Siamo stanchi di guerre, Signore salvaci

Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 14,27-31)

In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli:
«Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi.
Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore. Avete udito che vi ho detto: “Vado e tornerò da voi”. Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me. Ve l’ho detto ora, prima che avvenga, perché, quando avverrà, voi crediate.
Non parlerò più a lungo con voi, perché viene il prìncipe del mondo; contro di me non può nulla, ma bisogna che il mondo sappia che io amo il Padre, e come il Padre mi ha comandato, così io agisco».

Audio della riflessione.

Fra i tanti perché della vita, uno in particolare torna insistente alla mente umana, soprattutto se, complice o grazie alle tante informazioni che ci martellano quotidianamente, ci lasciamo provocare dai fatti. Perché nel mondo ci devono essere sempre le guerre? Perché gli uomini cambiano la convivenza pacifica in contrapposizione spietata? Perché tanti giovani debbono convivere da quando sono nati con armi, bombardamenti, distruzioni, fughe, ammassamenti in campi di sopravvivenza? Perché dei popoli che vivono in pace a un certo punto sono galvanizzati da chi li lancia alla guerra? Perché i conflitti tra modi diversi di pensare la vita, gli stessi conflitti di interessi devono per forza cercare soluzione con la guerra? 

Il male, la vendetta, l’ingiustizia, la ritorsione, la forza, la prevaricazione formano un anello che non si spezza e si cambia in morte, distruzione, dolore. Qualcuno muove i fili e si arricchisce aumentando il suo prodotto interno lordo. Se ha una azienda di armi cerca il massimo profitto e spera che per il suo mestiere qualcuno si lasci ammaliare dalla sua pubblicità. Siamo nel massimo della irrazionalità o di una razionalità malata: una miscela senza speranza. L’uomo tenta di reagire, riesce qualche volta a contenere, ad attutire, ma dove sta la pace? 

Dice Gesù come primo saluto dopo la tragedia della Croce, dopo aver toccato il fondo cui può portare la cattiveria e l’odio umano, vi lascio la pace, vi do la mia pace. La pace è un dono, è qualcosa di più grande di noi. Sembra il bene più evidente l’aspirazione più normale, ma è il primo frutto di una vita nuova. È scardinare il male alla radice. Noi siamo capaci di farci del male, ma solo Dio può rimarginare le ferite, può riportare l’uomo alla saggezza cui da sempre l’ha destinato. 

Se poi la guerra è una vendetta, un massacro, un proposito di cancellare un popolo, una risposta a un miserabile attacco senza avere una prospettiva di convivenza, di ristabilimento del diritto mondiale è la semina di altre guerre e diventa una disgrazia per tutta la terra, un cancro dell’umanità 

Solo Dio possiede il segreto di una vita piena, solo lui ci sa aprire prospettive nuove. I nostri sforzi, gli sforzi degli stati passano da lui, dal cuore nuovo di cui abbiamo bisogno e che con lui possiamo ricostruire e sperare e chiedere per tutti gli uomini.

30 Aprile
+Domenico

Qui da me c’è sempre posto per tutti e per ciascuno

Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 11, 28-30)

In quel tempo Gesù disse:
«Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo.
Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».

Audio della riflessione.

L’esperienza del vivere è spesso faticosa. Non solo per le malattie, le disavventure, le disgrazie, ma anche per il suo corso normale. Ogni giorno devi caricarti il tuo fardello e portarlo. Hai una casa, una famiglia e devi esserne sempre responsabile, hai intrapreso una strada di studio e devi portarla a termine. Tante volte sei tentato di lasciare tutto, spesso, soprattutto quando ti rimorde la coscienza perché ti sei comportato male trovi ancora più difficile costruirti motivazioni per continuare. Altre volte ti senti solo, sei circondato da persone che ti dicono di volerti bene, ma non ne senti il calore, l’intensità. Non è depressione, ma desiderio di sentirsi di qualcuno sempre, di avere un posto in cui sentirti preso per quello che sei, amato anche senza merito, senza averlo guadagnato. 

