Una riflessione sul libro del profeta Geremia “Gerusalemme città chiamata alla conversione” (Ger 2,1-5.7.11-13) e sul Vangelo secondo Luca (Lc 10, 33-34 – Lc 21,5-11)
Geremia 2,1-5
1 Mi fu rivolta questa parola del Signore:
2 «Va’ e grida agli orecchi di Gerusalemme:
Così dice il Signore:
Mi ricordo di te, dell’affetto della tua giovinezza,
dell’amore al tempo del tuo fidanzamento,
quando mi seguivi nel deserto, in una terra non seminata.
3 Israele era cosa sacra al Signore,
la primizia del suo raccolto;
quanti ne mangiavano dovevano pagarla,
la sventura si abbatteva su di loro.
Oracolo del Signore.
4 Udite la parola del Signore, casa di Giacobbe,
voi, famiglie tutte della casa di Israele!
5 Così dice il Signore:
Quale ingiustizia trovarono in me i vostri padri,
per allontanarsi da me?
Essi seguirono ciò ch’è vano,
diventarono loro stessi vanità
Geremia 2,7
Io vi ho condotti in una terra da giardino,
perché ne mangiaste i frutti e i prodotti.
Ma voi, appena entrati, avete contaminato la mia terra
e avete reso il mio possesso un abominio.
Geremia 2,11-13
11 Ha mai un popolo cambiato dèi?
Eppure quelli non sono dèi!
Ma il mio popolo ha cambiato colui che è la sua gloria
con un essere inutile e vano.
12 Stupitene, o cieli;
inorridite come non mai.
Oracolo del Signore.
13 Perché il mio popolo ha commesso due iniquità:
essi hanno abbandonato me,
sorgente di acqua viva,
per scavarsi cisterne, cisterne screpolate,
che non tengono l’acqua.
Conversione
All’inizio di ogni cosa, di ogni vita, di ogni popolo, di ogni città non solo c’è il regalo dell’esistere, ma pure c’è un grande amore di Dio: quasi una sorpresa di Dio che si è innamorato di ciò che aveva fatto esistere, un amore che ha prodotto liberazione.
Ogni persona, ogni popolo ha avuto un suo Egitto, da cui è stato “liberato” per amore puro, cui ha risposto con l’affetto della sua giovinezza, con l’amore di un fidanzamento, con un faticoso, ma alla fine convinto accettare di seguire Dio nel deserto, in una terra non seminata, con tutte le incognite di un futuro non facilmente immaginabile.
Questa terra fu cambiata presto in terra da giardino, ma noi, l’umanità l’abbiamo cambiata in abominio: una sorgente di acqua viva ridotta a pozzanghera, con un futuro da terra screpolata! A questa storia di tradimento umano, di allontanamento, di ribellione si fa presente immediatamente il suo invito alla conversione e come dono, la grande misericordia di Dio, il dato di fatto indiscutibile, con tanti esempi in cui si è già realizzato.
La conversione richiesta da Dio a Gerusalemme, al popolo di Israele, la distribuiamo sui tre momenti principali che la devono caratterizzare: iniziamo subito dalla vita di ogni persona del popolo di Dio, dalla nostra stessa vita.
1: La conversione “personale” di ogni abitante della città
L’amore e il perdono di Dio, la sua ricerca appassionata di ciascuno di noi che se ne allontana, che si perde, che scappa o si nasconde, che brucia il patrimonio di bene in cui è immerso per prendersi soddisfazioni stupide, ha immediatamente il regalo della storia di Gesù che ha un cuore squarciato per amore: un cuore che non si è mai più ricomposto perché la cattiveria dell’uomo è sempre grande e la libertà dell’uomo è un dono da cui Dio non si ritrae mai.
