Una riflessione esegetica sul un brano dal libro dell’ Esodo (19,15-19.20,1-2) e gli atti degli Apostoli (Atti 2,1-5)
15 Poi disse al popolo: «Siate pronti in questi tre giorni: non unitevi a donna». 16 Appunto al terzo giorno, sul far del mattino, vi furono tuoni, lampi, una nube densa sul monte e un suono fortissimo di tromba: tutto il popolo che era nell’accampamento fu scosso da tremore. 17 Allora Mosè fece uscire il popolo dall’accampamento incontro a Dio. Essi stettero in piedi alle falde del monte.18 Il monte Sinai era tutto fumante, perché su di esso era sceso il Signore nel fuoco e il suo fumo saliva come il fumo di una fornace: tutto il monte tremava molto. 19 Il suono della tromba diventava sempre più intenso: Mosè parlava e Dio gli rispondeva con voce di tuono.1 Dio allora pronunciò tutte queste parole: 2 «Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d’Egitto, dalla condizione di schiavitù:
1 Mentre il giorno di Pentecoste stava per finire, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. 2 Venne all’improvviso dal cielo un rombo, come di vento che si abbatte gagliardo, e riempì tutta la casa dove si trovavano. 3 Apparvero loro lingue come di fuoco che si dividevano e si posarono su ciascuno di loro; 4 ed essi furono tutti pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue come lo Spirito dava loro il potere d’esprimersi. 5 Si trovavano allora in Gerusalemme Giudei osservanti di ogni nazione che è sotto il cielo.
Dalla liberazione alla libertà
I due brani letti uno del primo testamento e uno del secondo testamento ci riportano a due momenti importanti della storia della salvezza.
Il primo, è ambientato nel deserto sul monte Sinai; Mosè, si sente ed è guida del popolo ebraico, che è stato condotto nel deserto dopo la liberazione dall’Egitto, e deve lavorare sodo per fare di un popolo di schiavi un popolo di uomini liberi. Liberati dalla schiavitù dell’Egitto dovevano essere aiutati a vivere da liberi, capaci di gestirsi, procurarsi il cibo, organizzarsi la giornata, di risolvere le questioni tra di loro, poter decidere in ogni controversia chi ha ragione e chi ha torto, ma in base a che cosa? Essere liberati è ben diverso dall’essere liberi. Liberato è chi non ha ceppi, chi non ha manette, chi non è agli arresti domiciliari, chi è fuori dalla galera. Questo è ancora troppo poco per essere e sentirsi liberi. Un alcoolizzato viene liberato dall’alcool che ha ingerito facendogli passare la sbornia. A questo punto è liberato dall’alcool. Adesso è forse libero? Siamo sicuri che se vede una bottiglia di vino non si rimetta a bere ? così è un drogato, così è un ladro o un violento… così potrebbe essere qualsiasi persona uscita di galera, se non è stata aiutata a ricostruirsi la sua dignità umana, se è stato solo punito. Perché possano comportarsi da persone libere dovranno essere molto aiutati a costruirsi una personalità capace di astenersi dai delitti commessi, avere dei valori che li motivano in questo grande sforzo….Dio il suo popolo, lo ha fatto migrare nel deserto un bel po’ di anni, perché prendessero coscienza di essere loro responsabili della propria vita. Alla fine ha dato apposta i 10 comandamenti che indicano che cosa la gente ha il diritto di fare e che cosa non può fare. I 10 comandamenti sono stati per il popolo di Israele la loro costituzione, punto di riferimento della loro libertà, per sentirsi liberi come popolo.
Così capitò agli italiani dopo la liberazione del 1945; si sono sentiti e comportati da liberi cittadini solo a partire da quella visione di uomo e di donna, di lavoratore e lavoratrice con dei diritti e doveri precisi dettati dai vari articoli della costituzione. Lo stesso sta avvenendo in Cile ed è avvenuto alla caduta del muro di Berlino, del fascismo e del nazismo
Noi eravamo tutti schiavi del peccato. L’umanità era perduta, incapace di vivere la bontà e la libertà… chi ci ha liberati la morte e risurrezione di Gesù. La Pasqua, il passaggio del mar Rosso per gli Ebrei, il passaggio dalla morte del peccato alla Grazia di Gesù. Ma chi è stato colui che ci ha resi liberi, che ha lavorato e lavora sempre di cesello per tirar fuori da trasformare gente peccatrice in gente santa..? lo Spirito Santo, la Pentecoste. Non per caso la scena degli Atti degli Apostoli, descritta da quanto abbiamo letto per il giorno di Pentecoste, richiama moltissimo quello che è avvenuto al Sinai. Rombo di tuono, Fuoco, vento.
Questa volta però non ci è stata data una nuova legge, non c’è stato nessuno che ci ha fatto vedere i nuovi comportamenti da assumere. Già Gesù nel vangelo li aveva illustrati. La nostra nuova costituzione di cristiani liberi dal peccato non sono leggi, ma lo stesso Spirito Santo. E’ Lui la nuova costituzione, è Lui con i suoi doni, con il suo fuoco d’amore che ci fa veramente liberi, che ci scardina dalla mentalità di peccatori, che ci costruisce e cesella in noi , in ciascuno di noi la figura di Gesù. Non è un’altra legge che ci fa liberi, ma è la presenza nell’umanità e in ogni persona dello Spirito Santo. E lo Spirito Santo non è un libro, non è una legge, non è un monumento, ma una vita esplosiva di amore in ogni cristiano
La Pentecoste dà inizio a questi ultimi tempi del cristianesimo. E sempre sarà il tempo dello Spirito Santo, la nuova presenza di Dio tra noi dopo l’incarnazione di Gesù, che con il Padre e lo Spirito Santo abitano in noi sempre.
Ci sono giornate in cui si ha il morale ai tacchi, in cui senti di non avere energia per affrontare le cose di tutti i giorni. Depressione, la chiamano i medici e sono sempre di più coloro che ne soffrono, che vedono svanire ogni energia dalla loro vita, che non trovano motivi per alzarsi la mattina. Quello che ieri era grinta, oggi diventa rabbia contro se stessi e impazienza verso tutti. Si pensa che sia solo malattia, da curare con psicofarmaci, o ricostituenti, ma spesso è mancanza di vita interiore, di rapporto con Dio, di preghiera, di consapevolezza di sentirci nelle mani di Dio e di avere una missione da compiere. Non è sempre e solo depressione insomma, ma vuoto interiore, mancanza di ragioni per vivere, forza interiore.
Non dovevano essere molto diversi gli apostoli dopo la grande sofferenza e la grande sconfitta della croce. Il popolo aveva intentato un processo a Gesù, gli aveva preferito Barabba, l’aveva mandato a morte. I primi sconfitti erano loro. Gesù era risorto, ma la forza nuova di affrontare la vita da soli ancora non si manifestava. Erano rintanati sempre nel Cenacolo, avevano paura perché sentivano il fiato della morte sul collo. Gesù aveva promesso di non lasciarli soli: Verrà il Paraclito, la forza, il conforto, l’energia vera, la grazia, la nuova presenza intima di Dio in ogni vita. Colui che aiuterà a cambiare testa, a misurarsi con verità su ogni parola di Gesù, a sentirlo dentro come fuoco d’amore. Il peggio non è ancora passato, perché ora quello che hanno fatto a me lo faranno anche a voi, Anche voi sarete messi a morte nella convinzione di fare piacere a Dio, mio Padre. Vi isoleranno, vi cacceranno, vi scardineranno dalla vostra stessa identità. Non vi lascio soli con voi ci sarà sempre lo Spirito e lo manda. La scena è simile a quella del Sinai quando Dio apparve a Mosè per dargli la nuova legge e nel Cenacolo con la stressa scena di tuono e fuoco manda lo Spirito. Oggi riviviamo ciò che è avvenuto a Gerusalemme nel Cenacolo
Con lo Spirito nasce la speranza che è la prima cura contro la depressione spirituale e lo scoraggiamento. E’ un dono di Dio guardare alla vita ogni giorno che ti alzi con desiderio di vivere, con gioia di ricominciare, con uno sguardo buono su quelli che incontriamo, con un atteggiamento di accoglienza con tutti. Oggi questo Spirito ci viene donato a tutti, oggi questa nuova prospettiva la apre personalmente per tutti.
D’ ora in avanti è lo Spirito che costruisce la nostra vita interiore che ricarica le batterie per poter comunicare con tutti. Il nostro cellulare è scarico, la nostra comunicazione non raggiunge nessuno, perché è solo mostra di noi stessi, non è ascolto, attenzione, amicizia, ma sopraffazione.
E’ lo Spirito che ci fa capire che scelte fondamentali fare nella vita. E’ con Lui che dobbiamo fare discernimento, è Lui che vi condurrà alla verità intera, non permetterà che siate schegge impazzite di qualche fissazione.
E’ lo Spirito che ci convincerà di peccato, che ci aiuterà a leggere nei nostri comportamenti la grande distanza dall’amore di Dio, dal suo evangelo e ci aiuterà a rileggerlo, a capirlo, a meravigliarci della sua bellezza e della luce che ci dona.
E la storia dei cristiani non è storia di kamikaze, ma di martiri, di testimoni che rispondono a ogni sorta di tormenti con cui i carnefici si divertono, con il sorriso, con il perdono, con la preghiera, senza rabbia. Hanno avuto una grinta interiore che non si sarebbero mai immaginati di poter avere. Dio ama i suoi figli e non li lascia soli. E’ lo Spirito la nuova legge, non più scritta su tavole di pietra, ma definita nel cuore di ciascuno, nella coscienza.
Il completamento della legge del Sinai, non sono le beatitudini, ma la Pentecoste, lo Spirito Santo. Questo ci dà una grande libertà, ma anche una grande responsabilità. Nessuno ha la soluzione della vita in tasca, ma ha la luce e la forza per cercarla continuamente.
Molti ragazzi e ragazze in questo giorno e in questi tempi riceveranno il sacaramento della Confermazione, la Cresima.
Hanno sogni e desideri grandi nel cuore, hanno passioni e voglia di vivere. Hanno una dignità che valica le nostre mura domestiche, non sono riducibili a nessun calcolo o a nessuna proprietà. Piace loro divertirsi come a ciascuno di noi, ma hanno in cuore desiderio di verità. Sono una spanna più alti di quanto pensiamo.
Non mi nascondo le domande che tutti ci facciamo: che sarà di questi nostri ragazzi? Che futuro avranno, riusciranno a passare indenni tra tutte le trappole che la società sta loro preparando per carpirne la bellezza, la voglia di amare? Sono giovanissimi, sono esuberanti, non sono mai stanchi, presto faranno mattina non solo notte. Noi invece cominciamo a invecchiare e forse ci sentiamo deboli nei loro confronti, ma hanno bisogno di noi. Se si annoiano è perché noi non sappiamo caricarli di ragioni vere di vita, se non sanno per che cosa vivere è perché si sono annebbiati anche in noi gli ideali. Ci vedono smarriti, spesso stanchi, impazienti; ma i figli generati alla vita fisica devono essere generati anche alla vita morale, alla fede.
Hanno un futuro difficile, più del nostro. Quando eravamo ragazzi noi sapevano che i nostri genitori avrebbero tirato la cinghia per farci riuscire e avevamo davanti prospettive di futuro, la vita si sarebbe fatta più facile e così è stato: abbiamo vissuto meglio dei nostri genitori. Oggi noi non siamo così sicuri che staranno meglio di noi sia materialmente che spiritualmente, sia per la casa e il lavoro che per i valori in cui credere e costruire speranza e vita vera.
Noi oggi abbiamo certezza che il Signore ci dà la forza, la luce per affrontare la vita, ci manda il suo Spirito e lo invochiamo su tutti i ragazzi e i giovani.
Una riflessione esegetica sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 16,4b-15)
4 Ma io vi ho detto queste cose perché, quando giungerà la loro ora, ricordiate che ve ne ho parlato. Non ve le ho dette dal principio, perché ero con voi. 5 Ora però vado da colui che mi ha mandato e nessuno di voi mi domanda: Dove vai? 6 Anzi, perché vi ho detto queste cose, la tristezza ha riempito il vostro cuore. 7 Ora io vi dico la verità: è bene per voi che io me ne vada, perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore; ma quando me ne sarò andato, ve lo manderò. 8 E quando sarà venuto, egli convincerà il mondo quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio. 9 Quanto al peccato, perché non credono in me; 10 quanto alla giustizia, perché vado dal Padre e non mi vedrete più; 11 quanto al giudizio, perché il principe di questo mondo è stato giudicato. 12 Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. 13 Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera, perché non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annunzierà le cose future. 14 Egli mi glorificherà, perché prenderà del mio e ve l’annunzierà. 15 Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà del mio e ve l’annunzierà.
La festa dell’Ascensione di Gesù al cielo ci permette oggi di guardare alla vicenda di Gesù in termini più completi.
Noi siamo abituati a pensare alle azioni di Dio con i nostri modi di procedere, i nostri tempi, le nostre tappe, quasi che Dio debba comportarsi alla maniera umana. Finchè Gesù visse sulla terra come Figlio di Dio che ha assunto la nostra condizione umana, la divinità di Gesù si è espressa seguendo le leggi, i tempi, la maturazione progressiva dell’umanità. Infatti dice il vangelo che Gesù cresceva in età, sapienza e grazia. Ha avuto bisogno di san Giuseppe e di Maria per costruirsi come uomo, come ebreo, come persona, appartenente a un popolo, con tradizioni, riti, modi di vivere. I discepoli hanno sempre fatto questa esperienza con Gesù e dopo la sua morte pensavano che la persona di Gesù fosse finita in maniera così ingloriosa e marcatamente di fallimento. La risurrezione di Gesù che tutti loro hanno sperimentato, e Tommaso per ultimo, li aveva sicuramente rincuorati: non era stata la morte così ignominiosa l’ultima parola detta sua di lui. Leggendo gli evangeli vediamo come gli apostoli e i seguaci di Gesù, prima di capire il significato della risurrezione ce ne hanno messo di tempo e di conversione del loro modo di pensare a Gesù Risorto. Sicuramente hanno pensato che Gesù fosse tornato a vivere la stessa vita di prima. Interessante al riguardo il comportamento della Maddalena, che, preoccupata di più del suo corpo martoriato e cadavere che era scomparso dalla tomba, quando lo ha visto risorto pensava a un ritorno di Gesù alla vita come era stato Lazzaro dopo il miracolo che Gesù aveva compiuto sul suo cadavere. La Risurrezione di Gesù invece è stata un fatto completamente diverso dallo spostamento della data di una morte, come sarebbe avvenuta normalmente per Lazzaro a suo tempo; la risurrezione invece era una nuova creazione, una vita nuova che esaltando la stessa persona di prima e la sua vita la collocava nella vita di Dio, fuori dal tempo, fuori dalla successione dei giorni, fuori dalla provvisorietà e del conseguimento di ogni realtà dentro tappe che sicuramente stanno nella nostra esistenza terrena. Questi, se volete, possono sembrare ragionamenti un poco astratti, ma ci aiutano a capire che con la risurrezione di Gesù si è avverata anche la sua collocazione (detto in forma umana) nella vita di Dio. Per Gesù: Risurrezione, Ascensione e invio dello Spirito Santo sono stati fatti avvenuti nello stesso istante. Per noi averli visti narrati nel vangelo in date diverse è stato necessario per gustare, capire, vivere questa nuova vita di Gesù entro la nostra struttura umana, ma il Signore non è legato ai nostri tempi, anche se ha a che fare con la nostra umanità che ha bisogno di tempi e di esperienze per capire il piano di Dio.
