontrarti, per vedere come saziare questo desiderio, come dargli un nome, come possederlo; non ce l’hai mai fatta perché ogni espressione non è mai stata capace di definirlo, di comprenderlo fino in fondo; c’è sempre stata una sete che non poteva esaurirsi. La vita è così: accende forti passioni per farci alzare lo sguardo all’infinito, anche se noi facciamo finta che ci possiamo accontentare di qualcosa che vale molto meno: i soldi, il potere, il sesso fine a sé stesso. Ma nessuno si inganna con sé stesso: sono tutte pezze di felicità che cercano di tappare un colabrodo che è la nostra vita e che fa acqua da tutte le parti.
Per un cristiano una esperienza così profonda è l’Eucaristia, questa semplicissima cena, in cui Gesù anticipa nei gesti, nei segni, nel pane e nel vino l’offerta di sé per la pienezza di vita del mondo, per colmare la sete di amore dell’uomo, per proporsi come riferimento alle nostre ricerche e alle nostre paure.
Vogliamo brevemente contemplare questo momento intenso, tragico, coinvolgente. Immaginiamo di esserci tutti noi. Siamo stati invitati dall’abitudine, dalla fede, da amici, dai genitori, dal cuore. Ci siamo magari detti: stasera ci vado anch’io. Non ci spero niente, però ci voglio stare. E siamo qui, ciascuno con il nostro pensiero, i nostri affanni, le nostre gioie, i nostri sogni. I giovani hanno fatto uno strappo alle loro solite abitudini, noi adulti alle nostre comodità, a quell’inerzia o pigrizia, che quando eravamo giovani giuravamo che non ci avrebbe preso, poi invece la vita ci fa mettere le pantofole e non ci fa più osare qualcosa di grintoso.
Gesù a questa cena fa a noi alcune domande imbarazzanti: qualcuno di voi mi tradirà, vegliate, statemi vicini, chi mangia questa carne vivrà in eterno, volete andarvene anche voi. Dobbiamo scegliere. Non liquidiamo la nostra fede con la domanda. Sono forse il Signore, per lavarcene le mani. Ciascuno di noi vive il suo piccolo o grande tradimento. Stasera però Gesù vuol andare oltre e ci lava la vita, ci lava i piedi, ci purifica la coscienza perché abbandoniamo tutte le nostre miserie e ci apriamo all’ascolto, all’accoglienza.
La grande defezione dal Cristianesimo che si sta realizzando nelle nostre comunità avviene nella mentalità della nostra gente perché si crede che il Cristianesimo sia una opzione contro la vita. Con la Croce, con tutti i Comandamenti, con tutti i “No” che ci propone, ci chiude la porta della vita. Ma noi, vogliamo avere la vita, e scegliamo, optiamo, finalmente, per la vita liberandoci dalla Croce, liberandoci da tutti questi Comandamenti e da tutti questi “No”. Vogliamo avere la vita in abbondanza, nient’altro che la vita. Qui subito viene in mente la parola del Vangelo: “Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per me, la salverà” (Lc 9, 24). Questo è il paradosso a cui siamo chiamati anche stasera. Se noi ci arroghiamo di essere i padroni della vita, la perdiamo. La storia del secolo passato, ma anche di questa guerra mondiale a pezzi, attentato, vendetta, carneficina ce lo insegna. Non arrogandoci la vita per noi, ma solo dando la vita, non avendola e prendendola, ma dandola, possiamo trovarla. Questo è il senso ultimo della Croce, che domani metteremo al centro ancora di più del nostro essere cristiani: non prendere per sé ma dare la vita.
È contemplazione soprattutto, ma anche decisione di mettersi al servizio degli altri. Frasi fatte, ma non sempre, perché in quell’ultima cena Gesù si mette a lavare i piedi agli apostoli.