Gesù capisce questa sete profonda dell’umanità, di me e di te, che stiamo annaspando nella vita, contenti, desiderosi di continuare, pieni di buoni propositi, ma senza forze, esausti, senza spinta interiore. Ci abituiamo a tutto, senza grinta. Anche le cose più belle si scoloriscono perché ci lasciamo prendere da follie del momento, da dolori imprevisti e sofferenze che ci paiono insormontabili. 

Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi. Passate di qua quando non ne potete più, perché io ci sono sempre, io non vi scarico, io sto sempre con voi. Quando la vita vi sembra senza sapore, io sono il sale della vita. Quando vi sembra inutile, insopportabile, pesante, state dietro a me, vi trascino io, vi tengo io per mano, vi prendo la croce e l’appoggio sulla mia. 

Tendi la mano che te la prendo io e faccio passare in questo contatto la mia forza, la decisione irrevocabile di mio Padre che vuole per te la gioia piena. È ben altro il peso della vita: è il male che non ti molla, che ti incatena 

Tu puoi avere l’impressione che il vangelo sia difficile da seguire, ma non è un peso, è una forza, una luce che scandaglia nelle profondità di tanta nostra infelicità e vi dà luce. Non sono una legge, ma uno Spirito. Sono già dentro di te a sanare ciò che sanguina, a lavare ciò che è sporco, a piegare le tue assurde cattiverie. 

Fidati, rischia, buttati, ci sono io, il Dio che non ti abbandona mai.

29 Aprile
+Domenico

Senza di me non potete far nulla

Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 15,1-8)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato.
Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano.
Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».

Audio della riflessione.

Ma che cosa mi manca nella vita? Ho un comportamento corretto, una vita regolare, mi par di essere onesto nel lavoro, pago pure le tasse, che non è cosa da poco, non mi lascio impelagare in avventure strane. 

Eppure, hai l’impressione che manchi un perno, ti pare di girare a vuoto, di sentirti sterile, scontato, di non produrre bontà. La spia che c’è qualcosa che non funziona, e che è diventata la malattia del secolo, è che perdi spesso la pazienza, che troppe volte t’arrabbi, magari urli, perdi le staffe, vola qualche parola di troppo. Credi di avere in mano tu la vita e quando ti sfugge t’arrabbi per cambiarle il corso; invece resta come prima, con qualche coccio da ricomporre. 

Ma noi siamo tralci, non siamo la vite; noi siamo rami, non siamo la pianta; “senza di me, dice Gesù, non potete far nulla”. 

Non abbiamo in noi il principio del nostro essere. Siamo un mistero a noi stessi, non riusciamo a trovare ragioni sufficienti di vita se non in una relazione, nella percezione di una linfa che scorre dentro di noi e che ha la sorgente fuori di noi. Io sono la vita, voi i tralci se rimanete in me, farete frutti, la vita non sarà vuota. 

Rimanere è un verbo che la nostra vita, moderna non conosce più. Oggi si esige il fare, l’organizzare, telefonare, far sapere, gestire, costruire, riunire, coordinare tabelle, confronti. Avere sempre campo per il cellulare. Gesù dice: rimanete; datevi una calmata ritrovate la bussola, il centro, tendete l’orecchio alla Parola, a una buona notizia, al vangelo. Non occorre perdere la pazienza. Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato. 

Pianta e rami, vite e tralci, sorgente e ruscello, sono abbinamenti che non possono stare slegati. Non scorre acqua se il ruscello non è legato a una fonte viva, non scorre vita se un ramo non è attaccato alla pianta, non c’è possibilità di dare un grappolo se un tralcio vien staccato dalla vite. Non c’è bontà nell’uomo se non sta attaccato al sommo bene; non c’è amore nell’uomo se non sta attaccato alla sorgente dell’amore che è Dio. Il mondo è tutto una serie di interazioni, di collegamenti, di fili che non legano, ma che fanno circolare vita. 

