Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 15, 9) dal Vangelo del Giorno (Gv 15, 9-11)
«Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi. Rimanete nel mio amore.»
Spesso siamo in cerca dell’immagine più vera che ci possiamo fare di Dio: “Che volto ha? Chi è? Esiste davvero? Quale è la caratteristica che lo contraddistingue?” … e ce ne facciamo tante di immagini, anche filosofiche legate alla nostra intelligenza e capacità razionale.
Facciamo fatica a credere che esista e poi quando tentiamo di dargli un volto non riusciamo a definirlo: i filosofi ci hanno provato, gli scienziati pure, gli scrittori e i pittori lo hanno fatto vecchio o giovane, buono o cattivo, barbuto o etereo a seconda della ispirazione o dell’uso che ne potevano fare.
Dio invece è soprattutto e solo amore che si comunica … all’umanità, a noi.
Papa Benedetto ce lo ha detto come suo primo messaggio … quello che aveva nel cuore da tutta la sua vita di prete, di studioso, di vescovo, di cardinale è sempre stato solo questo: “Dio è amore” e tutte le volte che cercava una chiave di interpretazione della realtà di Dio è stata sempre e solo l’amore: è amore quando crea l’universo e l’uomo, è amore quando manda suo figlio sulla terra, è amore quando accetta che il Figlio muoia in croce, è amore nel perdono, amore ancora di più nelle vite d’amore degli uomini.
E’ l’unica chiave di interpretazione della vita di Dio … e Gesù quando si congeda dagli apostoli, non può non rifarsi a questa esperienza profonda che ha segnato tutta la sua vita di uomo.
«Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi.»
L’amore è un vortice: se ci vieni trascinato dentro, porti con te tutti quelli che conosci, vedi, incontri, tutti coloro che fanno parte della tua esistenza … così Gesù: non può non trascinare in questa dimensione il gruppo dei suoi amici, e chiamarli a rimanere nel suo amore.
Certo … potremmo stare con Gesù per “solidarietà con la sua bontà”, perché ci offre speranza oltre le nostre paure e inquietudini. Potremmo scegliere di stare con Gesù perché ci incanta la sua Parola.
Gesù invece ci dice: “ci dovete stare solo per amore. Chi vuol fare il cristiano deve sbilanciarsi dalla parte dell’amore, deve assolutamente fare di questa vita donata senza interesse, senza calcolo, senza vantaggi la sua vocazione definitiva.”
Una riflessione esegetica sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 16,12-15)
12 Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. 13 Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera, perché non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annunzierà le cose future. 14 Egli mi glorificherà, perché prenderà del mio e ve l’annunzierà. 15 Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà del mio e ve l’annunzierà.
La nostra vita pasquale ci orienta all’attesa dello Spirito Santo che si compirà a Pentecoste. Infatti del giorno di pentecoste si dice: mentre si compivano i giorni di Pentecoste…Il che significa che la Pentecoste è vissuta molto di più nella sua attesa che nella celebrazione, perché il successivo svilupparsi della vita del cristiano e della chiesa sarà sempre tempo dello Spirito Santo. Non c’è una settimana di Pasqua come abbiamo fatto fino alla domenica successiva, per la Pentecoste. Tutto diventerà in seguito tempo ordinario, cioè vita guidata dallo Spirito Santo, dono di Gesù per sempre. Tentiamo ora di renderci ancora più concreta nelle nostre vite la sete, il bisogno, il dono della presenza dello Spirito Santo
Abbiamo bisogno di luce.
Noi tutti abbiamo occhi per vedere; la realtà si fa presente attorno a noi: le cose, la natura, le bellezze del creato esistono, sono alla nostra portata. Abbiamo occhi per vedere: belli, perfetti, senza cateratte, senza bisogno di occhiali per correggere miopie o ipermetropie, ma se non c’è la luce noi non le possiamo vedere. La luce la diamo sempre per scontata, ma quando siamo al buio restiamo disorientati, ciechi. Chiedo spesso quando celebro il Sacramento della Cresima dei giovani, che cosa ci manca per vedere se abbiamo cose meravigliose tutte alla nostra portata, occhi sanissimi e bellissimi..? a nessuno viene in mente di dire che è necessaria un’altra realtà decisiva: la luce.
