In cerca di un rifugio nella notte

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 2, 1-14)

In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria. Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria città.
Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nàzaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide. Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta.
Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio.
C’erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore, ma l’angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia».
E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva:
«Gloria a Dio nel più alto dei cieli
e sulla terra pace agli uomini, che egli ama».

Audio della riflessione

Gesù non viene a noi  per metterci al sicuro in una roccaforte, ma per aprirci un cammino di conversione incessante, un cammino di lotta decisa per la conquista della vera pace, che consiste nel ristabilire un rapporto di realtà e di amore con Dio, con noi stessi, con gli uomini e le donne, con le cose.

Quel tenero bambino Gesù ci mette in mano la chiave per aprirci le braccia misericordiose di Dio. Infatti dirà presto a tutti “Beati i misericordiosi perché otterranno misericordia”, che significa proprio che il nostro perdono agli altri è la chiave che apre a noi e al mondo le braccia della misericordia di Dio.

Maria è con Giuseppe in cerca di un rifugio per la notte … non c’è posto in nessun albergo … lo trovano in un campo di pastori e lì nasce Gesù: la campagna, gli spuntoni di  roccia, gli anfratti per ripararsi dal vento, la gente più insignificante, in un giorno qualunque, entro un evento caotico e destabilizzante come poteva essere l’insieme di spostamenti di persone, animali, merci e cose che caratterizzavano i censimenti … sono il paesaggio che ci descrive il Vangelo. Per le cronache del mondo è un giorno qualunque e la nascita alla vita di un bambino qualunque: fa sempre tenerezza una mamma che partorisce, tutti hanno sentimenti di gioia da esprimere, auguri da fare, piccoli regali da portare … una scena di vita quotidiana che vorremmo il Signore ci garantisse di poter avere sempre.

Quanto sono desolati e desolanti i nostri paesi quando non nasce più nessuno, quando ci si riduce ad essere noi adulti o anziani a percorrere le vie dei nostri antichi borghi! Le migrazioni di tanti popoli verso le nostre terre non sono forse un portare la vita dove non c’è più voglia di farla crescere? Le mamme e la gente semplice che abita sulle rotte dei Balcani, gli stessi poliziotti che non riescono ad obbedire nel respingere bambini affamati e infreddoliti e i giovani volontari sulle rotte del nostro egoismo sono consapevoli che la nascita di Gesù non ci permette nessuna alternativa: ci aiuta a sconfiggere i nostri panorami, stretti e chiusi.

Quella notte, che stiamo rivivendo è l’esplosione della vita, della continuità del nostro genere umano, ed è già un dono grande di Dio saper apprezzare la vita con tutto il carico di sofferenze, di dolori, di travagli che comporta.

Vogliamo tutti in questa notte ringraziare Dio di averci dato la vita e promettere che la rispetteremo al massimo, con tutte le forze, che la ameremo sempre quale che essa sia perché ha dentro la sua forza, la sua grazia, la sua promessa, perché la vita non si può mai spegnere!

Se la spegniamo noi, la tiene viva Dio: farà migrare tutti i popoli là dove ci sono possibilità di vita, e vengono spente nell’egoismo …

Si è fatto piccolo per liberarci da quell’umana pretesa di grandezza che scaturisce dalla superbia; si è liberamente incarnato per rendere noi veramente liberi, liberi di amarlo … e qui davanti a questo presepio, passa tutta la nostra umanità.

Un santo poeta del IV secolo ebbe a scrivere:

Benedetto il bimbo, che oggi ha fatto esultare Betlemme.
Benedetto l’infante, che oggi ha ringiovanito l’umanità.
Benedetto il frutto, che ha chinato se stesso verso la nostra fame.
Benedetto il Buono, che in un istante ha arricchito tutta la nostra povertà e ha colmato la nostra indigenza.
Benedetto colui che è stato piegato dalla sua misericordia a prendersi cura della nostra infermità.

Ecco … anche noi ti benediciamo Signore: tu sei pronto a darci il tuo perdono, a farci giocare la partita della nostra vita, di nuovo, cancellando il nostro passato.

Torneremo a questo presepio, possibilmente senza farci vedere da nessuno, di notte, se necessario … torneremo in un giorno qualunque in un giorno dimesso, perché la porta della nostra coscienza è nelle mani della nostra libertà; torneremo a dirti grazie, a imparare di nuovo ad amare la vita.

24 Dicembre 2022 nella Veglia del Santo Natale
+Domenico

Paura o fiducia?

Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 8, 23-27)

Lettura del Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, salito Gesù sulla barca, i suoi discepoli lo seguirono. Ed ecco, avvenne nel mare un grande sconvolgimento, tanto che la barca era coperta dalle onde; ma egli dormiva.
Allora si accostarono a lui e lo svegliarono, dicendo: «Salvaci, Signore, siamo perduti!». Ed egli disse loro: «Perché avete paura, gente di poca fede?». Poi si alzò, minacciò i venti e il mare e ci fu grande bonaccia.
Tutti, pieni di stupore, dicevano: «Chi è mai costui, che perfino i venti e il mare gli obbediscono?».

Audio della riflessione

Paura e  fiducia sono due sentimenti che spesso si contendono o spartiscono il cuore dell’uomo. La paura ti blocca, la fiducia ti permette di camminare. Certo teniamo i piedi proprio per terra, non a terra. Lo sappiamo di essere fragili, abbiamo consapevolezza del nostro limite, ma possiamo sempre contare su qualcuno che ci sostiene. Per tante nostre situazioni cerchiamo chi è più forte di noi, il nostro amico che è più esperto, perché ha fatto belle esperienze di coraggio, vincendo quella paura che invece spesso ci domina. Qualche altra volta non ci è andata proprio bene. Nella vita si deve sempre tentare la fortuna o c’è una strada che può essere pure difficile, ma che mette le ali alla fiducia?

Gli apostoli è da tempo che stanno con Gesù; un giorno sono in barca con Lui, ma capita una bufera in cui ogni speranza è perduta e Gesù che sembrava ormai essere un buon partito, capace di vincere la scommessa fondamentale della loro vita, dorme pure; tanto, pensano loro, si preoccupa dei suoi discepoli. Qui la domanda è che non sono dalla parte di Gesù perché devono andare a seppellire il padre, ma hanno tutte le loro paure da seppellire.

Non ci vuole molto a capire che questa pagina di vangelo è l’immagine della nostra esistenza umana. La barca è la comunità dove Gesù sta con noi. Sicuramente la vita è piena di difficoltà, burrasche e tempeste. Prima o poi tutti andiamo a fondo e non ci possiamo illudere da come siamo fatti e dalla storia che ci precede che la fine non incombe certa. La fede che non si misura con la morte, non passa per la verità che è l’uomo, incapace di dare senso positivo all’essere nel mondo. La morte è un tiranno che ci governa e umilia. Se si vuol giungere all’altra riva bisogna vincere il demonio che governa il mare, l’abisso e la stessa morte. Gesù fa proprio questo: dorme e si sveglia, muore e risorge e rompe in modo definitivo ciò che distacca noi con la nostra realtà di morte dalla sua pienezza di vita.

Non può essere questa anche una bella immagine del battesimo, del sacramento che  da creature di Dio, invischiate nel morire ci fa suoi figli nella novità della luce di Cristo?! La chiesa allora è quella barca che tutti dicono scassata, superata, infedele, brutta e noi facciamo di tutto per scassarla, ma c’è Gesù che ci salva e fa di noi nuova vita con il suo Spirito. Gli vogliamo dichiarare fedeltà e seguirlo anche zoppicanti?

28 Giugno 2022
+Domenico

Vi ho detto questo perché la mia gioia sia anche la vostra

Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni dal Vangelo del giorno

Lettura del Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli:
«Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore.
Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore.
Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena».