Tra l’annuncio di un tradimento e la crocifissione, prende tra le mani quei piedi e li lava. Ha strofinato con le sue mani i piedi di Pietro, quelli che l’avrebbero fra poco portato lontano da lui nel tradimento, ha preso tra le mani i piedi di Giovanni, il giovane innocente e ingenuo che avrebbe preso il suo posto accanto alla mamma Maria, ha preso tra le mani i piedi di ciascuno di noi, ha pensato a tutti i nostri percorsi sbagliati, le nostre fughe da lui, le nostre avventure incoscienti, i nostri tradimenti e i nostri passi d’amore verso i poveri.
A quei piedi è affidato l’annuncio di speranza che dovrà varcare ogni confine del mondo. A noi questa speranza è arrivata e non dobbiamo tenerla per noi.
Una riflessione sul Vangelo secondo Mateo (Mt 26, 14-25)
In quel tempo, uno dei Dodici, chiamato Giuda Iscariòta, andò dai capi dei sacerdoti e disse: «Quanto volete darmi perché io ve lo consegni?». E quelli gli fissarono trenta monete d’argento. Da quel momento cercava l’occasione propizia per consegnare Gesù. Il primo giorno degli Ázzimi, i discepoli si avvicinarono a Gesù e gli dissero: «Dove vuoi che prepariamo per te, perché tu possa mangiare la Pasqua?». Ed egli rispose: «Andate in città, da un tale, e ditegli: “Il Maestro dice: Il mio tempo è vicino; farò la Pasqua da te con i miei discepoli”». I discepoli fecero come aveva loro ordinato Gesù, e prepararono la Pasqua. Venuta la sera, si mise a tavola con i Dodici. Mentre mangiavano, disse: «In verità io vi dico: uno di voi mi tradirà». Ed essi, profondamente rattristati, cominciarono ciascuno a domandargli: «Sono forse io, Signore?». Ed egli rispose: «Colui che ha messo con me la mano nel piatto, è quello che mi tradirà. Il Figlio dell’uomo se ne va, come sta scritto di lui; ma guai a quell’uomo dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito! Meglio per quell’uomo se non fosse mai nato!». Giuda, il traditore, disse: «Rabbì, sono forse io?». Gli rispose: «Tu l’hai detto».
Audio della riflessione.
Siamo tutti piccoli o grandi traditori. Tutti un giorno o l’altro abbiamo venduto la fiducia che qualcuno ci aveva regalato per fare i nostri interessi, abbiamo tutti un tiro pronto alla schiena, una menzogna per salvarci la faccia, una amicizia che abbiamo usato per il nostro egoismo, un giuramento sulle cose che abbiamo più care, per salvarci in extremis da una verità che non abbiamo il coraggio di dire e che ci brucia dentro. Non ci interessa se facciamo del male, se feriamo, abbiamo solo urgenza di salvarci la faccia perché non abbiamo la forza di guardarci dentro e di accettarci per quello che siamo.
C’è un tradimento che oggi risuona nell’atmosfera severa delle chiese, che viene letto e riletto, messo davanti a nostra confusione, collocato in vetrina per potercisi specchiare. È il tradimento di Giuda. Lui, l’amico, il confidente, la persona che Gesù ha caricato di tutta la sua volontà di coinvolgerlo nel piano di salvezza. Lo conosceva, sapeva che era un sicario, che nel suo sangue bolliva urgenza di cambiamento, di rivoluzione. Aveva voluto trascinarlo nella rivoluzione dell’amore, ma non ce l’ha fatta. Lui Giuda si è ripreso la sua libertà. Ha seguito per un po’ Gesù, ma non è riuscito a trasformare il suo odio in amore, la sua ideologia della violenza in visione evangelica di cambiamento delle coscienze.
Quei trenta miseri denari, che gli scotteranno subito tra le mani appena monterà nella sua anima la vergogna al solo loro tocco, risuoneranno metallici e striduli sotto le arcate cupe dei palazzi del potere. Non saranno la musica dei singhiozzi di Pietro, ma il riso satanico di chi ha venduto la sua anima al Divisore.
Il mistero dell’iniquità si è fatto vivo e non smetterà mai di tormentare l’uomo, di tentarlo sempre di tradimento.