Se la Risurrezione fosse stata compresa dagli apostoli come una continuazione della vita di prima, come avrebbe fatto Gesù a far capire che Lui era venuto per annunciare la buona notizia della salvezza a tutto il genere umano e non solo agli ebrei della Palestina? Il loro attaccamento al maestro è ancora superficiale: il destino di Gesù è la salvezza del mondo e Lui non appartiene solo ai discepoli, ma a tutti gli uomini. Il vero Gesù, Figlio di Dio non è quello secondo la carne, ma quello secondo lo Spirito, di cui continuamente parlava; è necessario che io vada e dopo vi manderò lo Spirito. Invece di essere tristi dovevano aprirsi a questa grande novità e nuova presenza dello Spirito Santo. Il suo andarsene secondo la carne è perché si spezzino tutti i limiti della sua presenza, perché cioè abbia inizio la missione del suo Spirito, che varcando i confini di Israele avrebbe parlato tutte le lingue e riempito la terra. Non è una questione psicologica, ma reale e oggettiva, un passaggio dal Gesù storico, visto, ascoltato, palpato al Cristo della fede, cui Gesù aveva da sempre orientato i suoi ascoltatori. Gesù con la sua morte non se ne va, ma viene e viene fino alla fine dei tempi. Le apparizioni pasquali sono già questa venuta del Cristo. Infatti la croce ha un doppio valore, che è questo:
secondo la carne essa è passione, sofferenza, morte e scomparsa dal mondo
secondo lo spirito è elevazione e presenza perenne del Cristo nella vita e destino degli uomini
Il mistero dello Spirito Santo è lo stesso mistero della presenza perenne del Cristo; Gesù vive in maniera reale nel mondo e vive realmente nella chiesa, suscitata dallo Spirito inviato per la prima volta agli Apostoli.
Nel mondo ci sarà sempre battaglia tra luce e tenebre, tra carne e spirito, ma chi la condurrà sarà lo Spirito Santo, che accuserà il mondo, come dice il vangelo, quanto al peccato, alla giustizia e al diritto. Lo Spirito è chiamato Paraclito, che significa avvocato o meglio pubblico ministero. La storia del mondo non è da vedere solo negli ultimi tempi in termini apocalittici, di grandi sconvolgimenti, ma anche come un processo che sta dentro tutta la storia e va verso una sua conclusione.
Lo Spirito Santo convince che il peccato non l’ha fatto Cristo, ma il mondo che è reo di aver respinto e ucciso Gesù, che era la luce, preferendo a Lui le tenebre. Il peccato del mondo è questo resistere pervicacemente all’annuncio del vangelo
Lo Spirito Santo ci fa capire che giustizia autentica, quella vera è questa: quel Gesù, che è stato ucciso è assolutamente innocente e dimostra che questa giustizia si può far gioco di quella umana che lo ha messo in croce, perché con la sua Risurrezione è entrato nella gloria dello stesso Dio Padre.
Lo Spirito Santo ancora ci rivela che il giudizio è quello rivelato dalla croce. Satana, principe di questo mondo è già stato giudicato; lui sembra forte e sicuro di sé, ma è sotto la potente mano di Dio e la sua potenza è inefficace.
Dentro questo processo contro lo spirito del mondo tutti i discepoli di Gesù non solo godono di una assenza di timori, di una invincibile forza morale, ma conoscendo la vittoria del triplice processo ottenuta dallo Spirito Santo assumono pure una capacità profetica per ogni futuro.
Queste verità non sono frutto della intelligenza o della intuizione umana, non sono proporzionate alla nostre facoltà conoscitive, ma fanno parte del grande disegno che Dio ha sul mondo, sull’umanità, su tutte le potenze anche infernali e che noi conosciamo proprio dallo Spirito Santo, perchè solo Lui scruta le profondità di Dio.
Per cui, (grandezza della vita cristiana!), noi verremo a conoscere il senso recondito della vita umana di Gesù, illuminerà la nostra memoria di Lui, darà ai suoi apostoli una intuizione di maggior conoscenza, adatta a cogliere il senso unificante delle parole e dei fatti della vita di Gesù e loro lo trasmetteranno a tutte le generazioni a venire. La pienezza della rivelazione di Gesù avverrà solo alla fine dei tempi e noi vi siamo introdotti quasi da profeti dallo Spirito Santo.
Occorrerà tutta la storia del mondo e dell’umanità perché si sveli pienamente tutto il progetto d’amore di Dio per il creato. Sicuramente possiamo profetizzare che il processo al mondo e al Maligno sarà sempre vinto da Gesù, tramite lo Spirito Santo.
La salvezza di Dio in Gesù raggiungerà tutti i confini della terra, tutta l’umanità, non c’è potenza del male che abbia a prevalere, Gesù proprio dalla croce trionferà come ha già iniziato a fare dal Calvario effondendo lo Spirito. Infatti la più bella descrizione della sua morte non è spirò, ma emise lo Spirito.
E il tempo di Pasqua è tempo di effusione dello Spirito che si compirà a Pentecoste.
una riflessione Esegetica sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 15,26-27.16,1-4)
Giovanni 15,26-27
26 Quando verrà il Consolatore che io vi manderò dal Padre, lo Spirito di verità che procede dal Padre, egli mi renderà testimonianza; 27 e anche voi mi renderete testimonianza, perché siete stati con me fin dal principio.
Giovanni 16,1-4
1 Vi ho detto queste cose perché non abbiate a scandalizzarvi. 2 Vi scacceranno dalle sinagoghe; anzi, verrà l’ora in cui chiunque vi ucciderà crederà di rendere culto a Dio. 3 E faranno ciò, perché non hanno conosciuto né il Padre né me. 4 Ma io vi ho detto queste cose perché, quando giungerà la loro ora, ricordiate che ve ne ho parlato.
Dalla prima Pasqua e dalla nostra appena celebrata e in continuazione senza interruzioni siamo casa, abitazione, dello Spirito Santo, cioè di quell’artista che con scalpello e pennello ricostruisce noi secondo la figura di Gesù, ce ne dà il cuore, i pensieri, i lineamenti, la felicità piena. Gesù conosce bene il nostro cuore e non può lasciare soli in balia della debolezza, della confusione i suoi discepoli, noi stessi che lo vogliamo seguire. Ecco allora la grande promessa con cui ha dato forza e vigore alle nostre debolezze. Ci manda lo Spirito che è amore che genera, è pienezza di significato su ogni lato del nostro essere. Colora la nostra corporeità di capacità di dono, di dedizione completa. Ci permette di comprendere e di trasformare, di sentirci punto di arrivo di una chiamata personale, ci offre il perché di ogni nostra sete e passione.
Non solo, ma lo Spirito Santo sempre ci riempie dei suoi doni per guarire le nostre ferite, farci capire la parola di Gesù, alleviare le nostre sofferenze, aiutare a convertire i nostri cuori. Gesù, il Signore risorto ci introduce in una esperienza interiore invidiabile.
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Ci viene ad abitare una forza e un fuoco che purifica, scalda, illumina. In questo tempo pasquale la nostra vita ha un appuntamento con Dio che rimarrà indelebile. Dio ci scrive nella carne un sigillo di appartenenza che non sparirà mai. Ricordate come facevano con gli schiavi i popoli antichi? Li marchiavano a fuoco vivo con dei ferri roventi per indicare che sarebbero sempre appartenuti a quel padrone. Molti ancora oggi si fanno tatuaggi con disegni ricercatissimi. Non c’è cantante rock che non sia tatuato alla grande, così i detenuti, gli sportivi. Ebbene lo Spirito Santo ci lascia il tatuaggio indelebile e identificativo dei cristiani.
Dio non è un padrone che ha bisogno di marchiare con il fuoco una sua proprietà, perché tutto il mondo è suo e non toglie mai la libertà a nessuno. Allora che significa il tatuaggio dello Spirito Santo? E’ un segno che il vescovo traccia ungendo a forma di croce la nostra fronte col crisma che è un olio profumato e consacrato, che ci richiama sempre a una promessa d’amor che oggi gli facciamo.
Dio in cambio ci dà i sette doni; li elenchiamo e poi li accogliamo a uno a uno.
1. Sapienza. 2 Intelletto. 3Consiglio. 4Fortezza. 5 Scienza 6 Pietà. 7 Timor di Dio
Non è sufficiente ampliare tutte le conoscenze, avere tutte le informazioni possibili, saper usare computer dell’ultima generazione, saper usare smartphone, essere dei maghi con il cellulare, ma occorre essere saggi nell’usare tutte le informazioni che abbiamo ; il dono della sapienza
Per tutte le nostre ricerche è basilare la conoscenza intellettuale; è molto importante avere una perspicace razionalità, ma se non ci si aggiunge la conoscenza del cuore, si rimane freddi e saputelli, spesso anche farisei e giustizieri; questo è il dono dell’intelletto
Non basta essere furbi, sentirsi sicuri; è giusto essere indipendenti, ma non siamo mai autosufficienti; dobbiamo sempre poter disporre di consigli giusti al momento giusto; è il dono del consiglio
Noi siamo sempre un po’ paurosi, soprattutto abbiamo vergogna a fare le brave persone, a difendere un amico che viene tirato in giro, a dire che andiamo a messa, a fare un segno di croce, a nasconderci dietro un dito…abbiamo bisogno del dono del coraggio, della costanza, della tenacia lo chiamiamo il dono della fortezza.
Ancora è basilare conoscere la realtà, ciò che ci circonda, in cui siamo immersi sia la natura che le storie di ogni persona; a noi però serve anche di appassionarci alla ricerca della verità per destreggiarsi da tutte le fake news che ci intorbidano la visione della vita, del mondo, del nostro essere. è il dono della scienza
Il massimo che possiamo avere non è la quantità di euro di cui possiamo disporre, ma molto di più nell’essere pieni di bontà da regalare a tutti è il dono della pietà, che si traduce non con aver pietà dei poveracci, ma avere bontà verso tutti
Possiamo illuderci di conquistare il mondo e possedere la vita, ma se in noi non c’è un posto per il Signore restiamo con le mani vuote. Dobbiamo sapere che noi siamo creature e Lui è il Creatore. Questo è il timor di Dio non, come qualcuno pensa: aver paura di Dio
Il sentirsi innamorati non è tutto; avere e provare attrazione, simpatia, gioia e appagamento non è sufficiente! Occorre sapere che cosa è l’amore vero; lo Spirito Santo con i suoi doni ci dà l’amore vero
Ecco lo Spirito Santo da quando Gesù è morto e risorto cesella nelle nostre vite queste opere d’arte; sono i suoi doni. Io vi garantisco che in questo tempo pasquale ve li regala e non li ritira più. Sarete voi a dimenticarli, non Lui.
Tutti i genitori devono sapere, perché li stimiamo, che i loro figli non sono dei bastardi perditempo o dei bamboccioni, ma diventano casa dello Spirito Santo; per ogni figlio c’è un altro inquilino nelle vostre abitazioni: Lui, l’amore di Dio, il fuoco dell’amore, la colomba della pace, contro tutti gli assalti dei falchi che già si buttano o si butteranno sulle nostre vite ingenue ci manda il vento dello Spirito che è come l’aria pulita in un mondo bello, da godere, che non può avvelenarci.
Una riflessione esegetica sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 16,12-15)
12 Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. 13 Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera, perché non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annunzierà le cose future. 14 Egli mi glorificherà, perché prenderà del mio e ve l’annunzierà. 15 Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà del mio e ve l’annunzierà.
La nostra vita pasquale ci orienta all’attesa dello Spirito Santo che si compirà a Pentecoste. Infatti del giorno di pentecoste si dice: mentre si compivano i giorni di Pentecoste…Il che significa che la Pentecoste è vissuta molto di più nella sua attesa che nella celebrazione, perché il successivo svilupparsi della vita del cristiano e della chiesa sarà sempre tempo dello Spirito Santo. Non c’è una settimana di Pasqua come abbiamo fatto fino alla domenica successiva, per la Pentecoste. Tutto diventerà in seguito tempo ordinario, cioè vita guidata dallo Spirito Santo, dono di Gesù per sempre. Tentiamo ora di renderci ancora più concreta nelle nostre vite la sete, il bisogno, il dono della presenza dello Spirito Santo
Abbiamo bisogno di luce.
Noi tutti abbiamo occhi per vedere; la realtà si fa presente attorno a noi: le cose, la natura, le bellezze del creato esistono, sono alla nostra portata. Abbiamo occhi per vedere: belli, perfetti, senza cateratte, senza bisogno di occhiali per correggere miopie o ipermetropie, ma se non c’è la luce noi non le possiamo vedere. La luce la diamo sempre per scontata, ma quando siamo al buio restiamo disorientati, ciechi. Chiedo spesso quando celebro il Sacramento della Cresima dei giovani, che cosa ci manca per vedere se abbiamo cose meravigliose tutte alla nostra portata, occhi sanissimi e bellissimi..? a nessuno viene in mente di dire che è necessaria un’altra realtà decisiva: la luce.
Ebbene lo Spirito Santo è la luce, è quella realtà indispensabile perché possiamo non solo dare possibilità agli occhi di fare il loro compito, ma di vedere in profondità tutta la realtà, che senso ha, che cosa ci sta dentro e sotto, perché abbiamo a capire, che punto di vista migliore scegliere, che attenzione avere…che cosa dobbiamo fare, che strada prendere per essere felici, che compagni di strada abbiamo per ogni nostro sguardo…
Abbiamo bisogno di forza
Noi tutti abbiamo muscoli, gambe, braccia, abbiamo un corpo, ma non ne possiamo fare niente se non sentiamo dentro la forza. A mano a mano che invecchiamo cominciamo a far fatica a salire le scale, diciamo che le gambe non ci reggono più, eppure ci sono, che non ce la facciamo più a sollevare pesi eppure abbiamo ancora mani e braccia. Sopperiamo con una sedia a rotelle o con l’ascensore e così perdiamo del tutto la mobilità. Ci manca la forza.