Audio della riflessione

Nella vita è importante sentirsi di qualcuno, credere che ci sia qualcuno che  ti vuol bene. E’ importante per un bambino che ancora non ragiona e non sa usare l’intelligenza. Sentirsi di qualcuno non è una percezione dell’intelligenza, ma della vita, è un sentimento, è una sensazione, è un clima, una esperienza che senti dentro, che nessuno ti può dire a parole per ingannarti. E tanti bambini tornano a parlare, a smettere di essere balbuzienti, a camminare, a dormire, a sorridere, a crescere, solo perché si sentono di qualcuno.

Questo qualcuno a cui ci sentiamo di stare a cuore è Gesù. Gesù è così per noi. Noi dobbiamo avere questa consapevolezza, questa sicurezza, questa verità che ci qualifica come uomini e donne e come cristiani. Quando ti svegli al mattino, quando riesci a rientrare in te stesso per quelle fessure che ti vengono lasciate nella vita, quando ti senti solo, sappi che questa verità ti deve possedere completamente.

Gesù ha convogliato sulla nostra vita tutto l’amore che Dio ha per Lui. Utilizzando il linguaggio religioso del suo popolo, Gesù dice “comandamento”. La parola comandamento per Lui non è legge, non è precetto, non è qualcosa di scritto che ti lega, non è raccomandazione petulante, diritto esigito, tanto meno legame o conto da pagare, ricatto o condizione, è solo amore.

A Gesù tornano in mente i sogni che la Trinità si era coltivata da sempre per gli uomini, rivive la passione profonda di Dio che con ansia sta a vedere se gli uomini sono capaci di usare la loro libertà per amare, vive nella sua vita la tensione del ricupero della bontà dell’uomo, non calcola che cosa gli costa, vuole solo mettersi a disposizione, vuole solo manifestarsi e mettere in atto amore. E l’amore allora assume tutti i connotati del dono a prezzo della vita. Non c’è amore più grande di chi sa dare la vita. Lo ha detto spesso ai suoi apostoli e soprattutto lo ha realizzato proprio nel morire in croce. E’ la grande luce, il grande mistero di come Gesù ci ama e si colloca in ciascuno di quelli che noi chiamiamo prossimo, anche i più poveri, perché pure noi li amiamo.

19 Maggio 2022
+Domenico

Contempliamo  Gesù, che ci continua a scegliere

Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 15, 9-17)

Lettura del Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: “Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena. Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri”.

Audio della riflessione

Nella vita è importante sentirsi di qualcuno, credere che ci sia qualcuno che  ti vuol bene. E’ importante per un bambino che ancora non ragiona e non sa usare l’intelligenza. Sentirsi di qualcuno non è una percezione dell’intelligenza, ma della vita, è un sentimento, è una sensazione, è un clima, una esperienza che senti dentro, che nessuno ti può dire a parole per ingannarti. E tanti bambini tornano a parlare, a smettere di essere balbuzienti, a camminare, a dormire, a sorridere, a crescere, solo perché si sentono di qualcuno.

Questo qualcuno a cui ci sentiamo di stare a cuore è Gesù. Gesù è così per noi. Noi dobbiamo avere questa consapevolezza, questa sicurezza, questa verità che ci qualifica come uomini e donne e come cristiani. Quando ti svegli al mattino, quando riesci a rientrare in te stesso per quelle fessure che ti vengono lasciate nella vita, quando ti senti solo, sappi che questa verità ti deve possedere completamente.

Gesù ha convogliato sulla nostra vita tutto l’amore che Dio ha per Lui. Utilizzando il linguaggio religioso del suo popolo, Gesù dice “comandamento”. La parola comandamento per Lui non è legge, non è precetto, non è qualcosa di scritto che ti lega, non è raccomandazione petulante, diritto esigito, tanto meno legame o conto da pagare, ricatto o condizione, è solo amore. Non è nemmeno un lucchetto per quanto romantico sia, è solo amore.

A Gesù tornano in mente i sogni che la Trinità si era coltivata da sempre per gli uomini, rivive la passione profonda di Dio che con ansia sta a vedere se gli uomini sono capaci di usare la loro libertà per amare, vive nella sua vita la tensione del ricupero della bontà dell’uomo, non calcola che cosa gli costa, vuole solo mettersi a disposizione, vuole solo manifestarsi e mettere in atto amore. E l’amore allora assume tutti i connotati del dono a prezzo della vita. Non c’è amore più grande di chi sa dare la vita.

La vita è la cosa più bella che abbiamo, la vita è la nostra possibilità di esserci, di esistere, di gioire, di vedere, di godere dell’amicizia, di cantare, saltare, correre, sperare, sorridere e lottare. Al di sopra di tutto, per te sono disposto a dare la mia vita, a perderla, a rischiare di rimanerne senza, perché la voglio vedere piena in te, la voglio passare a te, voglio che sia tu a goderla. Non ti offro solo qualche pezzo per un trapianto, non ti lascio i miei ricordi, le cose più belle che hanno fatto felice me, ma ti metto a disposizione la mia vita perché la tua sia piena.

Servo per me non lo sei mai stato; schiavo di qualcosa, ma non di me, servo delle tue passioni o dei tuoi desideri insani forse lo sei stato, ma con me c’è solo libertà, c’è voglia e possibilità di realizzare i tuoi sogni, di volare con le tue musiche.

Purtroppo ti lasci ingannare e finisci per servire, per farti tanti padroni cui devi e da cui non ricevi. Spesso perdi la stima anche di te, perché qualcuno te l’ha tolta. Molte volte sei schiavo dello sballo o della immagine. Non sei più te stesso. Hai dentro un mistero e lo scambi per una oscurità. Io ti do la libertà di spaziare nella vita.

Tu sei mio amico, io ti ho scelto, tu ancora non riuscivi a farti di te una idea e io già ti amavo, così come sei. Ti ho sognato quando ho creato l’uomo e la donna, ti ho seguito con ansia quando i tuoi progenitori hanno rovinato l’armonia che avevo creato anche per te. Ti ho visto appostato come Caino, ti ho valutato quando coi tuoi fratelli aspettavi il sognatore Giuseppe per venderlo, ti ho visto prendere in giro tuo padre Noè, mi sono sostituito a te quando tuo padre ti portava a sacrificare sul monte. La tua vita è scritta sul palmo delle mie mani.

Contempliamo questa tenerezza di Gesù nella nostra vita, e per la vita di ogni persona, lontana o vicina che sia dalla vita cristiana.

San Mattia l’apostolo che oggi festeggiamo ci dia la forza di seguire Gesù, come lo ha seguito lui.

14 Maggio 2022
+Domenico

La conversione: cambiare testa e cuore, rispondere a un invito esplicito, come città, non solo come singoli o comunità di fede, di fronte all’eternità.

Una riflessione sul libro del profeta Geremia “Gerusalemme città chiamata alla conversione” (Ger 2,1-5.7.11-13) e sul Vangelo secondo Luca (Lc 10, 33-34 – Lc 21,5-11)

Geremia 2,1-5

1 Mi fu rivolta questa parola del Signore:
2 «Va’ e grida agli orecchi di Gerusalemme:
Così dice il Signore:
Mi ricordo di te, dell’affetto della tua giovinezza,
dell’amore al tempo del tuo fidanzamento,
quando mi seguivi nel deserto, in una terra non seminata.
3 Israele era cosa sacra al Signore,
la primizia del suo raccolto;
quanti ne mangiavano dovevano pagarla,
la sventura si abbatteva su di loro.
Oracolo del Signore.
4 Udite la parola del Signore, casa di Giacobbe,
voi, famiglie tutte della casa di Israele!
5 Così dice il Signore:
Quale ingiustizia trovarono in me i vostri padri,
per allontanarsi da me?
Essi seguirono ciò ch’è vano,
diventarono loro stessi vanità

Geremia 2,7

Io vi ho condotti in una terra da giardino,
perché ne mangiaste i frutti e i prodotti.
Ma voi, appena entrati, avete contaminato la mia terra
e avete reso il mio possesso un abominio.