Ma Gesù tenterà l’ultima carta e lo chiamerà amico, rievocherà con quel nome tutti i tentativi di forzare la cattiveria che albergava nel cuore di Giuda. Amico, è una parola che ci vogliamo sempre sentire da Gesù, perché sappiamo che Lui è un Dio che non ci abbandona mai. Amico vogliamo dire anche noi, a chi ci fa del male, a chi trama contro di noi, a chi vediamo accecato di odio perché vogliamo sempre spegnere l’odio con l’amore.
In quel tempo, [mentre era a mensa con i suoi discepoli,] Gesù fu profondamente turbato e dichiarò: «In verità, in verità io vi dico: uno di voi mi tradirà». I discepoli si guardavano l’un l’altro, non sapendo bene di chi parlasse. Ora uno dei discepoli, quello che Gesù amava, si trovava a tavola al fianco di Gesù. Simon Pietro gli fece cenno di informarsi chi fosse quello di cui parlava. Ed egli, chinandosi sul petto di Gesù, gli disse: «Signore, chi è?». Rispose Gesù: «È colui per il quale intingerò il boccone e glielo darò». E, intinto il boccone, lo prese e lo diede a Giuda, figlio di Simone Iscariòta. Allora, dopo il boccone, Satana entrò in lui. Gli disse dunque Gesù: «Quello che vuoi fare, fallo presto». Nessuno dei commensali capì perché gli avesse detto questo; alcuni infatti pensavano che, poiché Giuda teneva la cassa, Gesù gli avesse detto: «Compra quello che ci occorre per la festa», oppure che dovesse dare qualche cosa ai poveri. Egli, preso il boccone, subito uscì. Ed era notte. Quando fu uscito, Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. Figlioli, ancora per poco sono con voi; voi mi cercherete ma, come ho detto ai Giudei, ora lo dico anche a voi: dove vado io, voi non potete venire». Simon Pietro gli disse: «Signore, dove vai?». Gli rispose Gesù: «Dove io vado, tu per ora non puoi seguirmi; mi seguirai più tardi». Pietro disse: «Signore, perché non posso seguirti ora? Darò la mia vita per te!». Rispose Gesù: «Darai la tua vita per me? In verità, in verità io ti dico: non canterà il gallo, prima che tu non m’abbia rinnegato tre volte».
Audio della riflessione.
Vive sempre in noi un grande desiderio di bontà, di generosità … tante volte vedendo le situazioni di bisogno vorremmo impegnarci in prima linea, ci par di poter bruciare le tappe, ci sembra che niente possa fermarci: è entusiasmo sincero, è slancio immediato, ma spesso è senza radici … non fa conto della debolezza della vita, della fragilità delle nostre forze.
Un’altra figura che campeggia nella storia della passione di Gesù ci mette davanti alle nostre velleità e alla assoluta necessità di affidarci solo a Dio: è Pietro, un uomo tutto di un pezzo, deciso, immediato, entusiasta, ma debole.
“Darò la mia vita per te”.
Chi non l’ha detto qualche volta in uno slancio d’amore verso la persona amata? Chi non ha sentito crescere dentro di sé amore e dedizione per qualcuno che ti ha riempito il cuore della sua amicizia, che ti ha fatto intravedere un mondo bello, e ti ha fatto vivere una relazione profonda di amicizia?
“Gesù, come posso ripagare la sterzata decisiva che hai dato alla mia vita? Tu mi hai strappato da quel lago, mi hai fatto intravedere un regno di pace e di giustizia, mi hai mostrato il tuo volto raggiante di Figlio di Dio sul Tabor. Ricordi quanto ti supplicai di fissarci in quella beatitudine? Quanta nostalgia mi hai fatto crescere in cuore per il tuo mondo. E vuoi che io ora mi tiri indietro? Vuoi che mi faccia costare lo stare con te, credi che ci sia qualcuno che può cancellarmi dagli occhi e dal cuore, dagli orecchi e dall’intelligenza il tuo volto, le tue parole, la tua bellezza, la tua amicizia, la tua solidarietà? Darò la mia vita per te!”.
Purtroppo, già razzolava nella corte di Pilato, già beccava frumento nel pollaio dei sommi sacerdoti il gallo che avrebbe risvegliato Pietro dalla sua sicumera e lo avrebbe ridotto a uno straccio di traditore, per giunta sconfitto e disperato.