Ebbene lo Spirito Santo è la forza per essere cristiani nel mondo di oggi. Se non c’è Lui noi non riusciamo a fare le scale della vita. E che scale presenta la vita, che difficoltà, che pesi occorre portare! Quante volte siamo tentati di scaricare i pesi sugli altri o ci immobilizzano spiritualmente nell’adattamento, nella perdita di speranza, nel parlare sempre all’imperfetto o coi verbi del passato e concludiamo con la parolaccia: ormai
Abbiamo bisogno di libertà
Noi siamo contenti di non avere catene ai polsi, di non essere costretti agli arresti domiciliari, di non dover misurare il perimetro di una cella, ma non è sufficiente per godere la libertà. Occorre avere dentro una convinzione, sentirsi capaci di autonomia, di iniziativa personale. La prigione spesso ce l’abbiamo in testa, perché siamo legati da passioni sbagliate, da desideri insani, da vizi, da cattive abitudini. I mass.media spesso ci cuociono il cervello., internet è una palestra in cui bisogna sempre fare scelte di bellezza e di bontà vere. Siamo come i tossici che dicono smetto, ce la faccio e poi sono dallo spacciatore tutti i giorni con gli euro rubati per la dose.
Ebbene lo Spirito è la libertà, è la forza interiore che ti fa superare le dipendenze dal male, che ti offre in cambio della schiavitù, la libertà interiore. Che ti dà orizzonti nuovi di vita, ti convince di peccato così che invochi il perdono e te lo garantisce. E’ Lui che, rotta la catena che ci tiene legati, riempie di speranza la vita, offre consapevolezza di avere un Padre che ci ama e non un controllore che ci redarguisce ogni volta che sbagliamo.
Abbiamo bisogno di saggezza
Sperimentiamo nella nostra vita una continua e faticosa crescita e assestamento della capacità razionale. Da soli, però, non riusciamo a tenere testa a tutte le sollecitazioni della realtà, a rispondere a tutti i nostri perché, in una logica stringente. Ci rendiamo conto che siamo incapaci spesso di capire che ci sono altri lati della vita che non si risolvono solo coi ragionamenti. Abbiamo bisogno di saggezza, di sapienza, di penetrare più in profondità nei misteri dell’esistenza.
Ebbene lo Spirito Santo è questa saggezza che ci aiuta a mettere davanti a Dio tutti i nostri ragionamenti e illuminarli dai suoi punti di vista, dal punto di vista del vangelo, dalla sua presenza capillare nei meandri della vita, della nostra vita e della vita del mondo.
Infatti abbiamo sentito che cosa dice Gesù dello Spirito Santo: Egli vi guiderà alla verità tutta intera, vi annunzierà cose future
Abbiamo bisogno di amore
Siamo forse cresciuti troppo rapidamente quando abbiamo visto: crescere forza nei muscoli, un po’ alla volta avere un corpo di cui essere soddisfatti; si è sviluppata la nostra sessualità, una prestanza fisica, siamo anche rimasti soddisfatti di una dignitosa presenza; ma a che cosa sarebbe servito tutto questo apparato, tutto questo bel impianto se dentro la nostra vita un giorno o l’altro non fosse scoppiato l’amore e non avessimo fatto percorsi seri per custodirlo e donarlo?
Ebbene lo Spirito Santo è l’amore, è colui che colora di significati profondi la nostra vita, le dà un’anima interiore. Rende bella la vita dall’interno. Questo amore non si sviluppa col trucco, con i vestiti, ma con la presenza di chi ha inventato l’amore: lo Spirito.
In questo tempo ci stiamo sintonizzando, preparando a una nuova invasione dello Spirito nella nostra vita quotidiana, a questa nuova creazione dell’uomo, a questa firma che Dio mette sulle nostre esistenze e siamo contenti di condividere con tutti la nuova avventura del rischioso mestiere di vivere. La nostra società ne ha bisogno, la pandemia deve essere colorata dai doni che ci fa lo Spirito. Lo Spirito Santo non teme distanze fisiche o sociali, non è soggetto a vaccini, non è mai stato in lockdown e tanto meno ci lascia nella solitudine, fosse anche quella della terapia intensiva. Abita in noi già dal battesimo, è stato riconfermato con la Cresima e non molla nessuno mai.
Una riflessione esegetica sul Vangelo secondo Matteo (Mt 18,10-14)
Guardatevi dal disprezzare uno solo di questi piccoli, perché vi dico che i loro angeli nel cielo vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli. [È venuto infatti il Figlio dell’uomo a salvare ciò che era perduto]. Che ve ne pare? Se un uomo ha cento pecore e ne smarrisce una, non lascerà forse le novantanove sui monti, per andare in cerca di quella perduta? Se gli riesce di trovarla, in verità vi dico, si rallegrerà per quella più che per le novantanove che non si erano smarrite. Così il Padre vostro celeste non vuole che si perda neanche uno solo di questi piccoli.
Per rendere ancora più concreta la figura di Gesù buon pastore. Abbiamo fatto seguire la lettura di un testo dell’evangelista Matteo che descrive un ottimo esempio di come Gesù Risorto, vive l’essere il nostro pastore e non un mercenario, un ladro, un qualsiasi guardiano, pure pagato per portare al pascolo le pecore.
L’amore e il perdono di Dio, la sua ricerca appassionata di ciascuno di noi che si allontana, che si perde, che scappa o si nasconde, che brucia il patrimonio di bene in cui è immerso per prendersi soddisfazioni stupide, è la storia di Gesù che ha un cuore squarciato per amore; un cuore che non si è mai più ricomposto perché la cattiveria dell’uomo è sempre grande e la sua libertà è un dono da cui Dio non si ritrae mai.
Sei libero, ti ritrovi a fare sempre quello che ti piace di più, non ti interessa più niente delle persone che ti vogliono bene, ne vuoi sfruttare tante altre, ma sappi che da me puoi sempre tornare, che io non ti mollo, io, tutte le sere prima di chiudermi in paradiso faccio la conta e mi accorgo si ci sei o no, se sei tornato dai tuoi insani percorsi, se ancora una volta ti sei fatto i tuoi giri perversi, il tuo sballo per sentirti vivo, le tue comode isole in cui seppellisci il tuo cuore. Ma il mio cuore è sempre aperto ad accoglienza, a tenerezza, a gesti d’amore. Vorrei che quando tornerai ancora da me, anche il tuo cuore resti sempre aperto perché chiunque ci possa scavare dentro e trovi quello di cui ha bisogno per vivere bene e per essere veramente felice.
Queste parole sembrano troppo gravi; allora immaginiamo Gesù il buon Pastore così: ha lavorato e dialogato tutto il giorno con le sue pecore che siamo noi, che siete voi; ha ascoltato, ha aiutato, ha tenuto il suo sguardo buono, lieto su tutti sempre e torna a casa parlando con qualcuno, sorridendo a qualcun altro e quando passa in rassegna tutti a uno a uno e sorride, saluta, ricorda qualche cosa di importante da fare o da chiedere, si accorge che manchi proprio tu. Hai fatto la tua cavolata, ti sei voluto prendere la tua libertà, la tua strada; ti hanno fatto fastidio o qualche dispetto i tuoi amici e li hai lasciati. Oppure qualcuno senza che tu lo volessi, ti ha ingannato, ti ha teso una trappola e tu ci sei cascato.
E Gesù che fa? Con un cuore già squarciato per amore non ci pensa due volte. Ti cerca, usa tutti gli strumenti: facebook, twitter, sms,tik-tok; chiede ai tuoi amici, ma loro nemmeno si sono accorti che manchi. E ti lancia messaggi: non fare lo stupido, torna a casa che ci sono sempre io che ti voglio un bene infinito. Non crederti disprezzata o ignorata, non stare a specchiarti in una pozzanghera, qui c’è quello che cerchi. E tu magari spegni il cellulare, rivedi un altro messaggio, lo spegni ancora; poi finalmente dici: ma che sto qui a fare da solo in mezzo ai guai? Chi mi credo di essere? Che felicità mi sono trovato, che tutti mi sfruttano, mi fanno complimenti poi mi tagliano le gambe, ne approfittano, mi fanno le moine, ma solo per avermi e per farsi belli di me.
Allora lanci un sms: arrivo subito, aspettami, ti voglio abbracciare.
E Gesù ti prende, ti accarezza, ti carica sulle spalle e ti porta a casa, convince i tuoi amici a volerti ancora bene e continui a vivere con Lui. Gesù non è una persona da internet, da twitter, da facebook, è una persona vera che abita in te. E quando ha deciso di prendere casa da te? Sappiamo che si è fatto persona, come uno di noi, che ha calcato tutte le strade della Palestina, per condividere gioie e speranze con tutti quelli che incontrava. Per questa sua tenacia nel voler bene a tutti, anzi il massimo bene che apriva le porte del cielo a tutti, anche ai più cattivi e profittatori di altre persone, lo hanno messo in croce, l’hanno fatto soffrire, ne hanno goduto tronfi di averlo fatto fuori, ma lui è fuggito anche dalla morte nella quale pensavano di aver chiuso la sua bontà. Stiamo ancora celebrando la sua risurrezione. Non saremmo però nel massimo della verità se Gesù con questa risurrezione non solo non ci avvicinasse a Dio Padre, ma non ci desse anche una presenza speciale, unica, viva, in ciascuno di noi con lo Spirito Santo. Credo che la giornata più brutta che hanno vissuto gli apostoli sia stata propria il giorno dopo il grande sabato. Gesù ammazzato brutalmente, sepolto come tutti; finita come per tutti prima o poi la vita. Lui invece si presenta vivo e fa fatica a convincerli, si ritirano ancora paurosi tra di loro, finchè non fa a tutti la sorpresa di donare lo Spirito, il coraggio, la forza, la gioia. Noi in questi giorni lo vogliamo contemplare risorto, vincente quelle brutture che gli hanno inflitto, ci siamo accostati al sacramento della penitenza, ma sentiamo ancora il peso della nostra vita che non cambia dalla mattina alla sera.
Siamo aiutati a capire che si può sbagliare, si può abbandonare qualche volta la chiesa, ma che la casa è sempre questa, che la sua presenza ci è garantita dallo Spirito Santo. Ci sarà sempre qualcuno che aspetterà il nostro ritorno. E noi stessi diventeremo dei buoni amici per tutti, racconteremo la gioia che si ha a comportarsi bene, a seguire Gesù a diventare suoi amici, a sentirsi accolti da quel cuore squarciato, ma sempre aperto per scavare gioia e felicità per tutti. Tanta nostra infelicità è dovuta all’appiattimento, alla prigione che ci siamo costruiti. Ci siamo collocati in un bicchiere d’acqua e continuiamo a sbattere contro le pareti, mentre il nostro vero habitat è il vasto mare della vita che viene dall’alto, dal misterioso mondo di Dio. C’è un vento dello Spirito che soffia su di noi e dà vita vera. La creazione lo ha atteso, Gesù lo ha inviato. Abbiamo bisogno di un’anima per tutte le cose. Quest’anima viene dall’alto. La risurrezione ha aperto i nostri confini, ha offerto gli orizzonti infiniti di quel Dio che ci ha creati
In questo tempo pasquale possiamo addentrarci anche noi in un dialogo serio con il Signore come hanno fatto tanti con Gesù; abbiamo bisogno di ritornare a casa, di sentirci trasportati sulle spalle del buon Pastore. Dove vai? Dove scappi? Non ti accorgi che scappi da te stesso. Che vita ti stai preparando, che dolori vai a creare a tutti quelli che ti stanno vicini? Ti vengo a prendere io. Fatti trovare, le novantanove che stanno a casa si sono dimenticate di te, ma non io
Anche noi abbiamo bisogno di rigenerare la nostra fede. Il nostro è un tempo che ci chiede di uscire allo scoperto, di prendere decisioni, di stare della parte della verità, di contemplare il Signore, ascoltare la sua parola.
In quella stanza al piano superiore, imbandita a festa c’è stata l’ultima cena, Gesù ci ha dato il suo corpo e il suo sangue. Siamo stati liberati dal peccato e nutriti della vita di Gesù. Deve ancora accadere qualcosa di grande in quel cenacolo; è Gesù deve ancora raccattarci dalle nostre fughe finchè dentro di noi scoppierà un fuoco che brucerà ogni male , ci riempirà di doni e ci aprirà a un’altra presenza di Dio: lo Spirito Santo. Il buon Pastore non si accontenterà di portarci solo nell’ovile, sotto protezione, nella sua compagnia ritrovata, ci darà con lo Spirito una forza di vincere ogni paura e coraggio di portarlo in ogni parte del mondo e in ogni tratto della nostra vita.
Una riflessione Esegetica sul Vangelo secondo Luca (Lc 24, 13-35)
Non compare nei Vangeli delle domeniche di quest’anno un’altro … testo molto importante che voglio proporvi, come facciamo di solito con le nostre esegesi: è l’episodio dei due discepoli di Emmaus, perchè ci aiuta a capire di più tutta l’esperienza del risorto.
Ed ecco in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio distante circa sette miglia da Gerusalemme, di nome Emmaus, e conversavano di tutto quello che era accaduto. Mentre discorrevano e discutevano insieme, Gesù in persona si accostò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo. Ed egli disse loro: «Che sono questi discorsi che state facendo fra voi durante il cammino?». Si fermarono, col volto triste; uno di loro, di nome Clèopa, gli disse: «Tu solo sei così forestiero in Gerusalemme da non sapere ciò che vi è accaduto in questi giorni?». Domandò: «Che cosa?». Gli risposero: «Tutto ciò che riguarda Gesù Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; come i sommi sacerdoti e i nostri capi lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e poi l’hanno crocifisso. Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele; con tutto ciò son passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; recatesi al mattino al sepolcro e non avendo trovato il suo corpo, son venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati al sepolcro e hanno trovato come avevan detto le donne, ma lui non l’hanno visto». Ed egli disse loro: «Sciocchi e tardi di cuore nel credere alla parola dei profeti! Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». E cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui. Quando furon vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: «Resta con noi perché si fa sera e il giorno già volge al declino». Egli entrò per rimanere con loro. Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma lui sparì dalla loro vista. Ed essi si dissero l’un l’altro: «Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture?». E partirono senz’indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone». Essi poi riferirono ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane.
Sicuramente delusi, forse anche un po’ disperati, assolutamente con il morale ai tacchi … ti capita qualche volta di avere giù la catena e di stare con il tuo miglior amico a dire tutte le scalogne che ti capitano, magari tutti e due con una birra in mano, per vedervi crescere la forza di una confidenza impossibile e la sofferenza di una tristezza … palpabile.
Ed ecco – dice il Vangelo – in quello stesso giorno due di loro erano in cammino
Erano in cammino e si allontanavano da Gerusalemme, esattamente il contrario del cammino di Gesù che sempre era orientato a Gerusalemme, alla sua meta.
Scendevano e si allontanavano – se ricordate – dal cammino di Gesù anche quell’uomo che incappò nei ladri, quel levita e quel sacerdote che non osarono fermarsi a sorreggerlo e a confortarlo: se ne andavano dal centro della fede, avevano smesso di camminare verso la felicità e le remavano contro; si erano stancati di cercare, avevano preferito tornare sui loro passi.
Sono l’immagine dei nostri percorsi di fuga dalla vita vera, soprattutto dai problemi veri, dalle prospettive faticose, ma che danno soddisfazione.
Avevano abbandonato il Cenacolo, perché vi si respirava aria troppo triste, non avevano avuto più il coraggio di stare là con Maria ad aspettare: è fuga anche non aspettare più, non attendersi più niente dalla vita … potremmo dare un’occhiata alla nostra vita e vedere quante fughe facciamo, quante scuse accampiamo per non guardarci dentro, quante solitudini andiamo ad accumulare, anziché a nutrire di speranza.