Geremia 2,11-13

11 Ha mai un popolo cambiato dèi?
Eppure quelli non sono dèi!
Ma il mio popolo ha cambiato colui che è la sua gloria
con un essere inutile e vano.
12 Stupitene, o cieli;
inorridite come non mai.
Oracolo del Signore.
13 Perché il mio popolo ha commesso due iniquità:
essi hanno abbandonato me,
sorgente di acqua viva,
per scavarsi cisterne, cisterne screpolate,
che non tengono l’acqua.

Conversione

All’inizio di ogni cosa, di ogni vita, di ogni popolo, di ogni città non solo c’è il regalo dell’esistere, ma pure c’è un grande amore di Dio: quasi una sorpresa di Dio che si è innamorato di ciò che aveva fatto esistere, un amore che ha prodotto liberazione.

Ogni persona, ogni popolo ha avuto un suo Egitto, da cui è stato “liberato” per amore puro, cui ha risposto con l’affetto della sua giovinezza, con l’amore di un fidanzamento, con un faticoso, ma alla fine convinto accettare di seguire Dio nel deserto, in una terra non seminata, con tutte le incognite di un futuro non facilmente immaginabile.

Questa terra fu cambiata presto in terra da giardino, ma noi, l’umanità l’abbiamo cambiata in abominio: una sorgente di acqua viva ridotta a pozzanghera, con un futuro da terra screpolata! A questa storia di tradimento umano, di allontanamento, di ribellione si fa presente immediatamente il suo invito alla conversione e come dono, la grande misericordia di Dio, il dato di fatto indiscutibile, con tanti esempi in cui si è già realizzato.

La conversione richiesta da Dio a Gerusalemme, al popolo di Israele, la distribuiamo sui tre momenti principali che la devono caratterizzare: iniziamo subito dalla vita di ogni persona del popolo di Dio, dalla nostra stessa vita.

1: La conversione “personale” di ogni abitante della città

L’amore e il perdono di Dio, la sua ricerca appassionata di ciascuno di noi che se ne allontana, che si perde, che scappa o si nasconde, che brucia il patrimonio di bene in cui è immerso per prendersi soddisfazioni stupide, ha immediatamente il regalo della storia di Gesù che ha  un cuore squarciato per amore: un cuore che non si è mai più ricomposto perché la cattiveria dell’uomo è sempre grande e la libertà dell’uomo è un dono da cui Dio non si ritrae mai.

Sei libero, ti ritrovi a fare sempre quello che ti piace di più, non ti interessa più niente delle persone che ti vogliono bene, ne vuoi sfruttare tante altre, ma sappi che da Me puoi sempre tornare, che Io non ti mollo! Io, tutte le sere prima di chiudermi in paradiso faccio la conta e mi accorgo se ci sei o no, se sei tornato dai tuoi insani percorsi, se ancora una volta ti sei fatto i tuoi giri perversi, il tuo sballo per sentirti vivo, le tue comode isole in cui seppellisci il tuo cuore … ma il mio cuore è sempre aperto ad accoglienza, a tenerezza, a gesti d’amore. Vorrei che quando tornerai ancora da me, anche il tuo cuore resti sempre aperto perché chiunque ci possa scavare dentro e trovi quello di cui ha bisogno per vivere bene e per essere veramente felice.

Non ci vuole molto a vedere che la nostra vita è piena di errori, di “carognate”, di sbagli, di cattiverie gratuite: siamo sicuramente anche capaci di bontà, compiamo gesti puliti e sinceri di amore e di dedizione, ma nessuno ci esime dal dover fare spesso i conti con il male … sembra quasi più grande di noi!

Ci siamo applicati spesso ad estirpare le malvagità, ci siamo anche allenati ad avere buona educazione, a frenare le passioni, a mantenere un equilibrio, ma torniamo spesso ai nostri “vizi”: i nostri peccati si sono inveterati in noi.

Il nostro agire male aumenta  il cumulo di male che stiamo compiendo oggi con guerre, terrorismi, ingiustizie, imbrogli, sopraffazioni, infedeltà: non possiamo negare che le prospettive di un futuro di bontà e di pace si stanno sempre più allontanando.

C’è, ad onor del vero, lo sforzo di tante persone che pagano con la loro stessa vita per dare al mondo una prospettiva diversa, ma il male non sembra avere fine.

Gesù in continuità e novità con l’invito di Geremia a Gerusalemme, nel Vangelo ci ripete: “Se non vi convertirete, morirete tutti allo stesso modo”.

Gesù mette in relazione conversione e vita, adattamento al male e morte: non si può certo pensare di risolvere il mistero del dolore credendo che tutto il male che c’è è un castigo di Dio per i nostri comportamenti malvagi! E il dolore innocente? E le sofferenze di tanti bambini? Proprio per questa “applicazione automatica” tra disgrazia che capita e colpa che l’ha meritata, Gesù richiama alla conversione, a cambiare vita.

Voi credete che mio Padre stia a tendervi un agguato per sorprendervi quando sbagliate e punirvi? Credete che Dio, mio Padre, sia un freddo calcolatore di meriti e colpe e che sta a far pareggiare i conti: tanto hai sballato, tanto devi pagare? Saremmo proprio fuori di testa.”

Convertirsi è cambiare testa, modi di pensare: è uscire dalla logica di un “dio” commerciante che noi ci siamo costruiti a nostra immagine e somiglianza! Convertirsi è prima di tutto sentirsi sempre tra le braccia di un Padre:

  • Lui, che ti vede non combinare niente di buono, che sa di quanti doni ti ha caricato, che conosce il valore della tua umanità;
  • Lui, che dandoti la vita ti ha fatto poco meno degli angeli, di gloria e di onore ti ha coronato (come dice il salmo 8);
  • Lui che ci vede impigriti in continui errori…

… Lui che fa, che dice?

E’ una vita che ti sto dietro, che sto ad aspettare ogni minimo cenno di bontà, ma non riesco a percepire niente…. Vuoi che ti lasci al tuo destino?! Neanche a parlarne! Non c’è nessun destino, ma solo libera scelta!”.

L’Incarnazione del nostro “essere Dio in Gesù” è una scommessa sulla libertà degli uomini: abbiamo  scommesso sulla libertà di Maria di accettare di diventare la mamma di Gesù, sulla libertà di Giuseppe di caricarsi di un figlio non suo, sulla libertà di tutti coloro che lo hanno seguito di fidarsi di un regno che a mano a mano che si avvicinava la pasqua diventava una disfatta.

Gesù ha pazientato infinitamente con gli apostoli: non ha tolto loro la fatica del decidersi per il Regno di Dio! Tutte le persone che sono state travolte dalla sua Parola – ora dura, ora consolante – non sono stati ammaliati, ma hanno dovuto decidersi “giocando” in libertà piena, non costretti da eventi favolosi o da irretimenti sottili.

Convertirsi è esaltare l’uso della nostra libertà a confronto con la persona di Gesù: contro questa nostra libertà Dio non può andare e se qualcuno nella sua cattiveria ci toglie ogni libertà perché decide di toglierci la vita – come tanto spesso capita nel nostro mondo violento – Dio ce la ridona in pienezza.

La misericordia di Dio ha la sua musica: non è il rombo dei cannoni o il sibilo dei missili o lo stritolare dei cingoli dei carri armati! Dio si paragona al contadino, non più al padrone, si fa uno di noi in Gesù e consuma la sua vita a zappare e mettere concime attorno a questa nostra esistenza inaridita: la mette in condizione di giocarsi in pienezza e libertà.

Conversione è sentire su di noi queste cure, questo amore che ci toglie dalla nostra sterilità: il rumore dei colpi insistenti, cadenzati, ostinati del contadino che zappa attorno alla nostra vita è musica e ritmo della nostra conversione.

