Condannata all’isolamento oltre che alla sofferenza

Una riflessione sul Vangelo secondo Marco (Mc 5,21-43)

Lettura del Vangelo secondo Marco

In quel tempo, essendo Gesù passato di nuovo in barca all’altra riva, gli si radunò attorno molta folla ed egli stava lungo il mare. E venne uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, come lo vide, gli si gettò ai piedi e lo supplicò con insistenza: «La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva». Andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno.
Ora una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza alcun vantaggio, anzi piuttosto peggiorando, udito parlare di Gesù, venne tra la folla e da dietro toccò il suo mantello. Diceva infatti: «Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata». E subito le si fermò il flusso di sangue e sentì nel suo corpo che era guarita dal male.
E subito Gesù, essendosi reso conto della forza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: «Chi ha toccato le mie vesti?». I suoi discepoli gli dissero: «Tu vedi la folla che si stringe intorno a te e dici: “Chi mi ha toccato?”». Egli guardava attorno, per vedere colei che aveva fatto questo. E la donna, impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. Ed egli le disse: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male».
Stava ancora parlando, quando dalla casa del capo della sinagoga vennero a dire: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?». Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: «Non temere, soltanto abbi fede!». E non permise a nessuno di seguirlo, fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo.
Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava forte. Entrato, disse loro: «Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme». E lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della bambina e quelli che erano con lui ed entrò dove era la bambina. Prese la mano della bambina e le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico: àlzati!». E subito la fanciulla si alzò e camminava; aveva infatti dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. E raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e disse di darle da mangiare.

Audio della riflessione

C’è un curioso episodio nel Vangelo di Marco: Gesù ha iniziato da poco il suo cammino deciso e travolgente … dove passa crea speranza, scuote le persone dubbiose, trascina chi sa sognare … così chiama i suoi collaboratori, che lasciano, case, campi, mestiere e lo seguono.

La sua visione della vita è affascinante, la sua capacità di leggere le aspirazioni profonde del cuore è sorprendente: ti senti interpretato dalla sua visione della vita … vieni trafitto dai suoi sguardi intensi … ti senti scosso dalle sue invettive, dai progetti, dalla novità delle sue intuizioni e visioni di futuro …

Alla gente non par vero di potersi togliere dal torpore di una vita monotona, dalla stessa cappa di una religiosità ridotta a riti scontati, a ripetitività di formule che lentamente hanno nascosto il volto di Dio.

Ebbene attorno a Gesù si fa calca, né lui fa qualcosa per schivare la gente: si ferma, dialoga, ascolta, alza la voce, richiama, conforta.

C’è pure una donna tra la gente che accorre a lui: è afflitta da una malattia maledetta, perdita di sangue; per questo tipo di malattia la legge è molto dura e categorica: è una situazione di “impurità” e deve assolutamente evitare ogni contatto umano.

Per la donna è una situazione invivibile: ha fatto di tutto per uscirne, per ricuperare salute e soprattutto possibilità di vivere una vita normale nella società, nel mondo delle relazioni umane … ha speso tutti i suoi soldi. Niente! Condannata all’isolamento oltre che alla sofferenza!

Ma quando sente parlare di Gesù, di questo regno, di un Dio che non ha creato la morte, che non gode per la rovina dei viventi, che ha creato tutto per l’esistenza e che ha fatto in modo che tutte le creature del mondo siano portatrici di senso e di salvezza, si fa un suo progetto: «con questa malattia la legge mi imprigiona e non mi permette di toccare nessuno, ma questo Gesù è la salvezza! Lo devo toccare, non oso parlargli, non sono all’altezza di una richiesta, ma non è giusta la prigione in cui sono chiusa: mi basta toccare la sua veste e il suo mantello».

E quel tocco la guarisce!

Gesù, che non sta facendo servizi davanti alle telecamere, ma che sta incontrando la grande sete di un Dio vero, si accorge e le dice che non è avvenuto niente di “magico” in lei: la chiama “figlia” annullando ogni distanza.

Quel che è avvenuto è dovuto al coraggio della sua fede.

30 Giugno 2024
+Domenico

Santi Pietro e Paolo, fedeli al vangelo e colonne della Chiesa

Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 16, 13-19)

Lettura del Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». Risposero: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elìa, altri Geremìa o qualcuno dei profeti».
Disse loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente».
E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli».

