Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 10, 7-13)
In quel tempo, disse Gesù ai suoi apostoli:
«Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demòni.
Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date. Non procuratevi oro né argento né denaro nelle vostre cinture, né sacca da viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone, perché chi lavora ha diritto al suo nutrimento.
In qualunque città o villaggio entriate, domandate chi là sia degno e rimanetevi finché non sarete partiti.
Entrando nella casa, rivolgetele il saluto. Se quella casa ne è degna, la vostra pace scenda su di essa; ma se non ne è degna, la vostra pace ritorni a voi».
Oggi riflettiamo sulla figura di san Barnaba, che ha realizzato nella sua vita alla lettera il brano di Vangelo di oggi, che invita ogni annunciatore del Regno di Dio di offrire gratuitamente e con coraggio la propria vita intera per testimoniare Gesù.
Uno dei termini che ricorrono più volte negli Atti degli Apostoli, che descrivono la chiesa primitiva dei primi tempi dopo la morte e risurrezione di Gesù Cristo, è il termine franchezza, una parola che ricorre spesso quando si parla di primi cristiani, un po’ meno quando si parla di noi cristiani del 2000. In greco si dice “parresia”, per noi significa coraggio, forza, decisione, dinamicità, franchezza, radicalità…, metterci la faccia, resistere, affrontare, guardare in faccia le situazioni, prenderle di petto, sapersi sacrificare… E vorremmo essere tutti così.
Invece noi ci specializziamo nel contrario, cioè paura, rispetto umano, compromesso, debolezza, nascondersi, mimetizzarsi, scantonare, far finta di niente, cedere, adattarsi, usare verbi al condizionale, infarcire il discorso e la vita di tanti “se” e tanti “ma”, attutire le frasi forti, optare per la mediocrità.
Ma sia ben chiaro che non siamo chiamati ad essere talebani, fondamentalisti, violenti, gente che conosce solo imposizione, costrizione, togliere libertà, stressare, fare ricatti…
È l’esperienza e la forza tipica che gli apostoli si trovano regalata da Dio e accolta con radicalità dopo la risurrezione, o meglio, dopo la discesa dello Spirito Santo nel Cenacolo a Pentecoste.
Parlano con franchezza gli apostoli che, dopo aver ricevuto umiliazioni e torture, sono lieti di averle subite nel nome di Gesù; ha questa franchezza san Paolo di fronte ai puri della fede d’Israele; riprende coraggio Pietro, dopo che era bastata una serva nel pretorio per demolire tutta la sua boria, che scambiava per fede in Gesù. È storia di coraggio e franchezza quella di Stefano che affronta la lapidazione per dire alto il nome di Gesù, come Signore. È coraggio quello di Giacomo che affronta il martirio a Gerusalemme, ancora prima che la comunità degli apostoli si disperda.
È franchezza quella di un altro personaggio poco noto della prima comunità cristiana, ma molto amato, e patrono di tante comunità cristiane: Barnaba, uno che infonde coraggio, come significa il nome. Era talmente entusiasta della vita, capacedi compagnia, convinto di quel che viveva, attento alle cose belle nell’esistenza, che gli amici l’avevano soprannominato così, nonostante si chiamasse Giuseppe, un nome di tutto rispetto e significato.
Con lui non potevi stare col morale ai tacchi, non potevi lasciarti andare alla lagna, al rimpianto: dovevi riprenderti, ritentare, osare. Avere coraggio nella vita è non lasciare dire l’ultima parola su di te a nessuno. Vuol dire convivere col rischio e l’incertezza, decidere di vivere sul trapezio della vita senza rete di protezione.
Avere un animo giovanile che guarda più al futuro che al passato, che affida la riuscita nella vita più ad una fionda che a un’armatura, come Davide contro Golia.
Avere coraggio è farsi conquistare dal discorso della montagna, avere quella marcia in più che una fiducia assoluta in Dio, ti dà.
Avere coraggio è aver dentro un fuoco che vuoi che bruci tutte le incertezze che ti tarpano le ali.
Avere coraggio della fede è sapersi amati da Dio senza riserve e sapere di avere la sua forza per affrontare l’esistenza.
Avere coraggio è essere contenti di vivere per un ideale e portarlo a tutti, farlo cantare nella tua vita perché diventi forza per tutti.
Ebbene Barnaba era fatto così.
Decide subito: ha un campo, un legame concretoe solido, un’àncora per la sua vita; un ebreo prima di rinunciare a un campo si faceva passare un esercito sul suo corpo: va, lo vende e pone il ricavato a disposizione. Non ha mezze misure. Mette in pratica alla lettera le parole di Gesù. Non si ritira triste nella sua tana, nella sua bellissima compagnia, coi suoi soldi, i suoi amici, il suo computer, i suoi CD, le sue notti brave, il suo sballo; parte deciso con i classici elementi di stile di ogni credente:
- la gratuità: gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date.
- la libertà da pesantezze e da organizzazioni, da fasciature e da sentimenti intriganti; ha sentito Gesù dire: lascia che i morti seppelliscano i morti, io non ho tana, né nido come gli animali e gli uccelli, se mi vuoi seguire devi avere un animo libero
- la fiducia in chi incontra: ogni uomo e donna che gli si para davanti è sempre un messaggio di Dio, un dono da accogliere piuttosto che una persona da convertire.
- gli occhi fissi su Gesù, la speranza che non delude, la contemplazione della verità che fonda ogni libertà.
È tale il coraggio di vivere che con Paolo diffonde, che ad Antiochia per la prima volta, chi segue questa ventata di aria fresca viene chiamato Cristiano.
C’è sempre una prima volta e c’è sempre, dietro, uno che dà coraggio: o Barnaba o qualsiasi cristiano che ci crede.
11 Giugno 2024
+Domenico