2: La conversione “comunitaria” della città

Geremia parla di Gerusalemme, di una convivenza sognata, realizzata, boicottata, ripresa tante volte, distrutta e ricostruita: ci siamo resi conto – ancora di più in questi giorni – che prima delle case, dei muri e dei palazzi, la città è fatta da un mondo di relazioni, di solidarietà, di gioie condivise, di dolori atroci incomprensibili, sempre in “agguato”: sono il sorriso, il pianto, gli abbracci di bimbi e madri, sguardi impotenti di papà, strutture di convivenza; sono reti di relazioni, di commercio, di scambio, di offerta e di acquisizioni, di cieli, di case, di piante e fiumi, di ponti e strade.

Le nostre città hanno case, strade, vie di pace o già incarnano dentro il dolore e la morte? Sono a misura di bambini, di fragili, di vecchi e persone oppure solo di commercio e di accumulo, che poi tende allo sfruttamento? Esaltano la ricchezza e il potere o la fraternità e la bellezza?

Si fa presto a passare …

da “giardino e sogno
a
“possesso e abominio”.

Gerusalemme si era anch’essa imbarbarita se Dio la richiama così!

Le nostre città sono abitabili o solo “ammucchiamenti”? Da buon Bresciano ho ben in mente la differenza abissale per l’abitabilità tra i villaggi Marcolini (auspicando che Padre Ottorino Marcolini sia presto dichiarato beato) e le famose “torri”, umanamente anche pericolose da abitare, che si fa fatica persino a demolire! Non sto cercando soluzioni o proponendo architetture, ma umanesimo al massimo! Occorre moltiplicare umanità, relazione, solidarietà, che possono convivere con lavoro, comunità e  società. Tutto questo non viene da spontaneità miracolistica, ma da una progettualità lungimirante e profondamente umana: l’umanità è il primo luogo che abita Dio!

Linee di “conversione” a questo proposito sono fatte da cittadinanza attiva sostenuta e vivificata da cristianesimo attivo: la città è anche insieme di istituzioni, di leggi, di strutture, di coordinamenti, di istituti culturali e bancari, di associazioni, di aggregazioni che permettono la collaborazione di tutti e ne vivono i vari aspetti.

Ai tempi del profeta Geremia Gerusalemme aveva un centro, uno spazio, un insieme di energie materiali e spirituali concentrate nel Tempio: la religiosità “strutturata” non era una vaga idea facoltativa, ma una dimensione del cittadino, con sue leggi e servizi, con sue fortune di tempi propizi e sfortune di tempi di sfacelo … infatti dice Geremia (al versetto 13 del capitolo 2):

Perché il mio popolo ha commesso due iniquità:
essi hanno abbandonato me,
sorgente di acqua viva,
per scavarsi cisterne, cisterne screpolate,
che non tengono l’acqua.

Il Signore Iddio ne era il centro e lo avevano abbandonato: un abbandono che non è solo questione di idoli o di simulacri sacri o di statue, ma cancellazione di centri profondi e personalizzati nella vita di ogni persona, cancellazione si decisioni di massima fiducia e adesione a Dio, cancellazione della consapevolezza di un posto esplicito per la fede, cancellazione della consapevolezza della finitezza umana e del bisogno di una continua salvezza, ripresa, rinnovamento.

Avevano bisogno di acqua viva e non di acqua stagnante, per di più in cisterne screpolate!

Oggi noi non abbiamo più il Tempio, siamo evoluti come società che distinguono bene il trono e l’altare: abbiamo le parrocchie, la Chiesa che dentro questa società tiene alta la concezione di umanità a partire da una esperienza libera che è la fede.

Che ruolo abbiamo noi cristiani dentro questo invito alla conversione nella nostra Gerusalemme?

Oggi siamo di fronte anche a grandi cambiamenti della vita quotidiana: Come ci troviamo come cristiani entro questi cambiamenti di prospettiva umana? Ci troviamo a dover tenere conto di una massa di persone che sono rimaste fuori dal contatto con la comunità cristiana non per un cosciente rifiuto del messaggio cristiano! Non sono atei, ma fedeli in attesa che qualcuno gli dica qualcosa! Non pochi hanno toccato il fondo della confusione in una sorta di nichilismo di massa, in una nausea che monta sempre più per il cumulo di superficialità in cui sono immersi.

Quel campanile che ancora svetta tra le case e ci avvisa dei morti (e molto più raramente dei nati) avrà la capacità di rompere la monotonia dell’abituarsi al ribasso? Può ancora fare da antenna che intercetta o smuove domande di Dio?

Se ora tre o quattro, sei o sette parrocchie vengono messe insieme con un parroco, vediamo che alla lunga ciò non interessa a nessuno: queste cose riguardano noi preti e qualche altro catechista o cattolico della messa settimanale, per questo purtroppo è visto come un problema di funzionamento dell’azienda … non sarà che dobbiamo interrogarci se c’è ancora desiderio della presenza di Dio nella nostra vita e nella vita della gente? Interessa ancora Dio, Gesù Cristo, la fede? E il prete si accorge che la sua risposta non si può esaurire nei compiti istituzionali! Ha bisogno di un colpo di reni che non può essere costituito solo dalla predica della domenica.

I genitori cristiani si accorgono che non basta raccomandare ai figli o ai nipoti di andare alla Santa Messa, di andare a catechismo almeno fino alla Cresima … si preoccupano veramente di dove vivono i loro spazi di amicizia e come li vivono? A tutti è chiesta una serie di conversioni, di cambiamenti rispetto al modello educativo pastorale in cui il prete è stato preparato e gli adulti sono stati educati, soprattutto se non si è più giovanissimi, come la media dei preti  e dei credenti di oggi!

L’ultima pandemia  ha allontanato la parrocchia dalla gente, ci ha forse anche abbassato la stima che ne avevamo, perché non siamo stati coerenti con un po’ di coraggio, ci hanno tolto il rapporto vivificante con i ragazzi e i giovani e ce li troviamo lontani … per i preti più giovani erano la ragione del loro apostolato e senza di loro ci si sente non poco frustrati. Sì, un prete “serve” ancora nei casi disperati, nella morte, qualche volta nelle malattie, nella vita privata, ma non è chiamato in causa per impostare una vita della famiglia e della società più giusta. 

Le giovani generazioni sono altrove: facciamo fatica a dialogare con loro, a renderle sensibili alla voce dello Spirito … la gente ci vuole bene, ma non siamo capaci di aiutarla a fare un salto di qualità nella fede!

Oggi la fede ha bisogno di essere rigenerata per essere disponibile alle domande degli uomini e delle donne di oggi, ma siamo sempre ai primi passi: noi preti siamo mangiati dalla vita ordinaria, dal compito pure necessario di offrire i sacramenti, che spesso giungono su un popolo che forse non li accoglie con fede, ma per tradizione, il Vangelo sembra dover prendere altre strade, che non sono le nostre.

Ci pare che il nostro Dio con la lanterna cerchi un uomo o una donna che abbia ancora interesse per Lui: farebbe parte del nostro essere cristiani offrire a Dio una compagnia! Vorremmo condividere la solitudine di Dio, per dare un senso interiore alle nostre sconfitte senza cercare le tante scuse che potremmo trovare … vorremmo avere il coraggio di un cammino senza difese, per una apertura senza angoscia, e la fiducia in Dio che non smette di accompagnarci … ma la cosa che ci sorprende, e anche ci scoraggia, è che la società, la Gerusalemme di allora, si sta sempre di più  affrancando, facendo a meno  del cristianesimo e il nostro lavoro sarà quello di renderla di nuovo disponibile per esso, come se lo scoprisse daccapo.

Dobbiamo cercare le tracce dove Dio è sicuramente passato e domandarci: dove abita ora  nascosto il Dio cristiano? Come testimoniarlo, come dare forma alla sua presenza? Dove e come  sta lavorando Dio nei nostri giovani, nelle nostre famiglie? Riusciamo a vedere il bene che vi fa sempre?