Gesù pone la domanda fondamentale, sulla quale si decide il destino di ogni uomo: “Voi chi dite che io sia?”. Dire chi è Gesù è collocare la propria esistenza su un terreno solido, incrollabile.

La risposta di Pietro è decisa e sicura. Ma il suo discernimento non deriva dalla “carne” e dal “sangue”, cioè dalle proprie forze, ma dal fatto che ha accolto in sé la fede che il Padre dona.

Gesù costituisce Pietro come roccia della sua Chiesa: la casa fondata sopra la roccia (cfr 7,24) comincia a prendere il suo vero significato. Non è fuori luogo chiedersi se Pietro era pienamente cosciente di ciò che gli veniva rivelato e di ciò che diceva. Notiamo il forte contrasto tra questa professione di fede seguita dall’elogio di Gesù: “Beato te, Simone…” e l’incomprensione del v. 22: “Dio te ne scampi, Signore…” e infine l’aspro rimprovero di Gesù: “Via da me, satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!”.

Questo contrasto mette in evidenza la differenza tra la fede apparente e quella vera: non basta professare la messianicità di Gesù. Bisogna credere e accettare che il progetto del Padre si realizza attraverso la morte e la risurrezione del Figlio.

Pietro riceve le chiavi del regno dei cieli. Le chiavi sono segno di sovranità e di potere. Pietro dunque insieme alle chiavi riceve piena autorità sul regno dei cieli. Egli esercita tale autorità sulla terra e non in funzione di portinaio del cielo, come comunemente si pensa. In qualità di trasmettitore e garante della dottrina e dei comandamenti di Gesù, la cui osservanza apre all’uomo il regno dei cieli, egli vincola alla loro osservanza.

Gli scribi e i farisei, in quanto detentori delle chiavi fino a quel momento, avevano esercitato la medesima autorità. Ma, rifiutando il vangelo, essi non fanno altro che chiudere il regno dei cieli agli uomini. Simon Pietro subentra al loro posto.

Se si considera attentamente questa contrapposizione, risulta che il compito principale di cui è incaricato Pietro è quello di aprire il regno dei cieli. Il suo incarico va descritto in senso positivo.

Non si potrà identificare la Chiesa con il regno dei cieli. Ma il loro accostamento in quest’unico brano del vangelo offre l’opportunità di riflettere sul loro reciproco rapporto. Alla Chiesa, quale popolo di Dio, è affidato il regno dei cieli (cfr 21,43). In essa vivono gli uomini destinati al Regno. Pietro assolve il proprio sevizio nella Chiesa quando invita a ricordarsi della dottrina di Gesù, che permette agli uomini l’ingresso nel Regno.

Nel giudaismo, gli equivalenti di legare e sciogliere (‘asar e sherà’) hanno il significato specifico di proibire e permettere, in riferimento ai pronunciamenti dottrinali. Accanto al potere di magistero si pone quello disciplinare. In questo campo i due verbi hanno il senso di scomunicare e togliere la scomunica.

Questo duplice potere viene assegnato a Pietro. Pietro è presentato come maestro supremo, tuttavia con una differenza non trascurabile rispetto al giudaismo: il ministero di Pietro non è ordinato alla legge, ma alla direttiva e all’insegnamento di Gesù.

Il legare e lo sciogliere di Pietro viene riconosciuto in cielo, cioè le decisioni di carattere dottrinale prese da Pietro vengono confermate nel presente da Dio. L’idea del giudizio finale è più lontana, proprio se si includono anche decisioni disciplinari.

Nel vangelo di Matteo, Pietro viene presentato come il discepolo che fa da esempio. Ciò che gli è accaduto è trasferibile ad ogni discepolo. Questo vale sia per i suoi pregi sia per le sue deficienze, che vengono impietosamente riferite. Ma a Pietro rimane una funzione esclusiva ed unica: egli è e resta la roccia della Chiesa del Messia Gesù. Pietro è il garante della tradizione su Cristo com’è presentata dal vangelo di Matteo.

Nel suo ufficio egli subentra agli scribi e ai farisei, che finora hanno portato le chiavi del regno dei cieli. A lui tocca far valere integro l’insegnamento di Gesù in tutta la sua forza.