Ebbene lo Spirito Santo è la luce, è quella realtà indispensabile perché possiamo non solo dare possibilità agli occhi di fare il loro compito, ma di vedere in profondità tutta la realtà, che senso ha, che cosa ci sta dentro e sotto, perché abbiamo a capire, che punto di vista migliore scegliere, che attenzione avere…che cosa dobbiamo fare, che strada prendere per essere felici, che compagni di strada abbiamo per ogni nostro sguardo…
Abbiamo bisogno di forza
Noi tutti abbiamo muscoli, gambe, braccia, abbiamo un corpo, ma non ne possiamo fare niente se non sentiamo dentro la forza. A mano a mano che invecchiamo cominciamo a far fatica a salire le scale, diciamo che le gambe non ci reggono più, eppure ci sono, che non ce la facciamo più a sollevare pesi eppure abbiamo ancora mani e braccia. Sopperiamo con una sedia a rotelle o con l’ascensore e così perdiamo del tutto la mobilità. Ci manca la forza.
Ebbene lo Spirito Santo è la forza per essere cristiani nel mondo di oggi. Se non c’è Lui noi non riusciamo a fare le scale della vita. E che scale presenta la vita, che difficoltà, che pesi occorre portare! Quante volte siamo tentati di scaricare i pesi sugli altri o ci immobilizzano spiritualmente nell’adattamento, nella perdita di speranza, nel parlare sempre all’imperfetto o coi verbi del passato e concludiamo con la parolaccia: ormai
Abbiamo bisogno di libertà
Noi siamo contenti di non avere catene ai polsi, di non essere costretti agli arresti domiciliari, di non dover misurare il perimetro di una cella, ma non è sufficiente per godere la libertà. Occorre avere dentro una convinzione, sentirsi capaci di autonomia, di iniziativa personale. La prigione spesso ce l’abbiamo in testa, perché siamo legati da passioni sbagliate, da desideri insani, da vizi, da cattive abitudini. I mass.media spesso ci cuociono il cervello., internet è una palestra in cui bisogna sempre fare scelte di bellezza e di bontà vere. Siamo come i tossici che dicono smetto, ce la faccio e poi sono dallo spacciatore tutti i giorni con gli euro rubati per la dose.
Ebbene lo Spirito è la libertà, è la forza interiore che ti fa superare le dipendenze dal male, che ti offre in cambio della schiavitù, la libertà interiore. Che ti dà orizzonti nuovi di vita, ti convince di peccato così che invochi il perdono e te lo garantisce. E’ Lui che, rotta la catena che ci tiene legati, riempie di speranza la vita, offre consapevolezza di avere un Padre che ci ama e non un controllore che ci redarguisce ogni volta che sbagliamo.
Abbiamo bisogno di saggezza
Sperimentiamo nella nostra vita una continua e faticosa crescita e assestamento della capacità razionale. Da soli, però, non riusciamo a tenere testa a tutte le sollecitazioni della realtà, a rispondere a tutti i nostri perché, in una logica stringente. Ci rendiamo conto che siamo incapaci spesso di capire che ci sono altri lati della vita che non si risolvono solo coi ragionamenti. Abbiamo bisogno di saggezza, di sapienza, di penetrare più in profondità nei misteri dell’esistenza.
Ebbene lo Spirito Santo è questa saggezza che ci aiuta a mettere davanti a Dio tutti i nostri ragionamenti e illuminarli dai suoi punti di vista, dal punto di vista del vangelo, dalla sua presenza capillare nei meandri della vita, della nostra vita e della vita del mondo.
Infatti abbiamo sentito che cosa dice Gesù dello Spirito Santo: Egli vi guiderà alla verità tutta intera, vi annunzierà cose future
Abbiamo bisogno di amore
Siamo forse cresciuti troppo rapidamente quando abbiamo visto: crescere forza nei muscoli, un po’ alla volta avere un corpo di cui essere soddisfatti; si è sviluppata la nostra sessualità, una prestanza fisica, siamo anche rimasti soddisfatti di una dignitosa presenza; ma a che cosa sarebbe servito tutto questo apparato, tutto questo bel impianto se dentro la nostra vita un giorno o l’altro non fosse scoppiato l’amore e non avessimo fatto percorsi seri per custodirlo e donarlo?
Ebbene lo Spirito Santo è l’amore, è colui che colora di significati profondi la nostra vita, le dà un’anima interiore. Rende bella la vita dall’interno. Questo amore non si sviluppa col trucco, con i vestiti, ma con la presenza di chi ha inventato l’amore: lo Spirito.