“Sei libero, ti ritrovi a fare sempre quello che ti piace di più, non ti interessa più niente delle persone che ti vogliono bene, ne vuoi sfruttare tante altre, ma sappi che da Me puoi sempre tornare, che Io non ti mollo! Io, tutte le sere prima di chiudermi in paradiso faccio la conta e mi accorgo se ci sei o no, se sei tornato dai tuoi insani percorsi, se ancora una volta ti sei fatto i tuoi giri perversi, il tuo sballo per sentirti vivo, le tue comode isole in cui seppellisci il tuo cuore … ma il mio cuore è sempre aperto ad accoglienza, a tenerezza, a gesti d’amore. Vorrei che quando tornerai ancora da me, anche il tuo cuore resti sempre aperto perché chiunque ci possa scavare dentro e trovi quello di cui ha bisogno per vivere bene e per essere veramente felice.“
Non ci vuole molto a vedere che la nostra vita è piena di errori, di “carognate”, di sbagli, di cattiverie gratuite: siamo sicuramente anche capaci di bontà, compiamo gesti puliti e sinceri di amore e di dedizione, ma nessuno ci esime dal dover fare spesso i conti con il male … sembra quasi più grande di noi!
Ci siamo applicati spesso ad estirpare le malvagità, ci siamo anche allenati ad avere buona educazione, a frenare le passioni, a mantenere un equilibrio, ma torniamo spesso ai nostri “vizi”: i nostri peccati si sono inveterati in noi.
Il nostro agire male aumenta il cumulo di male che stiamo compiendo oggi con guerre, terrorismi, ingiustizie, imbrogli, sopraffazioni, infedeltà: non possiamo negare che le prospettive di un futuro di bontà e di pace si stanno sempre più allontanando.
C’è, ad onor del vero, lo sforzo di tante persone che pagano con la loro stessa vita per dare al mondo una prospettiva diversa, ma il male non sembra avere fine.
Gesù in continuità e novità con l’invito di Geremia a Gerusalemme, nel Vangelo ci ripete: “Se non vi convertirete, morirete tutti allo stesso modo”.
Gesù mette in relazione conversione e vita, adattamento al male e morte: non si può certo pensare di risolvere il mistero del dolore credendo che tutto il male che c’è è un castigo di Dio per i nostri comportamenti malvagi! E il dolore innocente? E le sofferenze di tanti bambini? Proprio per questa “applicazione automatica” tra disgrazia che capita e colpa che l’ha meritata, Gesù richiama alla conversione, a cambiare vita.
“Voi credete che mio Padre stia a tendervi un agguato per sorprendervi quando sbagliate e punirvi? Credete che Dio, mio Padre, sia un freddo calcolatore di meriti e colpe e che sta a far pareggiare i conti: tanto hai sballato, tanto devi pagare? Saremmo proprio fuori di testa.”
Convertirsi è cambiare testa, modi di pensare: è uscire dalla logica di un “dio” commerciante che noi ci siamo costruiti a nostra immagine e somiglianza! Convertirsi è prima di tutto sentirsi sempre tra le braccia di un Padre:
- Lui, che ti vede non combinare niente di buono, che sa di quanti doni ti ha caricato, che conosce il valore della tua umanità;
- Lui, che dandoti la vita ti ha fatto poco meno degli angeli, di gloria e di onore ti ha coronato (come dice il salmo 8);
- Lui che ci vede impigriti in continui errori…
… Lui che fa, che dice?
“E’ una vita che ti sto dietro, che sto ad aspettare ogni minimo cenno di bontà, ma non riesco a percepire niente…. Vuoi che ti lasci al tuo destino?! Neanche a parlarne! Non c’è nessun destino, ma solo libera scelta!”.
L’Incarnazione del nostro “essere Dio in Gesù” è una scommessa sulla libertà degli uomini: abbiamo scommesso sulla libertà di Maria di accettare di diventare la mamma di Gesù, sulla libertà di Giuseppe di caricarsi di un figlio non suo, sulla libertà di tutti coloro che lo hanno seguito di fidarsi di un regno che a mano a mano che si avvicinava la pasqua diventava una disfatta.