29 Giugno 2024
+Domenico

Lo voglio: guarisci

Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 8, 1-4)

Quando Gesù scese dal monte, molta folla lo seguì.
Ed ecco, si avvicinò un lebbroso, si prostrò davanti a lui e disse: «Signore, se vuoi, puoi purificarmi».
Tese la mano e lo toccò dicendo: «Lo voglio: sii purificato!». E subito la sua lebbra fu guarita.
Poi Gesù gli disse: «Guàrdati bene dal dirlo a qualcuno; va’ invece a mostrarti al sacerdote e presenta l’offerta prescritta da Mosè come testimonianza per loro».

La lebbra purtroppo è ancora un male che tormenta l’umanità, soprattutto là dove c’è povertà e miseria. Ancora esistono persone che vengono segregate, non fatte vedere, isolate, condannate ai margini, private della possibilità di vivere i propri rapporti sociali. Anni fa si erano segregati tali ammalati su un’isola dell’oceano Pacifico, lontani il più possibile dalla vista di tutti, in una sorta di inferno dei dannati. Non solo segregati per non infettare, ma anche lontani dalla vista per non vederli.

Così vivevano i lebbrosi al tempo di Gesù. Ed è grande il coraggio di quel lebbroso che alle porte di Cafarnao, disobbedisce a tutte le leggi di segregazione e di condanna e punta diritto su Gesù. Ne aveva sentito parlare, da lontano aveva seguito il vociare della gente al suo passaggio o al ritorno dagli incontri con Lui. Gesù scendeva dalla montagna dove aveva fatto rinascere speranza a tutti, dove aveva proposto la bellezza del regno dei cieli cui tutti erano chiamati a partecipare. Il lebbroso non si adattava a restarne escluso. Allora rompe le catene dell’isolamento in cui è costretto a vivere, lancia quella bella preghiera che può ben essere la nostra di tutti i giorni: Signore, basta che tu lo voglia, puoi mondarmi, se Tu lo vuoi io posso cambiare vita, tu hai la possibilità di ricrearmi non solo la pelle sul mio corpo, ma anche di ridarmi la gioia di vivere. E Gesù lo ascolta. Ripete le parole che il lebbroso gli ha suggerito: lo voglio, sii mondato. E il lebbroso torna a vivere.

Anche noi vorremmo sentirci dire sulla nostra vita, sui nostri mali, sulle nostre infedeltà, sulle nostre cattiverie, su tutto quello che distrugge la nostra vita interiore, sui nostri peccati: lo voglio sii mondato. Ti tolgo dal cuore il male che ci sta dentro da troppo tempo. Ti immagino e ti faccio diventare pulito, la tua carne diventa fresca come quella di un bambino, la tua vita diventa innocente come la sua.

Questa è la speranza che abita i nostri giorni, la speranza di avere un Dio che ci vuole tanto bene da dire sempre sulle nostre vite: sii mondato e di sperimentare cuore pulito, vita rinnovata, gioia e serenità.

28 Giugno 2024
+Domenico

Fondamenta per una vita senza senso

Riflessione sul Vangelo del giorno (Mt 7,21-29)

In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli:
«Non chiunque mi dice: “Signore, Signore”, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli. In quel giorno molti mi diranno: “Signore, Signore, non abbiamo forse profetato nel tuo nome? E nel tuo nome non abbiamo forse scacciato demòni? E nel tuo nome non abbiamo forse compiuto molti prodigi?”. Ma allora io dichiarerò loro: “Non vi ho mai conosciuti. Allontanatevi da me, voi che operate l’iniquità!”.
Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, sarà simile a un uomo saggio, che ha costruito la sua casa sulla roccia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ma essa non cadde, perché era fondata sulla roccia. Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, sarà simile a un uomo stolto, che ha costruito la sua casa sulla sabbia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde e la sua rovina fu grande».
Quando Gesù ebbe terminato questi discorsi, le folle erano stupite del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come i loro scribi.

Audio della riflessione

Su che cosa fondiamo la nostra vita, il nostro essere, il nostro futuro, i nostri progetti? Sulla sabbia o sulla roccia? È diventato ormai proverbiale un modo così di parlare a partire da una bella immagine di Gesù che descrive due case, due tipi di fondamenta e un unico immancabile tornado di venti, acqua, fiumi in piena, che le mette a prova. 

Siamo abituati di questi tempi a vederci franare addosso una riva, un pezzo di montagna, a vedere ingoiati in un attimo le fatiche di una vita, se non le vite stesse. E si grida sempre tutti al dissesto idrogeologico.  La casa fondata sulla sabbia scompare e quella fondata sulla roccia rimane. Quella casa è la nostra vita, il nostro amore, i nostri progetti.  