Mi avrai rinnegato tre volte.
Benedetto gallo che risvegli la coscienza dal torpore: ne avessimo sempre uno anche noi che ci potesse togliere da quella stupida abitudine al tradimento di cui molte volte non ci vogliamo accorgere!
C’era però già pronto ancora una volta uno sguardo di tenerezza e d’amore: il focoso Pietro, il generoso Pietro non sarebbe stato lasciato a sé stesso nella sua tragica consapevolezza del tradimento, ma sarebbe stato accolto dall’amore di Gesù, il Dio che non abbandona mai nessuno.
Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 12, 1-11)
Sei giorni prima della Pasqua, Gesù andò a Betània, dove si trovava Làzzaro, che egli aveva risuscitato dai morti. E qui fecero per lui una cena: Marta serviva e Làzzaro era uno dei commensali. Maria allora prese trecento grammi di profumo di puro nardo, assai prezioso, ne cosparse i piedi di Gesù, poi li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì dell’aroma di quel profumo. Allora Giuda Iscariòta, uno dei suoi discepoli, che stava per tradirlo, disse: «Perché non si è venduto questo profumo per trecento denari e non si sono dati ai poveri?». Disse questo non perché gli importasse dei poveri, ma perché era un ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro. Gesù allora disse: «Lasciala fare, perché ella lo conservi per il giorno della mia sepoltura. I poveri infatti li avete sempre con voi, ma non sempre avete me». Intanto una grande folla di Giudei venne a sapere che egli si trovava là e accorse, non solo per Gesù, ma anche per vedere Làzzaro che egli aveva risuscitato dai morti. I capi dei sacerdoti allora decisero di uccidere anche Làzzaro, perché molti Giudei se ne andavano a causa di lui e credevano in Gesù.
Audio della riflessione.
È bello ascoltare storie, evocare sentimenti, osservare descrizioni di personaggi, vedersi rispecchiare in figure che ci aiutano a leggere più in profondità le nostre stesse emozioni e a dare voce ai nostri sentimenti … la settimana più decisiva della vita di Gesù ce ne presenta tanti.
Sei giorni prima della grande festa ancora tutto è normale: non è ancora esplosa la cattiveria umana che porterà Gesù in croce, c’è una scena intima di amicizia, dove si mescolano tenerezza e triste presagio.
Gesù sente di essere braccato: quell’ingresso trionfale a Gerusalemme ha messo in allarme il sinedrio … non staranno con le mani in mano a farsi cogliere di sorpresa … “O adesso o mai più” – pensano i sommi sacerdoti – “Quel che Gesù ha fatto è troppo!” … e Gesù si concede un momento di intimità con gli amici: va a Betania nella casa dell’amico Lazzaro.
La casa è piena di tanti amici, ma la scena è occupata da due persone: Maria, la sorella di Lazzaro e Giuda; da una parte la tenerezza, un cuore ansioso, pieno di presagi, una sensazione di qualcosa di irreparabile che sta capitando, dall’altra un freddo calcolatore pieno di sicurezza e di disprezzo, frustato e tentato di tradimento.
Maria rompe un vaso di nardo preziosissimo e riempie la sala di profumo: sono i piedi di Gesù che meritano tanto, ma è tutta la casa che ne viene saturata, la vita di quel gruppo di disperati che viene inondata da un profumo che nei loro ricordi resterà indimenticabile! È un gesto d’amore, è l’ultimo vero gesto d’amore che viene rivolto dall’umanità a Gesù.
Ce ne sarà tra poco un altro, il bacio di Giuda, quello non sarà amore, ma tradimento! C’è un conteggio che passa per la mente di Giuda: un profumo sprecato questo unguento, con tutti i poveri che ci sono e che potrebbero avvantaggiarsi del suo valore: vale ben trecento denari.
Il prossimo conteggio lo farà ancora il Sinedrio, quando gli conterà trenta miseri denari come prezzo del tradimento …
La nostra vita si snoda tra un atto di amore e un tradimento: siamo Maria che si vota a Cristo e nello stesso tempo siamo Giuda che calcola.