Gesù ha pazientato infinitamente con gli apostoli: non ha tolto loro la fatica del decidersi per il Regno di Dio! Tutte le persone che sono state travolte dalla sua Parola – ora dura, ora consolante – non sono stati ammaliati, ma hanno dovuto decidersi “giocando” in libertà piena, non costretti da eventi favolosi o da irretimenti sottili.
Convertirsi è esaltare l’uso della nostra libertà a confronto con la persona di Gesù: contro questa nostra libertà Dio non può andare e se qualcuno nella sua cattiveria ci toglie ogni libertà perché decide di toglierci la vita – come tanto spesso capita nel nostro mondo violento – Dio ce la ridona in pienezza.
La misericordia di Dio ha la sua musica: non è il rombo dei cannoni o il sibilo dei missili o lo stritolare dei cingoli dei carri armati! Dio si paragona al contadino, non più al padrone, si fa uno di noi in Gesù e consuma la sua vita a zappare e mettere concime attorno a questa nostra esistenza inaridita: la mette in condizione di giocarsi in pienezza e libertà.
Conversione è sentire su di noi queste cure, questo amore che ci toglie dalla nostra sterilità: il rumore dei colpi insistenti, cadenzati, ostinati del contadino che zappa attorno alla nostra vita è musica e ritmo della nostra conversione.
2: La conversione “comunitaria” della città
Geremia parla di Gerusalemme, di una convivenza sognata, realizzata, boicottata, ripresa tante volte, distrutta e ricostruita: ci siamo resi conto – ancora di più in questi giorni – che prima delle case, dei muri e dei palazzi, la città è fatta da un mondo di relazioni, di solidarietà, di gioie condivise, di dolori atroci incomprensibili, sempre in “agguato”: sono il sorriso, il pianto, gli abbracci di bimbi e madri, sguardi impotenti di papà, strutture di convivenza; sono reti di relazioni, di commercio, di scambio, di offerta e di acquisizioni, di cieli, di case, di piante e fiumi, di ponti e strade.
Le nostre città hanno case, strade, vie di pace o già incarnano dentro il dolore e la morte? Sono a misura di bambini, di fragili, di vecchi e persone oppure solo di commercio e di accumulo, che poi tende allo sfruttamento? Esaltano la ricchezza e il potere o la fraternità e la bellezza?
Si fa presto a passare …
da “giardino e sogno “
a
“possesso e abominio”.
Gerusalemme si era anch’essa imbarbarita se Dio la richiama così!
Le nostre città sono abitabili o solo “ammucchiamenti”? Da buon Bresciano ho ben in mente la differenza abissale per l’abitabilità tra i villaggi Marcolini (auspicando che Padre Ottorino Marcolini sia presto dichiarato beato) e le famose “torri”, umanamente anche pericolose da abitare, che si fa fatica persino a demolire! Non sto cercando soluzioni o proponendo architetture, ma umanesimo al massimo! Occorre moltiplicare umanità, relazione, solidarietà, che possono convivere con lavoro, comunità e società. Tutto questo non viene da spontaneità miracolistica, ma da una progettualità lungimirante e profondamente umana: l’umanità è il primo luogo che abita Dio!
Linee di “conversione” a questo proposito sono fatte da cittadinanza attiva sostenuta e vivificata da cristianesimo attivo: la città è anche insieme di istituzioni, di leggi, di strutture, di coordinamenti, di istituti culturali e bancari, di associazioni, di aggregazioni che permettono la collaborazione di tutti e ne vivono i vari aspetti.