Uno dei due ha un nome, Cleopa, l’altro siamo ciascuno di noi: noi persone siamo gente sempre in cammino, maciniamo chilometri e vogliamo vedere sempre cose diverse, non sempre nuove … non ci ferma nessuno: è bello camminare, è bello vedere nuovi mondi, nuovi panorami, farsi nuove prospettive, non rinsecchire nelle cose di sempre, sicure, senza rischio, ma non tirando calci ai sassi per disperazione come questi due, indispettiti di non riuscire a capirci più niente, con nella fantasia dei sogni che si sono infranti e spenti.
E’ bello camminare, ma avere la certezza che la direzione è giusta, che non è una fuga, non è un percorso di perdizione, ma una salita faticosa verso … ideali grandi.
Mentre discorrevano e discutevano insieme – sempre il Vangelo
Discorrevano e discutevano: sono verbi un po’ attutiti … il significato letterale è che si buttavano addosso l’un l’altro la colpa della tristezza che sentivano. La loro amicizia li aveva legati nella risposta generosa al “venite e vedrete”, nella consuetudine con Gesù, ma adesso si rimproveravano l’un l’altro del fallimento: «Anche tu però hai abboccato alla grande! E tu che mi dicevi “tranquillo siamo in buona compagnia!” Tu invece che di solito sei intraprendente, ti sei adattato e sei stato il primo a dileguarti! Ma abbiamo fatto bene a squagliarcela».
Gesù in persona si accostò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo.
Stanno fuggendo, stanno allontanandosi dalla via che Gesù aveva loro indicato, stanno facendo di testa propria, hanno deciso forse di chiudere l’avventura con tutta la “questione Gesù”.
Anche questa volta è ancora Gesù che non li molla: Gesù non ci lascia mai, Gesù non se la squaglia, siamo noi che non lo vediamo, che abbiamo gli occhi solo per i nostri idoli, le nostre mire, i nostri orizzonti chiusi.
C’è sicuramente qualcuno nella nostra vita che fa di tutto per impedire ai nostri occhi di poterlo vedere … si ripete un ritratto che definisce sempre le apparizione di Gesù, il Risorto. Non sono in grado di vederlo.
Lui c’è, ma non è nelle nostre facoltà di poterlo vedere, non è il punto di arrivo dei nostri sforzi, delle nostre ricerche, delle nostre astrazioni, o delle nostre finte per far tacere il problema o per ritrovare una sistemazione alla bell’e meglio nella vita cristiana, in parrocchia .. magari.
E’ lui che si dà a vedere, non siamo noi che lo troviamo: è crocifisso risorto si dà a vedere, non è visto. La risurrezione è una novità radicale, irriducibile, ma da Lui resa “accessibile”.
La speranza che egli costituisce è sempre un oltre ogni nostra iniziativa: il modo di narrare di Luca fa percepire che non stiamo solo ascoltando la narrazione di un episodio della vita del risorto, ma che siamo collocati dentro un contesto liturgico, come vedremo alla fine quando Gesù spezza il pane.
Questo ci fa capire ancora di più quanto la liturgia sia lo spazio in cui l’accoglienza si fa radicale: lì non sei tu che agisci, la speranza che riesci a incontrare non dipende dal numero di parole che dici, ma dalla sete dell’Assente che hai, dalla accoglienza cui ti apri, dall’inedito di Dio che sempre ci sorprende.
Spesso accostiamo la liturgia con pretese di rendere tutto a nostra misura, a nostro indice di gradimento, ma noi sappiamo che la liturgia è proprio il donarsi di Dio a noi, quindi con le sue leggi, i suoi gesti, la sua parola … non è che per questo deve essere incomprensibile o ingessata, ma sicuramente non può essere la somma delle nostre espressività umane.
Nella vita dei due si sta svelando l’inedita rivelazione di Dio nella potenza della risurrezione e purtroppo il loro aspetto è non solo triste, ma tetro, nero come il loro cuore … e Gesù li provoca, vuol guardare dentro nel loro cuore, vuole sentirsi dire se si è mantenuta in loro una anche debole speranza, una fragile fede.
Niente.
S’arrestarono al sentirlo parlare col volto buio dei momenti vuoti: “Come? Io ho patito tutto il dolore possibile, voi mi avete abbandonato nelle mani della soldataglia cui non sembrava vero di poter sfogare su di me tutte le cattiverie e le frustrazioni della loro vita, mi hanno flagellato e scannato come un agnello condotto al macello, vi siete rifugiati in una oasi di tranquillità lontano da quelle scene di sangue che io per voi pativo su di me e voi neppure un dubbio vi siete mantenuti nel cuore? Avete già cancellato tutto. Avete visto la sacra rappresentazione da lontano, avete forse scrollato il capo per dire la vostra sfortuna di avermi incontrato, non il mio dolore di avervi troppo amato. E ora in questo cammino che s’allontana sempre di più dalla verità non sapete far altro che dare forza vicendevole ai vostri dubbi e alle vostre debolezze.”
State seminando la strada per Emmaus con le vostre pietre tombali, dei vostri definitivi “ormai”, con le vostre disperazioni incoscienti. Sapete usare solo i verbi all’imperfetto. Tutto è irreparabile.
Questa è una cattiva abitudine con cui definiamo tutte le nostre vite, le esperienze affettive: ci volevamo bene, ma ormai…; le abbiamo tentate tutte, ma ormai…; siamo entusiasti di quello che con l’amore ci nasce nel cuore, ma ce lo hanno avvelenato e ormai… Ho cercato lavoro dovunque in maniera onesta, ma ormai… Credevo di offrire al mio amore un cuore puro, e un corpo dedicato, ma ormai … l’ho già venduto a pezzetti a tutti quelli che mi hanno preteso.
E Gesù dice …
Sciocchi e tardi di cuore
“Siete proprio senza testa e vi tenete in petto un cuore di pietra, pesante, grossolano. Mettete testa e cuore a quanto vi dico e vedrete a quale piccineria avete affidato le vostre intelligenze e i vostri cuori. Nella vostra stessa Torah (nella legge) c’è già scritto tutto, solo che non riuscite a far funzionare il cervello; l‘accoglienza della fede, la consapevolezza che non abbiamo in mano noi il segreto della vita …”
… e Gesù, il Verbo fatto carne, la Parola si mise a dipanare le tenebre dell’incoscienza, della superficialità, della paura, della chiusura sul proprio piccolo cabotaggio.
E Gesù presiede alla prima parte, assolutamente d’ora in poi necessaria, della messa: l’ascolto attento della parola, la provocazione a farsi ammaestrare dalla verità.
La Parola di Dio nella vita dell’uomo è risolutiva di tante nostre domande, di tante solitudini, confusioni … purtroppo l’abbiamo ridotta o a qualche bella sentenza sempre edificante, o qualche didascalia di cose già fatte e definite.
Invece la Parola è viva, è come una spada a doppio taglio … “non ritorna a Me senza avere compiuto quello per cui è stata mandata”.
Quando la Parola ti penetra nel cuore, allora ti nasce una grande pace, non è come quando guardi la Tv , o senti i talk show o stai tutta sera a sparare idiozie con gli amici, contento di stare in compagnia, ma incapace di dare alla gioia dello stare assieme quella verità cui sempre si aspira, ma che va cercata con fatica e impegno, scavando dentro di noi e rischiando … ricerca che va oltre.
E alla fine i due discepoli di Emmaus dicono …
Resta con noi perché si fa sera e il giorno già volge al declino
S’è consumata una giornata, una vita a dire la delusione di quello che si è, è calata l’oscurità come frutto della delusione e della disperazione … non volge al declino solo il giorno, ma la speranza, il senso di quello che si è.
Ma Come si può ricominciare da capo? la vita porta sempre qualche cosa di bello e di nuovo, di giusto e di vero oppure è una eternità ingessata nelle nostre miserie?
E’ sera quando non sappiamo chi siamo;
E’ sera se ci mettiamo noi al posto della verità;
E’ sera se cediamo alla casualità, se ci adattiamo;
E’ sera quando non si rispettano la dignità della persona e la sua sete di autonomia;
E’ sera quando ci si rifugia a scambiare amore e si trova che è solo egoismo e fuga;
E’ sera quando mi scoraggio nella precarietà, quando mi distruggono il valore di tutto ciò che ho tentato di costruire nella vita;
E’ sera quando ricasco nel vizio, dopo aver giurato, su quel che ho di più sacro, che avrei vinto;
E’ sera quando non riesco a dare senso a nessuna preghiera, quando l’amore mi pare una abitudine e l’amicizia un egoismo camuffato;
E’ sera quando sperimento noia e non c’è niente che mi piace da fare;
E’ sera quando mi si chiude il cielo sopra la testa, perché mi affido solo … ai miei sensi.
Insomma, ciascuno di noi ha il suo buio e oggi può dire a Gesù “Resta qui, non mi lasciare solo, stai con me, stringimi forte perché scivolo via come l’acqua.”
Egli entrò per rimanere con loro. Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro.
Gesù accetta l’invito: si ferma, non fugge, resta, si siede a mensa, vuol condividere il pane quotidiano, si accompagna nel momento della gioia della condivisione … e compie quel gesto profondo, innovativo, rivoluzionario e intimo dell’ultima cena: Quella l’avevano ancora negli occhi, quel dono prima di morire li aveva “stregati”, li aveva convinti che Gesù non poteva abbandonarli.
Si aprirono i loro occhi: il corpo spezzato e il sangue versato sono segni di riconoscimento dei cristiani.
E’ solo lì che noi possiamo definirci: il brano evangelico qui va sicuramente oltre la narrazione di un fatto, assurge a simbolo della nuova vita dei credenti; quei due discepoli che riconoscono Gesù allo spezzare del pane sono la comunità cristiana di tutti i tempi che si ritrova a fare Eucaristia sotto ogni cielo, ad ogni latitudine a incontrare il Risorto, la Domenica.
Da Emmaus fino alla fine del mondo, fino al Regno dei cieli, l’Eucaristia scandisce i tempi della vita del mondo e dell’avvicinarsi del ritorno di Gesù Risorto.
Sono andati a Messa e hanno smesso di sentirsi soli, di parlare all’imperfetto, di tirare calci di dispetto ai sassi … hanno smesso di dire ormai … S’è illuminata la loro vita dal buio della loro vita.
… ma lui sparì dalla loro vista.
Divenne invisibile ai loro occhi, dice letteralmente il vangelo, non è andato via, è sempre presente, è sempre lì nel pane e nel vino, nella preghiera di ringraziamento, nello spezzare del pane.
Tocca a noi ora rendere visibile la sua presenza nel mondo, perché Lui è qui: da quando è risorto è presente, attivo, soltanto invisibile agli occhi.
E i due di Emmaus dicono …
Non ci ardeva forse il cuore nel petto …
C’è ora un cuore ardente in ciascuno di loro.
Era ardente anche il roveto del deserto, ardeva nell’indicare la presenza di Dio, oggi sono questi cuori che ardono che indicano agli amici la presenza di Dio e se ne corrono a portare questo fuoco a tutti.
Eccezionali per ogni generazione le parole di Giovanni Paolo II a Tor Vergata nel 2000: “Sono certo che anche voi, cari amici, sarete all’altezza di quanti vi hanno preceduto. Voi porterete l’annuncio di Cristo nel nuovo millennio. Tornando a casa, non disperdetevi. Confermate ed approfondite la vostra adesione alla comunità cristiana a cui appartenete. Da Roma, dalla Città di Pietro e di Paolo, il Papa vi accompagna con affetto e, parafrasando un’espressione di Santa Caterina da Siena, vi dice: “Se sarete quello che dovete essere, metterete fuoco in tutto il mondo!” (cfr Lett. 368).
Questa presenza di Gesù è necessaria come l’aria che respiriamo.
E continuava il Papa “Affido a voi, carissimi amici, questo che è il più grande dono di Dio a noi, pellegrini sulle strade del tempo, ma recanti nel cuore la sete di eternità. Possa esservi sempre, in ogni comunità, un sacerdote che celebri l’Eucaristia! Chiedo per questo al Signore che fioriscano tra voi numerose e sante vocazioni al sacerdozio. La Chiesa ha bisogno di chi celebri anche oggi, con cuore puro, il sacrificio eucaristico. Il mondo ha bisogno di non essere privato della presenza dolce e liberatrice di Gesù vivo nell’Eucaristia!”
E partirono senza indugio …
La vera traduzione è: si alzarono nella stessa ora e fecero ritorno a Gerusalemme.
Questo giorno non finisce più: “Ma non era sera, non c’era ormai buio, non ci si stava disponendo a lasciar passare il tempo della notte nella calma? La notte è nostra, ce la teniamo stretta, serve a noi, ad andare fuori di testa tante volte, il giorno non ci piace è pieno di gente che ci importuna. Lasciateci qui, a riprenderci la nostra vita. Invece con quella forza, con quel fuoco, con quella verità che è scoppiata nella loro vita hanno deciso di fare della notte il loro vero nuovo giorno; correndo, hanno ripreso il cammino stavolta nella direzione giusta, con il cuore pieno e vivo, con l’ardore della loro vita e la forza della loro fede.
Hanno rischiarato la notte, l’han fatta diventare il tempo della missione: non è il tempo dello sballo, della ricerca … della felicità sbagliata, ma della comunicazione del tesoro e del fuoco della vita.
Sono tornati dagli undici, cioè là dove era raccolto il piccolo resto di impauriti, che a mano a mano prendevano speranza.
Con gli undici c’era Maria, la madre di Gesù: se li è visti ritornare come ogni mamma che sta silenziosa a vedere che scelte libere fanno i figli … vanno vengono, hanno i loro dubbi, si prendono le loro libertà, fanno le loro fughe … e loro, le mamme, aspettano che cigoli la porta di casa la mattina della domenica, tirando un sospiro: “è tornato, è tornata ancora viva, speriamo anche nell’anima…”
I discepoli di Emmaus, tornano di notte, fanno cigolare la porta del Cenacolo, vi trovano Maria e non hanno bisogno di annunciarle che Gesù è risorto – lei non ne ha mai dubitato – ma solo di dirle che lo hanno visto anche loro, e cantano con Lei il Magnificat, la gioia dell’inizio di un mondo nuovo, definitivo.
E’ quello che vorremmo fare anche noi sempre, dire con Lei il Magnificat: siamo contenti perché Gesù si è affiancato a noi, ha fatto grandi cose, ha sconfitto la morte, ha disperso i superbi, ha distrutto la nostra continua depressione, ha dato fiato a chi non ha voce, ha visitato le nostre giornate, ha risposto alle nostre attese.
Maria, abbiamo incontrato il Signore Gesù, vogliamo fare festa con te, ringraziarti che ci sei stata vicina e continuare con te a vivere questa fede pasquale.
Una riflessione esegetica sul Vangelo secondo Giovanni (Gv19,25.20,1-2.11-18 )
Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Clèofa e Maria di Màgdala.