Non dice niente alle nostre preoccupazioni “ecclesiali” la figura del “samaritano” in cui tanti italiani, tante mamme e famiglie, tanti ragazzi a scuola in questa guerra assurda si sono improvvisati, messi a disposizione, inventato tante nuove accoglienze di profughi, non sono questi i frutti di una sana mentalità cristiana, che va fatta emergere e notata, resa sacramento di un Dio nascosto, che in tanti va adorato? E’ un fuoco di paglia o non può essere oggi un salto di qualità nella vita credente?

Negli anni “sessantotto” dicevamo a questo riguardo: “se tu samaritano vedi che su quella strada trovi sempre qualche uomo mezzo morto domandati anche chi è che opera questo misfatto? Non accontentarti di salvare i feriti!”.

Oggi forse siamo troppo impotenti e ci dobbiamo impegnare anche all’accoglienza di tutti, dei troppi “feriti” che si chiamano profughi, perché il mondo sta diventando una fabbrica di profughi! Non possiamo, nella nostra conversione, fare bene solo questa scelta, e sarebbe già molto: intanto, come cristiani, delineiamo e formiamo bene il samaritano con le qualità della parabola del Vangelo: “gli si fece vicino“.

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 10,33-34)

33 Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto lo vide e n’ebbe compassione. 34 Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui.

Ci siamo fatti vicini? Non li guardiamo a distanza! Non basta  un saluto su whatsapp, non si manda solo un assegno alla caritas per tutti questi “poveracci” …

«.. ne ebbe compassione .. », si commosse … è un classico verbo greco che dice quello che capita alla mamma quando vede suo figlio in difficoltà: le si muovono le viscere, tanto è coinvolta nel dolore e nella condivisione, nell’ansia di alleviare e nella sofferenza da condividere e sconfiggere! È lo stesso verbo che il Vangelo usa quando Gesù vede la vedova che accompagna al cimitero il suo unico figlio morto, quando il padre vede finalmente arrivare dopo tanta attesa il figlio prodigo! È l’amore di Dio per i suoi figli!

Si fa avanti, si fa vicino”: ci candidiamo ad essere  prossimo, a rispondere alla domanda che spesso ci siamo fatti sempre solo a noi: me, chi mi ama?

“Fascia le ferite” con la consapevolezza che noi da soli non possiamo assolutamente ricucire gli strappi di tutti  è solo Dio che lo fa, lui conosce da dove sanguina il nostro e il loro  cuore e ne ferma l’emorragia mortale

“Versa sopra olio e vino”: è l’olio che guarisce la nostra disumanità, che smolla le nostre durezze … è una Parola che scioglie la nostra cattiveria e il vino che dà l’ebbrezza della vita … è ancora quel vino che mancava a Cana. Acqua e pane sono sufficienti per sopravvivere, ma se vogliamo fare festa occorre il vino … e noi vogliamo essere per loro il vino della festa!

Lo carica sul suo giumento”: è Gesù stesso che poi si caricherà ogni uomo ferito su di sé, Lui che “… portò i nostri peccati nel suo corpo
sul legno della croce,
perché, non vivendo più per il peccato,
vivessimo …
” (1Pietro 2,24)

“Lo condusse nell’albergo”: abbiamo e vogliamo per tutti una casa in cui essere accolti, è stata già pagata in anticipo dal samaritano! La Chiesa, la nostra comunità, il nostro gruppo sta diventando questa casa che accoglie tutti: è l’insieme di luoghi, fatti di tessuti di relazioni vere (non tanto o solo di muri) in cui i giovani profughi vi si possono sentire accolti, avere la certezza che, pur sentendosi offerta accoglienza, qualcuno ha già pagato per noi e per loro per scambiarsi assieme il massimo di ospitalità!

“Si prese cura” … noi diremmo, in linguaggio corrente, “ci siamo fatti carico gli uni degli altri”: per gli ulteriori livelli, che diventano politica vera e nuova,  mondiale e non solo di parte, sarà obiettivo della Chiesa fra crescere politici di levatura anche ingenua, ma eversiva, come quella di Giorgio La Pira, che avrebbe già avuto coraggio e fede da vendere per agire anche su ogni Caino. 

Convertiamo bene la Gerusalemme, che non ha futuro se non c’è conversione!

A noi cristiani oggi è chiesto di dare importanza a questa acqua viva che è la fede nelle nostre società e strutture: non si tratta di essere “talebani”, ma testimoni! Non siamo “kamikaze”, ma persone disposte al sacrificio e al martirio.

La conversione sul futuro nostro e del mondo in cui viviamo. Finisce un mondo, ma non è la fine del mondo

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 21, 5-11)

5 Mentre alcuni parlavano del tempio e delle belle pietre e dei doni votivi che lo adornavano, disse: 6 «Verranno giorni in cui, di tutto quello che ammirate, non resterà pietra su pietra che non venga distrutta». 7 Gli domandarono: «Maestro, quando accadrà questo e quale sarà il segno che ciò sta per compiersi?».
8 Rispose: «Guardate di non lasciarvi ingannare. Molti verranno sotto il mio nome dicendo: “Sono io” e: “Il tempo è prossimo”; non seguiteli. 9 Quando sentirete parlare di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate. Devono infatti accadere prima queste cose, ma non sarà subito la fine».
10 Poi disse loro: «Si solleverà popolo contro popolo e regno contro regno, 11 e vi saranno di luogo in luogo terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandi dal cielo.

Mai come oggi, con la pandemia e dentro la guerra, siamo stati  messi di fronte  alla fine del nostro vivere: non è facile però nemmeno lontanamente parlare della morte, perché c’è quasi un prolungamento artificiale della vita, in cui non si può mai parlare, pensare, preparare la morte.

Contro un mondo che commercializza tutto e che è schiacciato sulla terra e che ci invita a non guardare in su (“don’t look up” è il titolo di un famoso film che molte famiglie si sono viste) dobbiamo reagire perché la nostra vita ha un suo futuro in Dio: Dobbiamo avere sempre uno sguardo verso l’alto, il nostro futuro è in Dio!

Il primo passo di una fine del mondo vecchio, della Gerusalemme di Geremia, è stata la distruzione del Tempio di Gerusalemme e quindi la nascita di un nuovo modo di incontrare Dio: è l’inizio del “tempo dei pagani”, cioè una nuova pagina della storia della salvezza aperta ora a tutti, che però è preceduta da segni di grande dolore e distruzione (che Luca mentre scrive il Vangelo ha già potuto vedere). 

Quel “non resterà pietra su pietra” non è un modo di dire, ma la fotografia di una vera distruzione … facciamo memoria di alcuni elementi “concreti”: il Tempio costruito da Erode, che ha impiegato 100.000 operai e 1000 sacerdoti come muratori per le parti più sacre, è iniziato nel 20 a. C. e finirà solo nel 64 d.C. cioè 6 anni prima della sua distruzione avvenuta poi nel 70 d.C. dopo una rivolta sanguinosissima dei giudei iniziata nel 66.

Giuseppe Flavio, secondo un calcolo un po’ gonfiato, da buon romano, scrive di 1.100.000 giudei uccisi e 97.000 fatti schiavi: Le guerre e le rivolte sono come le pietre miliari della storia … non volute da Dio, ma dall’uomo, sono il più male più grande: continuano il peccato di Caino e per questo sono segno della fine già presente nel quotidiano! Il discepolo le deve vivere come appello urgente alla conversione e luogo in cui esercitare misericordia, come il suo Signore.

Sia la morte di Gesù, come la distruzione del tempio, sono sì la “fine del mondo” ma non come lo pensiamo noi: sono il giudizio definitivo di Dio che offre salvezza a tutti! Il presente è allora il tempo della pazienza, della conversione, come per gli apostoli è stato il tempo dello sradicamento da Israele e l’apertura a un nuovo mondo, non legato al Tempio, ma legato a Gesù ucciso, annientato, morto, ma risorto: è finito quel tempo e comincia definitivamente il nuovo con tutti i dolori di una fine, ma anche con tutte le speranze di una vita nuova.