Ai tempi del profeta Geremia Gerusalemme aveva un centro, uno spazio, un insieme di energie materiali e spirituali concentrate nel Tempio: la religiosità “strutturata” non era una vaga idea facoltativa, ma una dimensione del cittadino, con sue leggi e servizi, con sue fortune di tempi propizi e sfortune di tempi di sfacelo … infatti dice Geremia (al versetto 13 del capitolo 2):
Perché il mio popolo ha commesso due iniquità:
essi hanno abbandonato me,
sorgente di acqua viva,
per scavarsi cisterne, cisterne screpolate,
che non tengono l’acqua.
Il Signore Iddio ne era il centro e lo avevano abbandonato: un abbandono che non è solo questione di idoli o di simulacri sacri o di statue, ma cancellazione di centri profondi e personalizzati nella vita di ogni persona, cancellazione si decisioni di massima fiducia e adesione a Dio, cancellazione della consapevolezza di un posto esplicito per la fede, cancellazione della consapevolezza della finitezza umana e del bisogno di una continua salvezza, ripresa, rinnovamento.
Avevano bisogno di acqua viva e non di acqua stagnante, per di più in cisterne screpolate!
Oggi noi non abbiamo più il Tempio, siamo evoluti come società che distinguono bene il trono e l’altare: abbiamo le parrocchie, la Chiesa che dentro questa società tiene alta la concezione di umanità a partire da una esperienza libera che è la fede.
Che ruolo abbiamo noi cristiani dentro questo invito alla conversione nella nostra Gerusalemme?
Oggi siamo di fronte anche a grandi cambiamenti della vita quotidiana: Come ci troviamo come cristiani entro questi cambiamenti di prospettiva umana? Ci troviamo a dover tenere conto di una massa di persone che sono rimaste fuori dal contatto con la comunità cristiana non per un cosciente rifiuto del messaggio cristiano! Non sono atei, ma fedeli in attesa che qualcuno gli dica qualcosa! Non pochi hanno toccato il fondo della confusione in una sorta di nichilismo di massa, in una nausea che monta sempre più per il cumulo di superficialità in cui sono immersi.
Quel campanile che ancora svetta tra le case e ci avvisa dei morti (e molto più raramente dei nati) avrà la capacità di rompere la monotonia dell’abituarsi al ribasso? Può ancora fare da antenna che intercetta o smuove domande di Dio?
Se ora tre o quattro, sei o sette parrocchie vengono messe insieme con un parroco, vediamo che alla lunga ciò non interessa a nessuno: queste cose riguardano noi preti e qualche altro catechista o cattolico della messa settimanale, per questo purtroppo è visto come un problema di funzionamento dell’azienda … non sarà che dobbiamo interrogarci se c’è ancora desiderio della presenza di Dio nella nostra vita e nella vita della gente? Interessa ancora Dio, Gesù Cristo, la fede? E il prete si accorge che la sua risposta non si può esaurire nei compiti istituzionali! Ha bisogno di un colpo di reni che non può essere costituito solo dalla predica della domenica.
I genitori cristiani si accorgono che non basta raccomandare ai figli o ai nipoti di andare alla Santa Messa, di andare a catechismo almeno fino alla Cresima … si preoccupano veramente di dove vivono i loro spazi di amicizia e come li vivono? A tutti è chiesta una serie di conversioni, di cambiamenti rispetto al modello educativo pastorale in cui il prete è stato preparato e gli adulti sono stati educati, soprattutto se non si è più giovanissimi, come la media dei preti e dei credenti di oggi!
L’ultima pandemia ha allontanato la parrocchia dalla gente, ci ha forse anche abbassato la stima che ne avevamo, perché non siamo stati coerenti con un po’ di coraggio, ci hanno tolto il rapporto vivificante con i ragazzi e i giovani e ce li troviamo lontani … per i preti più giovani erano la ragione del loro apostolato e senza di loro ci si sente non poco frustrati. Sì, un prete “serve” ancora nei casi disperati, nella morte, qualche volta nelle malattie, nella vita privata, ma non è chiamato in causa per impostare una vita della famiglia e della società più giusta.