Nel giorno dopo il sabato, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di buon mattino, quand’era ancora buio, e vide che la pietra era stata ribaltata dal sepolcro. Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!».
Maria invece stava all’esterno vicino al sepolcro e piangeva. Mentre piangeva, si chinò verso il sepolcro e vide due angeli in bianche vesti, seduti l’uno dalla parte del capo e l’altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù. Ed essi le dissero: «Donna, perché piangi?». Rispose loro: «Hanno portato via il mio Signore e non so dove lo hanno posto». Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù che stava lì in piedi; ma non sapeva che era Gesù. Le disse Gesù: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?». Essa, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: «Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove lo hai posto e io andrò a prenderlo». Gesù le disse: «Maria!». Essa allora, voltatasi verso di lui, gli disse in ebraico: «Rabbunì!», che significa: Maestro! Gesù le disse: «Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va’ dai miei fratelli e di’ loro: Io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro». Maria di Màgdala andò subito ad annunziare ai discepoli: «Ho visto il Signore» e anche ciò che le aveva detto.
Maria di Magdala è un personaggio fin troppo … “chiacchierato”: su di essa si sono scatenate molte fantasie … invece noi oggi vogliamo conoscerla nella sua verità per capire la sua appassionata e coraggiosa ricerca di Gesù, e perché la nostra fede sia aiutata a crescere.
Le notizie (su di lei) che sollecitano la nostra fede sono essenziali:
è nel gruppo di donne che seguono Gesù;
è presente al Calvario;
vede con il gruppetto di donne dove seppelliscono Gesù;
va al sepolcro il mattino di Pasqua;
trova che la tomba è vuota;
chiama gli apostoli e ritorna al sepolcro a piangere la perdita di Gesù …
… e finalmente lo incontra.
Molti – purtroppo – pensano che la fede sia un “tranquillante dell’anima”, un “oppio per dimenticare” o per addormentare i problemi … invece è una grande e rischiosa avventura spirituale … e Maria Maddalena ce ne indica i passi fondamentali.
La fede ha come … punto di partenza la ricerca: una ricerca non superficiale, ma appassionata che coinvolge tutto se stessi.
Noi arriviamo a credere veramente in Cristo solo quando sentiamo la sua assenza dalla nostra vita come un fatto insopportabile. Abbiamo noi questo desiderio di incontrare il Signore, di correre alla sua ricerca? Abbiamo la volontà di non arrenderci di fronte alle difficoltà della vita? Quante volte siamo tentati di abbandonare la lotta della fede, o di annacquarla riducendola a facciata, routine, senza nerbo ne entusiasmo: è il banco di prova, il momento migliore che ci è offerto per rinsaldarla cercando Gesù, amandolo anche quando mi sembra assente, riconoscendolo come il “tutto della mia vita”, come “colui che è il mio Signore”.
Alla Maddalena lo potranno portar via dal sepolcro, ma non dal cuore!
A noi lo cancellano le nostre superficialità, la nostra autosufficienza, il nostro benessere, la nostra sicumera … ma, quale è il segreto che ha permesso a Maria Maddalena di continuare a cercare il Signore, di non scoraggiarsi, di avere nel cuore una tenacia imbattibile e quindi di incontrarlo? Il segreto è che Maria Maddalena aveva fatto una scelta precisa: era stata in contatto personalmente con Gesù Crocifisso.
Gli apostoli erano … fuggiti quasi tutti: erano rimasti in quattro, sua madre Maria, la sorella, Giovanni, Maria Maddalena e la sua amica, Maria di Cleofa.
Entro un atmosfera generale di odio, di indifferenza, di grettezza brutali Gesù muore e trova accoglienza solo in queste persone, che non si preoccupano dell’ostilità e dell’odio che hanno attorno, perchè sono “calamitate” da quella croce.
Certo, stare sotto la croce fa paura, perchè non ci si ritrova in grande compagnia: ci si isola terribilmente, ci fa sentire in minoranza nel mondo, ma la chiesa è proprio nata da quello sparuto gruppo che ha saputo stare sotto la croce e attendere la resurrezione.
E Gesù risorto, amato, cercato si dà a vedere e diventa l’unica speranza della nostra vita: nel pieno della nostra faticosa e sofferta ricerca lui stesso ci viene incontro improvvisamente e ci trova prima che noi troviamo Lui. Così capita alla Maddalena.
Un confronto fra i due passi – che riguardano la Maddalena – che abbiamo letto (Capitolo 20, i versetti 1 e 2 e poi più avanti i versetti 11-18) ci aiuta a seguire meglio le tappe di questa progressione.
Il primo testo racconta gli spostamenti di Maria e la sua tensione crescente: “viene… al sepolcro”; poi ritorna correndo a portare il suo messaggio ai discepoli, ma nella seconda scena tutto si svolge al sepolcro, tutto è tranquillo e denota una specie di ostinazione di Maria … a differenza dei discepoli, “ella stava presso il sepolcro”: non voleva abbandonarlo, manifestando così il suo attaccamento a Gesù.
Si sporge all’interno del sepolcro, guarda attentamente … «due angeli seduti ai piedi e alla testa di un corpo assente » … nelle parole che rivolge loro, ella ripete il messaggio che aveva già portato ai discepoli, ma con due modifiche significative: ai discepoli aveva detto «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno messo», agli angeli dice «Hanno portato via il mio Signore e io non so dove l’hanno messo».
Prima (in 20, 2) era semplicemente messaggera presso i due discepoli: adottava il punto di vista di tutto il gruppo – insomma – ma la sua risposta è nettamente diversa nel secondo caso … viene presentata qui la reazione personale di Maria di fronte al problema del sepolcro vuoto, e anche il suo rapporto personale con Gesù»
Questo punto di vista, troppo personale, troppo umano, è ancora sottolineato dalle lacrime di Maria: il verbo « piangere » ritorna quattro volte in questo brano (capitolo 20 versetti 11-15); essa spiega la ragione della sua pena con le parole già citate: « Hanno portato via il mio Signore, e io non so dove l’hanno messo » … non sospetta minimamente che egli potrebbe essere risuscitato; è convinta che abbiano messo in qualche altro posto il corpo del suo Signore; vuole conoscere questo posto per andare a riprendere lei stessa quel corpo inerte: potrà almeno ricordarle colui che ella ha conosciuto.
Parla del suo Signore, come se non appartenesse più che a lei sola: quel titolo “Kyrios” – Kyrie diciamo a messa, no? – troppo personalizzato, non ha qui la dimensione trascendente che assumerà più avanti.
Maria deve essere liberata da un attaccamento ancora troppo sensibile al Gesù terreno: deve abbandonare la sua volontà di possederlo.
Lo stesso attaccamento al sensibile impedisce più tardi a Maria di riconoscere Gesù stesso risuscitato: le occorrerebbe la fede! Ecco perché, alla domanda degli angeli: «Donna, perché piangi?» (20, 13), Gesù stesso aggiunge: « Chi cerchi? » (20, 15).
Con questo invita Maria a prendere coscienza dell’equivoco della sua ricerca e a purificarla nella fede: invece di tormentarsi a proposito del luogo dove pensa abbiano messo il corpo morto del suo Signore, deve cercare il Cristo, il Signore vivente; la sua ricerca deve cessare di essere preoccupazione di trovare il Signore per sé, e trasformarsi in un movimento verso di lui.
Una domanda ci dobbiamo fare: chi cerchiamo noi nella nostra vita? Quando ti poni di fronte a Gesù, chi cerchi?
Nell’Evangelista Giovanni il termine cercare riferito a Gesù, ha sempre per oggetto Gesù nel suo mistero. Tutti, Maria di Magdala, i discepoli, i cristiani, i giovani, i ragazzi devono porsi la domanda essenziale: «Dov’è Gesù?».
Se noi cresciamo nella fede come Maria di Magdala e gli apostoli a questa domanda daremo un po’ alla volta una risposta molto diversa: non ha più importanza, come per Maria, di sapere dove hanno messo il suo corpo morto e di cercare questo corpo; si tratta ormai di sapere dove realmente è il Cristo, nella sua vita profonda, nel suo mistero.
Colui che i discepoli ormai dovranno cercare, non è più il Gesù terreno quale essi l’hanno conosciuto, ma colui che è «nella casa del Padre», colui che è nell’intimità del Padre.
Lo stesso tema è suggerito al versetto 15 che abbiamo sentito: Maria non deve più aggrapparsi ai ricordi del passato, cercando il corpo morto del suo Signore.
I versetti che seguono diranno come deve orientarsi la sua ricerca: dovrà cercare nella fede colui che, in quello stesso momento, sale verso il Padre suo (20, 17). Allora soltanto, essa saprà dove è realmente il Signore: « Il luogo di Gesù è il Padre!».
Allora … facciamo alcune riflessioni per la nostra vita.
La fede è un dono del Cielo, ed è essenzialmente un cammino: l’evangelista Giovanni descrive l’incontro tra Gesù e la Maddalena con grande intensità e attraverso il suo racconto possiamo contemplare l’opera di Dio, lo svelamento del Mistero della vittoria di Gesù sulla morte e come questo mistero giunga, sino a realizzarsi, nella vita della Chiesa e dei cristiani.
Maria Maddalena è infatti immagine della Chiesa e di ciascuno di noi … di noi che abbiamo ascoltato l’annuncio del Vangelo, che lo abbiamo accolto, che abbiamo sperimentato tante volte il potere di Gesù nella nostra vita … ma che ci troviamo, probabilmente anche oggi, ancora incapaci di una vera gioia, di una vera libertà.
Per arrivare a questo occorre fare un vero salto per capire la completa novità di cui la fede è portatrice: Maria si trova al sepolcro, spinta da un amore invincibile! Forse non è lo stesso nostro amore, ma le lacrime sì: quelle sono esattamente come le nostre … e la domanda degli angeli ci raggiunge come un fulmine ad illuminare la radice profonda dei nostri dolori, di ogni nostra lacrima. “Perchè piangi?”. Maria piange perchè hanno portato via il suo Signore e non sa dove lo hanno posto: lo vuol trovare per riportarlo dov’era, nella tomba e poterlo piangere sapendolo lì … vuole una certezza, una presenza, un luogo, un segno.
Maria piange perchè ha perso quella carne che, seppur morta, fredda, incapace di parlare, di ridere, di guardare … confermi i suoi ricordi, che le permetta di riandarvi certa che i fatti sono accaduti esattamente come lei li ha scolpiti nella mente e nel cuore: Maria piange perchè le è stato sottratto il luogo della memoria, le hanno rubato il passato.
Maria di Magdala, innamorata persa, appassionata, è l’immagine fedele di ciascuno di noi, e della Chiesa intera; noi purtroppo siamo come la moglie di Lot – non so se ricordate – si tratta di un episodio della Bibbia abbastanza noto: “Il sole spuntava sulla terra e Lot era arrivato a Zoar, quand’ecco il Signore fece piovere dal cielo sopra Sòdoma e sopra Gomorra zolfo e fuoco proveniente dal Signore. Distrusse queste città e tutta la valle con tutti gli abitanti delle città e la vegetazione del suolo. Ora la moglie di Lot guardò indietro e divenne una statua di sale (Gen 19, 23-26)”.
Anche noi spesso abbiamo la tentazione di guardare indietro, di tornare sempre al passato, di stare rintanati a casa, anziché affrontare la vita con le nostre responsabilità. La famiglia lunga del mondo giovanile, il non decidersi mai che cosa fare è sicuramente dovuto a difficoltà oggettive, ma spesso è inerzia, è voltarsi indietro, è mancanza di coraggio. Il culto dei ricordi, non è ricerca delle radici, ma spesso voltarsi indietro.
Noi piangiamo perché cerchiamo la tomba dove poterci rannicchiare e ricordare, malinconicamente, quanto abbiamo perduto, quanto avremmo voluto fosse accaduto e invece non è stato. Cerchiamo un guscio, un feticcio, un brandello di quella vita che abbiamo deciso sia stata l’unica isola felice della nostra esistenza. Abbiamo tutti, anche se giovani, voglia di tornare a qualche bella esperienza del passato.
Stiamo facendo diventare un culto la fotografia. Tutto deve essere fissato nella vita che invece scorre sempre, si rinnova, cresce. E’ talmente alto il ritorno al passato che quasi si preferisce guardare gli eventi in fotografia anziché viverli in pienezza quando si realizzano. Preferiamo guardare la vita al virtuale e al passato piuttosto che viverla al presente e orientati al futuro.
Gli occhi di Maria sono così protesi al passato che, all’apparire di Gesù in persona, sono incapaci di riconoscerlo. E’ Lui, l’amato del suo cuore, ma i suoi occhi ne percepiscono solo le sembianze di un giardiniere, ovvero esattamente il tipo di persona che ella si aspetta di incontrare in quel luogo, un giardino per l’appunto. Gli schemi della sua mente e del suo cuore sono imprigionati nella carne, nell’angusto perimetro dell’orizzonte umano e delle sue aspettative. E’ questa un’immagine fedele di quel che, per Maria prima e per ciascuno di noi poi, sia la fede nella risurrezione. Essa può essere al massimo un ritorno del passato. Un rivivere quel che già è stato, magari trasfigurato dai ritocchi che i nostri desideri hanno apportato, limature degli spigoli qua e là, potature delle sofferenze più aspre, ma, in definitiva, la nostra mente carnale non può concepire una risurrezione diversa da quella che già fu di Lazzaro, una riemersione dalla morte di un passato che conosciamo bene, una vita che riteniamo ingiustamente interrotta, speranze sottratte che ci vengono riaccordate.
Gesù è un giardiniere, perchè è lì che ci troviamo e non ci aspettiamo nulla di realmente sorprendente.
Gesù è un becchino perché la nostra vita è fatta di loculi.
Gesù è un bagnino perché viviamo sempre in cerca di salvataggi estremi.
Gesù è un portafortuna, perché la nostra vita è un terno al lotto,
per molti giovani Gesù è un amicone, perché la loro vita è la ricerca di compagnie da sballo,
per molti adulti Gesù è l’amico del talk show, della poltrona, tanto non si smuove dalle sue comodità,
è il banchiere dei suoi affari,
il monumento dei suoi riti,
il sospiro dei suoi ricordi …
E invece accade l’inspiegabile. Cristo è risorto, ma, pur essendo proprio Lui, è una creatura nuova. E occorrono occhi nuovi, non più incatenati alla carne e al passato, ma liberi e dischiusi dinnanzi al Mistero di qualcosa di assolutamente nuovo. Occhi capaci di umile stupore. Gli occhi dello Spirito, accesi dalla fede, quella vera, quella che viene dal Cielo e che li attira verso il Cielo.
Comprendiamo ora perchè la nostra fede è ancora così infantile, incapace di reggere all’urto violento della morte. Perchè siamo ancora materialisti, il nostro pensiero è volto alla terra, un sentire che scaturisce dal mondo. I criteri con cui discerniamo, gli occhi con cui guardiamo, seppur intrisi d’amore, sono ancora avvolti di sapienza mondana, e quello che davvero speriamo è solo il prodotto delle nostre menti, dei nostri desideri, dei nostri affetti. Non ce ne accorgiamo, ma speriamo solo il passato.