Che cosa è sabbia per la nostra vita? È l’apparenza, l’inganno, i soldi, la cattiveria, la superficialità, il disimpegno.  

Che cosa è sabbia per il nostro amore? È l’egoismo, il soggiogare l’altro e strumentalizzarlo, è la soddisfazione e il piacere fine a sé stesso, è l’avventura, è costringerlo a una prova. È sabbia per i nostri progetti l’aver smesso di sognare, di credere con tenacia, di lavorare sodo per realizzarli. È sempre una grande delusione quando ti tocca restaurare la tua vecchia casa e ti accorgi che mancano le fondamenta! Sembra bella, ti richiama tanti ricordi, ma non potrà reggere più di tanto. 

Allora la tua fatica è tutta nel costruire pezzo a pezzo le fondamenta. 

Si può ridare fondamenta a una vita senza senso, a una esistenza fatua, pronta a franare a ogni difficoltà? Si! Se si tratta di vere fondamenta che non sono certo l’alcol, o lo sballo o le sostanze chimiche o tutte le avventure che si fanno per dimenticare. 

Anche l’amore fondato sulla sabbia può ritrovare dignità se ha il coraggio del chiedere perdono, della tenerezza, del rifarsi alla sua vera sorgente. Gesù dice che la roccia è la sua parola accolta e attuata. 

Andiamo a cercare tante soluzioni ai nostri problemi di vuoto, leggiamo gli oroscopi, consultiamo maghi e fattucchiere. È ancora tutta sabbia.  

Ci serve una parola che dà speranza. Il Verbo stesso, la Parola, si è fatto carne. 

27 Giugno
+Domenico

I falsi profeti sono lupi rapaci

Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 7,15-20)

Lettura del Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Guardatevi dai falsi profeti che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro sono lupi rapaci! Dai loro frutti li riconoscerete.
Si raccoglie forse uva dagli spini, o fichi dai rovi? Così ogni albero buono produce frutti buoni e ogni albero cattivo produce frutti cattivi; un albero buono non può produrre frutti cattivi, né un albero cattivo produrre frutti buoni.
Ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco. Dai loro frutti dunque li riconoscerete».

I discepoli di Gesù devono difendersi da un’altra insidia che li può preoccupare, i falsi profeti. Chi sono? Sono coloro che pretendono di essere profeti, hanno delle somiglianze con loro, ma in realtà non lo sono; infatti, lasciano passare tutti i vizi degli uomini invece di riprenderli, li cullano dando loro sicurezza, togliendo loro anche il rimorso per il male che fanno, distruggendo anche il senso del peccato.

Ma c’è un criterio infallibile per stanarli: dai loro frutti, dice il vangelo, li riconoscerete. Sembrano pecore, ma dentro sono lupi rapaci. Qui ciascuno di deve fare un esame di coscienza di come si trova di fronte alla verità del suo ruolo. Tanti di noi hanno ruoli di responsabilità nei confronti degli altri, per esempio i genitori, i presbiteri, i catechisti, gli insegnanti di scuola, i formatori di apprendisti in ogni campo del lavoro, i responsabili della cosa pubblica; oso dire ogni adulto, me adulto di fronte a un giovane, per il quale deve offrire sempre ragioni vere di vita, esempio di grande dignità umana.

A maggior ragione chi è maestro nella fede. Il cristianesimo non è una dottrina che si deve sapere, ma una forma di vita che ci deve caratterizzare. Tante volte riduciamo il campo della fede a insieme di osservazioni di buon senso togliendo alla fede ogni radicalità, decisione, assunzione di responsabilità. Annacquiamo la fede e inquiniamo la limpidezza del messaggio di Cristo.

C’è però un aiuto per tutti, che ci permette di riportarci alle esigenze profonde e autentiche del vangelo. Guardiamo ai frutti. Le opere del regno di Dio sono soprattutto nell’ordine della carità e della giustizia. Papa Francesco ci indica sempre il volto di Gesù nel povero, nel bisognoso, nel perseguitato, nel senza speranza.

