Ogni uomo ha progetti di vita: per un po’ di tempo, quando è ragazzo, sogna, li confonde con le “veline della Tv”, con le figure eroiche dello schermo, con gli atleti di uno sport, con le professioni “patinate” … poi un po’ alla volta si costruisce ideali concreti, mette in fila allenamenti, studi, ricerche, sforzi per dare corpo ai sogni, per dare gambe e cingoli alle sue aspirazioni.
Io immagino Giuseppe, San Giuseppe, un giovane così: un lavoratore, un carpentiere come dice il vangelo; un giovane che accetta la vita, la vede come un campo di prova e una occasione di felicità semplice, autentica … e dentro questo suo progetto ci sta l’amore: il desiderio di donare il cuore a una ragazza, di affrontare con lei le sfide della vita, le semplici gioie di uno sguardo negli occhi, di un tenero affetto nei corpi, di fare una famiglia, di spendere i suoi sentimenti nella storia di un amore pulito, nella intimità di una …. casa; e incontra la ragazza del cuore, e comincia a dare concretezza ai sogni.
La ragazza è Maria: Decide di sposarla.
Ogni popolo ha le sue usanze, i rapporti con i genitori da curare, le tradizioni che accompagnano il nascere di una famiglia, i tempi di attesa per vivere assieme.
Gli affetti accolti e donati per costruire una famiglia non sono fatti esclusivamente personali, sono parte integrante della vita di una comunità, dell’intreccio di relazioni delle famiglie.
E’ sempre un gioco – insomma – tra interiorità e intimità da una parte e comunità e società dall’altra.
Proprio in questo tempo bello e progettuale Giuseppe vede che Maria si porta un segreto che lo sconvolge: aspetta un bambino e non è il suo.
La sua umanità tesa al progetto, alla realizzazione del sogno della sua vita ha un appannamento: non vede più chiaro, si sente scavalcato da qualcosa che subito immagina di grande; non si adatta all’interpretazione più banale, ma scava nella sua storia di amore con Dio e di amore di Dio verso il suo popolo la ricerca di una risposta. Affida alla sua fede e non ai suoi risentimenti o alle interpretazioni facili e denigratorie in cerca di una magra consolazione.
Si fa una domanda lancinante: che vuole Dio da me? Il mio bel progetto non è il suo. C’è qualcosa d’altro.
Ferma allora la sua storia, offre a Maria il massimo rispetto e dignità di scelta: la vuol rimandare nel segreto. Tutto deve rimanere nella coscienza pulita sua e nella storia inaspettata, ma sicuramente scritta in Dio, che sta vivendo Maria. Tanto la stima e le vuole bene!
Ferma i suoi sogni e ne aspetta altri. E Dio vede la sua forte fede e gli svela il segreto: “Non temere Giuseppe, sei proprio un giusto, non avevo alcun dubbio sulla tua integrità. Ti affido Maria, si porta in grembo il Figlio di Dio, la sorgente di quell’amore che riempie la tua esistenza e quella del mondo.”
La comunità cristiana che tutti ritengono bacchettona o intrigante, non ha mai taciuto questo dramma di un uomo e ha sempre davanti a tutti proclamato questa fede nell’intervento di Dio nella vita di una donna.
Il figlio nato come uomo è figlio di Dio e la fede di Giuseppe è una fede rocciosa, forte, decisa, matura, consapevole: lui sarà la spina dorsale della vita di Gesù, colui che gli insegnerà a parlare, a definire i suoi sentimenti, a forgiare il suo carattere, a stabilire rapporti belli con tutti, a dialogare con Dio; sulle sue ginocchia Gesù ha imparato a leggere le Scritture, si è preparato ad affrontare la croce, la sofferenza, la stima della dignità di ogni persona, la semplicità della vita, la fantasia delle sue parabole …
Averlo come protettore del mondo del lavoro, come custode di ogni lavoratore e di ogni lavoro è più di una sicura speranza: è un investimento certo, perché ci assicura che tutti coloro che stanno apparentemente nascosti o in “seconda linea” nella storia, hanno un protagonismo senza pari nella storia della salvezza.