L’incontro è reso possibile perché il Signore chiama Maria per nome.
Nella S. Scrittura chiamare per nome significa prendere possesso. Il Risorto prende possesso dell’umanità povera di Maria Maddalena. “Maria!”: questa chiamata crea il Paradiso perché riammette l’umanità nell’alleanza sponsale con Cristo. Ogni singola persona è chiamata col suo nome proprio. Alla chiamata Maria risponde. Ha riconosciuto il suo Signore [“Rabbunì”] ed ormai è tutta rivolta verso di Lui [“voltatasi verso di Lui”]. Ed avviene l’abbraccio, l’unione.
“Maria”, questo nome pronunciato con amore, questa chiamata di Gesù ce la dobbiamo sentire per ciascuno nella nostra esistenza. Siamo svegliati dal torpore da una chiamata personale. E’ Gesù che ci chiama per nome! ecco il segno della novità. Come sarà per Pietro sulle rive del Mare di Galilea.
La chiamata che li ha messi in cammino, che ha cambiato radicalmente la vita, a Maria, come a Pietro, come a ciascuno di noi. Il nostro nome pronunciato stavolta da labbra nuove, da labbra celesti. Il passato si rischiara di nuova luce, non è più un luogo dove riandare con la nostalgia sperandone un impossibile ritorno. Il passato si veste dello splendore che lo illumina e lo trasfigura in una meravigliosa, e mai conclusa, storia di salvezza.
La prima chiamata preludeva a questa, di oggi, di quest’oggi fattosi eterno, e nuovo, e impensabile, e stupefacente. Il nostro nome ci raggiunge dal Cielo, dalle labbra di Colui che ha vinto la morte, il muro della carne, che ha aperto una breccia nell’angusto orizzonte che ci ha schiacciato sino ad ora in un mondo di rimpianti e paure.
E’ l’alba della risurrezione, della vita nuova. La risurrezione non è il rivivere del passato, è il sorgere di un futuro inatteso, inimmaginabile. Tutto nuovo, tutto diverso, eppure tutto vero e dentro la stessa storia, la stessa vita che ci ha condotti sino ad ora. La resurrezione è questo mistero di novità che ci stordisce di una gioia mai provata, un dono che neanche osavamo sperare. Un cuore nuovo, una vita nuova dove camminare, liberi, quali figli e non schiavi.
Gli occhi di Maria finalmente si spalancano sul Signore, la sua carne ancora ruggisce e vorrebbe trattenere di nuovo, e appropriarsi dell’amato. Ma a questo punto avviene qualcosa di drammatico. Lo Sposo sembra rifiutare l’abbraccio: “non mi trattenere”. In realtà è ad un’unione interamente vera che Cristo chiama l’anima, “Non sono ancora salito al Padre”, e quindi lo Spirito Santo non è stato ancora donato. E, come insegna S. Paolo, solo chi ha lo Spirito di Cristo è uno solo con Lui.
Gesù ascende al Cielo, Lui, la Via, la Verità, la Vita che ci attira a sè nella novità di una vita tutta da scoprire, continua ad alzare la meta davanti a noi, ad attiraci oltre. La vita cristiana, la vita che ha oltrepassato la barriera della morte e si può donare, per amore. La vita nascosta con Cristo in Dio, la vita carnale crocifissa che reca, come in uno scrigno, la Vita Celeste che vi ha preso dimora.
E’ la resurrezione, il pensiero di Cristo nei nostri pensieri, il suo amore come una fonte che scaturisce dalla pietra che è il nostro cuore, che fa scaturire
il perdono dove c’era il rancore,
la pazienza dove c’era solo ira,
la cura dove c’era solo tiepidezza,
la misericordia dove c’era il giudizio,
la libertà dove c’era schiavitù.
l’amore dove c’era passione ed egoismo.
la castità dove c’era concupiscenza morbosa,
occhi limpidi dove c’erano sguardi idolatri,
la gioia dove c’erano lacrime piene di rabbia e rancore,
la pace dove c’era angoscia e inquietudine.
l’abbandono fiducioso dove c’era avarizia.
il Cristo risorto, dove c’eravamo solo e solamente noi, gonfi orgogliosi del nostro io.
Le tappe di un cammino necessario
Il cammino che ha permesso a poco a poco a Maria di Magdala di riconoscere in Gesù il Signore è fatto di alcune tappe:
Prima, alla vista del sepolcro vuoto, era preoccupata di « ritrovare il suo Signore » (20, 13);
poi aveva visto Gesù stesso, ma scambiandolo per il giardiniere (20, 14-15);
in seguito l’aveva riconosciuto, ma solamente come il suo Maestro (20, 16);
ora, dopo la parola rivelatrice di Gesù, sa finalmente che egli è il Signore: « Approfondendosi, vista ed esperienza giungono a intuire il mistero di Gesù ».
Essa ha finalmente compreso che il tempo passato dei rapporti diretti con il Gesù terreno è finito: Gesù è risuscitato, è il Signore, sale definitivamente verso il Padre, egli è presso il Padre. Questa scoperta non è più riservata solo a lei: Maria va a portare questo messaggio pasquale ai discepoli.
La missione
La resurrezione è tutto questo, è il cammino della fede adulta. In essa non conosciamo più nessuno secondo i nostri semplici sensi, neanche Cristo. Nessuno e nulla è più imprigionato nella cella della carne. In Lui, risorto, siamo creature nuove. Le cose vecchie sono passate, ne sono nate di nuove. Siamo figli di nostro Padre, del Padre di Gesù. Siamo di Cristo, che è risorto davvero, e lo possiamo vedere con gli occhi della fede, il dono più prezioso. E’ Lui che ha catapultato Maria ad annunciare quello che aveva visto, il Signore, Cristo Risorto, la novità che ogni uomo attende senza saperlo. La novità che ci ha raggiunti, sorpresi, salvati, risuscitati.
E il vangelo continua: “ma va dei miei fratelli …”. Non ci è dato ora il riposo nell’unione col Signore; a noi è chiesto di andare ad annunciare ai nostri fratelli che Gesù è il Signore e che in Lui siamo figli del Padre suo. La partecipazione al banchetto nuziale non ci è ancora data perché la storia non è finita. Siamo nel tempo della testimonianza e della missione.
La nostra missione ha la sua origine nell’incontro della fede. Come la Maddalena: “ho visto il Signore”; come Paolo che ha visto il Signore. Il contenuto della nostra missione è di dire all’uomo il messaggio che ci è stato affidato: “… e ciò che le aveva detto”. La nostra non è vita di riposo nella contemplazione della Verità, ma è vita di fatica nell’esercizio della carità pastorale. Non possiamo dire allo Sposo: “mi sono lavata i piedi/ come ancora sporcarli?” [Cant 5,3]. Occorre invece sporcarli lungo le strade dell’uomo, perché l’uomo è la via della Chiesa.
“Maria andò subito ad annunziare…”. “La colpa del genere umano è recisa da dove aveva avuto origine. Siccome infatti nel paradiso la donna aveva propinato all’uomo la morte, dal sepolcro una donna annuncia agli uomini la vita e riferisce le parole di chi ne è l’Autore, mentre l’altra aveva ripetuto le parole del serpente da cui viene la morte” (Homiliae in Evangelium XI, 6)
Quel manipolo di impauriti e ignavi non sono più una compagnia fallimentare, ma sono una comunità che mette al centro il risorto e che solo nel suo nome e nella sua forza si costituiscono comunione per tutti, segno di una umanità nuova, certezza di cammino di ricerca, comunità di testimoni che d’ora in poi cercheranno di tradurre in linguaggi culturali comprensibili nella vita e nella società l’umanità nuova che il cristiano incarna nel vivere in sé e nel mondo delle sue relazioni la fede pasquale. Ci sono una sorgente, un fondamento da cercare e una testimonianza da offrire.
Testimone è chi sa sperare.
L’annuncio di Gesù risorto non sarà una formula, una verità da consumare con qualche tesi teologica, anche se occorre sempre dare alla fede un sevizio di intelligenza e di senso per essere vissuta e proposta in una esperienza umana e con un linguaggio umano, ma sarà una speranza viva che i cristiani sapranno testimoniare. Dentro questa nostra società in cui sperimentiamo come tutti disorientamento, incertezza, stanchezza, smarrimento e disperazione (ritornano le cinque parole con cui oggi abbiamo definito la sete di speranza), siamo capaci di portare quella serena fiducia che toglie noi e ogni nostro fratello da questa situazione. Noi con semplicità dobbiamo offrire quell’orientamento globale alla vita, che sperimentiamo nel dialogo fiducioso quotidiano con Dio, la certezza necessaria guadagnata smontando le false sicurezze e orientando la ricerca nella direzione del Signore Gesù. Con l’aiuto di Dio facciamo sperimentare che c’è una forza, un riposo contro la stanchezza, che il nostro smarrimento si risolve, anche faticosamente, in ritrovata prospettiva di vita personale, familiare e pubblica, che la disperazione è vinta dall’affidamento nelle braccia del Padre, fatto di preghiera, di ascolto, di partecipazione alla grazia di Dio, che ci viene sempre offerta nell’Eucaristia, celebrata in una comunità, anche povera, ma viva e consapevole di incontrarvi il Signore, il Crocifisso Risorto.
10 Aprile 2021 +Domenico
Domande su cui riflettere per un opportuno approfondimento
Chi cerco nella mia vita?
Dove e come sperimento nella mia vita la forza della risurrezione di Gesù?
Che cosa sono disposto a donare per la bellezza e la bontà della vita di tutti?
Come tento di ridire con coloro che fanno strada con me l’amore che mi canta nel cuore per il Signore Gesù?
Sono fiero di far parte di una comunità che vuol testimoniare la fede in Gesù risorto?
Una riflessione Esegetica sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 20,1-9)
Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!». Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario che era stato sul suo capo non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte. Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti.
Il grande mattino del primo giorno dopo il sabato presenta una novità: era un volgare lunedì, come tutti i nostri, quando riprendiamo il lavoro interrotto dalla domenica…
Sembrava ormai che la “vicenda Gesù” fosse tutta risolta: ammazzato lo abbiamo, sepolto pure, proprio non come volevamo noi in una fossa comune, in maniera che non fosse più identificabile dopo la morte, ma pur sempre cadavere.
La festa allora era il sabato, e il primo giorno dopo invece noi lo abbiamo chiamato “domenica”, il giorno del Signore.
Perché? Perché quel mattino il Signore, pestato a sangue e portato al macello, non è più nella tomba, è risorto, vincitore sulla morte, tornato a sconfiggere il male, che perseguita l’uomo di ogni tempo e di ogni coscienza.
Come sono andate le cose? L’abbiamo udito dal Vangelo … ci sono tre verbi che il vangelo di Pasqua ci presenta a conclusione di una corsa affannata e concitata di due apostoli al sepolcro: entrarono, videro e credettero: sono i tre verbi che devono caratterizzare la nostra vita cristiana.
Sono verbi riferiti a due persone: un giovane e un vecchio, che il mattino di Pasqua si misero a correre, stanati dalla loro inedia dal grido della Maddalena “hanno portato via il corpo di Gesù” … è Giovanni, il giovane discepolo che con Pietro si avventura di nuovo per quelle strade tragiche del giorno di Parasceve: avevano passato la giornata a piangersi addosso, a ridirsi la delusione … Pietro a raccontare continuamente il suo tradimento di cui non si dava pace; aveva ancora le lacrime agli occhi: non erano lacrime di disperazione, ma di amore … cercato; non era all’altezza … all’altezza dell’amore profondo di Gesù, ma … sempre tenace a riprendere il cammino verso di Lui.
Giovanni si stava domandando che cosa ne sarebbe stato della sua giovane vita … la corsa però finisce col cuore in gola davanti a quel sepolcro: si può entrare, la pietra è ribaltata fuori dalla guida necessaria per farla rotolare, quindi nemmeno si devono chiamare rinforzi per poter entrare … qualcosa di strano è accaduto ed entrano: nella vita occorre sempre entrare, non stare alla finestra, in superficie; non si può vivere di “virtuale”, di simulazioni, di carta stampata o di immagini che scorrono sempre davanti agli occhi mattino e sera, che ti danno solo le idee degli altri.
Papa Francesco dice, sempre, ai giovani di non stare in poltrona o al balcone a passare la vita: ognuno deve farsi la sua esperienza, lasciarsi prendere la vita, non la fantasia o i “selfie” soltanto.
Le persone vanno incontrate, non fotografate o salutate solo con qualche sms.
Gli occhi corrono in un baleno alla pietra su cui era stato posto il cadavere, quegli occhi in cui ancora c’era la visione del corpo martoriato, che hanno incrociato lo sguardo d’amore di Gesù, quell’ultimo suo sorriso nel dono supremo di sua madre “Figlio ecco tua madre”.
Quegli occhi si aprono sulla assoluta novità di quel mattino: è importante aprire gli occhi, che spesso vogliamo tenere chiusi per non essere coinvolti, aprire gli occhi sull’evidenza, per uscire da comode ideologie che ci siamo fatti e che non vogliamo mettere in discussione mai.
“Guardami almeno una volta con amore” dice il marito alla moglie, la madre ai figli; “guardami per farmi sentire che riconosci la mia dignità di uomo” dice il vicino di casa, il collega di lavoro, chi ti lava i vetri al semaforo … che cerca una patria che non ha più.
E che videro gli occhi di Giovanni? Che cosa ha visto per concludere con l’adesione di fede? C’è ancora un lenzuolo, ma è afflosciato su di sé, ha ancora attorno le bende che lo tenevano stretto al cadavere, c’è ancora al posto del capo il fazzoletto che si mette sul capo di tutti i morti, ma è ricurvo, ancora al suo posto; dentro però non c’è più niente … il cadavere è sparito dall’interno, come se … vi fosse stato sottratto! Non è stato manomesso niente, non è stato portato via niente: i ladri si sarebbero preso tutto; un cadavere è sempre repellente, quello di un maledetto da Dio ancora di più.
Il corpo di Gesù non c’è più … e ha lasciato i segni della sua sepoltura intatti.
Il terzo verbo è la conclusione felice di tutta la tensione umana e intellettuale di Giovanni e di Pietro: credettero.
Certo Gesù lo aveva detto, ora le sue parole di risurrezione sono l’unica possibilità di leggere quello che essi vedono: Il Signore è risorto, è il momento massimo della libertà: i segni ci sono, ma la realtà è più profonda dei segni: non sei mai costretto a credere. La fede non è la dimostrazione di un teorema, perché la vita non è un teorema.
Ora è il momento di affidarsi: hai usato la tua intelligenza, ti sei fatto tutte le domande vere della vita, hai visto dei segni, non sei stato alla finestra, ti sei immerso con onestà nei fatti, e adesso … devi fare il passo della fiducia: Signore mi fido di te, mi abbandono a te! Sei tu il mio Signore e il mio Dio. Non mi bastano le dimostrazioni, non mi sono sufficienti i ragionamenti, sento la dolcezza del tuo amore per me.