La chiesa deve essere sempre un ospedale da campo per tutti, per chi imposta la vita con serietà, ma cade nel male, per chi non sente più la responsabilità che l’essere madre o padre comporta, per l’uomo della panchina che aspetta senza speranza una compagnia anche solo umana, un semplice aiuto e per chi si impegna, ma non si sente mai all’altezza del suo compito. Il Signore non è un esattore di tasse, ma una forza di amore e di comprensione per tutti, sempre e chi lo segue non deve far altro che far sperimentare il suo amore.

26 Giugn0 2024
+Domenico

Comincia ad amare gli altri come te stesso

Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 7, 6.12-14)

Lettura del Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle davanti ai porci, perché non le calpestino con le loro zampe e poi si voltino per sbranarvi.
Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge e i Profeti.
Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che vi entrano. Quanto stretta è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e pochi sono quelli che la trovano!».

Audio della riflessione

Per la vita cristiana è molto importante la prudenza, cioè un buon discernimento per dispensare le cose sante:

  • la Parola di Dio che esige di essere accolta da un cuore disponibile;
  • la carità verso il prossimo intesa come amore che dona senza limite, senza pensare a nessun contraccambio;
  • il decidersi per il Vangelo, cioè per Cristo sofferente e perseguitato, guardandosi dalla falsa sicurezza e tenendo presente il rischioso mestiere di vivere, la serietà dell’esistenza umana, che si conclude in un perdersi o in un vivere.

Gesù sa che l’uomo ama sé stesso più di ogni altra cosa … e allora stabilisce il bene che ognuno vuole a sé stesso come termine di rapporto con gli altri: “Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro”.

È un punto di partenza per arrivare alla carità disinteressata, all’amore senza misura che sta al centro di tutto il suo messaggio: è la porta stretta per la quale entreranno tutti quelli che riescono a capire fino in fondo il suo messaggio di amore.

Certo, il mondo sarebbe molto diverso da quello che ci ritroviamo oggi, se gli uomini accettassero di amare gli altri come amano sé stessi … invece purtroppo l’egoismo è imperante, perché anche noi che ci diciamo cristiani non abbiamo il coraggio al momento giusto, di essere coerenti, di volere per gli altri il bene che vogliamo per noi, di evitare di fare agli altri il male che noi non sopporteremmo se fosse fatto a noi.

Deve allora tornare al centro della nostra grama vita l’amore di Dio senza limiti, e di conseguenza una fede grande, capace di cambiare il mondo e di costruire il regno con spirito di obbedienza e di iniziativa … e Dio ci assicura il suo amore senza se e senza ma e ci domanda solo la nostra fedeltà.

25 Giugno 2024
+Domenico

Ma che vuole Dio da noi?

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 1, 57-66)

Lettura del Vangelo secondo Luca

Per Elisabetta si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio. I vicini e i parenti udirono che il Signore aveva manifestato in lei la sua grande misericordia, e si rallegravano con lei.
Otto giorni dopo vennero per circoncidere il bambino e volevano chiamarlo con il nome di suo padre, Zaccarìa. Ma sua madre intervenne: «No, si chiamerà Giovanni». Le dissero: «Non c’è nessuno della tua parentela che si chiami con questo nome».
Allora domandavano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse. Egli chiese una tavoletta e scrisse: «Giovanni è il suo nome». Tutti furono meravigliati. All’istante  si aprirono la sua bocca e la sua lingua, e parlava benedicendo Dio.
Tutti i loro vicini furono presi da timore, e per tutta la regione montuosa della Giudea si discorreva di tutte queste cose. Tutti coloro che le udivano, le custodivano in cuor loro, dicendo: «Che sarà mai questo bambino?». E davvero la mano del Signore era con lui.
Il bambino cresceva e si fortificava nello spirito. Visse in regioni deserte fino al giorno della sua manifestazione a Israele.

Quando vivi degli avvenimenti intensi sembra che il tempo si fermi, l’attesa si fa spasmodica, conti i giorni, le ore, i minuti, poi ti guardi un attimo indietro e vedi che il tempo è passato, che gli avvenimenti procedono con una certa inesorabilità; la vita che è iniziata si radica, continua, ha i suoi ritmi che paiono lenti, ma che procedono inesorabili. E così avvenne anche per Elisabetta: la sorpresa, la vergogna di vedersi incinta alla sua età, la consolazione di avere Maria a farle compagnia, il grande evento che in Lei si sta compiendo…

Tutto continua e nessuno più ferma la nuova storia e viene il giorno in cui questo Giovanni nasce, le meraviglie, le incredulità, la sorpresa che pure ciascuno viveva nella sua interiorità prendono fuoco, perché ora Giovanni è lì, il suo pianto è vero, il suo corpo se lo coccola sua madre, se lo mangiano con gli occhi tutti. Zaccaria è muto, è un padre ancora senza parole, gli ripassa nella mente tutta la sequenza del Tempio, della promessa, tutte le attenzioni di questi nove mesi. Elisabetta si fa aiutare, Maria dopo tre mesi ritorna a casa sua. Ora la storia di Dio continua in Lei, anch’essa ha bisogno di rientrare nella sua intimità a custodire il futuro dell’umanità.