Abbiamo mai celebrato un vero passaggio dalla morte alla vita, dal peccato alla Grazia, dalla schiavitù alla libertà, e non solo alla liberazione?
Tutti potremmo dire di sì, pensando alle nostre belle feste di Pasqua, anche se non c’è più molta gente che ricorda quelle durante la guerra, dato che il coronavirus si sta prendendo moltissimi testimoni: le tradizioni, le sacre rappresentazioni, le vacanze, i panettoni, le belle liturgie.
Sono state proprio la vera Pasqua, un vero passaggio dalla schiavitù alla libertà, o non solo l’aver tolto i ceppi a qualche prigionia in cui eravamo e ci siamo tornati subito dopo?
La fine del coronavirus oggi è il passaggio, quella Pasqua cui aspiriamo profondamente tutti, credenti e laici, uomini e donne, giovani e vecchi, perché è un «Egitto» che ci ha sconvolto tutto: salute, economia, relazioni, rapporto con la natura, sicurezze nel denaro, armi intelligenti, viaggi.
Ci ha cambiato il mondo, una sorta di peccato di Adamo che inquina tutto.
Ciascuno di noi sta pensando che basterà trovare un vaccino … per tornare come prima?
Sarebbe un vero passaggio, o assomiglierebbe a tante delle nostre “pasque” mal ridotte dal consumismo e dalla nostra superficialità e che non hanno lasciato nessun segno, anche perché noi cristiani le abbiamo svendute?
Stiamo dicendo e scrivendo che il mondo non sarà più come prima, che ci vorranno anni per ritornare a un nuovo equilibrio … non è stato sempre così, anche per il nostro spirito, per il significato del nostro vivere il passaggio dal peccato alla Grazia, alla pace, alla bontà, alla giustizia?…
Il peccato è un “coronavirus” che ci sconvolge e distrugge il senso della vita, la gioia di vivere, la pace, la famiglia, la giustizia sociale, la politica come il più bell’atto di carità: l’Amore… e crediamo che basti ancora qualche mese di quarantena?
No! Per noi fare Pasqua è accogliere una novità assoluta: il perdono di Dio che rigenera, ci fa nascere di nuovo, ci fa persone nuove purché non sia commercializzato e non si concluda con una festa a «tarallucci e vino», e metta al centro il Cristo morto – e lo stiamo vedendo nei nostri intubati e sequestrati dagli affetti e dalla vita – e risorto, capace di ricostruirci dal di dentro.
La “Pasqua dal coronavirus” ci fa scoprire quanto è più profonda e impegnativa la nostra Pasqua cristiana di questi giorni: non sono due pasque separate o antitetiche, ma i cristiani possono e si impegnano veramente per l’una e per l’altra, perché Gesù fa parte sempre della nostra umanità, e serviamo sempre Lui.
In Gesù non c’è nessun passato, ma sempre un presente e un futuro di Amore, senza limiti, per ogni persona.
Una riflessione sul Vangelo seondo Luca (Lc 2,41-52)
La nostra attenzione oggi va alla santa famiglia di Gesù, alla nuova famiglia che Dio ha costituito per vivere il suo piano di immedesimazione nella vita umana, che segue la vita normale di un popolo.
Dio ha sposato un popolo da sempre, ora sposa una famiglia e con questa famiglia tutte le consuetudini caratteristiche che la fanno appartenere pienamente a esso.
Una famiglia ebrea aveva nel suo DNA la celebrazione della Pasqua.
I bambini ogni anno partecipavano alla cena pasquale e, curiosi come sono, hanno sempre riempito i gesti solenni e incomprensibili dei genitori di insistenti perché.