Credo e su questa fede oriento la mia vita: non è vero che la morte è l’ultima parola sulla vita, non è vero che la disperazione è l’ultima spiaggia di noi sfortunati; non mi abbandonare, perché il cammino è lungo … e vorrei che questa Pasqua mi illuminasse in ogni relazione della vita, in ogni luogo della mia esistenza, in ogni affetto che la rende un dono per gli altri.
Una riflessione esegetica sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 18, 29-40 e Gv 19,1-15)
Abbiamo già analizzato il “processo religioso” fatto a Gesù, oggi vogliamo analizzare e leggere, dalla parola di Dio, il “processo civile”, cioè quello fatto davanti all’autorità romana, e quindi quello che … decideva della vita delle persone, perchè gli ebrei non potevano mettere a morte nessuno se non c’era il permesso dei romani.
Giovanni insiste sul “processo civile” con una narrazione molto elaborata, che vedremo distribuita in 7 parti: va dal capitolo 18 versetto 29 di Giovanni fino al capitolo 19 versetto 15.
Vediamo in sintesi prima i personaggi: sono I giudei, il popolo, i capi, alcuni farisei e scribi. Sono l’immagine del credente incredulo tra ipocrisia e false verità, non credono nel vero Dio e in loro risalta l’ipocrisia; del resto anche noi siamo credenti religiosi ipocriti, figure a metà, e vi ci siamo quindi rappresentati tutti in questo processo.
Poi c’è Pilato, la buona volontà, ma è condizionato dalla ragione di stato, dal suo ruolo: è un uomo a metà e ha una sua nobiltà formale di tratto, ma putroppo è imbelle e succube
Gesùè la verità e l’amore rifiutati, ma sempre offerti e proposti: risaltano l’innocenza di Gesù, è proclamato re, uomo perfetto, guida autorevole e sintesi di un popolo, una vera regalità … e viene presentato, da un punto di vista logistico, tra la casa di pilato e il cortile: per ben sette volte esce ed entra. Prima volta
Prima volta: Inizio del processo, prima uscita (Gv 18, 29-32)
Uscì dunque Pilato verso di loro e domandò: “Che accusa portate contro quest’uomo?”. Gli risposero: “Se non fosse un malfattore, non te l’avremmo consegnato”. Allora Pilato disse loro: “Prendetelo voi e giudicatelo secondo la vostra legge!”. Gli risposero i Giudei: “A noi non è consentito mettere a morte nessuno”. Così si adempivano le parole che Gesù aveva detto indicando di quale morte doveva morire.
Pilato esce, gli viene richiesta la crocifissione, domanda per quale accusa e non viene riportata nessuna ragione.
Tu sei il re dei Giudei affermazione apodittica (Gv 18, 33-38a)
Pilato allora rientrò nel pretorio, fece chiamare Gesù e gli disse: “Tu sei il re dei Giudei?”. Gesù rispose: “Dici questo da te oppure altri te l’hanno detto sul mio conto?”. Pilato rispose: “Sono io forse Giudeo? La tua gente e i sommi sacerdoti ti hanno consegnato a me; che cosa hai fatto?”. Rispose Gesù: “Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù”. Allora Pilato gli disse: “Dunque tu sei re?”. Rispose Gesù: “Tu lo dici; io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce”. Gli dice Pilato: “Che cos’è la verità?”.
Pilato fa chiamare Gesù gli fa la domanda se è re. In questi testi si parla ben dodici volte di regno e re – nel vangelo di Giovanni invece c’era stato solo un accenno al regno quando Gesù parlò di notte con Nicodemo (cfr Gv 3,3) – e qui il dialogo tutto si gioca sulla regalità e c’è una affermazione di Gesù Tu l’hai detto che dà importanza a ciò che dice Pilato.
Terzo passaggio, Non ha nessuna colpa (Gv 18, 38b-40)
E detto questo uscì di nuovo verso i Giudei e disse loro: “Io non trovo in lui nessuna colpa. Vi è tra voi l’usanza che io vi liberi uno per la Pasqua: volete dunque che io vi liberi il re dei Giudei?”. Allora essi gridarono di nuovo: “Non costui, ma Barabba!”. Barabba era un brigante.
Pilato non trova colpa e lo vuol liberare e fa fare al popolo una scelta, umiliando Gesù e vedendo come la famosa regalità è anche per lui una farsa
Flagellazione assurda (Gv 19,1-3)
Allora Pilato fece prendere Gesù e lo fece flagellare. E i soldati, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero addosso un mantello di porpora; quindi gli venivano davanti e gli dicevano:“Salve, re dei Giudei!”. E gli davano schiaffi
Per fare questa operazione Pilato entra di nuovo, nella sede del giudizio – anche se il vangelo non lo dice – fa prendere Gesù e lo fa flagellare: l’umiliazione di Gesù con la soldataglia è del tutto gratuita, crudele e devastante (penso che molti di voi ricorderanno il film di Gibson al riguardo)
Ecco l’uomo (Gv 19, 4-8)
Pilato intanto uscì di nuovo e disse loro: “Ecco, io ve lo conduco fuori, perché sappiate che non trovo in lui nessuna colpa”. Allora Gesù uscì, portando la corona di spine e il mantello di porpora. E Pilato disse loro: “Ecco l’uomo!”. Al vederlo i sommi sacerdoti e le guardie gridarono: “Crocifiggilo, crocifiggilo!”. Disse loro Pilato: “Prendetelo voi e crocifiggetelo; io non trovo in lui nessuna colpa”. Gli risposero i Giudei: “Noi abbiamo una legge e secondo questa legge deve morire, perché si è fatto Figlio di Dio”.All’udire queste parole, Pilato ebbe ancor più paura
Come abbiamo sentito esce di nuovo ed esce anche Gesù e Pilato usa quella frase misteriosa di grande significato per noi e che poi commenteremo e su di essa rifletteremo
Gesù in dignità (Gv 19,9-12)
ed entrato di nuovo nel pretorio disse a Gesù: “Di dove sei?”. Ma Gesù non gli diede risposta. Gli disse allora Pilato: “Non mi parli? Non sai che ho il potere di metterti in libertà e il potere di metterti in croce?”.
Rispose Gesù: “Tu non avresti nessun potere su di me, se non ti fosse stato dato dall’alto. Per questo chi mi ha consegnato nelle tue mani ha una colpa più grande”.
Da quel momento Pilato cercava di liberarlo; ma i Giudei gridarono: “Se liberi costui, non sei amico di Cesare! Chiunque infatti si fa re si mette contro Cesare”.
Pilato rientra ancora, chiede a Gesù di dove è.
Gesù non risponde perché non ne vede nessuna attinenza al suo processo o perché il silenzio è la risposta più vera, e di fatto Pilato esce nella sua sortita più insipida, rinfacciando a Gesù il suo potere: non sa proprio chi ha davanti, neanche se lo è forse chiesto … e Gesù si erge ancora nella sua dignità, conduce ancora lui il processo ‘non avresti nessun potere se non ti fosse dato dall’alto’
E l’ultimo passaggio : Ecco il vostro re (Gv 19, 13-15)
Udite queste parole, Pilato fece condurre fuori Gesù e sedette nel tribunale, nel luogo chiamato Litòstroto, in ebraico Gabbatà. Era la Preparazione della Pasqua, verso mezzogiorno. Pilato disse ai Giudei: “Ecco il vostro re!”. Ma quelli gridarono: “Via, via, crocifiggilo!”. Disse loro Pilato: “Metterò in croce il vostro re?”. Risposero i sommi sacerdoti: “Non abbiamo altro re all’infuori di Cesare”.
… esce un’ultima volta; i Giudei fanno a Gesù l’accusa di essere re, Pilato siede in tribunale – qualche esegeta dice che fa sedere Gesù beffandosi di Lui sullo scranno del tribunale – e dice un’altra frase significativa. Ecco il vostro re.
Si impaurisce e consegna loro Gesù per la crocifissione.
Noi però vogliamo terminare qui a questa affermazione: “Ecco il vostro re”.
C’è molto da riflettere. Potremmo spendere tempo ad analizzare che anche questo processo è una farsa, pure se fatta con tutta la formalità del diritto romano, pure ingiusta e penosa dal punto di vista di un magistrato di Roma, patria del diritto, ma desideriamo andare più in profondità.
Contempliamo sempre il nostro Gesù che viene passo passo umiliato, percosso, deriso, schernito, barattato con un ladro, privato di ogni dignità, che Lui però non perde, manifestando sempre di stare molte spanne al di sopra di tutti quelli che sono stati convocati a dare una parvenza di legalità alla sua uccisione.
Da notare sempre la serenità e calma di Gesù, la sua padronanza dei fatti, la percezione di una umanità per cui muore e che cade sempre più in basso, sapendo Lui che si deve caricare sulle sue spalle e nella sua vita tutto questo male per poterlo sradicare dal mondo.
“Ecco l’uomo, Ecco il vostro re”.
A queste due affermazioni di Pilato dedichiamo una attenta meditazione, un’altra attenzione.
Due elementi sono da mettere in risalto
Ecco l’uomo: Gesù appare come l’uomo nella sua verità, obbediente a Dio Padre, umiliato, deriso … eppure è l’uomo perfetto nel paradosso giovanneo; Gesù ha adempiuto il disegno per cui si è incarnato, è diventato l’Emanuele, il Dio con noi, si è fatto uomo … e l’altra affermazione,
Ecco il vostro re: Gesù è presentato anche come re, quindi guida dell’umanità, rappresentante del popolo.
“Ecco l’uomo”, non lo vogliamo contemplare secondo il primo senso ovvio, della serie “questo straccio di uomo, che non è capace più a nulla, voi volete che io mi accanisca su di lui? guardate come l’hanno ridotto! che volete ancora?”, no, vogliamo pensare quest’uomo nel senso più profondo e paradossale: è una proclamazione quasi gioiosa come ce lo presenta il capitolo 53 di Isaia
Chi avrebbe creduto alla nostra rivelazione? A chi sarebbe stato manifestato il braccio del Signore? È cresciuto come un virgulto davanti a lui e come una radice in terra arida. Non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per provare in lui diletto. Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia, era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima. Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori e noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato. Egli è stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti. Noi tutti eravamo sperduti come un gregge, ognuno di noi seguiva la sua strada; il Signore fece ricadere su di lui l’iniquità di noi tutti. Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca; era come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non aprì la sua bocca. Con oppressione e ingiusta sentenza fu tolto di mezzo; chi si affligge per la sua sorte? Sì, fu eliminato dalla terra dei viventi, per l’iniquità del mio popolo fu percosso a morte. Gli si diede sepoltura con gli empi, con il ricco fu il suo tumulo, sebbene non avesse commesso violenza né vi fosse inganno nella sua bocca. Ma al Signore è piaciuto prostrarlo con dolori. Quando offrirà se stesso in espiazione, vedrà una discendenza, vivrà a lungo, si compirà per mezzo suo la volontà del Signore. Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce e si sazierà della sua conoscenza; il giusto mio servo giustificherà molti, egli si addosserà la loro iniquità. Perciò io gli darò in premio le moltitudini, dei potenti egli farà bottino, perché ha consegnato se stesso alla morte ed è stato annoverato fra gli empi, mentre egli portava il peccato di molti e intercedeva per i peccatori.
Ma io sono verme, non uomo, infamia degli uomini, rifiuto del mio popolo. Mi scherniscono quelli che mi vedono,storcono le labbra, scuotono il capo:
L’uomo nel paradiso terrestre non aveva saputo rispondere alla sua vocazione: ora invece è l’uomo come Dio vuole che nasca, l’uomo giunto a maturazione perfetta come Dio lo aveva sognato in Paradiso:
Esaltato nel battesimo – se ricordate – Questo è il mio figlio, l’amato (agapetos)
Esaltato nella trasfigurazione: i tre apostoli videro la gloria di Lui, tra Elia e Mosè
predetto da Giovanni nel suo Vangelo, capitolo primo (Gv 1, 33): tu vedrai lo Spirito Santo fermarsi su un uomo, è Lui e posso testimoniare che è Gesù il Figlio di Dio
Però quel Gesù, che fu fatto di poco inferiore agli angeli, lo vediamo ora coronato di gloria e di onore a causa della morte che ha sofferto, perché per la grazia di Dio egli provasse la morte a vantaggio di tutti. Ed era ben giusto che colui, per il quale e del quale sono tutte le cose, volendo portare molti figli alla gloria, rendesse perfetto mediante la sofferenza il capo che li ha guidati alla salvezza.
Ha assunto su di sé, come nuovo Adamo, l’umanità perduta: ha preso le nostre infermità, come dicono … come dice Matteo …
Venuta la sera, gli portarono molti indemoniati ed egli scacciò gli spiriti con la sua parola e guarì tutti i malati, perché si adempisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaia: Egli ha preso le nostre infermità e si è addossato le nostre malattie.
… ed alcuni esegeti sono di questo pensiero: per esempio un ottimo esegeta, proprio morto in questa pandemia, don Bruno Maggioni, dice che questo uomo è l’uomo perfetto che corrisponde ai disegni di Dio; è a sua volta enigmatico ma assume tutto il suo vero significato sullo sfondo dei testi sapienziali. Il vero essere umano come ancora non è mai stato manifestato.
E’ a immagine e somiglianza di Dio, fu creato così, ma lo ha dovuto e lo deve sempre diventare per realizzare a pieno la creazione … e ci aiuta in questo la lettera di San Paolo ai Filippesi
Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio l’ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre.
Ogni volta che entriamo con coraggio nella umiliazione di Cristo troviamo una pace interiore, la vittoria sul nostro male, sulla nostra ambizione. Questa emozione interore viene rafforzata ecco il vostro re che si riferisce a colui che è sintesi e guida del popolo, il messia il mediatore e salvatore universale …
“Questo è il vostro vero messia”: senza attendere la risurrezione qui viene proclamata la vera regalità di Gesù, che rende testimonianza all’amore misericordioso di Dio.
Chi vorrà mettersi alla sequela di Gesù, di questo re, dovrà accettare di essere umiliato, calpestato, deriso: Giovanni lo presenta con molta forza, totalmente immerso e dedicato al Padre, e con altrettanta forza lo presenterà nella risurrezione, perché ha bevuto fino in fondo il calice del Padre, Gesù
schiacciato emerge
ucciso vivifica
condannato a morte condanna il mondo
A me, a ciascuno di voi, spetta contemplare questo Gesù, che ha dato se stesso per me … e Qui vedo il mio peccato, Qui esprimo la fiducia grande che devo avere in Lui, chiedere di potergli stare vicino, che io sappia sopportare umiliazioni per amore tuo; qui siamo nel cuore del vangelo: viene messa in luce la sua umanità la sua dedizione: a noi seguirlo e non tirarci indietro quando ci fa partecipi delle sue umiliazioni e delle sue sofferenze
E da qui sgorga la nostra preghiera in una contemplazione orante.