In questo tempo ci stiamo sintonizzando, preparando a una nuova invasione dello Spirito nella nostra vita quotidiana, a questa nuova creazione dell’uomo, a questa firma che Dio mette sulle nostre esistenze e siamo contenti di condividere con tutti la nuova avventura del rischioso mestiere di vivere. La nostra società ne ha bisogno, la pandemia deve essere colorata dai doni che ci fa lo Spirito. Lo Spirito Santo non teme distanze fisiche o sociali, non è soggetto a vaccini, non è mai stato in lockdown e tanto meno ci lascia nella solitudine, fosse anche quella della terapia intensiva. Abita in noi già dal battesimo, è stato riconfermato con la Cresima e non molla nessuno mai.
Ogni uomo ha progetti di vita: per un po’ di tempo, quando è ragazzo, sogna, li confonde con le “veline della Tv”, con le figure eroiche dello schermo, con gli atleti di uno sport, con le professioni “patinate” … poi un po’ alla volta si costruisce ideali concreti, mette in fila allenamenti, studi, ricerche, sforzi per dare corpo ai sogni, per dare gambe e cingoli alle sue aspirazioni.
Io immagino Giuseppe, San Giuseppe, un giovane così: un lavoratore, un carpentiere come dice il vangelo; un giovane che accetta la vita, la vede come un campo di prova e una occasione di felicità semplice, autentica … e dentro questo suo progetto ci sta l’amore: il desiderio di donare il cuore a una ragazza, di affrontare con lei le sfide della vita, le semplici gioie di uno sguardo negli occhi, di un tenero affetto nei corpi, di fare una famiglia, di spendere i suoi sentimenti nella storia di un amore pulito, nella intimità di una …. casa; e incontra la ragazza del cuore, e comincia a dare concretezza ai sogni.
La ragazza è Maria: Decide di sposarla.
Ogni popolo ha le sue usanze, i rapporti con i genitori da curare, le tradizioni che accompagnano il nascere di una famiglia, i tempi di attesa per vivere assieme.
Gli affetti accolti e donati per costruire una famiglia non sono fatti esclusivamente personali, sono parte integrante della vita di una comunità, dell’intreccio di relazioni delle famiglie.
E’ sempre un gioco – insomma – tra interiorità e intimità da una parte e comunità e società dall’altra.
Proprio in questo tempo bello e progettuale Giuseppe vede che Maria si porta un segreto che lo sconvolge: aspetta un bambino e non è il suo.
La sua umanità tesa al progetto, alla realizzazione del sogno della sua vita ha un appannamento: non vede più chiaro, si sente scavalcato da qualcosa che subito immagina di grande; non si adatta all’interpretazione più banale, ma scava nella sua storia di amore con Dio e di amore di Dio verso il suo popolo la ricerca di una risposta. Affida alla sua fede e non ai suoi risentimenti o alle interpretazioni facili e denigratorie in cerca di una magra consolazione.
Si fa una domanda lancinante: che vuole Dio da me? Il mio bel progetto non è il suo. C’è qualcosa d’altro.
Ferma allora la sua storia, offre a Maria il massimo rispetto e dignità di scelta: la vuol rimandare nel segreto. Tutto deve rimanere nella coscienza pulita sua e nella storia inaspettata, ma sicuramente scritta in Dio, che sta vivendo Maria. Tanto la stima e le vuole bene!
Ferma i suoi sogni e ne aspetta altri. E Dio vede la sua forte fede e gli svela il segreto: “Non temere Giuseppe, sei proprio un giusto, non avevo alcun dubbio sulla tua integrità. Ti affido Maria, si porta in grembo il Figlio di Dio, la sorgente di quell’amore che riempie la tua esistenza e quella del mondo.”
La comunità cristiana che tutti ritengono bacchettona o intrigante, non ha mai taciuto questo dramma di un uomo e ha sempre davanti a tutti proclamato questa fede nell’intervento di Dio nella vita di una donna.
Il figlio nato come uomo è figlio di Dio e la fede di Giuseppe è una fede rocciosa, forte, decisa, matura, consapevole: lui sarà la spina dorsale della vita di Gesù, colui che gli insegnerà a parlare, a definire i suoi sentimenti, a forgiare il suo carattere, a stabilire rapporti belli con tutti, a dialogare con Dio; sulle sue ginocchia Gesù ha imparato a leggere le Scritture, si è preparato ad affrontare la croce, la sofferenza, la stima della dignità di ogni persona, la semplicità della vita, la fantasia delle sue parabole …
Averlo come protettore del mondo del lavoro, come custode di ogni lavoratore e di ogni lavoro è più di una sicura speranza: è un investimento certo, perché ci assicura che tutti coloro che stanno apparentemente nascosti o in “seconda linea” nella storia, hanno un protagonismo senza pari nella storia della salvezza.