Per Maria e per noi spesso Gesù è tutto, ma purtroppo abbiamo la tragica possibilità di essere anche Giuda, di non capire Gesù, di vendicarci su di Lui con la nostra cattiveria.
È la Settimana Santa … dobbiamo prendere posizione: o contro Gesù o con Lui, il Dio che non ci abbandona mai.
Una riflessione sul Vangelo secondo Marco (Mc 11,1-11)
Quando furono vicini a Gerusalemme, verso Bètfage e Betània, presso il monte degli Ulivi, mandò due dei suoi discepoli e disse loro: “Andate nel villaggio di fronte a voi e subito, entrando in esso, troverete un puledro legato, sul quale nessuno è ancora salito. Slegatelo e portatelo qui. E se qualcuno vi dirà: “Perché fate questo?”, rispondete: “Il Signore ne ha bisogno, ma lo rimanderà qui subito””. Andarono e trovarono un puledro legato vicino a una porta, fuori sulla strada, e lo slegarono. Alcuni dei presenti dissero loro: “Perché slegate questo puledro?”. Ed essi risposero loro come aveva detto Gesù. E li lasciarono fare. Portarono il puledro da Gesù, vi gettarono sopra i loro mantelli ed egli vi salì sopra. Molti stendevano i propri mantelli sulla strada, altri invece delle fronde, tagliate nei campi. Quelli che precedevano e quelli che seguivano, gridavano:
“Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! 1Benedetto il Regno che viene, del nostro padre Davide! Osanna nel più alto dei cieli!“.
Ed entrò a Gerusalemme, nel tempio. E dopo aver guardato ogni cosa attorno, essendo ormai l’ora tarda, uscì con i Dodici verso Betània.
Audio della riflessione.
Le feste ci attirano sempre. Veniamo da giorni di dolore, talvolta di noia, spesso di routine. Vedere qualcuno felice, vedere gente che si scioglie uscendo dalla sua solitudine in atteggiamenti di festa ci fa sempre piacere, per lo meno ci incuriosisce. Vediamo i particolari del tragitto di Gesù. Sono partiti da Betania, a pochi chilometri da Gerusalemme, un villaggio sul versante orientale del monte degli ulivi, dov’era la dimora ospitale delle sorelle Marta e Maria, e del loro fratello Lazzaro, da poco risuscitato da Gesù, e dove la gente curiosa si addensava stupita ed eccitata: vi erano gli amici, i discepoli con quelli che ammiravano Lazzaro redivivo per la popolarità che Gesù andava acquistando, c’erano anche quelli che erano decisi a sopprimere tanto Gesù, quanto Lazzaro, per mettere fine al successo crescente del Maestro (Io. 12, 10). In quest’atmosfera, carica di entusiasmo esplosivo da una parte e di odio radicale e segreto dall’altra, partendo da Betania si formò un corteo, e con grande gioia dei seguaci di Gesù. Gesù, contrariamente ad altri momenti ci sta e dà un ordine insolito ai discepoli: procuratemi una cavalcatura per proseguire festosamente verso Gerusalemme. A Betfage infatti, fu preso a prestito un asinello, non mai prima d’allora cavalcato da alcuno, e vi fu fatto sedere il Maestro stesso; e immediatamente la scena si trasformò in una manifestazione popolare, resa solenne nella sua povera semplicità da due circostanze: la ressa di popolo accampata intorno a Gerusalemme per la Pasqua ebraica, e proveniente dalla città rigurgitante di popolo e di forestieri, e accorsa tutta verso la comitiva in arrivo; e, seconda circostanza, le acclamazioni spontanee e gaudiose di tutta quella gente, dei giovani e dei ragazzi soprattutto, che applaudiva con grida assai significative, e per i nemici di Gesù assai fastidiose: «Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore».