Quando i tuoi figli ti chiederanno che cosa è questa cena, perché mangiamo in piedi, perché la mamma non ha messo il lievito nella farina… tu risponderai “è il passaggio del Signore che ci viene a liberare come quella notte” …
Ebbene Gesù a dodici anni, prima che scatti il tredicesimo che lo iscriveva al mondo adulto, partecipa coi suoi genitori al pellegrinaggio verso Gerusalemme.
Abbiamo in mente che cosa è successo … Il solito incidente delle gite: si sarà fermato all’autogrill, sarà con suo padre, chi riesce a star dietro a questi ragazzi di oggi, svegli, spesso indisciplinati, incapaci di stare un po’ con i propri genitori, sempre a giocare e a fare scherzi … Tornano a casa sempre sudati e sporchi, quando non laceri e contusi.
Disperazione sul volto dei genitori, ansia, ricerca spasmodica: chi è l’ultimo che l’ha visto, dove era?
Poi il cammino a ritroso, il ritrovamento, lo stupore: Il ritrovato è sempre più calmo di quanto si pensi, non immagina il dolore provocato, è concentrato sulla sua avventura … e Gesù sta insegnando ai dottori del tempio!
Quattro parole dette tra i denti, due dette davanti a tutti e una affermazione solenne, troppo solenne di Gesù chiudono l’incidente.
Il ritorno a Nazaret fa balenare la ripresa di una vita di famiglia normale, che aveva avuto in questo episodio uno squarcio di mistero.
Non compresero.
Maria qui appare la persona che domina gli avvenimenti, che piega la storia del piccolo gruppo di pellegrini al suo centro, che non era Gerusalemme, ma Gesù: Potremmo dire una famiglia come tutti, con i problemi di tutti, con al centro Gesù, il mistero che si rivela.
Ma saremmo poco fedeli alla Parola ascoltata se ci fermassimo a questa interpretazione; abbiamo ascoltato il racconto dell’evangelista Luca: la sua intenzione non è quella del corrispondente del Corriere della sera che deve narrare della fuga del solito adolescente, rintracciato alla stazione tutto dolorante e pentito e contento dell’intervista che lo fa apparire in TV e che gli risparmia qualche ceffone dai genitori, con un finale bello che può intenerire i lettori … e’ l’evangelista del racconto dei due discepoli di Emmaus; anche là, non narrava solo la gita fuori porta di due amici, col morale ai tacchi e con nel cuore la pietra tombale dell’ormai suggellata sulla tomba del crocifisso, ma parlava del cammino di accoglienza del Risorto che ogni cristiano avrebbe dovuto fare da quel momento in poi.
Così anche qui: Il numero tre dei giorni di assenza di Gesù è troppo uguale al numero tre dei giorni del suo permanere nella tomba; la ricerca appassionata e carica di tensione di Maria è troppo simile alla ricerca col cuore in gola di Pietro e Giovanni e al pianto sconsolato di Maria di Magdala; L’angoscia di Maria è l’angoscia delle donne al sepolcro.
Gesù era rimasto a Gerusalemme: Un modo di dire così indica che Gesù è deciso a fare di Gerusalemme il vertice della sua missione.
Gesù compie il pellegrinaggio con un anno di anticipo, sul suo essere adulto, anticipa con questo pellegrinaggio il desiderio che lo spingerà a Gerusalemme per mangiare la sua Pasqua.
Il ritrovamento è immagine precisa della scoperta di lui risorto: Infatti lo trovano seduto, un verbo che, mentre fotografa una posizione fisica, definisce una funzione che gli spetta dopo la morte e la risurrezione; si siederà alla destra di Dio.
E’ nell’atto di insegnare, come spetta al Signore del cielo e della terra.
E’ Lui la sapienza, Lui la riposta, Lui ancora che spiega le scritture in virtù della sua consacrazione nella morte e risurrezione: Qui tra i dottori anticipa il suo stato futuro.