Una riflessione Esegetica sul Vangelo secondo Giovanni (Gv 18, 12-28)
Dopo l’arresto di Gesù entriamo sempre più nel vivo della sua Passione affrontando i “processi” che hanno fatto a Gesù: cominciamo con il processo religioso.
C’è una difficoltà nella comprensione della passione … la passione di Gesù è difficile da capire anche per una serie di eccessi di comportamenti umani assunti da tutti nei suoi confronti che sono di una crudeltà inaudita ; eccesso di sofferenza umana. Per farcene una idea si possono leggere alcuni testi del Primo Testamento (qui propongo la Terza Lamentazione, si può vedere anche Giobbe…)
Eccesso di cattiveria umana, crudeltà gratuita e selvaggia (Lc 23), eccesso di ingiustizia sia nella farsa di processo religioso, sia in quello civile (che avrebbe dovuto essere l’orgoglio della giustizia e del diritto Romano), eccesso di amore, l’amore folle di Dio, che dà la vita per l’uomo, eccesso di trascendenza è tutto umano-divino lascia scorgere il mistero trinitario e ci vuole allora una grazia di rivelazione dallo Spirito Santo data a Pietro, a tanti santi … sant’Angela da Foligno, san Francesco d’Assisi, a Maria, la Madre di Gesù – pensate allo Stabat Mater –
Diamo lettura “contemplativa” soltanto della terza lamentazione o parte di essa, che ci rende in maniera molto “plastica”, senza giri di parole
Io sono l’uomo che ha provato la miseria sotto la sferza della sua ira. Egli mi ha guidato, mi ha fatto camminare nelle tenebre e non nella luce. Solo contro di me egli ha volto e rivolto la sua mano tutto il giorno.
Bet
Egli ha consumato la mia carne e la mia pelle, ha rotto le mie ossa. Ha costruito sopra di me, mi ha circondato di veleno e di affanno. Mi ha fatto abitare in luoghi tenebrosi come i morti da lungo tempo.
Ghimel
Mi ha costruito un muro tutt’intorno, perché non potessi più uscire; ha reso pesanti le mie catene. Anche se grido e invoco aiuto, egli soffoca la mia preghiera. Ha sbarrato le mie vie con blocchi di pietra, ha ostruito i miei sentieri.
Dalet
Egli era per me un orso in agguato, un leone in luoghi nascosti. Seminando di spine la mia via, mi ha lacerato, mi ha reso desolato. Ha teso l’arco, mi ha posto come bersaglio alle sue saette.
He
Ha conficcato nei miei fianchi le frecce della sua faretra. Son diventato lo scherno di tutti i popoli, la loro canzone d’ogni giorno. Mi ha saziato con erbe amare, mi ha dissetato con assenzio.
Vau
Mi ha spezzato con la sabbia i denti, mi ha steso nella polvere. Son rimasto lontano dalla pace, ho dimenticato il benessere. E dico: «È sparita la mia gloria, la speranza che mi veniva dal Signore».
Zain
Il ricordo della mia miseria e del mio vagare è come assenzio e veleno. Ben se ne ricorda e si accascia dentro di me la mia anima. Questo intendo richiamare alla mia mente, e per questo voglio riprendere speranza.
Het
Le misericordie del Signore non sono finite, non è esaurita la sua compassione; esse son rinnovate ogni mattina, grande è la sua fedeltà. «Mia parte è il Signore – io esclamo – per questo in lui voglio sperare».
Tet
Buono è il Signore con chi spera in lui, con l’anima che lo cerca. È bene aspettare in silenzio la salvezza del Signore. È bene per l’uomo portare il giogo fin dalla giovinezza.
Iod
Sieda costui solitario e resti in silenzio, poiché egli glielo ha imposto; cacci nella polvere la bocca, forse c’è ancora speranza; porga a chi lo percuote la sua guancia, si sazi di umiliazioni.
Caf
Poiché il Signore non rigetta mai… Ma, se affligge, avrà anche pietà secondo la sua grande misericordia. Poiché contro il suo desiderio egli umilia e affligge i figli dell’uomo.
Lamed
Quando schiacciano sotto i loro piedi tutti i prigionieri del paese, quando falsano i diritti di un uomo in presenza dell’Altissimo, quando fan torto a un altro in una causa, forse non vede il Signore tutto ciò?
Mem
Chi mai ha parlato e la sua parola si è avverata, senza che il Signore lo avesse comandato? Dalla bocca dell’Altissimo non procedono forse le sventure e il bene? Perché si rammarica un essere vivente, un uomo, per i castighi dei suoi peccati?
Nun
«Esaminiamo la nostra condotta e scrutiamola, ritorniamo al Signore. Innalziamo i nostri cuori al di sopra delle mani, verso Dio nei cieli. Abbiamo peccato e siamo stati ribelli; tu non ci hai perdonato.
Samech
Ti sei avvolto nell’ira e ci hai perseguitati, hai ucciso senza pietà. Ti sei avvolto in una nube, così che la supplica non giungesse fino a te. Ci hai ridotti a spazzatura e rifiuto in mezzo ai popoli.
Pe
Han spalancato la bocca contro di noi tutti i nostri nemici. Terrore e trabocchetto sono la nostra sorte, desolazione e rovina». Rivoli di lacrime scorrono dai miei occhi, per la rovina della figlia del mio popolo.
Ain
Il mio occhio piange senza sosta perché non ha pace finché non guardi e non veda il Signore dal cielo. Il mio occhio mi tormenta per tutte le figlie della mia città.
Sade
Mi han dato la caccia come a un passero coloro che mi son nemici senza ragione. Mi han chiuso vivo nella fossa e han gettato pietre su di me. Son salite le acque fin sopra il mio capo; io dissi: «È finita per me».
Kof
Ho invocato il tuo nome, o Signore, dalla fossa profonda. Tu hai udito la mia voce: «Non chiudere l’orecchio al mio sfogo». Tu eri vicino quando ti invocavo, hai detto: «Non temere!».
Res
Tu hai difeso, Signore, la mia causa, hai riscattato la mia vita. Hai visto, o Signore, il torto che ho patito, difendi il mio diritto! Hai visto tutte le loro vendette, tutte le loro trame contro di me.
Sin
Hai udito, Signore, i loro insulti, tutte le loro trame contro di me, i discorsi dei miei oppositori e le loro ostilità contro di me tutto il giorno. Osserva quando siedono e quando si alzano; io sono la loro beffarda canzone.
Tau
Rendi loro il contraccambio, o Signore, secondo l’opera delle loro mani. Rendili duri di cuore, la tua maledizione su di loro! Perseguitali nell’ira e distruggili sotto il cielo, Signore.
Il processo religioso di Gesù (Gv 18, 12-28)
Il processo religioso nel vangelo di Giovanni è brevissimo rispetto invece ai sinottici (manca ad esempio l’episodio citato in Mc 14, 55-65)
I personaggi e i luoghi (Gv 18, 12-14)
Allora il distaccamento con il comandante e le guardie dei Giudei afferrarono Gesù, lo legarono e lo condussero prima da Anna: egli era infatti suocero di Caifa, che era sommo sacerdote in quell’anno. Caifa poi era quello che aveva consigliato ai Giudei: “È meglio che un uomo solo muoia per il popolo”.
C’è la coorte, il capo della coorte, le guardie delle autorità del Tempio, cioè i mestatori di popolo appositamente preparati per nuocere a Gesù, Anna, suocero di Caifa – già qui si annota che c’è una presenza non legittima in un processo, legata da parentela, ma soprattutto da interesse di famiglia – utile, soprattutto, perché era stato lui a montare tutta l’operazione per prendere Gesù per quella famosa affermazione profetica -senza saperlo – meglio che ne muoia uno e il popolo sia risparmiato.
Giovanni nel fare l’elenco dei presenti non infierisce sulla moralità delle persone, ma li presenta dicendo il meglio possibile di ciascuno evitando di parlarne male: l’uno per parentela e l’altro per profezia.
E’ la prima volta in questa cattura che Gesù viene legato.
La descrizione di Pietro (Gv 18,15-18)
Intanto Simon Pietro seguiva Gesù insieme con un altro discepolo. Questo discepolo era conosciuto dal sommo sacerdote e perciò entrò con Gesù nel cortile del sommo sacerdote; Pietro invece si fermò fuori, vicino alla porta. Allora quell’altro discepolo, noto al sommo sacerdote, tornò fuori, parlò alla portinaia e fece entrare anche Pietro. E la giovane portinaia disse a Pietro: “Forse anche tu sei dei discepoli di quest’uomo?”. Egli rispose: “Non lo sono”. Intanto i servi e le guardie avevano acceso un fuoco, perché faceva freddo, e si scaldavano; anche Pietro stava con loro e si scaldava.
C’è un discepolo innominato, noto al sommo sacerdote che riesce a far entrare Pietro. E qui comincia l’avventura sconsolante di Pietro, che cade nel suo peccato di negazione. Forse anche senza accorgersene e senza averne coscienza immediata. E’ in uno stato di semicoscienza; sa che deve portar fuori da quel mondo di accuse la sua persona e salvarsi da quell’ambiente, vuole bene a Gesù. E’ entrato di istinto, si è messo volentieri a scaldarsi, cede e per un po’ non si rende nemmeno conto. Le domande incalzano e facilmente riesce a destreggiarsi. Contrariamente a Gesù che nell’arresto disse solennemente 3 volte quell’“io sono”che evoca la definizione di Dio, Pietro per tre volte dice “non sono”. E il gallo cantò. Immaginiamo la desolazione di Pietro, quando riuscirà ad avvertire il senso del suo diniego!
Interrogatorio del sommo sacerdote (Gv 18,19-24)
Allora il sommo sacerdote interrogò Gesù riguardo ai suoi discepoli e alla sua dottrina. Gesù gli rispose: “Io ho parlato al mondo apertamente; ho sempre insegnato nella sinagoga e nel tempio, dove tutti i Giudei si riuniscono, e non ho mai detto nulla di nascosto. Perché interroghi me? Interroga quelli che hanno udito ciò che ho detto loro; ecco, essi sanno che cosa ho detto”. Aveva appena detto questo, che una delle guardie presenti diede uno schiaffo a Gesù, dicendo: “Così rispondi al sommo sacerdote?”. Gli rispose Gesù: “Se ho parlato male, dimostrami dov’è il male; ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?”. Allora Anna lo mandò legato a Caifa, sommo sacerdote.
Il sommo sacerdote interroga Gesù ed è Gesù che parla a lungo, è lui che ha in mano la situazione e dà una lezione ad Anna: ho sempre parlato senza nascondermi, ho insegnato in sinagoga….perchè interroghi me, interroga chi mi ha ascoltato… Inaudito questo coraggio e bella questa dignità umana, ma prende uno schiaffo e Gesù risponde ancora con somma libertà, non porge l’altra guancia, come ha insegnato sulla Montagna e fa capire bene che significa porgi l’altra guancia, che non è meschinità, ma è non stare sullo stesso piano dell’offesa e quindi prima deve difendere la sua dignità. Questo schiaffo però diventa per tutto il Sinedrio e la gente ingannata il segnale che Lui non è intoccabile, ci si può scagliare contro di Lui impunemente. E da quel momento sarà sempre più umiliato. Gesù rimane nella sua serenità e nella sua forza e così termina il processo religioso, perché se anche viene portato da Caifa, non si dice niente del suo faccia a faccia con Caifa.
Pietro nega ancora e subito il gallo cantò e termina il processo religioso (Gv 18, 25-28)
Intanto Simon Pietro stava là a scaldarsi. Gli dissero: “Non sei anche tu dei suoi discepoli?”. Egli lo negò e disse: “Non lo sono”. Ma uno dei servi del sommo sacerdote, parente di quello a cui Pietro aveva tagliato l’orecchio, disse: “Non ti ho forse visto con lui nel giardino?”. Pietro negò di nuovo, e subito un gallo cantò. Allora condussero Gesù dalla casa di Caifa nel pretorio.Era l’alba ed essi non vollero entrare nel pretorio per non contaminarsi e poter mangiare la Pasqua.
I tre “non sono”, al canto del gallo risuonano nella coscienza di Pietro e lo rendono consapevole di aver tradito il maestro: un fariseismo classico chiude questo processo religioso … da una parte Pietro distrutto nel suo tradimento e dall’altra l’ipocrisia di chi giudica Gesù: al mattino presto, e si fanno superbi di non entrare nel pretorio per non incorrere in proibizioni cultuali … e con questo atteggiamento di carattere ipocrita termina il processo religioso.
Colpisce l’omogeneità tra il comportamento protervo dei sacerdoti e il comportamento fragile di Pietro: la passione di Gesù fa venire a galla le nostre debolezze, quelle dei sacerdoti e quelle di Pietro; così capita nei momenti di prova quando anche noi siamo più paurosi e vigliacchi.
Ci colpisce il fatto che non c’è un vero processo religioso con accusa e difesa di Gesù: è Gesù colui che tiene sempre in mano il bandolo della matassa.
Non risponde, ma afferma, si difende in maniera dignitosa dallo schiaffo: Tutto questo contrasta con l’ipocrisia di chi non entra da Pilato … e allora è importante approfondire l’imprudenza di Pietro che si lascia scaldare mollemente al fuoco e dice quei tre “non sono”.
Come difenderci quando la nostra debolezza è messa a dura prova? Non esporci imprudentemente alle tentazioni in luoghi in cui sappiamo di non saper resistere, nei luoghi della società, della politica, del divertimento, di certe amicizie, dove non riusciamo a trattenerci.
Occorre che riflettiamo su come l’ambizione e l’invidia accecano i nemici di Gesù, i sommi sacerdoti che pensano di essere meritori presso il popolo e invece si lasciano accecare dalle passioni occulte.
La povertà del processo è segno di “decadenza religiosa e giuridica”, condotto da chi non è autorizzato, e tocca a Gesù spiegare: è il crollo di una istituzione fatta per riconoscere il messia che fallisce il suo scopo fondamentale!
Si possono evidenziare anche buone scuse dei sacerdoti del tempio di fronte a questo tradimento: non erano aperti alla novità, davano tutto per scontato come avviene spesso in comunità chiuse … resta il fatto che la mentalità del sinedrio ha perduto l’occasione fondamentale di riconoscere il Messia.
E allora una nota anche sulla decadenza di una istituzione religiosa … e occorre anche avere il coraggio di … superare anche le tradizioni religiose quando non sono più autentiche: è soltanto la parola di Dio che è “normativa”, e non sempre le nostre tradizioni traducono la Parola di Dio … e allora occorre sempre farci fermentare tutti a vicenda da questa Parola, da queste parole vere e autentiche … per esempio proviamo ad usare il discorso della montagna – ricordate : sono parole non confessionali, ma toccano le cose più belle dell’esistenza umana e vanno oltre la tradizione religiosa
Toccare nel profondo il cuore e andare alle profondità dello Spirito, questo permette di aprire, far crescere, come fa e ha fatto papa Francesco: è nel suo cammino interreligioso.
Convertirsi profondamente alle parole vere di Gesù, predicare la vera dottrina, che è la povertà l’umiltà, l’amore alle umiliazioni, e contengono anche la giusta critica alle giuste tradizioni depravate.