La nostra autosufficienza vorrebbe che tutto partisse da noi. Noi siamo la bontà, e non ci accorgiamo che da soli sappiamo soltanto essere cattivi; noi siamo la gioia e non ci accorgiamo che ci caratterizza di più la noia; noi passiamo per generosi, invece ci caratterizza di più l’egoismo. Abbiamo perso la strada della sorgente, dobbiamo risalire il fiume della vita e avere il coraggio di ritrovarne la fonte.; che è Gesù e il suo Vangelo.

28 Aprile
+Domenico

Possiamo vedere finalmente Dio

Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 14,7-14)

In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre mio: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto».
Gli disse Filippo: «Signore, mostraci il Padre e ci basta».
Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre. Come puoi tu dire: “Mostraci il Padre”? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me stesso; ma il Padre, che rimane in me, compie le sue opere. Credete a me: io sono nel Padre e il Padre è in me. Se non altro, credetelo per le opere stesse.
In verità, in verità io vi dico: chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre. E qualunque cosa chiederete nel mio nome, la farò, perché il Padre sia glorificato nel Figlio. Se mi chiederete qualche cosa nel mio nome, io la farò.

Audio della riflessione.

Conosciamo tante cose, sappiamo trovare di tutto, inventiamo motori di ricerca sempre più raffinati, ci basta una tastiera per aprirci a tutto lo scibile umano, ma non abbiamo saggezza, abbiamo perso la bussola, non sappiamo dare valore e cercare i valori. Siamo una lavagna su cui tutti possono scrivere ciò che vogliono e noi restiamo senza riferimento. Ci passa davanti tutto, ma niente ci prende e ci dà felicità. La nostra vita è un Google, che serve quando hai fretta e curiosità, ma ti lascia solo quando devi decidere della tua felicità. Puoi farti aiutare anche dalla intelligenza artificiale, ma sei sempre tu che devi prenderti in mano la vita. Abbiamo bisogno di saggezza, di gusto, di riferimenti, di valori, di motivazioni per spenderci; su tutto il nostro conoscere occorre un faro che illumina e riordina, dà valore e gusto. 

Da tanto tempo sono con te e tu non mi hai ancora conosciuto, non sei riuscito ad andare oltre le impressioni, i tuoi modi di pensare e di fotografare. Credi che sia vero solo quello che ti appare e non sai entrare in profondità nella mia vita. È il rimprovero di Gesù a Filippo, che era tanto incuriosito di sentir Gesù parlare del Padre che gli era nata la voglia di vederlo. Faccelo vedere, non parlarci solo di Lui. Ma il Padre è di quelli che vanno conosciuti con la luce dello Spirito, con la grazia che solo Dio dà. Chi vede me deve avere occhi che gli permettono di vedere il Padre. Quel Gesù che sembrava solo un buon predicatore, un ottimo amico, un pio ebreo, un entusiasta del regno, un guaritore era l’unica immagine visibile del Padre e i discepoli non lo avevano ancora capito. 

Guardando a Gesù noi riusciamo a togliere quel velo che si stende sui nostri occhi e non ci permette di conoscere Dio. Dio nessuno l’ha mai visto, il Figlio ce lo ha rivelato. Gesù è l’unica esperienza che ci dice il volto di Dio, che ci rende sperimentabile in una conoscenza sovrumana la presenza di Dio. Il nostro Dio non è il Dio della filosofia, della razionalità, ma il Dio di una storia che ha trovato ed espresso in Gesù il meglio della sua visibilità. 

Non siamo più condannati a fare congetture, a vivere di immaginazioni, ma siamo chiamati a contemplare il Dio vivente in Gesù. Quel cielo che non è vuoto e si è aperto ci ha mostrato nel volto di Gesù il volto di Dio

27 Aprile
+Domenico

Gesù lo posso vedere sperimentare, e in Lui vedere Dio Padre

Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 14,1-6)

In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli:
«Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no, vi avrei mai detto: “Vado a prepararvi un posto”? Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi. E del luogo dove io vado, conoscete la via».
Gli disse Tommaso: «Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?». Gli disse Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me».

Audio della riflessione.