E Maria, quando lo vede, gli racconta tutta la sua ansia, la sua ricerca, il suo affanno, il suo non capire, proprio come i discepoli di Emmaus.
E tra le prime parole di Gesù che ci sono riferite nei vangeli appare la bellissima parola: padre, abbà.
E’ venuto al mondo per questo, per dirci che Dio è Padre.
Il quadro allora si ricompone, lo smarrimento e il ritrovamento sono figura di una morte e una risurrezione, di un futuro certo.
Maria non ha capito ancora tutto il futuro di Gesù: come è difficile per noi entrare nel suo ordine nuovo di idee, di sentimenti, di slanci e di azioni, ma ci indica la strada da percorrere.
Stanno con Gesù, e custodisce ogni parola come un seme: E’ quel seme che viene gettato larghissimamente dal seminatore e che trova nel cuore di Maria, come nel cuore di ogni uomo, la possibilità di svilupparsi.
In Maria si è sviluppato al cento per cento.
Ora lei scompare nella vita quotidiana della santa famiglia: Lì il Signore ha imparato a essere abbracciato e baciato, allattato e amato, a toccare e parlare, giocare, camminare e lavorare, a condividere i minuti, le ore, le notti e i giorni, le feste, le stagioni, gli anni, le attese, le fatiche e l’amore dell’uomo.
Lì ha ascoltato le parole della Torah, della legge, le preghiere a Dio, di cui non si poteva pronunciare il nome e che lui sentiva come papà.
A Nazaret Gesù accanto a Maria ha imparato a essere uomo: L’artefice della sua formazione umana è stata Maria, come ogni donna nella vita del popolo ebreo.
Una famiglia così ce la auguriamo tutti e la invochiamo da Dio per tutti i nostri ragazzi, i nostri giovani, che non devono essere costretti a cercare nella droga la risposta alla carenza della figura del padre o della madre, del clima d’amore di una famiglia.
Noi, come Lei, ora conserviamo ogni Parola di Gesù gelosamente non per farcene un possesso, ma per caricarlo della forza di un dono che dobbiamo e ci impegniamo a portare a tutti.
Oggi ci facciamo … tutti uguali davanti a un richiamo più forte di noi, scritto dentro le nostre vite da tradizioni, culture, parole, da gesti semplici di papà e mamma, di nonni, preti, pazienti catechisti, maestri … che ci hanno insegnato che nella vita abbiamo bisogno di credere in qualcosa per vivere.
Questo qualcosa è qualcuno, che si chiama Gesù.
A monte di queste nostre tradizioni ci sta una storia brutta, come una deflagrazione distruttiva, entro le domande grosse della vita.
Da dove vengo, dove vado, perché il dolore, perché il male, la cattiveria, la morte, perché l’ingiustizia, perché le nostre vite vengono falciate da un cieco destino?
Esiste un destino dal cuore di pietra?
Perchè ho perso il mio miglior amico, perché ho avuto cuore così duro da lasciarlo solo al suo destino?
E ritorna la parola destino, tra le più brutte che un cristiano può dire.
Non c’è nessun destino, non c’è nessuna disgrazia: C’è all’inizio un progetto di mondo bello.
Dio ha creato cielo e terra, ha fatto cose meravigliose, un mondo come un orologio perfetto: bello, preciso, giusto, vero, ben disegnato.
Ma dentro mancava la vita. E Dio disse: “ci metto come re, l’uomo, lo faccio così bene che mi rassomigli. Non voglio che il mondo sia governato da una macchina, voglio che sia la gioia e la soddisfazione di un uomo libero. Questo uomo e questa donna li faccio belli, puliti, entusiasti. Devono avere la possibilità di decidersi sempre per il meglio, non avere tarli interiori che li possono indebolire o ingannare.”
Adamo ed Eva erano felici.