Una riflessione sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 14, 1-6)
«Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molti posti. Se no, ve l’avrei detto. Io vado a prepararvi un posto; quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, ritornerò e vi prenderò con me, perché siate anche voi dove sono io. E del luogo dove io vado, voi conoscete la via». Gli disse Tommaso: «Signore, non sappiamo dove vai e come possiamo conoscere la via?». Gli disse Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me.
E’ esperienza comune quella di trovarci talvolta in un dedalo di vie tutte uguali, intricate, di continuare a girare sempre attorno agli stessi isolati, di fermarci a guardare la cartina, di sbagliare l’orientamento, di chiedere, di avere informazioni contraddittorie … insomma, non si riesce a venirne a capo, non c’è satellitare che tenga …
… oppure sei in un bosco, credevi di continuare nel verso giusto invece dopo ore di cammino ti trovi pressappoco al punto di prima, se non dalla parte opposta verso cui volevi andare. Avere la certezza di un cammino sicuro, in montagna per esempio, è questione di vita o di morte!
La stessa esperienza, se non più drammatica è quella della strada da scegliere nella vita: “Che faccio? Che cosa decido? Continuo questa esperienza affettiva o gli dò un taglio netto? Ma è proprio questa la mia strada? Sono nel giusto se mi comporto così? E’ questo il mio futuro? Passa da qui la strada della mia felicità?”
… e, spesso si procede spesso per tentativi: “Oggi è più conveniente – dice qualcuno – navigare a vista, non decidere, procedere per approssimazioni, tanto si può tornare indietro da tutto”, anche se sappiamo che non è vero.
Si sente comunque la necessità di avere una indicazione, di avere qualcuno che lasciandoti pure tutta la tua libertà di decidere, ti dà dei segnali, ti fa intuire dove sta una buona meta, ti aiuta con la sua chiarezza, il suo punto di vista meno coinvolto del tuo a guardare la realtà. Si fa pure aiutare soprattutto dal Vangelo!
Gesù è talmente una sicurezza nel suo collocarsi nella vita degli uomini da dire perentorio: Io sono la via, la verità e la vita.
Non dice che la conosce, che la può insegnare, che ha fatto studi che lo rendono esperto nel fare la guida, no! Dice che Lui è la via della felicità, della pienezza … Lui è la verità del nostro essere e dell’essere del mondo, Lui è la vita, questo bene sommo cui tutti aspiriamo e che è condizione di tutto il nostro essere.
Questo – certo – esige che ci accostiamo a Gesù non come ai soliti guru per avere emozioni, o “per tentare anche questa (tanto le ho tentate tutte)”, o come fanno molti, come un talismano da tenere sul cruscotto dell’automobile, perché non si sa mai …
Gesù invece è veramente la luce della nostra vita e ne diventa, se noi ci lasciamo illuminare da questa luce, la sicura speranza di tutta l’esistenza.
Una riflessione Esegetica sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 20,1-9)
Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!». Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario che era stato sul suo capo non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte. Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti.
Il grande mattino del primo giorno dopo il sabato presenta una novità: era un volgare lunedì, come tutti i nostri, quando riprendiamo il lavoro interrotto dalla domenica…
Sembrava ormai che la “vicenda Gesù” fosse tutta risolta: ammazzato lo abbiamo, sepolto pure, proprio non come volevamo noi in una fossa comune, in maniera che non fosse più identificabile dopo la morte, ma pur sempre cadavere.
La festa allora era il sabato, e il primo giorno dopo invece noi lo abbiamo chiamato “domenica”, il giorno del Signore.
Perché? Perché quel mattino il Signore, pestato a sangue e portato al macello, non è più nella tomba, è risorto, vincitore sulla morte, tornato a sconfiggere il male, che perseguita l’uomo di ogni tempo e di ogni coscienza.
Come sono andate le cose? L’abbiamo udito dal Vangelo … ci sono tre verbi che il vangelo di Pasqua ci presenta a conclusione di una corsa affannata e concitata di due apostoli al sepolcro: entrarono, videro e credettero: sono i tre verbi che devono caratterizzare la nostra vita cristiana.