Produciamo tutto, possiamo trasformare tutto, cambiamo tradizioni, inventiamo nuovi modelli di vita, ci appassioniamo a tutte le novità. Ma spesso abbiamo paura, temiamo di perdere il senso delle cose, non sappiamo se avremo futuro, se le cose che facciamo sono per il bene dell’umanità, sono per la vera felicità. Abbiamo bisogno di discernere, di valutare, di soppesare, di vagliare tra generosità e verità, tra bontà e fedeltà, tra bene personale e bene comune. Gesù è la verità che ci aiuta a fare chiarezza, a discernere e a scegliere 

L’amarezza, la delusione, l’afflizione, il pianto, l’offesa bruciante, le ferite che sanguinano sono costanti della nostra esistenza. Abbiamo spesso preso scorciatoie maledette. Molti che ci dicono di volerci bene, ci rimproverano, ci fanno sentire in colpa. Sbagliamo strada, ma abbiamo bisogno di chi con amore ci riprende, ci aiuta a uscire dalle nostre piccole o grandi prigioni, a fare chiarezza e capacità di comprendere. Gesù è la via, è dolcezza che rasserena, è pazienza che sorregge, è amore che comprende, è guida che dà sicurezza. 

Ci stiamo abituando alla routine dei nostri giorni quotidiani come al colore delle pareti, senza slancio, né entusiasmo, senza lode e senza infamia. Alla grinta abbiamo sostituito la smorfia, all’ardore l’adattamento, al progetto un insieme di rattoppi. Ci lasciamo andare perché non abbiamo più speranza. Gesù è vita, è fervore che ridà anima alle nostre vite, alle nostre coscienze. 

Abbiamo bisogno di un colpo di reni per scrollarci di dosso il vecchiume dell’abitudine. Questa via, verità e vita hanno bisogno di essere dette fino in fondo, approdano da Gesù allo stesso Dio Padre. Conoscere Gesù esige di vederne in filigrana lo stesso Padre, proprio lo stesso padre diranno più tardi di fronte al mistero della Trinità. Ecco allora il salto di qualità che è proposto ad ogni credente a partire dagli apostoli.

26 Aprile
+Domenico

Andate: il vangelo deve correre per le strade del mondo

Una riflessione sul Vangelo secondo Marco (Mc 16, 15-18)

In quel tempo, [Gesù apparve agli Undici] e disse loro: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato. Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno».
Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio.
Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano.

Audio della riflessione.

Marco è stato un grande evangelista che ha portato il vangelo, la persona di Gesù, al mondo romano di allora. La sua figura è ben rappresentata dalla conclusione del suo vangelo. L’uomo è per sua natura un pellegrino, un viaggiatore, lo è stato nei secoli più antichi, quando c’era solo il cavallo o la barca, lo è oggi con tutti i mezzi di trasporto più moderni. Fa parte della sua natura essere cercatore, scopritore, contemplatore del creato, della natura. Soprattutto è viandante perché ha dentro di sé una forza incoercibile che è quella di far sapere, di comunicare, di rendere partecipe l’altro della gioia che vive. L’uomo non è fatto per tenere per sé, ma per offrire e trova la sua gioia nel condividere. 

Per questo alla fine del vangelo di Marco c’è un comando perentorio di Gesù, un comando che destabilizza, che non permette di stare chiusi nel proprio egoismo, ma apre all’inedito di Dio, alla sua novità assoluta: andate. Non si può star fermi quando hai visto che è giunta la pienezza dei tempi. 

Gli apostoli hanno fatto molta fatica a entrare in questo ordine di idee. Già era sembrata di averla scampata bella quando hanno saputo che Gesù era vivo, che il Sinedrio non aveva detto l’ultima parola su di Lui; grazie a Dio lo avevano incontrato risorto, dopo i giorni bui della passione e morte. 