Ci state, dice Dio, a rendere sempre più bello con il vostro ingegno, la vostra fantasia questo mondo, questo universo? Volete dare vita a una umanità sana, intelligente, orgogliosa di assomigliare a Dio?
La risposta è un no solenne.
Bastiamo a noi stessi, tu Dio non c’entri niente. Dovevi pensarci prima.
Avresti potuto sapere che rischiavi grosso.
Questo mondo ce lo prendiamo in mano noi. Tu non c’entri più.
E l’abbiamo fatto a nostra immagine, gli abbiamo scritto dentro le nostre cattiverie, le nostre disperazioni, i nostri incubi: E comincia la storia del dolore, della violenza, della guerra, della ingiustizia.
Al catechismo lo abbiamo imparato come il peccato originale, ci siamo messi in testa una mela e non ce la leva nessuno dalla memoria.
La mela è questo no.
Ma Dio non demorde, non si adatta al fallimento del suo progetto, vede che nel fondo dell’uomo c’è un grido di aiuto, una invocazione di speranza e fa un altro tentativo.
Vuol farsi uomo per salvare dall’interno l’umanità e rischia un’altra volta.
Stavolta va da una giovane ragazzina di Nazaret.
Una ragazza pulita, senza malizia, come era Eva del resto e rischia ancora la stessa domanda: “Vuoi ridare a questo mondo la bellezza primitiva, vuoi darmi una mano a rifare il mondo? Vuoi essere la madre di mio figlio?”
La ragazza dice sì! Accetto!
Quel poco che sono lo metto a disposizione, so che tu abbatti i potenti, rimandi i ricchi a mani vuote, ascolti il povero … Ebbene sì, la mia vita prendila tutta, mi fido, mi sento di allargare il mio progetto di vita al tuo grande sogno.
E nasce Gesù: Dio stavolta ha rischiato e ce l’ha fatta.
Da quel giorno il mondo è diverso, ha inscritto una forza che lo salva, lo cambia radicalmente, lo libera dalla schiavitù del male.
Il male resta sempre forte, ma ha scritto nel suo DNA la parola fine.
Il serpente della visone biblica si sente sul capo il piede di una donna che lo schiaccia.
Ora tocca a noi entrare in questo nuovo modo di pensare e di vivere: Natale è il riscatto dell’umanità, è la vittoria sull’antica maledizione, è la sorpresa di un bene infinito accanto a un male gradissimo, ma che sicuramente si può vincere.
Questo diciamo, sentendo quel solenne “Il verbo si è fatto carne”.
Lui è il primo uomo nuovo di una creazione nuova che deve ogni giorno fare il suo cammino tra tutte le difficoltà che il male scatena.
Noi facciamo parte di questa storia. Entro questa storia si sono costruite le nostre cattedrali, sono cresciute le nostre speranze.
Non viviamo in un mondo senza senso. Il senso si è fatto carne.
Non siamo abbandonati, ma siamo sempre di qualcuno, siamo di Dio.
Con questo secondo rischio, Dio ha visto che l’umanità si è convertita a lui, in attesa che tutti lo facciano per sé e per la propria vita.
Quando siamo cattivi, quando buttiamo via la nostra vita e mettiamo in pericolo quella degli altri, vuol dire che non abbiamo preso sul serio il Natale, l’abbiamo abbassato a festa, o solo a sentimenti di occasione.
Noi però oggi siamo qui e vogliamo dire a Dio che ci piace stare in questa storia affascinante, ma abbiamo bisogno di sapere che contemplare suo figlio nel presepe, ce lo permette di sperimentare nella vita quotidiana, nelle nostre sofferenze e soddisfazioni, nelle incertezze per il nostro futuro, nel nostro lavoro che mai come di questi tempi diventa un’ancora cui appendere speranze e avere certezze.
E vogliamo dargli una mano a rendere più bello il mondo, senza caricarlo delle nostre sconfitte in umanità.