E’ giusto oggi, per la nostra chiesa italiana, con queste assenze, con questa diminuzione di partecipazione alla vita della chiesa, la scelta di far vincere  le nostre paure, addolcendo e togliendo nerbo alla vita cristiana in un adattamento  alle mode del tempo? Assolutamente no! L’intero mondo di devozioni rigeneratrici, è quasi sparito o non è preso in grande considerazione … anche per questo motivo credo che voi, compagnia delle sante Croci, abbiate celebrato con impegno il lavoro fatto nel giubileo sul dono inestimabile delle “sante” croci, riproponendole come snodo necessario per una fede forte, come occorre implorare da Dio in questi tempi.

Occorrono sempre cristiani santi, decisi, che credono che la Chiesa può avere un ruolo di grande servizio per la conversione nostra e nelle nostre città! Se siamo così perdonati e convinti oggi però non è il tempo di imporre facili alternative, ma inventare percorsi accompagnati.

O sacramenti o nulla?
O la parrocchia o nulla?
O L’Eucarestia o nulla?

Non è un dovere progettare percorsi,  passi che stanno prima del sacramento, che aiutano a crescere, a desiderare, a invocare il Signore? Non c’è proprio posto per un dialogo, un  affidamento a Dio, una sua benedizione di incoraggiamento, di apertura di porte nuove?

Non tocca a noi giudicare!

  • Sono “sposati male” …. allora non c’è più spazio per un minimo di fede?
  • Sono “ufficialmente omosessuali”, allora sono “maledetti da Dio” … non possono nemmeno pregare?
  • Fa una “vita sulla strada”…Non c’è spazio per un umanesimo di grande carità, di disponibilità?

L’Azione Cattolica, sempre tacciata di “bigottismo”, faceva gli esercizi spirituali per le ragazze “pericolanti”, nome che significava “prostitute”: non avrebbero smesso il “mestiere”, ma si accendeva in loro una luce!

Possiamo pensare a una comunione di preghiera per chi non può comunicarsi, spazi profondi di ascolto della Parola di Dio sostenuti da papà e mamme, da coppie di sposi: che forme usiamo per accompagnare alla morte le persone? Qui non si fa la scelta “o sacramenti o nulla” … c’è già il nulla, perché il sacramento dell’unzione dell’infermo è quasi sempre evitato nelle nostre famiglie!

Offriamo spazi di composizione di gesti di carità, solidarietà che sono caricati di fede, di Parola di Dio, scoperta in maniera diversa e realizzata pure in maniera eroica?

Quante “fini” fanno parte delle nostre esistenze? Pensiamo alla pandemia, che si inscrive nelle nostre carni, nei nostri affetti, nelle nostre opere e mette la parola fine a tante nostre esistenze, ma anche a modelli di vita sbagliati: sta finendo un mondo – continua a ricordarci papa Francesco – e ne deve nascere uno nuovo … e ogni uomo e donna sono chiamati a conversione come lo furono i cristiani di quei tempi, gli stessi giudei e romani.

Noi pensiamo sempre che possiamo tornare “come prima”, ma un mondo vecchio sta morendo e noi ci dobbiamo convertire a un nuovo modo di vivere, da Fratelli, tutti.

Invece, quindi, di farci la domanda “quando sarà la fine” … iniziamo a convertirci, ad assumere comportamenti che ci portano a un vero cambiamento dei modelli del nostro vivere, altrimenti non solo non resterà pietra su pietra, ma la nostra casa comune, la terra, produrrà solo veleni e morte.

La conversione massima però sarà sempre la centralità di Gesù a Gerusalemme, nel mondo convertito: Gesù aveva nel cuore un sogno che lo consumava, una meta che lo attraeva, un compito che da sempre lo definiva, cioè l’amore senza riserve per l’umanità, per me, per te, per tutti! Questo amore si consuma fino all’ultima goccia sulla croce, il momento massimo della sua storia di affidamento alla sua missione e al Padre, il punto di arrivo del salto definitivo nella gloria del Padre: Lui saliva a Gerusalemme, la sua vita è stata un continuo, quotidiano salire a Gerusalemme … Là è la meta, là lo aspettano gli eventi definitivi, là gli ha dato ancora appuntamento il principe del male per sferrare l’ultimo, inutile attacco, là, a Gerusalemme, offrirà la sua vita per me, per te!

Invece le nostre vite sono spesso un allontanarci da una conversione di Gerusalemme, un fuggire dalle strade dell’impegno, dalle indicazioni della fede: “Hai davanti a te il bene e il male: scegli il bene! Sali anche tu a Gerusalemme! C’è nella tua vita qualcosa che ti brucia dentro, per cui la vuoi donare e consumare? C’è nel tuo cuore un desiderio che non riesci a contenere? È un desiderio di potere, di sopraffazione, di piacere a ogni costo, di conquista per schiacciare o è un desiderio d’amore, capace di buttarsi per una causa, la causa grande del regno di Dio?”.

La strada è in salita: è quella di Gerusalemme, spesso da fare in solitudine, ma non mai abbandonati da Dio, sempre sorretti dallo Spirito che ha spinto Gesù fino al calvario e da lì lo ha innalzato alla Risurrezione.

Lo Spirito di Dio è in ogni uomo per aiutarlo a dirigersi sempre verso la Gerusalemme convertita, riscattata, la sua Gerusalemme che apre il cielo alla potenza di Dio, per chiudere le nostre strade di confusione e di stagnazione: è conversione di Gerusalemme anche un mondo senza più guerre.

Non è certo “conversione” chiamare le guerre “operazioni militari speciali”.

25 Marzo 2022
+Domenico

                                                                                                                                                                                                                                   

Non solo atmosfere

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 2,6-7) dal Vangelo della Veglia di Natale (Lc 2,1-14)

Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio.

Audio della riflessione

E finalmente sta arrivando la notte: i preparativi sono terminati, c’è sempre un’ultima corsa da fare a qualche negozio … abbiamo tenuto duro fino a oggi per non scialare e magari, complice l’atmosfera, ci lasciamo andare a comprare l’ultimo regalo inutile. Qualcuno forse ha pensato anche al festeggiato: tra i tanti panettoni, lustrini, pacchetti e regali, ha pensato che c’è un cuore che va preparato e un male che va estirpato dalla vita che spesso si è snodata nella distrazione, nella mediocrità, nel qualunquismo … e si è andato a confessare.

Che vado a dire? Sono sempre le solite cose, i soliti comportamenti che non segnano la mia vita! Mi sembra di tornare bambino a fare elenchi impossibili per concludere un dialogo che oggi trovo pesante, troppo invasivo nella mia esistenza.

Qualcun altro invece si trova bisognoso di perdono: sa di avere una vita che non è all’altezza delle sue possibilità di bontà, gli brucia dentro qualche tradimento di sé e degli altri, gli ritorna alla mente l’offesa fatta e vorrebbe presentarsi a quella culla con la vita meno smembrata e corrotta.

La notte è sempre “magica”: è quella notte che unisce cielo e terra, la notte degli egoismi e della povertà, la notte in cui Giuseppe e Maria si devono adattare negli anfratti della roccia. C’è un brano del Cantico dei cantici che esalta questa corsa tra le rocce dell’innamorato che cerca la sua innamorata … ora l’innamorato è Dio e colui che cerca è l’uomo, gli vuol portare il suo amore.

Il suo dono è un tenerissimo bambino!

Dio cerca l’uomo e lo trova sempre distratto: sicuramente non è la stessa attenzione che pongono a Roma i maggiorenti, la gente, il popolo alla nascita dell’imperatore Augusto. Là tutti si sono accorti! Qui invece si accorge solo chi ha il cuore puro o per lo meno chi, come noi, che abbiamo tanta nostalgia di averlo più pulito e più umano.