Sono verbi riferiti a due persone: un giovane e un vecchio, che il mattino di Pasqua si misero a correre, stanati dalla loro inedia dal grido della Maddalena “hanno portato via il corpo di Gesù” … è Giovanni, il giovane discepolo che con Pietro si avventura di nuovo per quelle strade tragiche del giorno di Parasceve: avevano passato la giornata a piangersi addosso, a ridirsi la delusione … Pietro a raccontare continuamente il suo tradimento di cui non si dava pace; aveva ancora le lacrime agli occhi: non erano lacrime di disperazione, ma di amore … cercato; non era all’altezza … all’altezza dell’amore profondo di Gesù, ma … sempre tenace a riprendere il cammino verso di Lui.
Giovanni si stava domandando che cosa ne sarebbe stato della sua giovane vita … la corsa però finisce col cuore in gola davanti a quel sepolcro: si può entrare, la pietra è ribaltata fuori dalla guida necessaria per farla rotolare, quindi nemmeno si devono chiamare rinforzi per poter entrare … qualcosa di strano è accaduto ed entrano: nella vita occorre sempre entrare, non stare alla finestra, in superficie; non si può vivere di “virtuale”, di simulazioni, di carta stampata o di immagini che scorrono sempre davanti agli occhi mattino e sera, che ti danno solo le idee degli altri.
Papa Francesco dice, sempre, ai giovani di non stare in poltrona o al balcone a passare la vita: ognuno deve farsi la sua esperienza, lasciarsi prendere la vita, non la fantasia o i “selfie” soltanto.
Le persone vanno incontrate, non fotografate o salutate solo con qualche sms.
Gli occhi corrono in un baleno alla pietra su cui era stato posto il cadavere, quegli occhi in cui ancora c’era la visione del corpo martoriato, che hanno incrociato lo sguardo d’amore di Gesù, quell’ultimo suo sorriso nel dono supremo di sua madre “Figlio ecco tua madre”.
Quegli occhi si aprono sulla assoluta novità di quel mattino: è importante aprire gli occhi, che spesso vogliamo tenere chiusi per non essere coinvolti, aprire gli occhi sull’evidenza, per uscire da comode ideologie che ci siamo fatti e che non vogliamo mettere in discussione mai.
“Guardami almeno una volta con amore” dice il marito alla moglie, la madre ai figli; “guardami per farmi sentire che riconosci la mia dignità di uomo” dice il vicino di casa, il collega di lavoro, chi ti lava i vetri al semaforo … che cerca una patria che non ha più.
E che videro gli occhi di Giovanni? Che cosa ha visto per concludere con l’adesione di fede? C’è ancora un lenzuolo, ma è afflosciato su di sé, ha ancora attorno le bende che lo tenevano stretto al cadavere, c’è ancora al posto del capo il fazzoletto che si mette sul capo di tutti i morti, ma è ricurvo, ancora al suo posto; dentro però non c’è più niente … il cadavere è sparito dall’interno, come se … vi fosse stato sottratto! Non è stato manomesso niente, non è stato portato via niente: i ladri si sarebbero preso tutto; un cadavere è sempre repellente, quello di un maledetto da Dio ancora di più.
Il corpo di Gesù non c’è più … e ha lasciato i segni della sua sepoltura intatti.
Il terzo verbo è la conclusione felice di tutta la tensione umana e intellettuale di Giovanni e di Pietro: credettero.
Certo Gesù lo aveva detto, ora le sue parole di risurrezione sono l’unica possibilità di leggere quello che essi vedono: Il Signore è risorto, è il momento massimo della libertà: i segni ci sono, ma la realtà è più profonda dei segni: non sei mai costretto a credere. La fede non è la dimostrazione di un teorema, perché la vita non è un teorema.
Ora è il momento di affidarsi: hai usato la tua intelligenza, ti sei fatto tutte le domande vere della vita, hai visto dei segni, non sei stato alla finestra, ti sei immerso con onestà nei fatti, e adesso … devi fare il passo della fiducia: Signore mi fido di te, mi abbandono a te! Sei tu il mio Signore e il mio Dio. Non mi bastano le dimostrazioni, non mi sono sufficienti i ragionamenti, sento la dolcezza del tuo amore per me.