Che cosa significava questa accoglienza, così gioiosa e così clamorosa? Questo è importante notare. Il momento si fa drammatico, e acquista il suo significato, decisivo per la storia e per la comprensione del Vangelo: si tratta del riconoscimento e della proclamazione del carattere messianico di Gesù. Per noi è consuetudine, ma per gli ebrei che avevano sempre vissuto con nel cuore, nella storia, negli studi, nelle preghiere una attesa infinita, finalmente sono con Colui che doveva venire. Egli è qui, Egli è il figlio di David! Egli è il Cristo! Gesù è il Cristo, il mandato da Dio, il Salvatore, il Messia, è il centro della storia, è il Re dei Giudei (Che aveva scritto Pilato sulla tavoletta della sentenza di morte, affissa sopra la Croce di Gesù? «Gesù Nazareno Re dei Giudei»). «Questo è il punto ove s’incontrarono . . . il messianismo delle plebi e quello di Gesù». Non era soltanto un momento eccezionale; era un destino, che riassumeva la vita privilegiata e travagliata del Popolo eletto, che concentrava in sé il compimento delle profezie e che apriva gli orizzonti del tempo futuro, che celebrava un avvenimento d’inesauribile salvezza, la Redenzione, e che impegnava tutta l’umanità ad una scelta suprema, quella nuova alleanza tra il mondo e Dio, quella del cristianesimo sì, o no. Questa celebrazione, che riguarda la proclamazione di Gesù Messia, di Gesù il Cristo, di Gesù, nostro Salvatore, riguarda anche il nostro destino, la nostra scelta primaria. Ripensate all’episodio decisivo, che stiamo celebrando: Gesù riconosciuto dal Popolo, e nello stesso tempo, Gesù osteggiato e poi fatto uccidere dai capi del Popolo stesso, che non vollero accoglierlo e prestargli fede, neppure dopo la risurrezione di Lazzaro, neppure dopo il suo ingresso trionfale ed umile quale Messia in Gerusalemme. Ci vengono in mente le parole profetiche pronunciate dal pio e vecchio Simeone, quando Gesù bambino, fu presentato al tempio: Egli sarà «segno di contraddizione»? (Lc 2,34) Sì, segno di contraddizione: intorno a lui vi sarà una lotta; gli uomini saranno divisi ed opposti fra loro. Questa lotta si perpetuerà nei secoli. Questo è uno dei misteri più difficili e più dolorosi della storia umana: l’unità d’intorno al Cristo, centro, polo, salvatore dell’umanità, non sarà né spontanea, né facile; egli sarà un bersaglio di fiera e dura opposizione da una parte; Egli sarà tuttavia punto di fedelissima convergenza dall’altra. Permettetemi di farvi una domanda: chi è o chi sono quelli che in quel giorno fatidico ebbero l’intuizione che Gesù di Nazareth, un Maestro di cui tutti o quasi conoscevano che era saggio, faceva miracoli, era molto buono con tutti, che da un po’ di tempo pellegrinava per la Palestina, chi aveva capito che era Lui il Messia, era Lui il figlio di David, era Lui il Salvatore atteso e promesso? Sicuramente è stata la gente, e fra la gente chi erano i più entusiasti ed attivi? I giovani. Loro capirono che quella era l’ora di Dio, l’ora sospirata e benedetta dell’arrivo del Messia; e fu allora, che agitando rami degli alberi, rami d’olivo e di palme, decretarono a Gesù, il Maestro, il Messia, il Cristo, il Principe della pace (Cfr. Is 9,6), il suo primo trionfo, popolare ed incontenibile (Cfr. Lc 19,39-40). Gesù fu visto piangere in quel momento, che presagiva: a Lui la passione e la croce, e alla città che non avrebbe risposto alla sua suprema chiamata messianica una futura rovina. Sarebbe stato lasciato solo. Noi come vivremo questa settimana? Davanti alla passione che adesso continueremo a leggere dobbiamo deciderci. Ma una decisione l’abbiamo già presa. Noi lo vogliamo adorare, assumere, mangiare come il nostro pane di vita: non per caso abbiamo voluto sospendere il racconto della passione, perché lì abbiamo sentito che cosa ha fatto Gesù nella cena; ci ha dato il suo corpo e il suo sangue, cioè ci ha offerto il suo sacrificio e la sua morte rappresentandola nel pane e nel vino diventati il suo corpo e il suo sangue.
Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 11,45-56)
In quel tempo, molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di ciò che Gesù aveva compiuto, [ossia la risurrezione di Làzzaro,] credettero in lui. Ma alcuni di loro andarono dai farisei e riferirono loro quello che Gesù aveva fatto. Allora i capi dei sacerdoti e i farisei riunirono il sinèdrio e dissero: «Che cosa facciamo? Quest’uomo compie molti segni. Se lo lasciamo continuare così, tutti crederanno in lui, verranno i Romani e distruggeranno il nostro tempio e la nostra nazione». Ma uno di loro, Caifa, che era sommo sacerdote quell’anno, disse loro: «Voi non capite nulla! Non vi rendete conto che è conveniente per voi che un solo uomo muoia per il popolo, e non vada in rovina la nazione intera!». Questo però non lo disse da se stesso, ma, essendo sommo sacerdote quell’anno, profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione; e non soltanto per la nazione, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi. Da quel giorno dunque decisero di ucciderlo. Gesù dunque non andava più in pubblico tra i Giudei, ma da lì si ritirò nella regione vicina al deserto, in una città chiamata Èfraim, dove rimase con i discepoli. Era vicina la Pasqua dei Giudei e molti dalla regione salirono a Gerusalemme prima della Pasqua per purificarsi. Essi cercavano Gesù e, stando nel tempio, dicevano tra loro: «Che ve ne pare? Non verrà alla festa?».
Audio della riflessione.
Si stringe attorno a Gesù il cerchio della morte. Chi gli sta facendo terra bruciata attorno non è la mafia, non è il terrorismo, non sono i nemici della religione, gli altri, i senza Dio, ma sono proprio quelli che vedono sbriciolarsi le sicurezze di una religione senza cuore, ingessata, a servizio di un potere e di una stabilità politica.
Gesù è un pericoloso concorrente delle ricette di religiosità dei sacerdoti del tempio. Li aveva previsti Dio nella legge data a Mosè per fare da parete tra la debolezza e la miseria del popolo e la infinita sua grandezza, ma senza rendersene conto il ponte si era spezzato, era crollato. Avete abbandonato me, fonti di acqua viva per scavarvi cisterne, screpolate; a pozzanghere andate a bere non alla sorgente.
Se vogliamo tenere assieme il nostro culto occorre togliere di mezzo Gesù. È necessario che uno muoia per la salvezza di tutti. Caifa è rappresentante istituzionale del rapporto di alleanza tra Dio e il suo popolo e non perde nel suo peccato il ruolo di profeta, di uomo che ha più orizzonti, che permette di capire il senso della storia.
Ma proprio nel suo freddo calcolo di odio, nella sua decisione politica Dio scrive il senso della storia. In questo verdetto assassino trova compimento il piano di Dio, la decisione trinitaria di amore fino alla fine di Dio per l’uomo. Chi andrà per noi? Eccomi manda me. Dio, mi hai dato un corpo, sia fatta la tua volontà, si concretizzi il tuo piano di salvezza. È il mistero della vita e della storia! Dio scrive diritto sulle righe storte dei nostri tradimenti e contorcimenti. La storia è fatta dagli uomini, ma guidata da Dio.
Da quel giorno decisero di ucciderlo. E Gesù si sottrae. Ritorna in una regione vicina al deserto; in un altro brano si dice che Gesù tornò là dove Giovanni quando era in vita stava a battezzare. Ritorna alle origini della sua vocazione a ricollocarsi con coscienza nella definitiva storia del Regno di Dio.
E la gente cercava Gesù. Verrà egli alla festa? C’è Gesù nelle nostre feste o le abbiamo cambiate in trappole per la nostra comodità. Il Gesù che cerchiamo nella festa è il morto e risorto, è il Signore. Questa Settimana Santa ci deve portare a desiderare Gesù, ma sappiamo che prima di entrare nelle nostre feste è venuto fuori del tempio, fuori della città, fuori dell’accampamento umano. C’è da uscire dalle nostre ingessature se lo vogliamo incontrare.