È la notte dei sentimenti; non abbiamo paura dei sentimenti!

È la notte delle debolezze di fronte a chi crede di aver carattere a stare sempre duro come una pietra e a non cedere mai all’accoglienza di un dono, ma è anche la notte di chi vuol essere sicuro che c’è una speranza che non tramonta mai: Gesù, il figlio di Dio, l’Emmanuele, il Dio che sta con noi, è qui!

Lo attendiamo! Vogliamo ascoltare le voci degli angeli, vogliamo cantare con loro quello che a tutte le Messe e tutte le volte che ci troviamo assieme esprimiamo: questo è il Santo che ci viene dato da Dio.

24 Dicembre 2021
+Domenico

La vita eterna è una assoluta novità

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 20,27-40)

In quel tempo, si avvicinarono a Gesù alcuni sadducèi – i quali dicono che non c’è risurrezione – e gli posero questa domanda: «Maestro, Mosè ci ha prescritto: “Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello”. C’erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. Allora la prese il secondo e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli. Da ultimo morì anche la donna. La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie». Gesù rispose loro: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: “Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe”. Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui». Dissero allora alcuni scribi: «Maestro, hai parlato bene». E non osavano più rivolgergli alcuna domanda.

Audio della riflessione

La pandemia ci ha obbligato ancora di più a porci il problema dell’eternità: che c’è dopo questa nostra vita terrena?  Possiamo penetrare questo al di là o dobbiamo accontentarci di vivere di congetture, di ansie, di desideri, di attese? Cerchiamo magre consolazioni o abbiamo speranza certa?

Era la domanda che facevano a Gesù anche i suoi contemporanei: Lui parlava di regno di Dio, Lui si diceva collocato entro questa grande intimità con Dio Padre … Gesù doveva allora saper dare risposte a questo assillo della verità ultima della vita.

C’è una grande verità, comunque, nella vita umana che ci può far impazzire di gioia o di paura: dal momento che siamo nati, noi non potremo non esserci sempre, è iniziato qualcosa nell’universo quando i nostri genitori ci hanno concepito, questo qualcosa è qualcuno e questo qualcuno non potrà più essere cancellato.

La vita che sperimentiamo su questa terra è solo un piccolo inizio di una eternità!

Ebbene il nostro futuro è una vita senza fine: la risurrezione traccia il confine tra i giorni che possiamo contare spesso nel dolore, talvolta nel male, sempre nella fatica e i giorni senza fine di una vita nuova. Sì! perché la fede cristiana è fede in una vita piena in Dio per ogni uomo cui giunge il suo amore in Gesù.

“Ma chi ci crede? ma come è possibile? Ma ci siamo proprio noi o una biblioteca o videoteca con i nostri ricordi? Ma come fa Dio a raccattare tutti i pezzi in cui ci stiamo dilaniando? Ti pare possibile che ci sia un posto in cui ci stanno tutte le persone vissute, viventi e che vivranno?”

Tentativi di ridicolizzare la vita futura li hanno fatti anche a Gesù quando gli hanno chiesto di chi sarebbe stata moglie in Paradiso la donna vissuta con sette fratelli maritati e morti uno dopo l’altro: sembrava proprio un caso insolubile che rendeva ridicola la credenza di una vita futura bella, giusta, riuscita … ma Gesù come sempre fa fare un salto di qualità, offre la possibilità di un colpo di ala: il futuro, il paradiso, la pienezza della vita in Dio non è l’aggiustamento dei cocci della nostra fragile esistenza, non è un faro nella nebbia, non è un compromesso, non è una improbabile mediazione che dà ragione a tutti e a nessuno … è una vita piena nel Signore, è un sole sopra ogni nebbia!

Lui darà risposta piena alle ombre di amore che nelle nostre vite tentavano di imitare la sua luce: Lui darà forza definitiva che sorpasserà ogni nostra debolezza, Lui riempirà la vita di tutti fino alla sazietà.

L’amore di due sposi qui è appena all’inizio, l’amore di due genitori qui si trova impigliato sempre tra dedizione e sconforto, tra generosità e dubbio, ma la nono sarà così: si semina un corpo mortale, debole, fragile, corruttibile – dirà San Paolo – e risusciterà immortale, fresco, forte, felice.

San Giovanni pure si cimenterà con queste attese: siamo figli di Dio e non riusciamo a immaginare che cosa grande, sorprendente è godere della gioia del Padre.

“Figlio tu sei sempre con me, quello che è mio è tuo” diceva già il padre misericordioso al figlio che non sapeva cogliere la bontà di suo padre che avrebbe dovuto riempirgli la vita, invece lui si accontentava solamente dei pranzi e dei vitelli da mangiare con gli amici.

Dio riempirà oltre ogni misura la nostra vita e questo ci basta! Quel cielo cui siamo destinati non è vuoto e può ogni giorno dare alla nostra terra la forza di viverne in pienezza l’attesa.

20 Novembre 2021
+Domenico

La bestemmia contro lo Spirito Santo è imperdonabile

Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 12, 8-12)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io vi dico: chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anche il Figlio dell’uomo lo riconoscerà davanti agli angeli di Dio; ma chi mi rinnegherà davanti agli uomini, sarà rinnegato davanti agli angeli di Dio. Chiunque parlerà contro il Figlio dell’uomo, gli sarà perdonato; ma a chi bestemmierà lo Spirito Santo, non sarà perdonato. Quando vi porteranno davanti alle sinagoghe, ai magistrati e alle autorità, non preoccupatevi di come o di che cosa discolparvi, o di che cosa dire, perché lo Spirito Santo vi insegnerà in quel momento ciò che bisogna dire».

Audio della riflessione

Spesso siamo in cerca di Dio, del bene sommo della nostra vita e non ci accorgiamo che ci mettiamo fuori da ogni ricerca di Lui volontariamente e senza appello: diciamo di credere, ma escludiamo dalla nostra fede la centralità di Gesù che opera attraverso lo Spirito Santo.

Gesù invece contrappone al giudizio pervertito dell’uomo, la benevolenza di Dio che dona sempre con sovrabbondanza, perché è in questione, sempre, la vita dell’uomo.

La parola di Gesù lancia ad ogni uomo un appello sul come affrontare le questioni della vita: bisogna preoccuparsi non tanto degli uomini che possono «uccidere il corpo» ma piuttosto avere a cuore il timore di Dio che giudica e corregge.

Gesù non promette ai discepoli che saranno risparmiati da minacce, persecuzioni, ma li rassicura sull’aiuto di Dio al momento della difficoltà!

L’appello alle comunità cristiane è molto evidente: anche se si è esposti alle ostilità del mondo, è indispensabile non venir meno nel mettere sempre al centro la vita e la testimonianza coraggiosa di Gesù, e vivere la comunione con Lui.  Il contrario si configura come bestemmia contro lo Spirito Santo, che il Vangelo dice “non perdonabile”.

Il linguaggio di Gesù può risultare abbastanza forte perché abbiamo sempre visto Gesù che mostra il comportamento di Dio che va in cerca del peccatore, che è esigente, ma che sa attendere il momento del ritorno a Lui o la maturazione del peccatore.

La bestemmia contro lo Spirito Santo può significare il deliberato e consapevole rifiuto dello Spirito profetico che è all’opera nelle azioni e nell’insegnamento di Gesù, vale a dire che è un rifiuto all’incontro con l’agire misericordioso e salvifico col Padre. Il mancato riconoscimento dell’origine divina della missione di Gesù, le offese dirette alla persona di Gesù, possono essere perdonati , ma chi nega che Gesù può salvare, cioè che in Lui agisce lo Spirito santo, colui che  non ammette che ci sia perdono, che nega che Gesù sia morto per i nostri peccati e che ci abbia redenti, rifiuta che ci sia in Gesù il perdono, non vuole essere perdonato lui stesso.

