Una riflessione secondo Giovanni (Gv 16,23b-28)
In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli:
«In verità, in verità io vi dico: se chiederete qualche cosa al Padre nel mio nome, egli ve la darà. Finora non avete chiesto nulla nel mio nome. Chiedete e otterrete, perché la vostra gioia sia piena.
Queste cose ve le ho dette in modo velato, ma viene l’ora in cui non vi parlerò più in modo velato e apertamente vi parlerò del Padre. In quel giorno chiederete nel mio nome e non vi dico che pregherò il Padre per voi: il Padre stesso infatti vi ama, perché voi avete amato me e avete creduto che io sono uscito da Dio.
Sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo; ora lascio di nuovo il mondo e vado al Padre».
Dopo aver assimilato a sé i discepoli Gesù sembra ritirarsi dalla sua condizione di mediatore ma in realtà permette che solo il Padre ci prenda e ci afferri: «Chiedete ed otterrete perché la vostra gioia sia piena» (v.24). Inseriti nel rapporto col Padre mediante l’unione in Lui, la nostra gioia è piena e la preghiera è perfetta. Dio offre sempre il suo amore al mondo intero, ma tale amore acquista il senso di reciprocità solo se l’uomo risponde. L’amore è incompleto se non diventa reciproco: finché l’uomo non lo accetta rimane in sospensione. Tuttavia, i discepoli lo accettano nel momento in cui amano Gesù e così rendono operativo l’amore del Padre.
La preghiera è questo rapporto d’amore. In fondo la storia di ciascuno di noi s’identifica con la storia della sua preghiera, anche quei momenti che non sembrano tali: l’ansia è già preghiera e così la ricerca, l’angoscia…La assoluta novità che come uomini e donne, come creature non ci potevamo immaginare è proprio quella di aver dato un volto, una parola, un cuore a quel ’motore immobile che non ha moto’, a quel creatore di ogni cosa, a quell’essere infinito che abbiamo continuamente cercato di stanare dalla nebbia della nostra intelligenza, della nostra ragione, a colui che chiamiamo Dio. Il volto, la parola, il cuore è quello di un papà. Non lo possiamo allora confinare questo Dio nelle nostre paure, nelle nostre strane fantasie, nella nostra insaziabile sete di ribellione, di processo, di mettere alla sbarra, di colpevolizzare di tutto il male che c’è nel mondo. Dio è Padre; la prima volta che Gesù ce ne ha parlato lo ha chiamato così, morendo sulla croce gli si è affidato così. Quando si è compiuta la sua missione sulla terra, mentre si preparava al congedo da questa vita terrena ci ha garantito che il Padre stesso vi ama. Gesù quasi si ritira come un buon giocatore che sa di dover fare da mediano: io non vi dico che pregherò il Padre per voi quando chiederete nel mio nome, perché è proprio Lui, il nostro padre comune che vi ama. Non ci basta una visione filosofica del mondo, di Dio, della storia, dell’umanità intera; Gesù ci ha dato una visione di famiglia, di relazioni affettive, di sentimenti profondi di vera umanità, di fratellanza, di tavola comune, di vita da figli. Sempre con le nostre libertà che scivolano spesso nell’ingratitudine, nella fuga, nella pretesa, nel disfacimento del dono dell’amore, ma sempre con la certezza di avere un padre, di essere fratelli, di avere in Gesù la strada sicura con il suo vangelo per arrivare alla immensità, grandezza di un Dio che è Padre. La sua partenza dalla terra non è un commiato triste, non ci lascia nella nostalgia di un bel tempo passato, ma ormai finito, da registrare nei ricordi, negli album di fotografie, in tutti i selfie possibili. Ci affida direttamente al Padre e questo affidamento non è simbolico, una sorta di “si fa per dire”, sono le sue braccia, le braccia del Padre, da cui Gesù non è mai caduto e nessuno di noi cadrà. Il Padre stesso vi ama. Questa è la verità assoluta che deve riempire ogni vita, essere annunciata con gioia e speranza, diventare il nostro canto che chiude il tempo pasquale. Il vangelo e la liturgia ci comincia a far capire che tutto questo nuovo stato di vita, questa manifestazione dell’amore di Dio Padre e di Gesù, si fa persona nello Spirito Santo.