Credo e su questa fede oriento la mia vita: non è vero che la morte è l’ultima parola sulla vita, non è vero che la disperazione è l’ultima spiaggia di noi sfortunati; non mi abbandonare, perché il cammino è lungo … e vorrei che questa Pasqua mi illuminasse in ogni relazione della vita, in ogni luogo della mia esistenza, in ogni affetto che la rende un dono per gli altri.
Credo che qualche volta almeno ci ritorni la domanda: Questo Gesù che ho iniziato a conoscere da bambino al catechismo, in casa, a scuola… dove l’ho lasciato? Come mi si presenterebbe oggi? Che mi sta dicendo di Lui la chiesa dove vado a messa? Mi porta davvero a Lui? E Lui Gesù dove sta? Dove si fa trovare?
L’attesa del Messia della gente di allora poteva avere alcune di queste domande … e Gesù nella sua prima uscita pubblica si fa riprendere mentre fa la fila coi peccatori a ricevere il battesimo di Giovanni Battista.
C’è un fremito di attesa tra la gente: non ne può più di promesse, di speranze ingannate, di ingiustizie subite, di disorientamento generale … come un po’ noi con questa pandemia in cui riusciamo a capire sempre di meno che cosa ci capiterà, tempo in cui l’attesa si fa ansia, la domanda pretesa.
Ci sarà qualcuno che potrà rispondere a un popolo tenuto in vita da promesse, a una vita che continua a cercare e che brancola sempre nel buio, che deve procedere a tentoni difendendosi da continui inganni? Chi ci può aiutare a destreggiarci tra i mille ingannatori dell’esistenza, tra le mille immagini che ci vendono felicità e che alla fine ottengono l’effetto di convincerci che non c’è?
Giovanni, il battezzatore, per questa ansia ha trovato la strada e la gente fa la fila: nella fila c’è Gesù. è Lui la meta, è Lui la forza, è Lui la luce della vita!
Per Lui occorre sempre preparare la strada: non basta un Avvento per spianare terreni accidentati e scoscesi in vallate di accoglienza, la nostra vita anche dopo il Natale è tentata di arroccarsi, di indurirsi di fronte all’accoglienza di Gesù, del povero che è sempre l’immagine più vera di Dio.
Occorre sempre che qualcuno annunci con voce forte che Dio è vicino, che la solita melma che intacca l‘esistenza non può sommergere la nostra speranza … e Gesù fa la fila dietro le nostre miserie e speranze, dietro il nostro egoismo, le nostre furbizie, i nostri tentativi anche sinceri di trovare risposte alla vita; si colloca dietro l’ansia di sapere se ancora potremo avere la convinzione e il coraggio di far nascere nuove vite nelle nostre famiglie, di mangiare senza la paura di ingoiarci un veleno, in questa terra inquinata di avviarci verso il declino dell’esistenza senza pensare di concluderla intubati in qualche terapia intensiva o aiutati a morire con un suicidio assistito – definito morte dolce – si colloca dietro la nostra fatica di tenere alta e esigente una concezione di vita che continua a subire attacchi di egoismo, di adattamento al ribasso ..
… ecco, in questa nostra fila si fa trovare Gesù: è in mezzo a noi, folla di peccatori, in segno di solidarietà a dirci che con Lui una risposta c’è, una speranza c’è, non resteremo delusi, la pandemia non è un destino, ma una prova … e nella nostra fila di vita in ricerca, non si sente sminuito dall’essere simile a noi, dal condividere la nostra umanità, perchè in Lui non c’è malizia o peccato.
E in mezzo a noi prega: nel pregare ci apre il cielo, ci apre alla vita vera, a una iniezione di novità, di energia, di Spirito Santo che incendia di bontà la nostra esistenza.
E quella fila di peccatori, di disperati, diventa con Lui, con questo cielo aperto, una comunità che si vuol bene, non solo una fila di gente che aspetta il suo turno, diventa una chiesa che si aiuta, che si mescola come sempre nei meandri della vita di tutti i giorni, la condivide con tutti, portandovi speranza, senso …
portando acqua che lava e rigenera: il battesimo c’è sempre, a disposizione, non è più di moda, ma è il primo dono che facciamo ad ogni creatura, per immergerla nella morte e risurrezione di Gesù;
diventa crisma che dà ardore alla vita con lo Spirito Santo nella Cresima, guida nel darci preti e vescovi, olio santo, per confortarci nella malattia;
diventa pane e vino che ci nutre, sta con noi e ci accompagna in ogni Messa;
vince ogni riduzione egoista degli affetti diventando dono d’amore col matrimonio, che crediamo sempre più inutile, solo costoso e fumoso;
si fa perdono che risana fragilità e riavvia vite disperate – i confessionali ci sono ancora – e ci permette di compiere per la sua misericordia opere giuste, scelte difficili e impegnative, ma vere di perdono;
Tutti questi doni di quella fila diventata Chiesa cambiano quella fila in comunità di speranza: allora non c’è più spazio per la depressione perchè questo nostro Gesù da quel Natale rimane sempre un Emmanuele, il Dio con noi, anche quando, come stasera, torniamo a rimettere negli scatoloni il presepio.