E contro la libertà di ogni uomo Gesù non va mai: è l’unico connotato decisivo della nostra vita umana, quello che ci distingue dal mondo animale, vegetale, minerale e dobbiamo essere persone che si affidano a Dio e lo crediamo il centro della nostra libertà e quando ci rapportiamo con Dio, non glielo dobbiamo impedire, dicendo che è il demonio.

Questa è la bestemmia contro lo Spirito Santo: è sovvertire la grande bontà di Dio e l’opera dello Spirito Santo e quindi tagliarci da noi la strada verso di Lui.

Siamo noi che non vogliamo, è Dio che non perdona.

16 Ottobre 2021
+Domenico

A Maria attraverso san Massimiliano Kolbe

Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 19, 13-15)

In quel tempo, furono portati a Gesù dei bambini perché imponesse loro le mani e pregasse; ma i discepoli li rimproverarono. Gesù però disse: «Lasciateli, non impedite che i bambini vengano a me; a chi è come loro, infatti, appartiene il regno dei cieli».
E, dopo avere imposto loro le mani, andò via di là.

Spesso mi sono domandato perché Gesù ha messo al centro del suo regno i bambini, fino a farli diventare una condizione necessaria per appartenere al regno dei cieli. Forse perché sono buoni? O perché non fanno del male a nessuno? Noi sappiamo che anche i bambini sono capricciosi, anche loro si confrontano con l’egoismo e la contrapposizione con gli altri: anche per loro deve essere prevista una crescita faticosa verso il bene; forse perché sono semplici, indifesi, poveri di sicurezza … sicuramente anche queste qualità aiutano ad avvicinarsi all’ideale del regno di Dio.

Gli apostoli già cominciavano ad “allungare le mani” sull’appartenenza al regno di Dio: pensavano di averne l’esclusiva perché loro conoscevano Gesù, stavano con Lui, lo seguivano in un tirocinio severo di vita … credevano di essersi guadagnati un posto per la loro continuità e sequela e avevano cominciato a difendere il proprio posto: non volevano tra i piedi nessuno, come spesso si fa da adulti quando non si sopportano coloro che ti chiedono continuamente cura relazione, affetto, tempo … i bambini per esempio … e – dice il Vangelo – che gli apostoli li sgridavano: è Gesù che li difende, che li sceglie, che si mette ad ascoltarli e a benedirli.

Loro, i bambini sono i veri soggetti del regno di Dio, le persone che stanno con diritto nel nuovo popolo di Dio: I bambini sono il centro del regno dei cieli perché si sanno abbandonare con fiducia nelle mani di un papà, sanno che tutto dipende da Lui, che Lui è la loro forza e la loro certezza; quando danno la mano al papà – che è Dio – non hanno più paura di nessuno, si sentono sicuri, orgogliosi di lui non di se stessi; lo sanno apprezzare, lo accarezzano, lo vogliono sempre con sé, ne vanno orgogliosi.

Forse non è sempre così di noi cristiani nei confronti di Dio: noi crediamo di poter essere autosufficienti, anzi spesso buttiamo fuori Dio dalla nostra vita, lo offendiamo e bestemmiamo, lo abbandoniamo per seguire le sirene del nostro egoismo.

Crediamo di poterne fare a meno perché ci sentiamo noi i padroni dell’universo, invece dobbiamo diventare come i bambini, vivere di fiducia: le nostre energie si moltiplicheranno e costruiremo con Lui il regno dei cieli.

Oggi non possiamo non ricordare e chiedere l’intercessione a san Massimiliano Kolbe, frate francescano di grande cultura, capacità imprenditoriale, scrittore e comunicatore della fede e apostolo dell’Immacolata: è morto ad Auschwitz, offrendo la sua vita in uno scambio assolutamente sempre vietato con un condannato a morte per decimazione. Stranamente lui ci riuscì, l’altro fu risparmiato e fra Massimiliano fu messo a morire di fame in una cella, che ancora si può visitare nel campo di Auschwitz.

In questa vigilia dell’Assunta è la persona più indicata a farci incontrare Maria.

14 Agosto 2021
+Domenico

La squadra che Gesù si sceglie

Una riflessione sul Vangelo secondo Matteo (Mt 10,1-7)

Chiamati a sé i dodici discepoli, diede loro il potere di scacciare gli spiriti immondi e di guarire ogni sorta di malattie e d’infermità. I nomi dei dodici apostoli sono: primo, Simone, chiamato Pietro, e Andrea, suo fratello; Giacomo di Zebedèo e Giovanni suo fratello, Filippo e Bartolomeo, Tommaso e Matteo il pubblicano, Giacomo di Alfeo e Taddeo, Simone il Cananeo e Giuda l’Iscariota, che poi lo tradì. Questi dodici Gesù li inviò dopo averli così istruiti: «Non andate fra i pagani e non entrate nelle città dei Samaritani; rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa d’Israele. E strada facendo, predicate che il regno dei cieli è vicino.

Audio della riflessione

Quando si fa una associazione, un gruppo che vuol dare gambe a una idea a un obiettivo, si mette assieme una squadra. Il capo, il responsabile, il presidente, ha bisogno di qualcuno su cui poggiare e di cui fidarsi che gli permetta di conseguire i fini e i sogni che gli stanno a cuore. E’ la sua forza, la sua compagnia, la sua squadra. Anche Gesù tra le varie persone che lo ascoltano, che lo seguono e tendono l’orecchio alle sue parole, che si fanno di lui discepoli se ne sceglie dodici e li manda, li invia, li carica della sua passione di annuncio del Regno di Dio. Lo stanno ad ascoltare, gli stanno volentieri assieme, ma a un certo punto dà loro un mandato preciso. Non statemi addosso, non fatevi una comoda tana, non cercate tende consolatorie: occorre andare, passare di casa in casa, stanare la gente dalla sua indifferenza, annunciare, dire, far nascere energie, creare strade nuove per il regno di Dio. L’annuncio a tutti era parte integrante del vangelo, come lo è di ogni nostra azione di chiesa, di popolo di Dio, di persona che si rifà al vangelo di Gesù. Il continuo e insistito invito per una chiesa in uscita di papa Francesco ha radici molto lontane e una persona del tutto autorevole da seguire.

La compagnia che Gesù si era scelta non era il meglio che poteva trovare. Nessun allenatore si creerebbe una squadra così diversa, così disomogenea fatta di gente semplice, non colta, nemmeno fedele. Giuda lo tradirà alla grande, Pietro non sarà una roccia di fedeltà, Giovanni è troppo giovane… ma Gesù sa di poter contare sulla vita di tutti: in ciascuno è impressa l’immagine di Dio e Gesù dà fiducia perché ognuno di loro sappia stanare la grandezza che ha dentro e soprattutto sappia rispettare l’altro per quello che è, accettarne la differenza e assieme, con l’apporto originale di ciascuno, costruire il Regno di Dio.

La vita di ogni comunità cristiana sarà sempre così. Dovrà mettere assieme diversità e doni particolari, culture e idee disparate, abitudini e stili di vita diversi, ritmi e coinvolgimenti di varia intensità. Già in quel gruppo di apostoli si cominciava a delineare la cattolicità della chiesa, la sua grande capacità di scrivere il vangelo in ogni popolo e cultura, accogliendo, purificando, trasformando, soprattutto annunciando il vangelo cui essa deve obbedire in fedeltà assoluta. Sarà la presenza viva e operante dello Spirito Santo che in tutti cesellerà i lineamenti della figura di Gesù, il suo volto, il suo amore per tutti, la sua fedeltà al Padre. Ogni discepolo pur diverso è imitatore del maestro. Tutti imiteranno Gesù nel donare la vita fino al sangue, in regioni diverse, in contesti diversi, ma tutti per quel Gesù che aveva riempito la loro vita di pescatori e peccatori. Alcuni hanno fatto una scelta diversa, libera e Dio ha messo sicuramente in moto sempre la sua misericordia.

7 Luglio 2021
+Domenico