Le giovani generazioni sono altrove: facciamo fatica a dialogare con loro, a renderle sensibili alla voce dello Spirito … la gente ci vuole bene, ma non siamo capaci di aiutarla a fare un salto di qualità nella fede!
Oggi la fede ha bisogno di essere rigenerata per essere disponibile alle domande degli uomini e delle donne di oggi, ma siamo sempre ai primi passi: noi preti siamo mangiati dalla vita ordinaria, dal compito pure necessario di offrire i sacramenti, che spesso giungono su un popolo che forse non li accoglie con fede, ma per tradizione, il Vangelo sembra dover prendere altre strade, che non sono le nostre.
Ci pare che il nostro Dio con la lanterna cerchi un uomo o una donna che abbia ancora interesse per Lui: farebbe parte del nostro essere cristiani offrire a Dio una compagnia! Vorremmo condividere la solitudine di Dio, per dare un senso interiore alle nostre sconfitte senza cercare le tante scuse che potremmo trovare … vorremmo avere il coraggio di un cammino senza difese, per una apertura senza angoscia, e la fiducia in Dio che non smette di accompagnarci … ma la cosa che ci sorprende, e anche ci scoraggia, è che la società, la Gerusalemme di allora, si sta sempre di più affrancando, facendo a meno del cristianesimo e il nostro lavoro sarà quello di renderla di nuovo disponibile per esso, come se lo scoprisse daccapo.
Dobbiamo cercare le tracce dove Dio è sicuramente passato e domandarci: dove abita ora nascosto il Dio cristiano? Come testimoniarlo, come dare forma alla sua presenza? Dove e come sta lavorando Dio nei nostri giovani, nelle nostre famiglie? Riusciamo a vedere il bene che vi fa sempre?
Non dice niente alle nostre preoccupazioni “ecclesiali” la figura del “samaritano” in cui tanti italiani, tante mamme e famiglie, tanti ragazzi a scuola in questa guerra assurda si sono improvvisati, messi a disposizione, inventato tante nuove accoglienze di profughi, non sono questi i frutti di una sana mentalità cristiana, che va fatta emergere e notata, resa sacramento di un Dio nascosto, che in tanti va adorato? E’ un fuoco di paglia o non può essere oggi un salto di qualità nella vita credente?
Negli anni “sessantotto” dicevamo a questo riguardo: “se tu samaritano vedi che su quella strada trovi sempre qualche uomo mezzo morto domandati anche chi è che opera questo misfatto? Non accontentarti di salvare i feriti!”.
Oggi forse siamo troppo impotenti e ci dobbiamo impegnare anche all’accoglienza di tutti, dei troppi “feriti” che si chiamano profughi, perché il mondo sta diventando una fabbrica di profughi! Non possiamo, nella nostra conversione, fare bene solo questa scelta, e sarebbe già molto: intanto, come cristiani, delineiamo e formiamo bene il samaritano con le qualità della parabola del Vangelo: “gli si fece vicino“.
Dal Vangelo secondo Luca (Lc 10,33-34)
33 Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto lo vide e n’ebbe compassione. 34 Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui.
Ci siamo fatti vicini? Non li guardiamo a distanza! Non basta un saluto su whatsapp, non si manda solo un assegno alla caritas per tutti questi “poveracci” …
«.. ne ebbe compassione .. », si commosse … è un classico verbo greco che dice quello che capita alla mamma quando vede suo figlio in difficoltà: le si muovono le viscere, tanto è coinvolta nel dolore e nella condivisione, nell’ansia di alleviare e nella sofferenza da condividere e sconfiggere! È lo stesso verbo che il Vangelo usa quando Gesù vede la vedova che accompagna al cimitero il suo unico figlio morto, quando il padre vede finalmente arrivare dopo tanta attesa il figlio prodigo! È l’amore di Dio per i suoi figli!
“Si fa avanti, si fa vicino”: ci candidiamo ad essere prossimo, a rispondere alla domanda che spesso ci siamo fatti sempre solo a noi: me, chi mi ama?