Il bambino di Elisabetta è nato e arriva anche il giorno della Legge, il giorno della circoncisione. Questo figlio fa parte di un popolo, non nasce in un deserto di relazioni e di storia, è dentro un nobile casato sia per parte di Zaccaria che di Elisabetta. Di nomi da ereditare ce n’è tanti e tutti nobili, tutti capaci di rievocare gesta, ruoli elevati, funzioni eminenti. A cominciare dai capostipiti Abia, per Zaccaria e Aronne per Elisabetta. Ma il bambino è destinato a far scoppiare il futuro, non a clonare il passato.

“Chiedevano con cenni a suo padre” … i muti ora sono tutti, come si fa di solito con chi non parla, con chi deve esprimersi a cenni. Pensano forse che Zaccaria sia sordo e lo seppelliscono nell’isolamento, lo privano di qualsiasi normalità. Zaccaria esprime ancora per l’ultima volta la sua tensione di non essere capace di dire e scrive: Giovanni sarà il suo nome. Lui deve annunciare la novità assoluta, definitiva per l’umanità, non sarà cultore del tempio, non si metterà in fila come tutti a ripetere un passato anche glorioso, non farà come suo padre i turni settimanali dell’offerta dell’incenso, intuirà invece e indicherà con forza la venuta del Salvatore, brucerà di ardore per l’attesa del compimento.

Zaccaria torna a parlare e la gente, noi, a riflettere a domandarci: ma Dio che vuole da noi? Che vuole da noi Lui che condivide i nostri giorni, le nostre ore, le nostre giuste aspirazioni?

24 Giugno 2024
+Domenico

La nostra vita è come una barca, dove sta Gesù?

Una riflessione sul Vangelo secondo Marco (Mc4, 35-41)

Lettura del Vangelo secondo Marco

In quel giorno, venuta la sera, Gesù disse ai suoi discepoli: «Passiamo all’altra riva». E, congedata la folla, lo presero con sé, così com’era, nella barca. C’erano anche altre barche con lui.
Ci fu una grande tempesta di vento e le onde si rovesciavano nella barca, tanto che ormai era piena. Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: «Maestro, non t’importa che siamo perduti?».
Si destò, minacciò il vento e disse al mare: «Taci, calmati!». Il vento cessò e ci fu grande bonaccia. Poi disse loro: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?».
E furono presi da grande timore e si dicevano l’un l’altro: «Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?».

Audio della riflessione

Ogni mattina ci si alza e da semi-automi si procede, si va a scuola, si va a lavorare, ci si diverte, si sta assieme… Poi un giorno capita qualcosa che sconvolge tutto: è una esperienza di dolore, come la morte, come la malattia, come un tradimento oppure è un fatto che hai ritenuto da routine invece ti cambia la vita, come un posto di lavoro o una amicizia che si rompe o si deteriora. Spesso è una ingiustizia, che non t’aspettavi, una indefinita svogliatezza che ti toglie il sapore alla vita, un non trovare ragioni per continuare come prima.

Qualcuno la chiama depressione e comincia a ingoiare antidepressivi. La soluzione dei nostri problemi sta nella chimica. Di fatti qualcun altro riempie il vuoto con alcool o con spinelli, con droghe o con ubriacature. È salutare sentirsi in pericolo, accorgersi che non tutto fila liscio, che c’è nella vita una emergenza. Dio ci ha dato dei buoni sensori per capire quello che stiamo facendo nella vita, ci permette prima o poi di prendere coscienza che c’è qualcosa che non va. La barca è ormai piena di sofferenze, di dolori, di errori, di sfortune, di cose insopportabili.