… questa giornata di commemorazione i tutti i fedeli defunti, senza rivivere il grande dolore per la morte di COVID-19 di tanti nostri fratelli, amici, parenti, educatori, preti.
Li abbiamo dovuti abbandonare ancora da vivi: hanno affrontato la morte sicuramente nella dedizione, anche oltre il loro specifico dovere, del personale medico e infermieristico ospedaliero.
Noi però non abbiamo potuto accompagnarli, vedere i loro volti e loro stessi non hanno potuto sperimentare il nostro affetto e la nostra compagnia per avere la certezza che ancora c’eravamo e pensavamo a loro ed eravamo proiettati a condividere con loro il dolore del distacco.
Non sparisce dalla mente la visione di quelle file di camion di militari che spostavano solo bare, e sempre bare. Ci confortava il senso di dovere e di pietà di questi giovani militari che dicevano anche di averci messo tutta la loro anima in questo ingrato compito.
Non ci è mai venuta meno però la fede nella risurrezione di tutti questi nostri fratelli, dell’abbraccio con il Dio della vita, della dolorosa dedizione del Figlio Gesù, che nella morte ha sperimentato la strazio inumano della sua morte cruenta, per donarci la risurrezione.
Vogliamo anche in questa Messa affermare la nostra stima e solidarietà verso tutto il personale che in questi giorni è ancora sotto torchio perchè la pandemia non termina dalla mattina alla sera e tenta di rinfocolarsi e rinnovare l’affidamento di ciascuno dei nostri morti alle braccia di Dio.
Abbiamo cercato di riparare a quanto non siamo stati in grado di fare, ma siamo certi di averli tutti in Paradiso.
Diciamo sempre molto convinti nel metterci in contatto di preghiera con il Dio della vita che la nostra vita non è mai tolta, ma sempre e solo trasformata.
Vorremmo anche prendere l’occasione di questi mesti riti per tentare una proiezione di speranza per il futuro che Dio ci vorrà regalare ancora. Non promettiamo molto, perché quando ci sembrava di avere superata questa pandemia, già ci eravamo dimenticati dei propositi immediati che ci eravamo fatti; avremmo voluto essere più essenziali, più concordi nell’azione, o almeno solo più attenti alla vita di tutti, più consapevoli delle nostre necessarie interdipendenze, del nostro essere stati creati da fratelli, del non lasciaci incantare da ciò che passa, dai soldi, dagli onori.
Dio non ci lascerà mai cadere fuori dalle sue braccia, sua Madre sarà sempre complice di ogni salvataggio anche all’ultimo respiro.
Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 10, 23-24) dal Vangelo del giorno (Lc 10,17-24)
«Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete. Io vi dico che molti profeti e re hanno voluto vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono».
Non è raro, trovare gente che non riesce ad apprezzare l’esistenza che conduce, l’ambiente, la città, la cultura, il paesaggio, le possibilità di vita di cui possiamo godere: è una tendenza antropologica più forte di noi … da bambini ci sembrava sempre più buona la minestra della zia, da grandi al gusto uniamo il lamento, al lamento l’abitudine, all’abitudine l’ingratitudine e in questa sequenza non sappiamo più godere delle cose semplici della vita.
Non scorgiamo più il miracolo di un giorno nuovo che comincia, la gioia di godere della salute, la bellezza di avere forza per fare tante cose: quando non le avremo più, saremo una lagna per tutti quelli che incontriamo.
È un difetto anche della nostra società opulenta: non siamo mai contenti di niente, non apprezziamo quello che abbiamo. Ora poi che siamo nella pandemia e di essa non scorgiamo la fine, siamo ancora più disperati, vediamo solo quello, non sappiamo alzare lo sguardo a un futuro migliore.
Sappiamo che Dio sta sempre seminando e proponendo il suo regno e noi non riusciamo più ad alzare lo sguardo per riprendere speranza.