“Fascia le ferite” con la consapevolezza che noi da soli non possiamo assolutamente ricucire gli strappi di tutti è solo Dio che lo fa, lui conosce da dove sanguina il nostro e il loro cuore e ne ferma l’emorragia mortale
“Versa sopra olio e vino”: è l’olio che guarisce la nostra disumanità, che smolla le nostre durezze … è una Parola che scioglie la nostra cattiveria e il vino che dà l’ebbrezza della vita … è ancora quel vino che mancava a Cana. Acqua e pane sono sufficienti per sopravvivere, ma se vogliamo fare festa occorre il vino … e noi vogliamo essere per loro il vino della festa!
“Lo carica sul suo giumento”: è Gesù stesso che poi si caricherà ogni uomo ferito su di sé, Lui che “… portò i nostri peccati nel suo corpo
sul legno della croce,
perché, non vivendo più per il peccato,
vivessimo … ” (1Pietro 2,24)
“Lo condusse nell’albergo”: abbiamo e vogliamo per tutti una casa in cui essere accolti, è stata già pagata in anticipo dal samaritano! La Chiesa, la nostra comunità, il nostro gruppo sta diventando questa casa che accoglie tutti: è l’insieme di luoghi, fatti di tessuti di relazioni vere (non tanto o solo di muri) in cui i giovani profughi vi si possono sentire accolti, avere la certezza che, pur sentendosi offerta accoglienza, qualcuno ha già pagato per noi e per loro per scambiarsi assieme il massimo di ospitalità!
“Si prese cura” … noi diremmo, in linguaggio corrente, “ci siamo fatti carico gli uni degli altri”: per gli ulteriori livelli, che diventano politica vera e nuova, mondiale e non solo di parte, sarà obiettivo della Chiesa fra crescere politici di levatura anche ingenua, ma eversiva, come quella di Giorgio La Pira, che avrebbe già avuto coraggio e fede da vendere per agire anche su ogni Caino.
Convertiamo bene la Gerusalemme, che non ha futuro se non c’è conversione!
A noi cristiani oggi è chiesto di dare importanza a questa acqua viva che è la fede nelle nostre società e strutture: non si tratta di essere “talebani”, ma testimoni! Non siamo “kamikaze”, ma persone disposte al sacrificio e al martirio.
La conversione sul futuro nostro e del mondo in cui viviamo. Finisce un mondo, ma non è la fine del mondo
Dal Vangelo secondo Luca (Lc 21, 5-11)
5 Mentre alcuni parlavano del tempio e delle belle pietre e dei doni votivi che lo adornavano, disse: 6 «Verranno giorni in cui, di tutto quello che ammirate, non resterà pietra su pietra che non venga distrutta». 7 Gli domandarono: «Maestro, quando accadrà questo e quale sarà il segno che ciò sta per compiersi?».
8 Rispose: «Guardate di non lasciarvi ingannare. Molti verranno sotto il mio nome dicendo: “Sono io” e: “Il tempo è prossimo”; non seguiteli. 9 Quando sentirete parlare di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate. Devono infatti accadere prima queste cose, ma non sarà subito la fine».
10 Poi disse loro: «Si solleverà popolo contro popolo e regno contro regno, 11 e vi saranno di luogo in luogo terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandi dal cielo.
Mai come oggi, con la pandemia e dentro la guerra, siamo stati messi di fronte alla fine del nostro vivere: non è facile però nemmeno lontanamente parlare della morte, perché c’è quasi un prolungamento artificiale della vita, in cui non si può mai parlare, pensare, preparare la morte.
Contro un mondo che commercializza tutto e che è schiacciato sulla terra e che ci invita a non guardare in su (“don’t look up” è il titolo di un famoso film che molte famiglie si sono viste) dobbiamo reagire perché la nostra vita ha un suo futuro in Dio: Dobbiamo avere sempre uno sguardo verso l’alto, il nostro futuro è in Dio!