Ecco, si dicono i discepoli, adesso le cose sono state ben sistemate. Si sa chi ha colpa, si sa che Gesù è risorto e questo ci dà una grande serenità. Il male non vince, gli inferi sono spalancati. Questo Gesù ci ha veramente riconciliati con le nostre radici e ci ha anche aiutato a dare alla nostra vita la sua serenità. In questo stato d’animo si sarebbero adagiati i discepoli se non avessero avuto questo comando perentorio: andate. Non sono venuto al mondo solo per aggiornare la vostra vita religiosa, sono venuto a portare un fuoco e voglio che divampi. I confini del popolo di Israele sono troppo angusti, occorre prendere il largo; la mia casa è il mondo, la Parola deve correre ovunque, la salvezza è per tutti. 

Gli apostoli capiranno come obbedire a questo comando dalla vita, dalle persecuzioni. Paolo lo capisce quando in un processo che volevano intentargli i giudei si dichiara cittadino romano e per questo ha diritto di essere giudicato a Roma dall’imperatore e parte per Roma, dove annuncia Gesù, dove il vangelo prende casa, nel cuore del mondo di allora. Il mandato di andare è la scelta di Dio di abitare il mondo, dimostrando di non abbandonare nessun popolo, nessuna nazione.

25 Aprile
+Domenico

Gesù gridò a gran voce

Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 12, 44-50)

In quel tempo, Gesù esclamò:
«Chi crede in me, non crede in me ma in colui che mi ha mandato; chi vede me, vede colui che mi ha mandato. Io sono venuto nel mondo come luce, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre.
Se qualcuno ascolta le mie parole e non le osserva, io non lo condanno; perché non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo.
Chi mi rifiuta e non accoglie le mie parole, ha chi lo condanna: la parola che ho detto lo condannerà nell’ultimo giorno. Perché io non ho parlato da me stesso, ma il Padre, che mi ha mandato, mi ha ordinato lui di che cosa parlare e che cosa devo dire. E io so che il suo comandamento è vita eterna. Le cose dunque che io dico, le dico così come il Padre le ha dette a me».

Audio della riflessione.

Abituati ad ascoltare o leggere il vangelo ogni giorno, ci capita di non badare ad alcuni particolari, molto importanti e definitivi della figura di Gesù. Oggi il brano di vangelo inizia con un netto “Gesù esclamò”, tradotto anche “gridò a gran voce, fece “clamore” … sono tutte traduzioni dello stesso verbo greco, usato da Gesù almeno quattro volte, per designare una sua autopresentazione. In tutte proclama che Lui agisce a nome di Dio Padre; Lui si presenta come agente di Dio nel mondo, uno che non fa nulla di propria iniziativa, perché Lui agisce in assoluta dipendenza dal Padre e con una totale obbedienza a Lui. Perciò la nostra fede in Gesù è sempre fede nel Padre, al quale Gesù ubbidisce e dal quale ha avuto la più assoluta approvazione. In questo brano del vangelo Gesù in pratica riassume tutte le sue presentazioni: 

Credere in Gesù, vederlo, significa credere e vedere chi lo ha mandato: Io e il Padre siamo una cosa sola; quindi, Gesù riflette Dio e lo avvicina all’uomo, lo fa conoscere, lo comunica. 

Gesù è la luce, è venuto per portare la luce contro le tenebre dell’incredulità, così che possiamo credere in Lui ed essere salvi 

La sorte e il destino dell’uomo si risolve tra fede e incredulità, tra salvezza e condanna e questo dilemma si risolve accettando o rigettando Gesù. 

Il principio di riferimento nel giudizio finale sarà la parola di Gesù, perché Lui dall’inizio alla fine non ha insegnato nel proprio nome, non è stato mai indipendente dal Padre. Il Padre che lo ha mandato è la fonte di tutto quello che Gesù ha detto. La parola di Gesù è la parola del Padre. Per questo gli scribi e i farisei gli hanno dichiarato guerra totale. 

La parola di Gesù, che è la parola del Padre aveva un unico scopo: comunicare la vita: questo è il comandamento che ha ricevuto dal Padre e la croce è il sigillo di questa sua volontà e della volontà di Dio Padre.