Gesù nella sua predicazione si è scontrato con gente che non riusciva a capire la grandezza di quello che stava accadendo con la sua presenza nel mondo: avevano aspettato per secoli un segno, un futuro diverso, un messia e si erano stufati di attenderlo.
Quando è arrivato, non lo hanno riconosciuto. Ma tra la folla che lo seguiva c’era gente semplice senza tante “strutture di pensiero” o gabbie di abitudini. Solo questi lo hanno capito, hanno saputo scorgere in lui la novità di un Dio amabilissimo e vicino, di una Parola che va dritta al cuore.
Mi scrive un ateo convinto: “per me Dio non esiste, posso vivere senza inginocchiarmi, né di fronte a Dio, né di fronte ad altre divinità; la ragione è il contrario di una divinità che impone la genuflessione, lascia libero l’uomo di pensare ciò che vuole. Per me vivere senza Dio non è un tormento. Io trovo in me stesso, solo in me stesso la forza di emergere più forte da ogni prova.”
Certo … se la ragione diventa un assoluto non c’è spazio per la sorpresa, l’accoglienza di un gesto d’amore. Invece si può essere razionali fino in fondo e accogliere qualcuno che va oltre, non contro.
Molti avrebbero desiderato udire quel che voi udite e non l’udirono, conoscere la bellezza del Vangelo e invece hanno dovuto accontentarsi del buonsenso, dei talk show, delle fiction.
Quando siamo troppo pieni di noi, perdiamo la saggezza della vita: C’è una possibilità nel nostro mondo di poter tornare ad apprezzare la bellezza della nostra fede? O ci chiediamo tutti di farci “sbattezzare”?
Sicuramente possiamo tornare ad apprezzare la bellezza della nostra fede se tendiamo la vita come un arco. È una speranza da nutrire sempre!
Una riflessione sul Vangelo secondo Luca (Lc 4, 16-30)
La vita è fatta di tante liturgie “stanche”, di tanti gesti automatizzati che ogni giorno devi fare: può essere la levata del mattino – ahimè sempre troppo presto – il congedo da quelli di casa, l’arrivo sul posto di lavoro, il caffè e il giornale con gli amici, le pratiche dell’ufficio .. oppure anche liturgie più solenni ,come quelle ufficiali della deposizione di una corona di fiori, di una dichiarazione alla televisione, o di una Messa in Chiesa … spesso le portiamo avanti stancamente come la vita, senza slancio, anche se ne vediamo la necessità: diventano penitenza quotidiana invece di essere caricate di significato vitale.
Così capita a Gesù, quando di sabato entra nelle sinagoghe dei paesi della Palestina: gente stanca che prende la Torah, il libro della bibbia, ne legge un pezzo lo fa commentare poi tutti ritornano alla propria vita.
Sono così anche le nostre liturgie domenicali: spesso sono più un dovere che un atto di amore!
Ebbene un giorno Gesù entra in una di queste liturgie “scontate” e ribalta la vita di chi lo ascolta: legge il libro di Isaia che prevede per il popolo un futuro diverso e dice perentoriamente “questo futuro oggi è qui con voi, sono io. Io sono stato mandato a dare speranza ai poveri, a dirvi che sta scoppiando la potenza di Dio nel mondo. E’ finito il tempo delle lagne, una nuova presenza di Dio comincia oggi, la speranza comincerà a colorare le vostre vite, i poveri trovano fiducia, i deboli si rinfrancano, i diseredati trovano casa e accoglienza. Io sono qui a garantirvi questo amore invincibile di Dio. Mi credete?”
Lo stupore di chi lo ascolta è grande: erano andati a compiere il solito rito e si sono trovati davanti alla verità concreta che quel rito evocava e non ci hanno creduto.
Se tu tutti i giorni ti adatti alla vita senza entusiasmo, non t’accorgerai mai del senso che vi è nascosto, dell’amore che vi è inscritto e promesso: hanno dato per scontato questo loro concittadino, erano loro i primi a non stimarsi e a non stimare, avevano chiuso Gesù nei loro schemi paesani e non poteva sicuramente essere la promessa di Dio … non vorrai che Dio abiti proprio tra noi?
Invece Dio abita tra noi, ha il volto del nostro vicino, ha i pensieri di bontà di chi ci dedica la vita, ha la forza di chi ci contrasta nel male.
Anche questa è la speranza della nostra vita: poterlo scorgere nella storia di ogni giorno.