Buon per noi se in questo stato andiamo a cercare aiuto, vogliamo trovare qualche riferimento che ci permette di stare in piedi, di capire, di dare un senso a quello che ci capita. Quel Dio che prima ritenevi un soprammobile ora lo cerchi, lo accusi, lo chiami in causa. Ma tu dove sei? Perché mi fai capitare tutto questo? E scopriamo che Dio è assente dalla nostra vita. stavolta non se ne cura, sta dormendo beatamente. È assente, non risponde, non risolve un bel niente, è solo un peso. Ma che fai? Come ti permetti di giocare sulle nostre vite? Che significa questa tuo assoluto estraniamento?

È la domanda di molti di fronte al male del mondo, di fronte alle sfortune della vita, di fronte alle morti degli amici, di fronte alle ingiustizie. Molti ragazzi cominciano ad abbandonare la chiesa, la pratica, la parrocchia perché si ribellano all’assenza di Dio, perché credono che Dio dorma sulle loro vite e le loro vicende.

Il sonno, il silenzio o l’assenza di Dio suscita in noi paura e disappunto, più che una domanda che va alla radice del problema. Non abbiamo il coraggio di domandarci prima: ma io credo in Dio? Ho fede in Lui, ho sperimentato la bellezza dell’abbandono nelle sue braccia? So di stare a cuore a lui? Ci credo davvero? Mi sono mai affidato a Dio con qualche preghiera? Il cero che vado ad accendere per il compito di matematica è scaramanzia, paura o affidamento?

In questo dolore che si prova Dio è sparito, ma non c’era già più da un pezzo. È da una vita che tu vai avanti senza riferirti veramente a Lui, senza interpellarlo sul tuo futuro, sulla tua vocazione. Ti sei già ridotto a pensare la vita come un destino e speri di essere fortunato. Fortuna si chiama la presenza di Dio, non fede. Ci fu un tempo in cui si ricorreva alla dea fortuna. Lo svegliano e lo rimproverano. Non ti importa che moriamo? È un grido e un rimprovero, è una disperazione e una rabbia, è una constatazione e una pressante richiesta. E Gesù ancora una volta ti dice:

Tu sei un palpito del cuore di Dio e vuoi che a me non importi niente di te?  Io ti ho amato fino a morire per te e tu credi che io abbia abbandonato la mia missione? Tu mi sei stato affidato da Dio, mio Padre e credi che io non sia deciso a fare tutto quello che è necessario per te? Sono io che dormo o sei tu che non hai fede?

23 Giugno 2024
+Domenico

Non calcolo, ma fiducia in Dio

Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 6, 24-34)

Lettura del Vangelo secondo Matteo

In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli:
«Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza.
Perciò io vi dico: non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito?
Guardate gli uccelli del cielo: non séminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre.
Non valete forse più di loro? E chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita?
E per il vestito, perché vi preoccupate? Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora, se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani si getta nel forno, non farà molto di più per voi, gente di poca fede?
Non preoccupatevi dunque dicendo: “Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?”. Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno.
Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta.
Non preoccupatevi dunque del domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. A ciascun giorno basta la sua pena».

Audio della riflessione

Possiamo guardare la vita da due punti di vista diversi: da una parte una esistenza basata tutta sul calcolo, sulla autosufficienza, senza riferimento che vada oltre le nostre pulsioni e interessi dall’altra una vita di fiducia, di abbandono. Da una parte la deriva del potere ad ogni costo, dell’essere legge a sé stessi, e quindi della violenza e del sopruso dall’altra la consapevolezza di stare a cuore a Dio e una scelta di campo, cioè da che parte ci collochiamo. Non potete servire Dio e il denaro: o di qua o di là. In mezzo ci siamo noi creature in cerca della luce e della felicità, orientati dalla fede nel Dio di Gesù Cristo, che smette di essere visto come il vendicatore, con un linguaggio bellico che traduce le mentalità di un popolo sempre distratto da infedeltà e peccato, ma come un padre pieno di cure e di attenzioni non solo per un popolo, ma in esso per ciascuna persona.

È ben diversa la vita se sappiamo di stare a cuore a qualcuno, di essere amati da Dio, di sentirci nelle sue braccia, se sappiamo affidare a qualcuno le nostre ansie e i nostri progetti. Non affannatevi dice il vangelo; l’affanno non è segno di impegno, ma sfiducia negli altri, incapacità di affidarsi, senso di onnipotenza. Abbiamo un Padre in cielo che pensa a noi molto più che ai fiori del campo e agli uccelli del cielo. Siamo come un fanciullo che sta sereno e tranquillo nelle braccia di papà o mamma. Certo questa serenità va conquistata con atti di abbandono e di fiducia, non con dimostrazioni e conferme. Si tratta di un atto di fede, non di una fortuna bendata o di una sorte incontrollabile.