Il primo passo di una fine del mondo vecchio, della Gerusalemme di Geremia, è stata la distruzione del Tempio di Gerusalemme e quindi la nascita di un nuovo modo di incontrare Dio: è l’inizio del “tempo dei pagani”, cioè una nuova pagina della storia della salvezza aperta ora a tutti, che però è preceduta da segni di grande dolore e distruzione (che Luca mentre scrive il Vangelo ha già potuto vedere).
Quel “non resterà pietra su pietra” non è un modo di dire, ma la fotografia di una vera distruzione … facciamo memoria di alcuni elementi “concreti”: il Tempio costruito da Erode, che ha impiegato 100.000 operai e 1000 sacerdoti come muratori per le parti più sacre, è iniziato nel 20 a. C. e finirà solo nel 64 d.C. cioè 6 anni prima della sua distruzione avvenuta poi nel 70 d.C. dopo una rivolta sanguinosissima dei giudei iniziata nel 66.
Giuseppe Flavio, secondo un calcolo un po’ gonfiato, da buon romano, scrive di 1.100.000 giudei uccisi e 97.000 fatti schiavi: Le guerre e le rivolte sono come le pietre miliari della storia … non volute da Dio, ma dall’uomo, sono il più male più grande: continuano il peccato di Caino e per questo sono segno della fine già presente nel quotidiano! Il discepolo le deve vivere come appello urgente alla conversione e luogo in cui esercitare misericordia, come il suo Signore.
Sia la morte di Gesù, come la distruzione del tempio, sono sì la “fine del mondo” ma non come lo pensiamo noi: sono il giudizio definitivo di Dio che offre salvezza a tutti! Il presente è allora il tempo della pazienza, della conversione, come per gli apostoli è stato il tempo dello sradicamento da Israele e l’apertura a un nuovo mondo, non legato al Tempio, ma legato a Gesù ucciso, annientato, morto, ma risorto: è finito quel tempo e comincia definitivamente il nuovo con tutti i dolori di una fine, ma anche con tutte le speranze di una vita nuova.
E’ giusto oggi, per la nostra chiesa italiana, con queste assenze, con questa diminuzione di partecipazione alla vita della chiesa, la scelta di far vincere le nostre paure, addolcendo e togliendo nerbo alla vita cristiana in un adattamento alle mode del tempo? Assolutamente no! L’intero mondo di devozioni rigeneratrici, è quasi sparito o non è preso in grande considerazione … anche per questo motivo credo che voi, compagnia delle sante Croci, abbiate celebrato con impegno il lavoro fatto nel giubileo sul dono inestimabile delle “sante” croci, riproponendole come snodo necessario per una fede forte, come occorre implorare da Dio in questi tempi.
Occorrono sempre cristiani santi, decisi, che credono che la Chiesa può avere un ruolo di grande servizio per la conversione nostra e nelle nostre città! Se siamo così perdonati e convinti oggi però non è il tempo di imporre facili alternative, ma inventare percorsi accompagnati.
O sacramenti o nulla?
O la parrocchia o nulla?
O L’Eucarestia o nulla?
Non è un dovere progettare percorsi, passi che stanno prima del sacramento, che aiutano a crescere, a desiderare, a invocare il Signore? Non c’è proprio posto per un dialogo, un affidamento a Dio, una sua benedizione di incoraggiamento, di apertura di porte nuove?
Non tocca a noi giudicare!
- Sono “sposati male” …. allora non c’è più spazio per un minimo di fede?
- Sono “ufficialmente omosessuali”, allora sono “maledetti da Dio” … non possono nemmeno pregare?
- Fa una “vita sulla strada”…Non c’è spazio per un umanesimo di grande carità, di disponibilità?