24 Aprile
+Domenico

Tra le braccia del Padre

Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 10, 22-30)

Ricorreva, in quei giorni, a Gerusalemme la festa della Dedicazione. Era inverno. Gesù camminava nel tempio, nel portico di Salomone. Allora i Giudei gli si fecero attorno e gli dicevano: «Fino a quando ci terrai nell’incertezza? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente».
Gesù rispose loro: «Ve l’ho detto, e non credete; le opere che io compio nel nome del Padre mio, queste danno testimonianza di me. Ma voi non credete perché non fate parte delle mie pecore. Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».

Audio della riflessione.

Non avete mai avuto la sensazione di essere continuamente scippati nella vita? Non sto parlando dei borseggiatori che acuiscono sempre più l’impegno per coglierci nella nostra ingenuità e sfilarci il portafoglio o l’autoradio o il telefonino o la carta di credito, ma dello scippo della vita. 

Fai di tutto per far del bene a qualcuno e quello ne approfitta; ti sembra di aver capito dopo non poche resistenze che devi metterti a disposizione nel bene comune ed è il bello che qualcuno ti aggira. Fai l’onesto nel pagare tutte le tasse e te ne trovano una che ti sei dimenticato e che ti mette a terra. Ti sforzi per costruire un futuro ai tuoi figli, dai fiducia, ti spendi per loro e ti trovi defraudato anche dell’onore. 

Ma siamo figli di qualcuno? Possiamo sperare di non essere continuamente ingannati? C’è qualcuno che ci ama gratis? Da cui non devo difendermi, che mi vuole bene oltre ogni mio merito e precisione? Queste sono tipiche domande religiose: il desiderio di non essere scippati nella vita, l’aspirazione a sentirsi invadere da gratuità è domanda di Dio, è invocazione di un oltre. 

Purtroppo, spesso ci facciamo scippare anche in quelle, ci fermiamo a risposte banali, l’oroscopo per esempio. Di fronte a una previsione di continue banalità e di monotonia o di cose che non si riescono a meritare vogliamo sentirci qualcosa che ci viene incontro gratuitamente, che va oltre le nostre previsioni un regalo immediato come lo è la vita. È molta gente si sbizzarrisce a costruirci illusioni. Sei dei gemelli? Domani tieni aperti bene gli occhi perché non potrai più chiuderli dalle bellezze che incontrerai! Sei del cancro? Domani hai finito di soffrire. Nessuno ci crede, ma ci fa piacere. Gesù invece dice: io ti do una vita piena! 

Mio padre è più grande di tutti non ti scippa mai di niente e nessuno ti può strappare dalle sue mani. Dietro l’oroscopo c’è un inganno benevolo che consapevolmente accettiamo per darci una spinta, dietro le parole di Gesù c’è la sua vita, c’è una storia di persone che ti possono testimoniare vita piena, una fila di peccatori, come me, come molti che possono dimostrare di non essere mai caduti fuori dalle sue braccia anche a volerlo. 

Per Gesù, che credevano tutti fosse stato maledetto anche da Dio su quella croce, invece l’alba della Risurrezione ha posto fine a quel salto nel vuoto della morte, proprio tra le braccia del Padre. Queste braccia mi interessano.

23 Aprile
+Domenico

Si può sempre essere o pastori o ladri

Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 10,1-10)

In quel tempo, disse Gesù: «In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore. Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei».
Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro.
Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo. Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita a l’abbiano in abbondanza».

Audio della riflessione.

Mi capita spesso in campagna, soprattutto a fine inverno inizio primavera, di vedere un gruppo foltissimo di pecore, un gregge, che ti blocca la strada, mentre alcuni cani e un pastore li fanno passare da un campo all’altro. Il pastore sa il fatto suo, il suo cane continua a serrare le fila, a orientare verso il campo, e poi così farà verso i recinti, a tenerle unite. Basta un richiamo del pastore, un battere del bastone che le pecore si dispongono e si orientano. Da sole si disperderebbero, il pastore le sa tenere assieme e orientare. Gesù si presenta come pastore, come colui che si dedica al suo gregge, non in forma impersonale, ma accostandole ad una ad una. Di ciascuna conosce il belato e ciascuna conosce la sua voce. Difatti racconterà più tardi di quella pecora sbadata o cocciuta che lascia il gregge e che lui con pazienza, anche se stanco dopo il lavoro della giornata va a cercare e a ricondurre a casa. 