La fiducia in Dio è l’abbandono di Gesù nelle braccia del Padre, è tentare tutto quello che è alla nostra portata, non restare comodi ad aspettare, ma nello stesso tempo sapere che c’è un progetto più grande nel nostro, il progetto della felicità di Dio, in cui ogni nostra azione o impegno è collocato. Tante nostre vite crescono bene perché stanno nel grande piano dell’amore di Dio che non solo ci ha creato, ma ci sostiene in vita, ci ha mandato il suo Figlio Gesù a dimostrare con la croce l’amore senza limiti e ci mantiene in cuore il suo Santo Spirito. Se abbiamo fiducia in Dio e ci abbandoniamo a Lui, allora possiamo dedicarci alle cose vere della vita, al suo regno, alla giustizia, alla solidarietà con i più poveri. Ci si affina la vista e diventa più ricco di bontà il cuore. Distogliendoci dalle preoccupazioni per noi ci si spalancano gli occhi sulle vere esigenze della vita e sulle risorse impensabili che Dio ci ha dato per affrontarle.

Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. È esperienza comune che quando ci impegniamo nel fare il bene agli altri, si risolvono anche i nostri problemi, le nostre ansie e soprattutto gli affanni. Perché Dio abita il cielo delle nostre vite e le conduce verso il bene infinito che Lui è.

22 Giugno 2024
+Domenico

Non accumulare niente per te

Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 6, 19-23)

Lettura del Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Non accumulate per voi tesori sulla terra, dove tarma e ruggine consumano e dove ladri scassìnano e rubano; accumulate invece per voi tesori in cielo, dove né tarma né ruggine consumano e dove ladri non scassìnano e non rubano. Perché, dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore.
La lampada del corpo è l’occhio; perciò, se il tuo occhio è semplice, tutto il tuo corpo sarà luminoso; ma se il tuo occhio è cattivo, tutto il tuo corpo sarà tenebroso. Se dunque la luce che è in te è tenebra, quanto grande sarà la tenebra!».

Audio della riflessione

“Non accumulare ricchezze” ci permette di delineare un nuovo aspetto della vera giustizia, cioè di una vita totalmente orientata al Signore, Dio Padre, per la quale il centro di tutto è proprio e solo Lui con quell’atteggiamento cristianamente naturale, che considera sempre Dio come Padre che ci porta con sé tutti come fratelli da amare e da servire.

Il non accumulare non è privazione, ma saggezza perché i tesori terreni passano presto e restiamo con le mani che non stringono nemmeno l’aria, ma forse solo il nostro cuore freddo e nello stesso tempo ci inaridiscono il cuore, ce lo accecano e spengono ogni luce di vita.

Con questo comando Gesù ci aiuta, a mettere sempre al centro la fede, a dare alla vita cristiana il suo vero sapore. Dobbiamo accumulare tesori in cielo, lassù non c’è ladro che tenga, non ci sono kamikaze o talebani che ci ammazzano. Certo noi siamo ora sulla terra e abbiamo assoluto bisogno dei beni della terra, per campare.

 Penso soprattutto a quelli, e sono tanti, che non ce la fanno a mantenere la famiglia, che devono affrontare mari e fiumi per sopravvivere, a quelli che da sempre sono sotto il rumore delle armi, allo stesso povero della porta accanto…

Allora questa luce che ci dà Cristo è proprio necessaria e ci aiuta a ricercare i beni della terra senza contraddire alle parole di Gesù. Ci fa vedere a che punto l’innata brama di possedere tenta di mascherarsi sotto la parvenza di necessità, di bisogno, di convenienza sociale o magari tenta di acquietare la coscienza che si fa sentire quando siamo di fronte a gente povera che sta molto male.

Tutti sono chiamati a far parte delle loro sostanze a chi ne ha bisogno. Non si tratta solo di superfluo, ma come quella povera vedova nel tempio, anche del necessario. L’amore non ha confini, siamo noi che facciamo i mucchietti e mettiamo muri anziché ponti. Dio ci aiuti ad imitare il suo cuore che fu squarciato per noi.

21 Giugno 2024
+Domenico