L’Azione Cattolica, sempre tacciata di “bigottismo”, faceva gli esercizi spirituali per le ragazze “pericolanti”, nome che significava “prostitute”: non avrebbero smesso il “mestiere”, ma si accendeva in loro una luce!
Possiamo pensare a una comunione di preghiera per chi non può comunicarsi, spazi profondi di ascolto della Parola di Dio sostenuti da papà e mamme, da coppie di sposi: che forme usiamo per accompagnare alla morte le persone? Qui non si fa la scelta “o sacramenti o nulla” … c’è già il nulla, perché il sacramento dell’unzione dell’infermo è quasi sempre evitato nelle nostre famiglie!
Offriamo spazi di composizione di gesti di carità, solidarietà che sono caricati di fede, di Parola di Dio, scoperta in maniera diversa e realizzata pure in maniera eroica?
Quante “fini” fanno parte delle nostre esistenze? Pensiamo alla pandemia, che si inscrive nelle nostre carni, nei nostri affetti, nelle nostre opere e mette la parola fine a tante nostre esistenze, ma anche a modelli di vita sbagliati: sta finendo un mondo – continua a ricordarci papa Francesco – e ne deve nascere uno nuovo … e ogni uomo e donna sono chiamati a conversione come lo furono i cristiani di quei tempi, gli stessi giudei e romani.
Noi pensiamo sempre che possiamo tornare “come prima”, ma un mondo vecchio sta morendo e noi ci dobbiamo convertire a un nuovo modo di vivere, da Fratelli, tutti.
Invece, quindi, di farci la domanda “quando sarà la fine” … iniziamo a convertirci, ad assumere comportamenti che ci portano a un vero cambiamento dei modelli del nostro vivere, altrimenti non solo non resterà pietra su pietra, ma la nostra casa comune, la terra, produrrà solo veleni e morte.
La conversione massima però sarà sempre la centralità di Gesù a Gerusalemme, nel mondo convertito: Gesù aveva nel cuore un sogno che lo consumava, una meta che lo attraeva, un compito che da sempre lo definiva, cioè l’amore senza riserve per l’umanità, per me, per te, per tutti! Questo amore si consuma fino all’ultima goccia sulla croce, il momento massimo della sua storia di affidamento alla sua missione e al Padre, il punto di arrivo del salto definitivo nella gloria del Padre: Lui saliva a Gerusalemme, la sua vita è stata un continuo, quotidiano salire a Gerusalemme … Là è la meta, là lo aspettano gli eventi definitivi, là gli ha dato ancora appuntamento il principe del male per sferrare l’ultimo, inutile attacco, là, a Gerusalemme, offrirà la sua vita per me, per te!
Invece le nostre vite sono spesso un allontanarci da una conversione di Gerusalemme, un fuggire dalle strade dell’impegno, dalle indicazioni della fede: “Hai davanti a te il bene e il male: scegli il bene! Sali anche tu a Gerusalemme! C’è nella tua vita qualcosa che ti brucia dentro, per cui la vuoi donare e consumare? C’è nel tuo cuore un desiderio che non riesci a contenere? È un desiderio di potere, di sopraffazione, di piacere a ogni costo, di conquista per schiacciare o è un desiderio d’amore, capace di buttarsi per una causa, la causa grande del regno di Dio?”.
La strada è in salita: è quella di Gerusalemme, spesso da fare in solitudine, ma non mai abbandonati da Dio, sempre sorretti dallo Spirito che ha spinto Gesù fino al calvario e da lì lo ha innalzato alla Risurrezione.
Lo Spirito di Dio è in ogni uomo per aiutarlo a dirigersi sempre verso la Gerusalemme convertita, riscattata, la sua Gerusalemme che apre il cielo alla potenza di Dio, per chiudere le nostre strade di confusione e di stagnazione: è conversione di Gerusalemme anche un mondo senza più guerre.
Non è certo “conversione” chiamare le guerre “operazioni militari speciali”.
25 Marzo 2022
+Domenico