Un occhio diverso per le pecore ha invece il ladro: quello le vuol solo ammazzare, se ne vuole solo impadronire, ne vuol fare carne da macello, guadagno sicuro. C’è tanta gente che si interessa degli uomini solo per approfittarne; non sempre si tratta di violenze eclatanti; si può far morire anche con i guanti bianchi, anche con il sorriso dell’inganno sulla bocca. Molti, dice Gesù, sono lupi rapaci, vogliono solo soddisfare i propri interessi, i propri istinti di potere nei confronti degli altri. Promettono vita invece offrono solo morte. 

La nostra storia è piena di profittatori, di uomini che hanno promesso felicità e hanno portato solo distruzione, dittatori che hanno ingannato con promesse e hanno portato fame e guerre, schiavitù e desolazione. Ma ne è piena anche la nostra storia personale, di singole persone attirate nella rete del male, della delinquenza da promesse allettanti. 

Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano nella pienezza. Basterebbe credere in questo per dare un orientamento definitivo alla nostra esistenza, Credere che la vita sta da questa parte, dalla parte di Gesù, la vera vita è Lui. Spesso ci lasciamo ingannare dalle sirene, a volte vogliamo fare solo di testa nostra, ma in verità stiamo seguendo ladri anziché il pastore e non ce ne accorgiamo. La nostra speranza è sempre e solo Lui, il buon pastore.

22 Aprile
+Domenico

Il pastore e la porta

Una riflessione sul vangelo secondo Giovanni (Gv 10, 11-18)

In quel tempo, Gesù disse: «Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.
Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore.
Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».

Audio della riflessione.

Nel descrivere il rapporto tra pastore e gregge, Gesù introduce una assoluta novità. Non tutti i pastori danno la vita per le pecore e nemmeno sono obbligati a farlo; on lo fanno nemmeno i guardiani del gregge. Al primo posto c’è la vita del pastore, che sicuramente si dà da fare per tenere bene il suo gregge che per lui e la sua famiglia è fonte di sostentamento. 

Nemmeno è giusto che si introducano pecore che non sono sue. Ma qui il pastore si identifica anche con la porta; si afferma cioè che Cristo, il Signore non è solo chi dà la vita, ma anche la via e il mezzo per entrare nella vita. 

Questa è una novità importante perché il gregge tanto per l’antico testamento, quanto per i Vangeli sinottici è la casa di Israele, l’antico popolo di Dio. Ma qui Giovanni dice che appartengono al gregge tutte le pecore che ascoltano la voce del pastore, che nello stesso tempo è pure unito al Padre e così lo sono pure tutte le pecore che lo ascoltano. 

Il che in altre parole vuol dire che a questa unione e comunione con Gesù e Dio Padre devono partecipare non solo coloro che sono nati in Israele, cioè i membri del popolo ebreo, ma anche i pagani, tutto il nuovo popolo dei credenti in Gesù che possono venire da tutto il mondo. Gesù parla del nuovo popolo di Israele che non dovrà avere confini, ma tutte le provenienze possibili. E Gesù poi conclude assicurando che questo dono volontario della sua vita al gregge è proprio la causa per cui il Padre lo ama. In pratica le pecore appartengono al Padre e non deve fare meraviglia che colui che espone la sua vita per il gregge sia amato dal vero padrone del gregge. 

La morte e la risurrezione di Gesù furono sempre viste dai credenti come una accettazione incondizionata della volontà del Padre da parte di Gesù, cioè del progetto trinitario di Dio nei confronti dell’umanità, tramite l’offerta della vita, della morte e della risurrezione vissuta da Gesù nel farsi uomo. Lui che in Dio è l’autore della vita e ha il potere di darla e riprenderla: la morte e la risurrezione, appunto.

21 Aprile
+Domenico